No al carbone Alto Lazio

31 dicembre 2010

Buone feste by enel



Il 29 dicembre 2010 molti cittadini hanno notato il cielo bianco notte che ci ha regalato enel col suo carbone pulito. Come dite? Vi risulta che il cielo sia normalmente nero notte e il carbone sporco? Già, se non vivessimo in una realtà rovesciata...

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30 dicembre 2010

Sulla politica senza identità del PD polesano

Vanni Destro (Movimento 5 Stelle e membro del CNNC) critica la politica senza identità del PD polesano
Fonte
"Torna all’attacco il Movimento 5 stelle di Rovigo sul tema della conversione a carbone della centrale di Polesine Camerini, questa volta criticando il segretario del Pd provinciale Diego Crivellari.

Dopo le barricate davanti al tribunale in difesa della procura rodigina la scorsa settimana, mercoledì 29 dicembre Vanni Destro usa parole dure come “cerchiobottista”, fautore di “un’operazione simpatia verso tutti” nell’accusare Crivellari di dichiarare “solidarietà alla Procura di Rovigo che indaga sulla riconversione” da una parte, mentre dall’altra “auspica la riconversione stessa quale panacea economico-lavorativa per il Polesine”.
“Essendo di Rosolina, Crivellari dovrebbe ben conoscere l'opinione negativa sul carbone degli operatori economici del suo comune e, più in generale, dell'area deltina” commenta Destro, che prosegue con dure parole: “Nella smodata moderazione del Pd polesano riconosciamo quell'esatta povertà di idee e personalità che attiene a questo partito anche a livello nazionale”.

A tal proposito rilancia: “Ci interessa assai sapere l'opinione in proposito di Graziano Azzalin, consigliere regionale e massimo rappresentante istituzionale del Pd polesano. E anche di altri componenti del Pd che sappiamo contrari all'ecomostro portotollese. Oppure vorremmo conoscere cosa ne pensa Legambiente, vicina al Pd, che ha ancora un ricorso contro il carbone pendente al Tar del Lazio. E cosa diranno mai gli alleati attuali e in pectore del Pd come la Federazione della Sinistra, l'Idv, i Verdi o Sinistra Ecologia e Libertà, che sono da tempo schierati contro la riconversione”.

Infine conclude: “Crivellari e il suo Pd avanzano mentre indietreggiano e, nell'operazione simpatia erga omnes, verso tutti, rischiano, come sempre, di scontentare tutti. Ma all'ombra delle ciminiere e dentro l'urne è forse il sonno della morte men duro?”.

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29 dicembre 2010

Organismi Geneticamente Modificati news

Milioni di anni. Quello che siamo è il risultato dell'evoluzione entro un ambiente in cui ogni elemento dell'ecosistema vive in equilibrio con gli altri. Ad evolversi non è infatti solo il singolo organismo, ma il rapporto tra essi.

Un bel giorno l'uomo fa la scelta più avventata mai fatta: modificare il codice genetico di determinati organismi per fini produttivi. Senza avere una pallida idea delle implicazioni che questa scelta potrebbe avere sul genere umano. Senza sapere cosa, sul lungo periodo, potrebbe accadere con la diffusione nell’ambiente di questi organismi modificati.

Una arroganza che potremmo pagare cara, eppure il principio di precauzione, crescenti testimonianze della pericolosità degli OGM (vedi la sterilità riscontrata nei topi), il pericolo infestazione / riduzione della ricchezza genetica del pianeta, finanche la loro produttività molto più scarsa del previsto, i problemi legali e i danni economici alle economie locali derivanti dai brevetti genetici: tutto questo non è stato finora sufficiente a fermare la follìa degli OGM.

Segue una serie di news dalla newsletter di Equivita

24/11/10
Germania: Corte costituzionale riafferma la validità delle “regole stringenti” sugli Ogm
Fonte: Ufficio stampa Corte costituzionale


Pronunciandosi sul ricorso presentato dal Land Sassonia-Anhalt contro la “Legge federale sull’ingegneria genetica”, la Corte costituzionale tedesca ha riaffermato la legittimità e costituzionalità delle misure in essa contenute. La Corte ha riconosciuto che l’ingegneria genetica comporta una modifica irreversibile delle strutture elementari della vita e che è difficile, se non impossibile, arginare la diffusione del materiale geneticamente modificato immesso nell’ambiente. Mancando ancora una conoscenza scientifica degli effetti a lungo termine dell’ingegneria genetica, è compito del legislatore preservare dai possibili effetti avversi delle colture gm i cittadini e l’ambiente, anche in virtù del vincolo di responsabilità che lega le generazioni attuali a quelle future. Resta in piedi, così, l’obbligo per chi contamina coltivazioni tradizionali o biologiche di risarcire i propri vicini, nonché quello di iscrivere le coltivazioni gm sperimentali in un registro di pubblico accesso che ne consenta il costante e trasparente monitoraggio.

12/11/10
“Eurobarometro sulla biotecnologia 2010”: cresce in Europa l’opposizione al cibo gm
Fonte: Greenpeace


Secondo il nuovo “Eurobarometro sulla biotecnologia” la percentuale di quanti in Europa si oppongono ai cibi geneticamente modificati è in aumento. Dichiara Marco Contiero di Greenpeace: “Il sondaggio ha prodotto risultati inequivocabili: il 61% della popolazione europea è contraria a un’ulteriore diffusione degli alimenti gm in UE”. Nel precedente Eurobarometro riguardante gli Ogm (“Attitudine dei cittadini europei verso l’ambiente”, 2007) i contrari al cibo gm costituivano il 58% della popolazione.
Per i cittadini europei gli alimenti gm sono fondamentalmente innaturali (70%), non sicuri per la salute umana (59%), non sicuri per le generazioni future (58%), vantaggiosi per alcuni, ma causa di rischi per altri. Meno di un terzo di tutti gli intervistati ritiene che gli Ogm siano utili all’economia e l’84% dei cittadini dimostra di avere una buona conoscenza del problema. Ciò prova che, contrariamente a quanto sostiene l’industria biotech, l’opposizione dell’opinione pubblica europea agli Ogm è il prodotto di una scelta informata e non di ignoranza. Lo conferma la cospicua perdita di consensi in un paese, la Spagna, tradizionalmente pro-Ogm e in cui i transgenici sono coltivati su vasta scala: tra il 2005 e il 2010 la percentuale dei favorevoli agli Ogm è passata dal 53 al 35%.

10/11/2010
Unione europea: debutto disastroso per la patata Amflora
Contaminazione, rifiuto sociale e il ricorso di cinque governi sintetizzano il suo primo anno di coltivazione

Rompendo un’ultradecennale moratoria di fatto, la Commissione europea ha autorizzato lo scorso marzo la coltivazione della patata gm Amflora sul territorio dell’Unione. Dopo la prima semina, tuttavia, il bilancio non potrebbe essere più negativo. Rifiutata dall’opinione pubblica e dall’industria, gran parte del raccolto del vegetale gm è risultato contaminato e quindi sequestrato. Austria, Ungheria e Lussemburgo ne hanno proibito la coltivazione e cinque governi europei ne hanno contestato l’approvazione davanti alla Corte di Giustizia europea.
Nel corso del 2010 la patata Amflora è stata coltivata complessivamente su 267 ettari di terra, suddivisi tra Svezia, Germania e Repubblica ceca. In Svezia il debutto di Amflora si è intrecciato con lo scandalo provocato da un’altra patata gm, Amadea, coltivata sul suolo dell’Unione pur non essendo autorizzata. Per effetto della contaminazione causata dalla patata illegale, 16 dei 120 ettari di Amflora coltivati in Svezia sono stati distrutti. Sorte non migliore è toccata ai 15 ettari coltivati in Germania, anch’essi sequestrati per il rischio contaminazione e assicurati in un magazzino del governo federale fino a nuovo ordine.
Anche l’industria europea dell’amido ha voltato le spalle ad Amflora, per evitare problemi di contaminazione e non incorrere nel rifiuto dei consumatori. Del resto, esistono già sul mercato patate tradizionali dotate dello stesso contenuto di amido, a ulteriore conferma del fatto che metterne in circolazione una geneticamente modificata pericolosa per la salute umana fosse del tutto innecessario.
01/11/2010
Giappone: approvato un protocollo internazionale contro i rischi posti dagli Ogm
Fonte: Clarissa, di G. Sinatti


Un nuovo protocollo sulla responsabilità ed il risarcimento in caso di danni causati dagli spostamenti transfrontalieri di organismi viventi geneticamente modificati (LMO) è stato adottato lo scorso 15 ottobre nel quadro della Convenzione sulla Biodiversità (CBD), approvata il 22 maggio del 1992 e sottoscritta ad oggi da 188 Paesi.
Ci sono voluti ben sei anni di negoziati per giungere a questo "protocollo addizionale di Nagoya-Kuala Lumpur" che rende operativo l'articolo 27 del cosiddetto Protocollo di Cartagena sulla Bio-sicurezza, del 29 gennaio 2000, un accordo internazionale sviluppato nel quadro della CBD, il cui scopo è di definire a livello internazionale misure rivolte a proteggere la diversità biologica dai rischi potenziali posti dagli organismi geneticamente ingegnerizzati dalle moderne biotecnologie: il citato articolo 27 prevede appunto l'elaborazione di regole e procedure internazionali per la responsabilità ed il risarcimento in caso di danni alla biodiversità causati dalla movimentazione di organismi viventi geneticamente modificati.
Il documento approvato il 16 ottobre scorso stabilisce infatti che tutti gli operatori (commerciali, produttori, esportatori, importatori, trasportatori) saranno ritenuti responsabili anche dal punto di vista finanziario della movimentazione di questo tipo di organismi fra Stati diversi e degli eventuali danni conseguenti.
Il nuovo accordo sarà disponibile per ulteriori adesioni presso la sede delle Nazioni Unite dal 7 marzo 2011 al 6 marzo 2012 ed entrerà in vigore novanta giorni dopo essere stato ratificato da almeno 40 Paesi che aderiscono al Protocollo di Cartagena sulla Biodiversità.
13/09/10
Stati Uniti: Fondazione Gates investe nella Monsanto
Fonte: Via Campesina e Community Alliance for Global Justice

Nel secondo quadrimestre del 2010 la “Fondazione Bill and Melinda Gates” ha acquistato 500.000 azioni della Monsanto investendo oltre 23 milioni di dollari nella multinazionale. Lo ha reso noto un sito web di finanza suscitando un’ondata di indignazione tra le organizzazioni di agricoltori e della società civile di tutto il mondo. La “Fondazione Gates” è stata costituita nel 1994 dal fondatore della Microsoft Bill Gates e oggi esercita un’influenza egemone sulla politica globale per lo sviluppo agricolo, riversando centinaia di milioni di dollari su progetti che incoraggiano gli agricoltori dei paesi poveri a utilizzare sementi gm e fitofarmaci della Monsanto. La recente acquisizione delle azioni della multinazionale, però, dimostra che tale attività di promozione è motivata più dalla ricerca di profitti che dalla filantropia.
Lo stretto legame con la Monsanto e altre multinazionali biotech, tuttavia, non è l’unica stigmate dei progetti e delle iniziative multimiliardarie che fanno capo alla “Fondazione Gates” (AGRA, GAFSP, “Feed the Future Initiative”, ecc …).
Un rapporto del 2008 commissionato dalla Banca Mondiale e dalle Nazioni Unite (International Assessment of Agricultural Knowledge Science and Technology for Development - IAASTD) promuove soluzioni alternative ai problemi della fame e della povertà, evidenziandone l’origine sociale ed economica. Secondo il rapporto, l’agricoltura agro-ecologica su base familiare risponde meglio di quanto non faccia il modello industriale esportato dalla Fondazione Gates alle necessità dei paesi poveri ed è in grado di produrre cibo continuando a rispettare il pianeta.
Nelle parole di un’esponente di “Via Campesina”, inoltre: “Nessuna fondazione – quand’anche ben intenzionata - può arrogarsi il diritto di definire le politiche agricole e alimentari di una nazione. La democrazia richiede la partecipazione informata della società civile, affinché questa valuti ciò che è nel migliore interesse della gente”.

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28 dicembre 2010

Civitavecchia, Alto Lazio: bilancio di una situazione critica

Pubblichiamo l'articolo di S. Ricotti "Perchè non va alterato il sistema ambientale", dal numero di Dicembre 2010 della rivista FuturaMente.

Civitavecchia, poco più di 50.000 abitanti, 71 Km2 di territorio.

Due centrali termoelettriche (ma fino a pochi anni fa erano tre) per un totale di 3500 MW di potenza installata, 110 Km di elettrodotti, un porto tra i più grandi del Mediterraneo, un cementificio, una boa petrolifera posta al largo del porto, sei depositi costieri per oli minerali di cui quattro sottoposti a direttiva Seveso, un centro chimico militare per lo smaltimento delle armi chimiche della prima guerra mondiale (in particolare iprite) e al cui interno vi è lo stoccaggio dell’arsenico utilizzato per inertizzare quest’ultime; due discariche per RSU in fase di post mortem, una in fase di esaurimento, due discariche per rifiuti speciali e pericolosi ed infine, a pochi Km di distanza, la centrale di Montalto di Castro, in odore di riconversione nucleare.

Un territorio dove il mare non è balneabile, se non per piccoli tratti, l’acqua è in deroga per superamento dei parametri di arsenico, fluoruro, vanadio e selenio da oltre tre anni, dove le percentuali di mortalità e morbilità per neoplasie all’apparato respiratorio, per leucemie e linfomi e quant’altro sono al di sopra delle medie regionali e nazionali e dove, a fronte del ricatto occupazionale utilizzato per sponsorizzare questi impianti veleniferi, la disoccupazione supera il 20 %.

Sono sufficienti questi pochi dati per comprendere quali siano le conseguenze del vivere nel raggio di azione di una servitù energetica e, nel contempo, come questa comunità, succube del ricatto occupazionale e considerata variabile dipendente dei bilanci aziendali delle varie lobby agenti sul territorio, prima fra tutte l’ENEL, sia condannata a logorarsi al proprio interno.

Narrare di Civitavecchia significa narrare la storia di una colonizzazione lunga anni, la storia di un territorio artatamente e metodicamente preparato ad essere aggredito, privato della sua anima e del suo futuro, inquinato nelle coscienze prima ancora che nelle sue risorse naturali, significa narrare dell’inerzia, quando non subalternità, delle istituzioni, Comune in testa, ma anche dell’intero ceto politico del comprensorio, che ha consentito che ciò avvenisse, abbagliato dai milioni di euro per compensazioni ambientali riversati nelle casse dei comuni.

Come un leitmotiv si sente ripetere che la politica si deve misurare con la vita reale dei cittadini.

Ebbene le vite reali e materiali dei cittadini in questo territorio, come in tanti altri, costituiscono la concretezza di quelle percentuali di mortalità e morbilità per tumore bronchiale e pleurico, per asme ed allergie, per insufficienza renale cronica etc…, aspetti sui quali è palesemente e colpevolmente lacunosa la Valutazione di Impatto Ambientale come dichiarato dal Ministero dell’Ambiente e da quello della Salute.

Le vite materiali sono quelle dei lavoratori del cantiere, quasi tutti precari, che, dopo il becero ricatto occupazionale usato per far digerire il progetto, come hanno a più riprese denunciato i Sindacati, sono stati costretti a ritmi di lavoro serrati e ad operare nella sovrapposizione di operazioni lavorative di diverso genere, pagando con decine d’infortuni, come quelli che sono costati la vita a Michele Cozzolino, ad Ivan Cuffary e a Sergio Capitani, la totale latitanza dell’Enel che, in qualità di committente, avrebbe dovuto invece garantire l’andamento in sicurezza dei lavori.

Vite materiali su cui, la riconversione a carbone falsamente definito “pulito”, riverserà tonnellate di veleni: basti sapere che ogni ora la centrale emetterà 6.300.000 mc di emissioni, per 17 ore al giorno e 6500 ore l’anno, che significheranno l’immissione nell’atmosfera di 3450 t/a di ossidi di azoto, 2100 t/a di anidride solforosa, 260 t/a di polveri, 24 t/a di metalli pesanti quali mercurio, vanadio, nichel, cadmio, cromo, ammoniaca etc (dati ENEL).

Una riconversione, quella a carbone, che ha contrapposto lavoratori e popolazione contraria, ed ha costituto, negli anni scorsi, il nodo della grave lacerazione del tessuto sociale di Civitavecchia che si ritrova solo quando, unita nel dolore, quando piange i propri figli, morti sul lavoro o per neoplasie di vario tipo.

Un territorio che, però, rischia di rimanere rinchiuso nel suo dolore e nelle sue contraddizioni; di non trovare più l’orgoglio di pretendere rispetto nemmeno quando deve salvaguardare i propri figli, accettando silente che, ad esempio, dopo l’altisonante annuncio del sindaco Moscherini della chiusura per quindici giorni dell’impianto di Torrevaldaliga Nord, a seguito della infortunio costato la vita a Sergio Capitani, il cantiere venisse riaperto dopo poco più di 72 ore, tempo certo non sufficiente né a verificare a fondo, né tantomeno a ristabilire le condizioni di sicurezza.

Gli occhi dei lavoratori velati di lacrime al funerale di Sergio, offuscati da rabbia mista a rassegnazione, narravano della loro paura/certezza che tutto sarebbe tornato, come è tornato, a girare come prima, in quel cantiere della morte e che le loro vite sarebbero continuate ad essere, come lo sono, sacrificabili sull’altare della ricerca smodata di profitto.

Dubbi non certo infondati visto il silenzio assordante delle istituzioni, primo fra tutti proprio il Comune di Civitavecchia, sulle tante irregolarità rilevate in quella centrale.

Nulla sulle reiterate denunce dei sindacati e dei lavoratori che, a più riprese, e da svariato tempo, avevano espresso le proprie preoccupazioni riguardo la sicurezza, legate ai serrati ritmi lavorativi imposti e alla sovrapposizione di operazioni lavorative di diverso genere, oltre al non controllo di maestranze fortemente variabili e precarizzate, nella totale latitanza dell’Enel che, in qualità di committente, avrebbe dovuto garantire l’andamento in sicurezza del cantiere.

Nulla sulle inquietanti nubi, a volte rosse a volte bianche, che si alzano dalla centrale e che Enel, con arroganza offensiva, si affretta ad assicurare essere composta, a seconda dei casi, di ruggine o vapore acqueo e comunque confinata (sic!) nell’area di cantiere, come se, peraltro fosse normale che cittadini e lavoratori del cantiere siano costretti a respirare aria satura di ruggine!

Nulla sul rumore sordo e continuo che da tutte le parti della città stanno lamentando.

Nulla sui cumuli di rifiuti pericolosi accatastati e forse interrati in aree non autorizzate, né sulla gestione e stoccaggio delle ceneri a cielo aperto (ma che il progetto prevede debbano essere trattate in impianti sigillati e depressurizzati); fatti denunciati dal Movimento con video consegnatigli in forma anonima, che hanno condotto la Procura della Repubblica a sequestrare diverse aree del cantiere e a richiedere il rinvio a giudizio di ben undici persone.

Nulla sulle diverse deroghe ai limiti emissivi e alla gestione dei materiali pulverulenti richieste da ENEL al Ministero dell’ambiente; deroghe, che è bene specificarlo, non costituiscono solo un fatto teorico ma un’ulteriore immissione d’inquinanti nell’atmosfera con relative ricadute sulla salute.

Nulla sulla mancata ottemperanza di buona parte delle prescrizioni disposte dal decreto di Valutazione d’Impatto Ambientale.

Nulla, infine, sul fatto che l’impianto di Torrevaldaliga Nord sia in esercizio dal 24 dicembre 2008 in assenza di autorizzazione, motivo per il quale, a seguito della denuncia del Movimento, è stato avviato un procedimento che ha condotto il procuratore Capo Gianfranco Amendola a richiedere il sequestro dell’impianto successivamente rigettato dal Giudice per le Indagini Preliminari Giorgianni e che, dopo una prima richiesta di archiviazione ed una nostra opposizione alla stessa, è ancora in itinere.

Fatti che pongono in evidenza come la scelta del carbone a Civitavecchia, rappresenti l'eccellenza di scelte dissennate, irrispettose delle esigenze dei territori, dei cittadini che li abitano e della stessa legalità. Scelte antistoriche, il cui fallimento è immortalato nell’immagine di un pianeta sull’orlo del collasso ambientale ed energetico, incapaci, per loro stessa natura, di sostenere nuove strategie economiche che sappiano affrontare il nodo improcrastinabile della via d’uscita dalla produzione energetica da combustibili fossili.

Scelte che, al contrario, necessiterebbero di grande determinazione e forte radicalità politica, tale da superare le resistenze culturali di uno scientismo funzionale all'attuale sistema, i vincoli e i ritardi legislativi costruiti a difesa della filiera energetica da fonti fossili e la volontà tutta politica di garantire e perpetuare il modello di sviluppo.
Il vero partito del “No” non sono i territori che si contrappongono a scelte dissennate, ma il partito trasversale della “rinuncia”: la rinuncia a contrapporsi al pensiero dominante neoliberista e sviluppista, antidemocratico per definizione, vera causa della sofferenza di 4/5 dell’umanità e del processo galoppante di espulsione della nostra specie dal pianeta; quel partito che rinuncia a contrastare gli effetti dei cambiamenti climatici e l’avvelenamento della terra per garantire una speranza di futuro.
A Civitavecchia come altrove.


Simona Ricotti

Movimento No Coke Alto Lazio



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I sonetti di Giancarlo Peris. "Miracoli"

Dal nostro prof. G. Peris, con i migliori auguri di buon Anno.

Miracoli 7 novembre 2001


Sur pianto che s’espresse giù a Pantano
Che rese chiacchierato er litorale
Ner monno, un gran mariologo mariano
Ci ha detto ch’era stata la centrale.


Perché tutto quer fumo nero e insano
Che a tanta gente in loco ha fatto male,
De certo nun adè pensiero vano
Che j’irritò er condotto lacrimale.


E mo che ‘n piagne più la madonnina
Siccome più de rado adè in funzione
Quer mostro prospiciente a la marina,


Er sindaco vo’ daje l’occasione
De pote’ piagne ancora, a la divina,
Spruzzannoje ne l’occhi der carbone.

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Foto da Civitavecchia, 28/12/2010

Questa nuova immagine scattata e condivisa da un libero cittadino, mostra la cappa grigia / marrone di inquinamento che aleggia con rinnovata puntualità sopra Civitavecchia, grazie al carbone di TVN. Nel filmato (clicca qui) si vede inoltre la formazione della nuvola soprastante la centrale, dal camino della stessa.

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25 dicembre 2010

Daniele Perello

Prima della fine dell'anno non potevamo non dedicare uno spazio a questo giovane rampante, simbolo della politica che si rinnova
Cin cin! (clicca per ingrandire)





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24 dicembre 2010

Per ricordare il 2010 e prepararsi al 2011

In rete gira qualche immagine irriverente sulle faccende di Civitavecchia e dintorni, la pubblichiamo volentieri.

Nuovo Calendario 2011, il cielo sulla "Perla del Tirreno"

enel fa le feste ai cittadini dell'Alto Lazio

no comment (in foto: Gianni Moscherini sotto la ciminiera di TVN)

Il sindaco di Civitavecchia Gianni Moscherini, noto filantropo

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Serene Festività

Cari amici e amiche,
in qualunque modo decidiamo di festeggiare, l'augurio è che possiamo sfruttare questi giorni come un'ottima, sacra scusa per stringerci con i nostri affetti e sospendere almeno per un attimo quanto ci accorcia il fiato nei giorni ordinari.

Come piccolo regalino per i nostri lettori abbiamo aggiornato qualche aspetto del sito e arricchito una cartella tra i Materiali con ottimi articoli da Le Scienze (traduzione italiana di Scientific American), per scaricarli cliccate qui.

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Civitavecchia, le mani sulla mia città

Da UnoNotizie.it

Concordiamo con il Sindaco e con il suo novello e fedele portaborse Perello: "la realizzazione del Terminal Cina è un' autentica svolta storica per la città e per il comprensorio".
Una svolta negativa, però, che, al contrario di quanto da questi affermato, costituirà il definitivo affossamento del nostro territorio, seppellendo sotto una colata di cemento l’ultimo tratto di costa fruibile di Civitavecchia dopo averlo regalato ai grandi privati e sancendo la catastrofe ambientale che ne sarà la ovvia e naturale conseguenza.

E’ ormai un dato di fatto che purtroppo mai si senta questa Amministrazione proporre, discutere e ragionare di progetti sostenibili per la popolazione e la citt, che ne valorizzino caratteristiche e potenzialità, mentre è ormai costante l’impegno su progettualità iperboliche, avulse dai piani di programmazione vigenti, che devastano il territorio e ne peggiorano la qualità della vita e dell’aria con argomentazioni che ne mistificano il reale impatto ambientale nonché la valenza economica a favore di interessi privati, spesso oscuri e poco chiari.

Non è infatti un segreto, essendo stato oggetto di un' approfondita inchiesta anche su un giornale di levatura nazionale come l’Espresso, che la società “Centrale Finanziaria Generale”, con la quale il sindaco ha firmato l’ormai famigerato accordo per il megaprogetto, naviga in cattive acque finanziarie, tanto che il suo Presidente Giancarlo Elia Valori, nello spiegare il deficit di 3,6 milioni di euro, ha dovuto presentare un nuovo piano di aziendale basato sulla dismissione di molte delle attività in essere e sulla realizzazione, in accordo con il gruppo cinese HNA, del progetto di ammodernamento del porto di Civitavecchia con nuovi terminal e attrattive turistiche.

Un' operazione di risanamento del bilancio aziendale di una grande, quanto discussa, società privata (...all’inizio degli anni ottanta la Centrale era stata al centro delle operazioni condotte da Roberto Calvi per scalare la Rizzoli e il Correre della Sera. L’epilogo era stato tragico, con il banchiere trovato morto sotto un ponte di Londra, il fallimento del suo Banco Ambrosiano e una serie di misteri mai chiariti (Espresso 09.09.2010); a questo viene ridotto il nostro territorio.

Spiace poi prendere atto che un giovane politico come Perello, sostenitore della necessità di progetti per il territorio, faccia finta di non vedere e sapere che la realizzazione del Terminal Cina lungo la costa e la pineta della Frasca comporterà la definitiva e completa distruzione dell’ultimo tratto di mare fruibile, portando solo uno sviluppo/non sviluppo inquinante e non sostenibile.

In qualità di associazioni che da anni si battono per la tutela del territorio e per la salvaguardia della salute della popolazione, ribadiamo la nostra ferma contrarietà a progetti folli e faraonici che nulla hanno a che vedere con la comunità locale che ha invece bisogno di una progettualità che contemperi le esigenze di tutta la cittadinanza in armonia con l’ambiente circostante in un’ottica proiettata alla sostenibilità.

Civitavecchia ha già da tempo pagato un prezzo altissimo agli incantatori di serpenti che spacciano la cementificazione come opera necessaria allo sviluppo. Con la realizzazione del Terminal Cina, in un’area peraltro già sottoposta ad una notevole pressione industriale e tutelata anche per questo da vincoli di natura ambientale e archeologica, (tanto da essere inserita nel Piano Territoriale Provinciale Generale (PTPG), approvato recentemente, (nell’elenco delle aree protette in quanto “area meritevole di tutela per la quale è in corso la procedura d’istituzione”), la qualità della vita di Civitavecchia subirà un ulteriore tracollo.

Questa è la svolta buia che attende la città ed a cui il sindaco Moscherini e i suoi novelli portaborse vorrebbero condannarla.

A questo ci opporremo con tutte le nostre forze.

Forum Ambientalista
Sezione Civitavecchia
La responsabile
Simona Ricotti

ItaliaNostra
Sez. Asfodelo- Gruppo Civitavecchia
La Presidente
Roberta Galletta

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Assemblea nazionale "Uniti e Diversi", comunicato

Riceviamo da www.unitiediversi.it, e pubblichiamo:

“Uniti e Diversi”, questa è la denominazione di un progetto politico del tutto inedito che ha preso il suo avvio a Bologna, sabato 18 dicembre, nella Facoltà di Scienze della Formazione (gc) dell'Università di Bologna.
Come chiarito nella relazione introduttiva di Maurizio Pallante, comincia un percorso che, nella intenzione dei promotori, dovrà sfociare nella creazione di un nuovo soggetto politico, del tutto esterno ai partiti esistenti, capace di proporre un governo della transizione verso una nuova società non più costruita sul consumo insensato delle risorse e sulla devastazione dell'ambiente e della stessa natura umana, del tempo vitale degli individui.
I promotori concordano sulla impossibilità pratica, materiale, di proseguire lo sviluppo nelle forme e nei modelli degli ultimi due secoli. E' necessario promuovere, a livello di larghissime masse popolari, nuovi stili di vita, di produzione, di consumo, basati sulla solidarietà e non sulla concorrenza.
Il nuovo soggetto politico non avrà connotati di destra o di sinistra, ma si rivolgerà alla gente di ogni ceto, per costruire un percorso di pace, di difesa dei territori, di democrazia partecipata, verso una nuova convivenza umana. I promotori vogliono un'Italia fuori da ogni guerra e da ogni alleanza militare.
I promotori del percorso sono la Rete Provinciale Torinese del Movimenti e Liste di Cittadinanza (RPTMLC, comprendente il Comitato di cittadinanza attiva e Lista Civica Rivalta Sostenibile, Lista Civica Alpignano, Per il Bene Comune Piemonte, Alternativa Piemonte, ANIMO Nichelino); Maurizio Pallante (MDF Movimento Decrescita Felice); Giulietto Chiesa (Alternativa); Monia Benini (Per il Bene Comune); Massimo Fini (Movimento Zero).
L'Assemblea di Bologna è stato il quarto momento di un percorso iniziato a Torino il 16 ottobre , con una assemblea a inviti promossa da RPTMLC , cui parteciparono circa 80 invitati in qualità di rappresentanti di organizzazioni e movimenti. Due successivi incontri ristretti, a Genova e Roma, hanno consentito di elaborare un ampio documento preliminare e programmatico comune, che l'Assemblea di Bologna ha ratificato.
Hanno partecipato all'evento oltre 130 presenti (provenienti da 12 regioni), tra cui alcune decine di osservatori, individuali e di gruppo. L'Assemblea, a differenza di quella torinese e dei successivi incontri, era infatti aperta alle partecipazioni esterne. Hanno preso la parola non solo coloro che avevano già sottoscritto il documento, ma anche da numerosi osservatori a titolo individuale e a nome di gruppi e movimenti.
L'Assemblea ha avuto una prima parte di discussione suddivisa in quattro gruppi generali e una seconda parte di discussione plenaria.
Le conclusioni sono state le seguenti: è stata ratificata la nomina di un Portavoce Nazionale che parlerà a nome di tutti i soggetti aderenti, nella persona di Maurizio Pallante.
E' stata ratificata la nomina della Segreteria Nazionale Operativa di cinque membri, composta da Mauro Marinari (RPTMLC), Fabrizio Tringali (Alternativa), Monia Benini (Per il Bene Comune), Maurizio Cossa (MDF), Siro Passino (Movimento Zero).
Nel corso dei prossimi due mesi si svolgeranno in ogni regione le assemblee unitarie aperte, ciascuna delle quali eleggerà due suoi portavoce nel Coordinamento Nazionale di Uniti e Diversi.
La Segreteria Operativa collaborerà con tutte le realtà locali aderenti per promuovere un calendario di incontri locali, alla presenza dei fondatori del progetto.
La Segreteria Operativa varerà a breve, in base alle indicazioni dell'Assemblea, un calendario di incontri seminariali e di laboratori nazionali tematici che avranno l'obiettivo di arricchire, precisare i temi del documento programmatico comune.

Bologna, 20 dicembre 2010

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25 anni dal referendum contro il carbone a Gioia Tauro

Da Newz.it: Legambiente, il referendum contro la centrale di Gioia serva da monito per Saline
 
"Sono trascorsi 25 anni e quella straordinaria giornata è ormai diventata una bella pagina di storia, un ricordo ma anche un monito e una lezione tornati ad essere, alla luce di recenti avvenimenti di Rossano e di Saline, fortemente attuali". Con queste parole Nuccio Barillà, dirigente nazionale di Legambiente, ha aperto l’Assemblea dei Soci del “Cigno Verde” che si è svolta ieri, mercoledì, presso la sede di via Tripepi dedicata alle riflessioni sull’impegno ambientalista a 25 anni del referendum popolare contro la centrale a carbone di Gioia Tauro. Un’occasione scelta dagli ambientalisti non solo per celebrare una data significativa, ma anche per rilanciare la battaglia contro la centrale e per lo sviluppo pulito di Saline Ioniche, diventato, suo malgrado, nuovo avamposto e simbolo della difesa del territorio. L’Assemblea, oltre alla relazione di Barillà, è stata arricchita dagli interventi di Lidia Liotta, Mariacaterina Gattuso, Marinella Arria, Paola Nasti, Antonella Politi, Mario e Carmelo De Grazia, Nicoletta Palladino. In un documento definito a conclusione dell’Assemblea, viene evidenziata l’attualità di una tappa storica e le molte analogie tra la vicenda della centrale di Gioia Tauro e quella di Saline Ioniche. Alla base della localizzazione assurda dell’impianto termoelettrico , è stato ricordato, vi fu la ghiotta opportunità fornita dal Porto, ma soprattutto la convinzione che la Calabria, costretta da una disperata condizione economica, da una fortissima emergenza occupazionale, dalla permeabilità di una classe politica ritenuta “elemosiniera” e dalla presunta fragilità e disorganizzazione della società civile, non avrebbe opposto alcuna resistenza e avrebbe ingoiato l’impianto sputa-veleno. Ciò prevedibilmente non sarebbe stato possibile in altre parti del territorio italiano. Quella volta, però, si verificò qualcosa di straordinario e sorprendente. Contro lo “schiaffo” dello Stato centrale si mobilitò quasi l’intera Calabria, sospinta dalle popolazioni direttamente interessate e dalle sue rappresentanze istituzionali e sociali. Di quella lunga lotta, durata quasi tredici anni, il referendum popolare autogestito, tenutosi il 22 dicembre 1985 in ben dodici comuni della Piana reggina e della fascia tirrenica catanzarese, fu il momento più esaltante. Schiacciante e inequivocabile la vittoria del NO, che totalizzò oltre il 97%. A favore della Centrale a carbone si espressero soltanto 933 elettori su 36.583, appena il 2,6%. L’esito dello scrutinio fu giudicato quasi unanimemente “un plebiscito, un evento straordinario, un esercizio collettivo e maturo di democrazia, un segnale di chiarezza e di speranza che va ben oltre la Calabria”. A scendere in campo nella Piana di Gioia Tauro e in Calabria, ricorda Legambiente, ci fu una popolazione variegata, il legante che tenne insieme tutti fu la paura del “mostro inquinante”, dunque la difesa dell’ambiente e della salute, quali beni assoluti e non barattabili. Fu anche, però, la presa di coscienza collettiva che una diversa via di sviluppo, scelta dal basso, capace di valorizzare, piuttosto che depredare, le risorse e di, tenere insieme le ragioni dell’ambiente e del lavoro, non solo era possibile ma era l’unica, dati alla mano, utile e proponibile per la Piana. Se il pronunciamento, corale e democratico, dei calabresi non bastò ad infrangere, subito e da solo, il muro ostinato dello Stato centrale, rappresentò il punto più alto di una lotta tenace che condusse alla vittoria finale che fece svanire l’incubo. "A distanza di 25 anni di distanza del referendum della Piana di Gioia Tauro, per un beffardo e cinico gioco non certo del destino è ancora una centrale a carbone -quella che una società privata, la SEI, vuole con complicità varie costruire a Saline Joniche, al centro dello scontro e del dibattito. Oggi come allora il confronto non è semplicemente tra chi vuole a tutti i costi imporre un impianto devastante e dannoso e chi, con ponderate ragioni, lo rifiuta. Di fronte ci sono soprattutto, due linee del tutto opposte di politica energetica e due diverse, inconciliabili, visioni della democrazia, dello sviluppo, del ruolo e del futuro della Calabria e del Sud”. La vittoria nel referendum di 25 anni fa, conclude Legambiente, è di buon auspicio perché, con la compattezza e la lotta, anche a Saline si possa allontanare l’incubo del carbone e si colga l’occasione per dare solide basi e concreti finanziamenti a uno sviluppo diverso capace di dare risposte occupazionali, rinnovabili nel tempo, e opportunità d’impresa credibili ed efficaci.

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Un po' meno carbone negli USA

Da Greenreport.it: Nel 2010 chiuse centrali per 12.000 MW

"Sierra Club, la più grande associazione ambientalista Usa, ha pubblicato il suo Outlook Dimmed for Coal 2010, il rapporto di fine anno sull'industria del carbone statunitense, che conferma che «Le prospettive per il carbone nel 2010 hanno continuato ad essere deboli, decine di proposte di nuovi impianti a carbone sono state ritirate dal tavolo e le utilities hanno annunciato il pensionamento di centrali a carbone per 12.000 MW. Mentre la legislazione federale sul clima ha avuto una fase di stallo al Congresso nel 2010, le città e gli Stati hanno preso l'iniziativa per frenare l'inquinamento pericoloso delle Big Coal e stiamo lavorando per porre fine alla morsa del carbone sulla nostra economia».

Ecco i numeri del 2010 per gli Usa: 0 nuove centrali a carbone hanno iniziato ad essere costruite; 38 nuovi progetti di impianti a carbone sono stati abbandonate o bocciati; 48 centrali a carbone per le quali è stata annunciata la chiusura (12.000 MW); 256.000 persone hanno chiesto una più forte protezione dalle ceneri tossiche del carbone (le scorie minerarie); 109 milioni di tonnellate di inquinamento da CO2 evitate; 2,6 miliardi dollari in benefici economici diretti ottenuti da impianti solari domestici.

Secondo Mary Anne Hitt, direttrice della campagna "Beyond Coal" di Sierra Club, «Il carbone è un combustibile del passato. Quello che stiamo vedendo ora è l'inizio della crescente tendenza a lasciarlo lì dove sta. E' chiaro che la via da seguire per l'America è quella dell'energia pulita e delle rinnovabili ed è quello in cui un numero crescente di utilities, sviluppatori, Stati e comunità stanno facendo i loro investimenti».
Gli ambientalisti dicono che tutta la filiera del carbone, dalla miniera, alla centrale, allo smaltimento delle scorie, non è regolamentata. Nel 2010 le proteste sono riuscite a bloccare la maggior parte dei nuovi permessi di rimozione di intere aree montane per estrarre carbone, e l'Epa, l'agenzia federale per l'ambiente, sta determinando se soddisfano i sui clean water protection standards. L'Epa ha anche chiesto di mettere il veto su una delle più grandi miniere mai proposte: Spruce mine in West Virginia.

Per Sierra Club per tutti i progetti di miniere sarà anche più difficile ottenere finanziamenti, «Ora che Pnc ed Ubs, i più grandi finanziatori del mountaintop removal mining, si sono uniti al crescente elenco di banche che attuano politiche pubbliche che limitano i loro rapporti finanziari con gli operatori che scavano il carbone all'aria aperta nelle montagne».

La corsa a costruire nuove centrali a carbone sta rallentando. Un trend iniziato nel 2001, quando è svanito il progetto di costruire più di 150 nuove centrali elettriche a carbone negli Usa. «L'opposizione dei cittadini, l'aumento dei costi e una maggiore responsabilizzazione hanno cancellato 149 di queste centrali a carbone proposte - sottolinea il rapporto - Dall' ottobre 2008, negli Stati Uniti non è iniziata la costruzione di un solo nuovo impianto a carbone negli Stati Uniti, e l'Energy Information Agency non ha attualmente nuovi progetti e nessuna nuova centrale a carbone sarà costruita fino al 2011 senza incentivi significativi».

Le preoccupazioni dell'opinione pubblica per la salute e il futuro dell'economia statunitense che le centrali a carbone sta portando un numero senza precedenti di utility Usa a chiudere gli impianti più sporchi ed obsoleti. Le 500 centrali a carbone esistenti negli Usa sono responsabili della maggior parte dell'inquinamento atmosferico, che rende pericolosa l'aria in molte aree urbane, e che contribuisce anche alla morte 24.000 americani ogni anno.

Oltre alla chiusura record di impianti per 12.000 MW di centrali elettriche a carbone, sono annunciate altre chiusure in Oregon, Arizona, Utah e Colorado, il che comporterà il ritiro di quasi il 10% dell'intera parco delle centrali a carbone nel West Usa.

La maggior parte delle centrali a carbone Usa sono state costruite prima del 1980, e in molti casi mancano moderni controlli dell'inquinamento e gli ambientalisti chiedono norme più severe.

«Il movimento di base continua a crescere e quest'anno abbiamo raggiunto il punto di non ritorno, costringendo l'industria del carbone, non solo a restare sul loro territorio, ma a cedere alle fonti energetiche più pulite - dice Verena Owen, leader dei volontari di "Beyond carbon" - L'uscita dal carbone obsoleto e sporco ha creato un enorme varco in cui è saltata l'energia pulita e sostenibile. Diversi progetti su larga scala di 'energia pulita sono stati annunciati quest'anno, creando nuovi posti di lavoro necessari e rafforzando l'economia».

Una "febbre" che ha contagiato anche le università: più di 50 campus si stanno organizzando per utilizzare energia pulita ed andare oltre il carbone. Proprio quest'anno le università di North Carolina, Illinois, Western Kentucky, Cornell e Louisville hanno assunto impegni carbon-free.

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Il gioco delle relazioni

Qualcuno parla di noi: IlCambiamento

E nel medesimo sito abbiamo trovato una interessante lettura che vi proponiamo: "Città di Transizione, intessere una rete è il punto di partenza"

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23 dicembre 2010

Ruggeri esce, Molina entra, il carbone resta

Da TrcGiornale.it apprendiamo che 
"Giuseppe Molina è il nuovo direttore della centrale di Torre Nord. Quarantadue anni, piemontese, laureato in ingegneria elettrotecnica al Politecnico di Torino, Molina ha ricoperto all'interno di Enel vari incarichi con crescente responsabilità. Prima di assumere la direzione della centrale di Civitavecchia ha ricoperto il medesimo ruolo presso quella di Fusina (Venezia). Molina subentra all'ingegner Ivano Ruggeri, chiamato a dirigere la centrale di Porto Tolle."

Congratulazioni e saluti a modo nostro:

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22 dicembre 2010

L'allarme arsenico resta, nonostante le deroghe alla legge.

"Arsenico nell'acqua, arriva un commissario governativo da bigNotizie

CIVITAVECCHIA - Sarà un commissario straordinario che verrà nominato dal Governo a dirimere la intricata questione relativa ai nuovi limiti dell'arsenico nell'acqua imposti dalla Comunità europea, che ha fissato il valore massimo in 10 microgrammi per litro.

Il Consiglio dei Ministri ha infatti dichiarato lo stato di emergenza su sollecitazione della presidente della Regione Lazio, Renata Polverini per 20 Comuni della Regione. E tra questi anche se la lista ufficiale non è stata ancora pubblicata, ci sarebbe per il momento anche anche Civitavecchia.
Civitavecchia pur avendo infatti concentrazioni massime che non superano in alcune zone (quelle servite dal Medio Tirreno) i 12/13 microgrammi per litro(quindi valori molto vicini alla soglia imposta dalla Ue) paga lo scotto da far parte di una Regione che chiese una deroga fino a 50 microgrammi per far fronte ed esigenze come quelle del viterbese dove l'acqua registra alte percentuali di arsenico. Deroga che è stata respinta dall'Unione europea.

Ora il neo Commissario straordinario dovrà mettere in campo azioni immediate per la salvaguardia della salute pubblica. Prima di tutto si dovrà agire sulla dearsenificazione, realizzando condutture che misceleranno acque nei limiti della normativa europea con l'acqua non a norma, in modo da abbassare la presenza media in microgrammi dell'arsenico nei limiti consentiti dall'Europa.

"In città non è però il caso di allarmarsi – ribadisce Franco Grassi del consorzio Medio Tirreno – abbiamo infatti chiesto alla Regione di scorporare Civitavecchia dall'elenco, viste le basse concentrazioni di arsenico presenti in città. In ogni modo stiamo già mettendo in atto tutte le procedure per abbattere i valori (da tempo si sta studiando un sistema per la miscelazione delle acque del Medio Tirreno prevenienti dalla Tuscia con quelle dell'Acea e del Nuovo Mignone) e daremo comunque informazioni appena di saprà qualcosa di certo a livello regionale per i provvedimenti di prendere".
Si parla comunque della possibilità, in attesa che i parametri scendano alla soglia di 10 microgrammi per litro, di vietare l'acqua per usi alimentari a donne incinte e bimbi sotto i tre anni di età.

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21 dicembre 2010

I sonetti di Giancarlo Peris. "Solo noi"

Nel teatrino della politica civitavecchiese, da sempre in larga parte subalterna agli interessi di enel, abbiamo visto in scena ripetuti spettacolini a base di dichiarazioni depistanti sulla spinosa questione della riconversione a carbone di TVN. Obiettivo: confondere e indebolire la popolazione, unita e mobilitata nella contrarietà, mediante una disinformazione mirata.
"Solo noi" è il dodicesimo sonetto in dialetto del prof. Giancarlo Peris che pubblichiamo sulle nostre pagine. Per i precedenti clicca qui.

Solo noi 21 ottobre 2001

Ha detto er Viceré, Don Craparotta,
Che la centrale elettrica a carbone,
Si nu la vo’ ‘sto popolo cojone,
In antra zona mejo la dirotta.


Indove dice che ‘n ce sarà lotta
Perché nissuno perde un’occasione
Che ‘n se presenterà er prossimo eone
A chi pe’ pranzo e cena se l’allotta.


Ma è tutto un blef perché adè tanto indegna
Que’la proposta lì pe’ la centrale
In cui er sindaco nostro se rispecchia,


Che pronto pe’ obbedi’ a que’la consegna,
In giro pe’ lo spazio siderale,
Ce sta solo er comune a Citavecchia.

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Dagli USA norme antinquinamento più severe per le centrali a carbone

Da QualEnergia.it
"La stangata dell'Epa al carbone statunitense

Un duro colpo per il carbone mentre le rinnovabili tirano un sospiro di sollievo: dagli Usa arrivano buone notizie per il clima. Al Senato è infatti passata la legge che proroga per un anno alcuni incentivi vitali per le energie rinnovabili, intanto dall'EPA (Environmental Protection Agency), l'Agenzia per la protezione dell'ambiente americana, sono in arrivo nuove regole che minacciano di far chiudere un bel po' di centrali a carbone: a rischio impianti per un totale di 50-70 GW. Una frenata brusca per questa fonte che fornisce circa metà della produzione elettrica statunitense e che ha un peso enorme in termini di emissioni e inquinamento

A colpire le centrali non sarà tanto la possibilità - contestata politicamente e dal destino non ancora certo - che l'EPA regolamenti le emissioni di anidride carbonica, cosa che impedirebbe di costruire centrali senza cattura della CO2, bensì altre norme già sul piatto dell'Agenzia. Regole che porranno standard più severi per inquinanti diffusi dalla combustione del carbone come mercurio, diossido di zolfo e altre sostanze tossiche. Norme che inoltre potranno obbligare a trattare con più rigore lo smaltimento delle ceneri del carbone, normeranno l'uso dell'acqua negli impianti e potrebbero anche imporre l'adozione di torri di raffreddamento per proteggere gli ecosistemi dalle temperature delle acque scaricate dalle centrali (su Grist.org un esaustivo dossier sulla questione).

Novità che spaventano alquanto l'industria del carbone: sono già diversi i report che quantificano l'impatto delle nuove regole. Per uno studio di FBR Capital Markets, ripreso da Reuter, a seconda del prezzo del gas naturale (sostituto ideale del carbone), entro il 2015 potrebbero essere fermate centrali per 30-70 GW di potenza. Secondo un'altra società di consulenza, Brattle Group, le nuove regole comporterebbero per l'industria investimenti fino a 180 miliardi di dollari e farebbero fermare impianti a carbone per 50 GW. Se poi passasse anche l'obbligo di dotarsi di torri di raffreddamento questo comporterebbe uno stop per altri 11-12 GW di impianti e altri 30-50 miliardi di investimenti. A chiudere poi non sarebbero solo le centrali piccole o “in età pensionabile”: un terzo di quelle che si fermeranno, secondo le previsioni, avranno meno di 40 anni e saranno di taglia superiore ai 500 MW.

Al 2020 le regole dell'EPA potrebbero nel complesso far calare del 15% la domanda di carbone (sostituita in parte da un aumento del 10% di quella di gas naturale) e comporterebbero una riduzione di emissioni di CO2 pari a 150 milioni di tonnellate (Mt). Un taglio abbastanza sostanzioso: pari ad un terzo delle emissioni del nostro paese (456,4 Mt circa al 2007) e consistente anche se rapportato alle emissioni totali degli Usa (5.838 Mt circa al 2007). E a ringraziare non sarà solo il clima: il tributo che gli Usa pagano attualmente al carbone è alto anche in quanto a danni sanitari. Un recente studio di Clean Air Task Force (qui in pdf) stima che l'inquinamento atmosferico delle centrali a carbone nel 2010 farà morire prematuramente circa 13mila statunitensi e causerà un danno di 100 miliardi di dollari.

Insomma, dall'Agenzia per la protezione ambientale – e non dagli eletti – arriva uno dei colpi più duri alle emissioni di CO2 e all'inquinamento negli Stati Uniti. Intanto, come anticipavamo, il Senato, ha votato una legge che, se non particolarmente coraggiosa, consente almeno al mondo dell'energia pulita statunitense di stare tranquillo per un altro anno. Con un provvedimento approvato nei giorni scorsi infatti sono stati prorogati una serie di incentivi fondamentali per le rinnovabili statunitensi. In particolare continuerà il "Section 1603 Treasury cash grant", introdotto con il pacchetto stimolo del 2009, che sostituisce con un finanziamento "cash" quello che prima era uno sgravio fiscale del 30% sulla costruzione di impianti a rinnovabili: una misura che ha avuto un ruolo fondamentale nel difendere il settore dalla stretta creditizia.

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Alfano forza la strada verso la riconversione di Porto Tolle

La giustizia si può sospendere davanti agli interessi forti.

Fonte: ANSA "Porto Tolle: Alfano, azione disciplinare per Procura Rovigo. ROVIGO, 19 DIC - Il Guardasigilli Angelino Alfano ha deciso di esercitare l'azione disciplinare verso il Procuratore di Rovigo, Dario Curtarello, e la pm Manuela Fasolato, in relazione all'inchiesta sul progetto di riconversione a carbone della centrale Enel di Porto Tolle. Nel gennaio 2010 il guardasigilli aveva inviato gli ispettori negli uffici giudiziari polesani. L'azione del ministro sarebbe motivata dalle ''interferenze'' che i magistrati avrebbero esercitato sugli organi amministrativi - ministero e commisione Via - che dovevano decidere sulla riconversione."
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Aggiornamento: della vicenda si occupa anche il FattoQuotidiano:

"Manuela Fasolato da tempo si occupa della centrale Enel di Porto Tolle. Ma Luciano Violante, che presiede una associazione fondata dalla stessa Enel non gradisce. E ora il ministro chiede sanzioni.
Nel gennaio di quest'anno il deputato del Pd si lamenta: "Il ministro della Giustizia dovrebbe fare delle ispezioni, e capire se un'autorità giudiziaria può compiere un atto di questo genere". Detto fatto, nel giro di due settimane, Alfano manda gli ispettori, capitanati da Arcibaldo Miller, il cui nome finirà poi nelle carte delle inchieste sulla P3, a controllare l'attività di Manuela Fasolato. Il magistrato da anni indaga sulla centrale Enel costruita sul delta del Po, oggi in attesa di essere riconvertita da olio combustibile a carbone. Studia le correlazioni tra le emissioni in atmosfera e le malattie degli abitanti della zona. Porta in tribunale i vertici della società. Ma per il ministero non dovrebbe lavorare, visto che gode dell'"esonero totale" dall'attività giudiziaria "in quanto componente della commissione esaminatrice nell'ambito del concorso per 350 posti da uditore giudiziario". E ora Alfano chiede alla procura generale presso la Cassazione di indagare su di lei

Qui l'articolo completo: "La pm lavora troppo, Alfano la punisce"
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Dell'interesse speciale che Violante ha per la riconversione a carbone avevamo già scritto:La Procura di Rovigo indaga sulla riconversione a carbone della centrale di Porto Tolle? Violante cerca di bloccare tutto

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"Dallo zolfo al carbone" vince il Mediterraneo Film Festival

Da Siciliainformazioni
"Con la vittoria del film documentario "Dallo zolfo al carbone" del regista siciliano Luca Vullo, è calato il sipario sulla V edizione del Mediterraneo Film Festival, la rassegna cinematografica dedicata ai temi del lavoro e della migrazione andata in scena dal 15 al 19 dicembre a Carbonia, la città che ieri ha celebrato il 72° anniversario della sua fondazione. Il trentunenne regista di Caltanissetta, che ha incentrato la propria opera sul fenomeno migratorio di migliaia di giovani siciliani diretti alle miniere di carbone del Belgio, ha ricevuto il premio (una scultura e un assegno da duemila euro) dalle mani del sindaco di Carbonia, Maria Marongiu. Il secondo posto è andato a "Il sangue verde" di Andrea Segre, che racconta la rivolta dei braccianti di colore a Rosarno, in Calabria, nel gennaio 2010. Menzioni speciali a "Cargo" di Vincenzo Mineo, storia di solitudini dei marinai imbarcati su un mercantile, e a "La svolta. Donne contro l'Ilva" di Valentina D'Amico, che descrive la battaglia di sei donne di Taranto per difendere la dignità di chi lavora nella più grande acciaieria d'Europa. La giuria dei ragazzi, invece, quaranta studenti in rappresentanza di alcuni istituti superiori di Carbonia, ha assegnato il primo premio al regista Pippo Mezzapesa di Bitonto (Bari) che con il documentario "Pinuccio Lovero - Sogno di una morte di mezza estate" racconta la storia di Pinuccio che sogna da sempre di fare il becchino e, una volta assunto, aspetta il suo primo funerale che non arriva.

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Sulle nuove centrali a carbone italiane

Da reteclima.it
Gli ultimi due progetti italiani di impianti a carbone si stanno per realizzare in Calabria: una nuova centrale a Saline Joniche (RC) a cui si aggiunge la riconversione a carbone dei gruppi a olio combustibile della centrale Enel di Rossano Calabro

Si tratta di due operazioni che comporteranno emissioni aggiuntive rispettivamente per 7,5 e 6,7 milioni di tonnellate di CO2 all'anno e che stanno incontrando forti resistenze sui territori dove andranno ad essere realizzate.

Ma a fianco di questo due esempi ci sono anche altri progetti italiani nel carbone: Civitavecchia (con riconversione ormai terminata, ed ora già attiva), Porto Tolle (sul delta del Po, in fase progettuale), Vado Ligure (SV), Fiume Santo di Sardegna (con iter autorizzativo da parte del Ministro dello Sviluppo Economico già terminato).

Secondo il report di Greenpeace sui grandi inquinatori recentemente diffuso, se alla centrale di Civitavecchia -riconvertita ed ora attiva- si affiancassero tutti questi nuovi gruppi o centrali proposti le emissioni di CO2 degli impianti a carbone raddoppierebbero in pochi anni passando dagli attuali 35,9 milioni di tonnellate a 74,8: un contributo di 38,9 MtCO2 che renderebbe impossibile il raggiungimento degli obiettivi nazionali al 2020.

Dal dossier di Greenpeace: "In Italia sono attive 12 centrali a carbone che nel 2009, a fronte di una produzione di solo il 13% di elettricità, hanno emesso addirittura il 30% dell’anidride carbonica prodotta complessivamente dal settore termoelettrico, con circa 36 milioni di tonnellate (Mt) di CO2 sul totale di circa 122" (quasi il 30%).

Secondo il report, tra tutte le attività coinvolte nel mercato europeo delle emissioni (EU-ETS) le centrali a carbone sono state le uniche ad emettere di più rispetto ai permessi gratuiti assegnati: mentre industria e settore termoelettrico nel complesso hanno visto ridurre significativamente le emissioni dal 2008 al 2009 e sono riusciti a rispettare gli obblighi di riduzione previsti dalla direttiva europea per il 2009 con ampi margini (rispettivamente 23 Mt e 3,5 Mt), gli impianti a carbone italiani hanno sforato di 3,6 milioni di tonnellate di CO2.

Il dossier di Greenpeace mostra come, oltre ad aggravare il problema emissioni, il carbone non serva all’Italia per risolvere i suoi problemi energetici ed anzi: "Peggiorerà la dipendenza energetica del nostro Paese dall’estero, visto che già oggi importiamo più del 99% del carbone utilizzato; non abbasserà la bolletta energetica del Paese, visto che dei potenziali risparmi nell’acquisto del combustibile beneficeranno soprattutto i bilanci delle aziende energetiche e faticheranno ad arrivare nelle bollette degli italiani; peserà alla fine sulle casse dello Stato visto che ci condannerà a pagare le multe di Kyoto e del 20-20-20.

Greenpeace constata come il carbone sia un combustibile a basso prezzo solo perché, oltre non vedere incluse nel prezzo esternalità negative come i danni ambientali e sanitari, è drogato dai sussidi statali: la Commissione europea ha stimato in circa 3 miliardi di euro all’anno i sussidi pubblici che hanno sostenuto la filiera europea del carbone tra il 2007 e il 2009 (2 dei quali in Germania).

A causa dei consumi sempre più importanti da parte dei paesi con economie emergenti, a partire da Cina e India, infine le riserve di carbone stanno diminuendo con tassi davvero inaspettati.

Per lo studio di Greenpeace: "Secondo le stime di Bp se 10 anni fa la disponibilità residua di carbone rapportata ai tassi di utilizzo era valutata in 240 anni, le ultime cifre aggiornate al 2010 sono scese addirittura a 119 anni. Continuando di questo passo tra 10 anni le riserve residue di carbone diventerebbero equivalenti a quelle di petrolio e gas, esauribili in 50-60 anni".

Si deve cambiare strada, per virtù o per necessità.

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18 dicembre 2010

Saluto a Luigi Daga

Da UnoNotizie parole di commiato a Luigi Daga, uno di noi.

"Sapevamo che da tempo era gravemente malato, ma noi tutti speravamo che alla fine la sua forza di volontà e il suo carattere avrebbero vinto anche questa improba battaglia.
Invece purtroppo non è stato così. Stavolta il buon Luigi, dopo aver lungamente combattuto come suo solito, non ce l'ha fatta.

Ieri un male terribile e spietato si è portato via Luigi Daga, da sempre attivo in politica sia alla Regione Lazio, che in Provincia di Viterbo, soprattutto nella sua amata Tarquinia. Le sue battaglie contro mafia e politicanti, le sue battaglie sociali e politiche resteranno per sempre memorabili e indelebili nei ricordi di tutti noi.

Luigi Daga era stato tra i membri più illustri del Comitato No Coke Alto Lazio e del Comitato Cittadini Liberi di Tarquinia con i quali condivideva tante meritevoli iniziative in favore della salute e della legalità nella Maremma Etrusca, in particolare a Tarquinia e nella vicina Civitavecchia, dove si era fatto anche qualche nemico, soprattutto tra sindaci e sponsor politici che lui aveva ben smascherato..."

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Soldi sporchi per un greewashing dannoso: i petrolieri per le CCS

Da costituenteecologista

"La vittoria dei petrolieri: soldi per la cattura della CO2

A Cancun è passata inosservata la decisione di ammettere la Ccs tra i meccanismi finanziabili dai crediti di Kyoto. L’hanno voluta Sauditi e petrolieri anche per riciclare i pozzi.

Ventisei, tanti sono gli atti decisi nel negoziato di Cancún. Uno di questi è passato quasi inosservato, forse per gli oscuri bizantinismi della formula. Per la prima volta i Ccs sono stati inclusi nei Cdm. Dietro queste sigle si nasconde una delle vittorie del settore petrolifero al Cop16 e l’affermazione di una tecnologia fortemente controversa: quella della cattura e stoccaggio della Co2, responsabile dell’effetto serra. Ma andiamo per ordine. I Cdm, Clean Development Mechanism, sono un meccanismo finanziario per i paesi in via di sviluppo costituito a Kyoto, secondo il quale progetti che tagliano le emissioni ricevono crediti che possono essere venduti sui mercati finanziari.

I Ccs invece sono dei macchinari complicati di “Cattura e stoccaggio” della Co2 emessa durante combustione di energia fossile per produrre energia o da processi industriali, in particolare la produzione del cemento. La Co2 “sequestrata” è stoccata in depositi sotterranei per diminuire l’impatto delle centrali superinquinati. Nonostante ad alcuni i Ccs sembrino la bacchetta magica per ridurre le emissioni, a oggi questa tecnologia non era mai stata inserita nella lista delle tipologie da premiare. Perché? Troppi dubbi sull’efficacia dello stoccaggio della Co2, sia tecnici che economici. Secondo i critici, i Ccs sono una strategia per il settore dei combustibili fossili per continuare a inquinare senza sanzioni economiche e rallentare il settore delle rinnovabili.

«Le tecnologie Ccs sono economicamente costose», spiega Vincenzo Ferrara dell’Enea «riducono l’efficienza energetica degli impianti a cui vengono applicate e pongono dei problemi di rischio ambientale». A Cancún chi ha premuto per la cattura e lo stoccaggio del carbone è stata soprattutto l’Arabia Saudita, in cambio del suo assenso sulla tutela delle foreste. Da anni i sauditi investono nel settore per compensare le emissioni legate al settore estrattivo. Ora i Cdm, se confermati al prossimo negoziato, potrebbero sbloccare investimenti multimiliardari. L’accordo interessa soprattutto Masdar, la compagnia energetica di Abu Dhabi, uno dei grandi player nella cattura e stoccaggio del carbone. Ma i sauditi non sono i soli. Secondo il ministro dell’ambiente americano Steven Chu: «entro il 2019 i Ccs devono essere in grado di ridurre le emissioni delle centrali a carbone, responsabili del 40% della produzione totale di Co2».

Per l’Agenzia Internazionale dell’energia il mondo si deve dotare di almeno 100 impianti Ccs entro il 2020. E in Europa la tecnologia è stata introdotta nel pacchetto “Clima e energia”. Per capire gli interessi dell’industria petrolifera nel settore bisogna guardare ai 440 pozzi in fase terminale nel Mare del Nord. Per le compagnie petrolifere questi pozzi potrebbero essere riconverti in 440 depositi di stoccaggio della Co2 in forma liquida. Ci guadagnerebbero sull’affitto dei pozzi e sui certificati di non emissione per lo stoccaggio, mentre la gestione finale dei depositi di Co2 graverà sullo Stato. «Da questo punto di vista è evidente come mai che i più grandi supporter dei Ccs siano Bp, Shell e Total», sostiene Fabriano Fabbri, ex segretario tecnico del Ministero dell’ambiente.

Una ricerca della Duke University ha mostrato chiaramente che lo stoccaggio della Co2 può contaminare le falde sotterranee. «Il problema è che se questo modo di fare dilaga - continua Ferrara - gli affari aumentano, i problemi del clima non si risolvono, lo sviluppo economico decarbonizzato non partirà mai e, infine, ci ritroveremo con nuovi problemi ambientali associati allo smaltimento dell’anidride carbonica».

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16 dicembre 2010

Intervallo: cielo invernale su Civitavecchia

Mattina di giovedì 16/12/2010. Se siete almeno trentenni potete immaginarvela con l'arpa solista dell'"intervallo" RAI.

Grazie a un libero cittadino che ha condiviso.

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Minatori-schiavi

"Cina: operai o schiavi?" E' anche grazie alle inumane condizioni di lavoro dei minatori del carbone in molti paesi del mondo, che il prezzo dell'estrazione resta basso. Articolo da panorama.it

"Non è una novità leggere che la Repubblica popolare viene accusata di aver sfruttato oltre ogni limite migliaia di lavoratori che pur di offrire alle loro famiglie un futuro migliore accettano di subire qualsiasi tipo di prevaricazione. E’ già stato scritto molte volte che in alcune fabbriche gli operai migranti vivono in condizioni talmente disagiate da indurre i lavoratori caratterialmente più deboli a tentare il suicidio pur di cambiare vita, come è successo da Foxconn e in chissà quante altre aziende senza che i media lo abbiano saputo.

Oggi gli operai cinesi hanno imparato a scioperare, e alcuni, protestando, sono persino riusciti a strappare un salario accettabile e condizioni di lavoro più umane. Un miglioramento che, invece, chi lavora per i cinesi all’estero fa più fatica a ottenere. Lo dimostra il caso dello Zambia, dove gli imprenditori orientali continuano a sfruttare i ricavi delle miniere di carbone senza interessarsi delle condizioni in cui vivono e lavorono gli operai-schiavi da loro assoldati.

Orari massacranti, salari da fame (un centinaio di dollari al mese, circa). Niente mascherine o calzature adeguate. Solo quando alcuni imprenditori hanno risposto alle proteste dei minatori con colpi di pistola il governo ha deciso di intervenire. E’ stato negoziato un nuovo contratto che tra stipendio e benefit per i trasporti impone come minimo salariale poco meno di 150 dollari. E i due boss cinesi verranno processati a gennaio per tentato omicidio. Purtroppo, però, il governo non può fare di più: solo nel 2009, la Cina ha investito più di quattrocento milioni di dollari nelle miniere dello Zambia, e Lusaka non può permettersi di giocarsi l’amicizia di Pechino.

Quello che devono invece sperare i lavoratori e che continue proteste contro gli imprenditori cinesi possano spingere questi ultimi ad offrire fin dall’inizio condizioni di impiego più umane, senza aspettare la condanna della comunità internazionale per introdurre qualche forma di miglioramento. Una speranza, questa, in cui può essere più facile credere in giorni in cui la Cina si mobilita contro la Jiaersi Green Construction Material, nello Xinjiang, azienda accusata di aver acquistato da un’organizzazione umanitaria undici disabili mentali per poi farli lavorare come schiavi, gratis. Finalmente, la polizia ha promesso che il caso non verrà chiuso fino a quando non sarà fatta giustizia.

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13 dicembre 2010

"Tutto quadra" (purtroppo per noi)

L'analisi di Antonio Manunta

L'area coinvolta (litorale nord di Civitavecchia)

"E' impossibile non trarre le conclusioni che l'ostinazione del sindaco Moscherini a poter disporre delle zone alle spalle delle centrali elettriche e del porto, conduca oltre alla realizzazione del megaprogetto anche all'inceneritore presso la centrale Enel ed esattamente dove gli accordi prevedevano la piantumazione del bosco Enel di 40 ettari. E' la zona perfetta per la risoluzione ottimale dell'enorme problema dei rifiuti romani che essendo scarsamente differenziati sono della peggior specie sia per il presente conferimento in qualsiasi discarica che, ed è il nostro caso, per l'incenerimento. Ciò che rende più credibile ed attuabile questa soluzione è il passaggio della linea ferroviaria tirrenica esattamente lì, a ridosso delle grandi cupole deposito del carbone e al fianco dei bruciatori della centrale elettrica, con trasporto in carri ferroviari opportunamente predisposti da un punto di raccolta a Roma e convergenti con derivazioni ferroviarie e banchine in quell'enorme spazio dentro la centrale. Qualche malizioso potrebbe anche pensare che l'allarme su una megadiscarica nelle vicinanze del deposito NBCC di Santa Lucia sia un diversivo ad arte, per la sommatoria di problema trasporto, preparazione, gestione sito, impatto generale, ecc. a renderlo complicatissimo. Roma e Lazio conferiscono in discarica quasi 3 milioni di tonnellate annue, una quantità enorme di rifiuti contenenti tutta la materia fisica e chimica immaginabile, che tale rimane nonostante ripetuti proclami di aumento della differenziazione. Il trasporto è un pari problema per il numero e la circolazione di migliaia di camion sulle strade regionali e quindi il ragionamento ci porta dritti dritti e comodamente in treno, in bocca alla centrale Enel o meglio nelle caldaie dei bruciatori. Per Enel rappresenta combustibile, per Roma risparmio economico e per Civitavecchia introiti da servitù, con tutti gli attori soddisfatti ad esclusione di chi subirà il pesantissimo fattore ambientale dell'incenerimento massiccio dei rifiuti che si aggiunge a tutti gli altri inquinanti di terra, mare ed aria di cui Civitavecchia soffre. L' agire e il progettare per macrosistemi di Moscherini, con la sua convinzione che il resto si assesti da solo, a cascata, senza badare a chi e come si gestiscono i servizi aumenta questa convinzione. Egli probabilmente pensa che aumentando le entrate e i "fatturati" dell' "azienda Comune", comunque ed in qualsiasi modo avvengano, anziché ricercare un equilibrio gestionale, i problemi si auto-risolvono. La storia e l'analisi di città simili alla nostra dicono che problemi e disservizi aumentato in numero e in percentuale, e viene da chiedersi se tutte quelle persone che circondano Moscherini, quelle che lo approvano, lo adulano, lo sostengono, lo subiscono e che contrariamente a lui hanno intelligenze più terrene, con radici ed affetti in questo territorio, si fanno domande e riflettono su queste questioni.

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Allumiere, comincia la racconta porta-a-porta

Da BigNotizie.it

"Nel comune di Allumiere è partita la raccolta differenziata porta a porta. Per un uso più intelligente delle risorse a disposizione, il sindaco Augusto Battilocchio ed il suo team – assessore Enrica Artebani in primis - hanno pensato al recupero dei materiali di riciclo.

In realtà da tempo l'amministrazione collinare ha intrapreso la strada (non sempre facile) della differenziata, ottenendo anche dei premi come uno dei comuni più ricicloni del Lazio. Da oggi però il primo cittadino ha coinvolto la cittadinanza in un ulteriore passo avanti, proponendo la raccolta domiciliare.

"Impiegata in molte città sia di Italia che di Europa – ha spiegato Battilocchio, d'accordo con la Artebani – la raccolta domiciliare ha il grande vantaggio di una maggiore comodità per tutti i cittadini. Rispetto a prima, i contenitori personali sostituiranno i cassonetti stradali, mentre i bidoni per le vie saranno destinati all'uso dei soli esercizi commerciali. Con la differenziata ogni rifiuto segue strade diverse, attraverso le quali viene trasformato di nuovo in qualche oggetto e risorsa utile. Ogni materiale riciclabile dovrà essere messo nell'apposito contenitore, mentre ciò che non è riciclabile verrà smaltito con particolari procedure, in modo da provocare il minor danno possibile all'ambiente".

Per rendere più facile la nuova raccolta, è stato fornito ai cittadini un utile elenco di tutti i materiali dalla A alla Z divisi in categorie (alimentari, organici, vetro, abiti, plastica, carta e non riciclabili) ed è in funzione presso la sede locale dell'Avis un punto informativo aperto dal lunedì al venerdì mattina. Per ulteriori informazioni è possibile anche rivolgersi presso l'Ufficio Tecnico del Comune, dal lunedì al sabato dalle 11 alle 13.

I rifiuti ingombranti e particolari potranno essere smaltiti presso l'isola ecologica della Cavaccia.

Tutti i cittadini dovranno rispettare le ordinanze relative al servizio, in particolare quello delle utenze domiciliari. A tutti i trasgressori verranno applicate pene pecuniarie secondo i termini di legge.

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Pendolarismo da Terzo Mondo

Da centumcellae.it la testimonianza di un libero cittadino

"Osservare con costanza la vita dei pendolari che ogni mattina partono da Civitavecchia alla volta di Roma è assai interessante perché, per quanto microscopica e temporanea, questa condizione è rivelatrice di una realtà sociale più vasta.
Innanzitutto è necessario chiarire chi sono i pendolari da un punto di vista economico. E’ presto detto. In genere appartengono a categorie di lavoratori dipendenti a reddito medio-basso, siano essi operai salariati, piccola borghesia impiegatizia, addetti ai servizi con scarsa qualifica. C’è poi chi il reddito deve ancora procacciarselo come nel caso degli studenti.
Stabilito che noi pendolari apparteniamo principalmente a fasce sociali che vivono di salari e stipendi modesti, o poco più, notiamo che proprio per questo motivo ci troviamo per tutta la durata del viaggio immersi in un universo saturo di costrizioni. Vediamole.
1) Si viaggia con persone che non si scelgono. In altre parole, per quanto provvisoria, la compagnia è obbligata. Da qui l’affannosa preoccupazione di reperire posti per amici e colleghi di lavoro (simpatici).
2) L’ora e un quarto (salvo ritardi) di viaggio da Civitavecchia a Termini è trascorsa in spazi ristretti, promiscui, dove la pulizia lascia molto, molto a desiderare e il contatto fisico diventa spesso inevitabile favorito per di più dall’effetto sardina provocato dal sovraffollamento.
3) Non è possibile alcuna intimità. E se questa viene comunque manifestata (ad esempio, dormire) si è sottoposti all’attenzione esterna. Consapevolezza che, per restare al precedente esempio, ti fa dormire con un occhio solo per paura di furti, molestie ecc. In breve: il pendolare è sempre in allarme.
4) In piedi o seduti si è costretti in posizioni del corpo e posture obbligate. Dato il sovraffollamento e gli spazi angusti non è possibile muoversi a piacimento. E se si osa farlo si è sottoposti alla censura dei colleghi pendolari.
5) Qualsiasi conversazione faccia a faccia o telefonica è ascoltata da estranei (per la gioia del sociologo che così raccoglie abbondanti informazioni senza l’onere di intervistare qualcuno). Alla stessa visibilità pubblica sono sottoposti comportamenti espressivi quali ridere, scherzare, scambiare tenerezze con il proprio partner ecc.
6) Anonime voci emesse da altoparlanti lanciano periodicamente avvisi (essere in possesso del biglietto ecc.), ricordano i divieti e intimano punizioni (la multa, per esempio).
7) Infine, il pendolare è sottoposto a un regime di sorveglianza costante e ad eventuali sanzioni pubbliche da parte di personale in divisa.
L’insieme di questi fattori ci offre una realtà sociale assai ben definita. A cosa somiglia? A un carcere. Ancora più precisamente somiglia alla vita in cella. Sembra proprio che la prigione costituisca il modello a cui si sono ispirati coloro che hanno pensato e realizzato gli interni dei vagoni per pendolari. Ma si potrebbe obiettare che in fondo anche prendere il treno una volta l’anno per andare in vacanza significa trovarsi in compagnia di sconosciuti, all’interno di spazi ristretti, sovraffollati ecc. Vero. Però il turista baratta la rinuncia al proprio privato in cambio di un’aspettativa piacevole e per poche volte all’anno.
Il pendolare invece risponde a un obbligo tutti i giorni, spesso per decenni o per tutta la vita. Ne consegue che il significato della sua condizione e il senso del suo vissuto sono imparagonabili rispetto a quelli di altri viaggiatori che sono tali per scelta. Ed sono imparagonabili anche con viaggiatori che, saltuariamente, si trovano in situazioni simili.
Al di là di questa disputa ciò che unifica forse ogni viaggiatore che utilizza il treno è che si potrebbero realizzare vagoni molto più comodi e inventare soluzioni per rendere gli interni a misura d’uomo. Manca la tecnologia?
Nient’affatto. Siamo asfissiati dalla tecnologia. Manca la volontà politica. In breve: si potrebbe tranquillamente realizzare una modalità di viaggio di gran lunga qualitativamente migliore dell’attuale.
Perché il pendolare si trova invece a vivere quotidianamente un’odissea fatta di
bagni inagibili, sedili sporchi, sovraffollamento, climatizzatori che non funzionano, vagoni maleodoranti, ritardi e lunghi tempi di percorrenza?
Semplice: non appartiene a fasce sociali vincenti. Quelle che in Italia non pagano le tasse e non vanno in prigione e che comunque quando viaggiano in treno si trovano in situazioni molto più confortevoli e non in carri bestiame.
Eppoi raramente, se non mai, la media e alta borghesia utilizzano il mezzo pubblico per spostarsi. Questo è destinato al popolo. E farlo viaggiare in condizioni punitive è una tecnica di controllo sociale. Ci si stanca di più, si diventa maggiormente egoisti, non si ha tempo da dedicare al prossimo e non ci si vede inseriti in una collettività.
Infatti, nonostante da decenni la tratta Civitavecchia-Roma sia indegna di un paese civile, i pendolari non riescono a migliorare la propria condizione. Non si tratta di un problema locale, ma nazionale. I due milioni e mezzo di pendolari italiani vivono più o meno gli stessi disagi ormai da generazioni. Occorrerebbe un’altra politica per non trovarci ogni giorno a passare delle ore dentro un carcere con le ruote. Una politica che metta al primo posto l’essere umano. Una politica che non c’è. E la favoletta delle risorse scarse la vadano a raccontare a qualcun altro.


Patrizio Paolinelli"

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enel ci augura una buona serata


Civitavecchia, 12/12/2010, ore 20:20. 
Un cittadino ci regala questa veduta sulla perla (sempre più nera) del Tirreno.


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I sonetti di Giancarlo Peris: "La foresta"

A tre mesi dall'avvìo della rubrica pubblichiamo l'undicesimo sonetto del prof. G. Peris. Questo "La foresta" ci ricorda come la diatriba sugli alberi da piantare a ridosso di TVN (a parzialissima compensazione per il danno ambientale, oggi previsto da prescrizioni VIA) abbia ormai 10 anni d'età, eppure nel sito dove dovrebbe sorgere il piccolo boschetto ad oggi si trovano solo serbatoi e una discarica abusiva enel.

La foresta 19 ottobre 2001


Lavoro e Ambiente dice che er carbone
Da mette a Torre Nord, a la centrale,
E’ forse er marchingegno più geniale
Pe’ fa’ cresce salute e occupazione.


Però, p’esse sicuri de ‘st’opzione,
E fa’ contento tutto er litorale,
Dovrebbe l’Enele imbocca’ er canale
De ribassa’ più ancora l’emissione.


Poi dice che pe’ contrasta’ cor fatto
Che spandono ne l’aria l’anidride,
Bisogna mette l’arberi a filagna;


E quindi ‘na foresta c’è ner patto
Che annrà, p’esse quarcosa che un po’ incide,
Da la Calabria infino a la Romagna.

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Carbone a TorreValdaliga Nord, 2010

Dal dossier 2010 "Carbone: un ritorno al passato" di Legambiente (pp. 17-18), riportiamo il paragrafo dedicato alla centrale a carbone enel Torrevaldaliga Nord:

"Nonostante referendum, manifestazioni e iniziative di cittadini e di molte istituzioni, si è conclusa nel 2009 la trasformazione a carbone della centrale di Torrevaldaliga Nord a Civitavecchia. L’impianto, una volta entrato completamente in azione con 6.500 ore all’anno di lavoro con i suoi 1.980 MW di potenza, sarà il secondo, dopo la centrale Enel di Brindisi Sud, in Italia per emissioni di gas serra, aggravando ulteriormente la situazione già critica di uno dei più grandi poli di produzione termoelettrica d’Europa. A farne parte sono anche le due centrali di Torrevaldaliga Sud e Montalto di Castro, impianti che hanno superato nelle ultime analisi le soglie Ines (Inventario nazionale delle emissioni e loro sorgenti) per diversi inquinanti, come ossidi di zolfo, ossidi di azoto, cadmio, cromo e nichel, per 6.700 MW di potenza installata.
Tornando alla centrale a carbone, è evidente il notevole ritardo nella realizzazione delle prescrizioni individuate nel Decreto Via n. 680/2003 a tutela dei cittadini e dell’ambiente. La rete dell’Osservatorio Ambientale ha ricominciato, dopo 5 anni di silenzio, a comunicare i dati, ma rimangono sconosciuti i valori rilevati dallo Sme (il sistema di monitoraggio in continuo delle emissioni). È ferma la realizzazione dell’area boscata di circa 40 ettari, denominata “Parco dei Serbatoi” (anzi nell’area individuata la Procura della Repubblica ha avviato un inchiesta visto l’accumulo di rifiuti di cantiere);
addirittura il Comune di Civitavecchia ha chiesto di soprassedere dalla realizzazione dell’opera di mitigazione ambientale, in cambio di altri interventi. Il biomonitoraggio ambientale è datato e condotto con metodologie ormai superate. Il discutibile trapianto di posidonia oceanica, inserito tra le prescrizioni per mitigare l’impatto della “Darsena energetica grandi masse”, presenta diverse aree distrutte e la prateria in pessimo stato.
È stata appena avviata, e già si parla di modifiche alle autorizzazioni per bruciare anche Cdr, ma la centrale ha già diversi problemi con il rumore: accade che di notte rombi e sibili sveglino i cittadini, tanto che anche in questo caso la Procura ha aperto un’inchiesta dalla quale si arriva a capire che il problema sarebbe nel desolforatore.
Nel frattempo dalla relazione semestrale sulle attività della Direzione Investigativa Antimafia circa le infiltrazioni mafiose a Roma e nel Lazio, come risulta dalle anticipazioni sulla stampa romana dei giorni scorsi, emerge un quadro estremamente allarmante, anche per gli interessi «criminali per le imprese attive nei lavori della centrale di Torrevaldaliga Nord».
Intanto nell’adiacente centrale termoelettrica di Torrevaldaliga Sud sembra invece
sventata la riattivazione e conversione a carbone del quarto gruppo ora inattivo."

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12 dicembre 2010

Dossier "Carbone: ritorno al passato"

Riportiamo da DazebaoNews:

"Legambiente presenta i numeri e i motivi del ‘NO’ nel dossier ‘Carbone: ritorno al passato." (Clicca qui per scaricare il dossier)

Una centrale tutta nuova a Saline Joniche in provincia di Reggio Calabria e la riconversione della centrale di Rossano Calabro per i gruppi alimentati a olio combustibile. Sono le ultime due proposte di ‘ritorno al passato’ fondate sul carbone che l’Italia potrebbe vedere realizzate dopo la riconversione, già attuata, della centrale di Civitavecchia (Rm), il nuovo gruppo autorizzato di Fiume Santo in Sardegna e i progetti di Porto Tolle (Ro) sul delta del Po e Vado Ligure (Sv), sui quali manca solo la firma del decreto autorizzativo da parte del Ministro dello Sviluppo economico.

Ora c’è la Calabria nel mirino di chi ha scelto di puntare sulla fonte fossile più
climalterante e maggiormente in contrasto con la lotta ai cambiamenti climatici, e proprio in questa regione continua l’opposizione di Legambiente ad una scelta energetica totalmente in contrasto con gli impegni che il Paese ha preso firmando il protocollo di Kyoto e il Pacchetto energia e clima (il cosiddetto 20-20-20). Accordi vincolanti di riduzione dei consumi energetici e delle emissioni di anidride carbonica in atmosfera, che in caso di mancato rispetto, obbligheranno l’Italia al pagamento di pesanti sanzioni.
Oggi a Reggio Calabria, in una conferenza stampa che ha visto la partecipazione, tra gli altri di Massimo Scalia, docente dell’Università la Sapienza di Roma, Giuseppe Neri Assessore Ambiente Provincia Reggio Calabria, Antonio Guarna, Sindaco di Montebello Ionico- Saline, Franco Filareto, Sindaco di Rossano e i rappresentanti di CGIL, CISL e UIL e dei Comitati, Legambiente ha presentato il nuovo dossier ‘Carbone: ritorno al passato’ illustrando, dati alla mano, i motivi per cui la scelta del carbone è sbagliata.
“Le aziende energetiche – spiega il responsabile scientifico di Legambiente, Stefano Ciafani - continuano a puntare sul carbone come fonte per la produzione elettrica, grazie alla politica di sostegno da parte del Governo, incurante dei problemi legati all’uso di questo combustibile, a partire dalle rilevantissime emissioni di gas serra, tangibili negli impianti che già oggi lo usano sul territorio italiano. L’utilità del carbone – ha aggiunto Ciafani - è una pura propaganda da ‘Paese delle meraviglie’ che nulla a che fare con la realtà e con l’Italia, alle prese con i suoi problemi energetici e con i ritardi rispetto agli obblighi internazionali per combattere l’aumento dell’effetto serra”.

Come tutte le proposte fatte finora nel resto d’Italia, secondo Legambiente, anche i progetti che si vogliono attuare in Calabria, sono assolutamente dannosi visto che aumenteranno la produzione di elettricità dalla fonte fossile più dannosa per il clima, allontanandoci ulteriormente dagli obiettivi di riduzione delle nostre emissioni, senza portare rilevanti vantaggi al fabbisogno di energia. L’associazione ricorda, infatti, che nel 2009 le 12 centrali a carbone attive in Italia, a fronte di una produzione di solo il 13% di elettricità, hanno emesso il 30% dell’anidride carbonica prodotta complessivamente dal settore termoelettrico, circa 36 milioni di tonnellate (Mt) di CO2 sul totale di circa 122, risultando il settore industriale peggiore rispetto agli obblighi di riduzione previsti da Kyoto.
Anche nel 2009 il peggior impianto termoelettrico per emissioni di CO2 si conferma la centrale Enel di Brindisi Sud (13 Mt), a seguire l’impianto di Fusina (Ve) (4,3 Mt) e quello di Fiume Santo (Ss) di proprietà di E.On (4,1 Mt).
Secondo i calcoli di Legambiente se alla centrale riconvertita di Civitavecchia ormai in attività si affiancassero i nuovi gruppi o centrali proposti dalle aziende energetiche, le emissioni di CO2 degli impianti a carbone raddoppierebbero in pochi anni, passando dagli attuali 35,9 milioni di tonnellate a 74,8.

“La Calabria oggi – ha proseguito Nuccio Barillà, del direttivo nazionale di Legambiente -diventa l’avamposto di una battaglia che vede contrapposte due visioni molto diverse delle politiche energetiche e dello sviluppo per il Sud del Paese. Da un lato la valorizzazione delle risorse del territorio, l’innovazione e l’efficienza, come investimento di futuro, dall’altro un’idea sorpassata di sistema energetico che inquina, degrada ulteriormente i territori e non offre risposte efficaci alle attese delle popolazioni, neanche sotto l’aspetto occupazionale. Non si capisce infatti quali sarebbero le ricadute positive di un progetto, come quello della SEI a Saline, mentre sono evidenti e, allo stato, inevitabili le conseguenze negative delle emissioni della centrale che inquinerà l’aria e riverserà in atmosfera ben 7,5 milioni di tonnellate di CO2 all’anno”.
“E poi c’è il progetto di riconversione a carbone della centrale Enel di Rossano Calabro – ha aggiunto Franco Falcone, direttore di Legambiente Calabria - che oltre ad aver trovato, come a Saline, l’opposizione di tutti gli enti locali, ha avuto per adesso anche lo stop della Commissione VIA del Ministero dell’Ambiente. Sui progetti di Rossano e Saline grava poi, fortunatamente, la netta opposizione della Regione, che ha rinnovato il suo no alle centrali a carbone scritto nel 2005 nel Piano energetico attraverso una recentissima mozione approvata all’unanimità in Consiglio regionale”.

“Sul carbone in Italia – ha concluso Ciafani - si continua a millantare e a omettere tutti i problemi connessi al suo uso. Il Governo dica chiaramente se vuole condannare gli italiani al pagamento di pesanti sanzioni che nessuno ci condonerà. Altrimenti, replichi il modello britannico vincolando da subito l’autorizzazione di nuovi progetti a carbone all’effettiva operatività della cattura e del confinamento geologico dell’anidride carbonica”.
Per modernizzare realmente il sistema energetico del Paese, secondo Legambiente è necessario coinvolgere il settore industriale, dei trasporti e dell’edilizia, riducendo i consumi e praticando la via più sostenibile per produrre l’energia elettrica e termica: le fonti rinnovabili. La fonte fossile di transizione verso le sole rinnovabili resta il gas naturale, anche alla luce dei costi più contenuti di oggi, inaspettati fino a qualche anno fa.

I motivi di Legambiente per dire NO al carbone:
- peggiorerà la dipendenza energetica del nostro Paese dall’estero, visto che già oggi importiamo più del 99% del carbone utilizzato nelle centrali elettriche italiane;
- non abbasserà la bolletta energetica del Paese. I potenziali risparmi nell’acquisto del combustibile andranno a beneficio dei bilanci delle aziende energetiche e non arriveranno nelle bollette degli italiani;
- il suo impiego peserà sulle casse dello Stato, visto che ci farà condannare al pagamento delle multe di Kyoto e del 20-20-20.
I falsi miti sul carbone:
- a causa dei consumi sempre più importanti da parte dei paesi con economie emergenti, a partire da Cina e India, le riserve di carbone stanno diminuendo con tassi davvero inaspettati. Secondo le stime di BP se 10 anni fa la disponibilità residua di carbone rapportata ai tassi di utilizzo era valutata in 240 anni, le ultime cifre aggiornate al 2010 sono scese addirittura a 119 anni. Continuando di questo passo tra 10 anni le riserve residue di carbone diventerebbero equivalenti a quelle di petrolio e gas, esauribili in 50-60 anni;
- il basso prezzo del carbone è drogato dai sussidi statali: la Commissione europea ha stimato in circa 3 miliardi di euro all’anno, 2 dei quali solo in Germania, i sussidi pubblici che hanno sostenuto la filiera del carbone tra il 2007 e il 2009 nel vecchio continente, destinati comunque all’esaurimento prima o poi;
- anche la cattura e lo stoccaggio dell’anidride carbonica (CCS - Carbon capture and storage), è ancora una tecnologia tutta da sperimentare su grande scala e anche nella migliore delle ipotesi abbasserà pesantemente il rendimento delle centrali. La tecnologia avrebbe poi una scala industriale solo dopo il 2020.

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