No al carbone Alto Lazio

12 dicembre 2010

Dopo il "Cancun Act", tutto come prima?

Dopo il falso successo del vertice di Cancun, qualche news dal mondo sulle nuove politiche. Nell'ordine:

  • A Cancun raggiunto un accordo "di mediazione" sul clima.
  • Congresso di Cancun: la svolta della Cina? Un errore di traduzione
  • India favorevole a standard vincolanti per emissioni Co2


A Cancun raggiunto un accordo "di mediazione" sul clima. Sarà la base per la Conferenza di Durban del 2011 (Greenme)
Dopo due settimane di negoziati, dalla 16ma Conferenza ONU sul clima di Cancun che si è conclusa ieri notte (stamattina se consideriamo l'orario italiano), i 194 rappresentanti dei governi di tutto il mondo tornano a casa con la consapevolezza di aver gettato le basi per giungere ad un accordo vincolante contro i cambiamenti climatici. Le 32 pagine, composte da sette capitoli, firmate dai grandi della Terra, infatti, fissano gli obiettivi a lungo termine tra cui un fondo verde e il riconoscimento della scienza per fermare il riscaldamento a 2 gradi.

L'accordo, per niente scontato anche se non vincolante, già è stato ribattezzato dai media “pacchetto di Cancun” o "Cancun Act" e, rispetto a quello uscito dal vertice di Copenhagen dello scorso anno, ha intorno a sé un aurea di speranza in quanto rappresenta un punto di partenza concreto per gli ulteriori negoziati del prossimo anno che si svolgeranno in occasione della Conferenza di Durban in Sudafrica (Cop17).

“Dopo Copenhagen i governi sono venuti a Cancun con le ossa rotte ed esposti alla pressione pubblica per l’avvio di iniziative sui cambiamenti climatici – ha commentato Mariagrazia Midulla responsabile clima WWF Italia - Si sperava che Cancun avrebbe potuto stabilire una piattaforma per garantire dei progressi e ora i paesi stanno lasciando la conferenza con un rinnovato senso di buona volontà e obiettivi più concreti.”

Rispetto a Copenhagen, infatti, l'accordo messicano che è stato rifiutato solamente dal capo negoziatore boliviano Pablo Solon, ma approvato comunque dalla presidente Espinosa appellandosi alla clausola che “basta il consenso, non l'unanimità”, è un “pacchetto bilanciato” dove viene ribadita la necessità di far continuare il Protocollo di Kyoto anche dopo la sua scadenza naturale fissata al 2012, ma anche stabilito che i paesi aderenti dovranno impegnarsi a tagliare le loro emissioni di CO2 da un minimo del 25 ad un massimo del 40%. Inoltre nel pacchetto di decisioni è previsto anche il finanziamento a breve termine di 30 miliardi di dollari – 410 milioni messi sul tavolo dall'Italia – per i Paesi in via di sviluppo nel periodo 2010-2013 oltre che ribadito il fondo di 100 miliardi di dollari l'anno (Green climate fund) per far decollare la green economy nel mondo gestito per tre anni dalla Banca mondiale e da 40 Paesi membri (25 emergenti e 15 industrializzati).

"Questo pacchetto di decisioni contiene notevoli passi in avanti di cui abbiamo bisogno – ha commentato a caldo Wendel Trio, direttore di Greenpeace International Climate Policy - anche se non è perfetto. In particolare va apprezzato l'istituzione del fondo per il clima, i progressi in materia di trasparenza, e la conferma che i paesi sviluppati come gli Stati Uniti devono ridurre le loro emissioni".

“Pur non essendo riusciti a decidere per una seconda fase del Protocollo di Kyoto, è stato avviato un processo che consentirà di farlo l’anno prossimo a Durban. - continua Midulla - Tuttavia permangono difficoltà gravi con i paesi contrari e cioè Giappone e Russia, che ora saranno esposti a pressioni crescenti perché si uniscano alla comunità globale nel rinnovo del Protocollo di Kyoto. I paesi firmatari del Protocollo di Kyoto hanno riconosciuto in modo più fermo la necessità di ridurre le emissioni in misura compresa tra il 25 e il 40% entro il 2020 e hanno riconosciuto che i loro impegni per la riduzione delle emissioni rappresentano solo un inizio ed è necessario fare molto di più per raggiungere l’obiettivo condiviso della limitazione dell’aumento della temperatura a 2°C. Nel corso del prossimo anno dovranno tirarsi su le maniche e prepararsi a lavorare in modo duro e creativo per colmare questo divario.”

Molta parte nel trovare l'accordo è stata fatta sicuramente dalla Presidente messicana Espinoza, che è proprio il caso di dire, è riuscita a gestire e disbrogliare le questioni più “spinose”, aiutando ad avvicinare i governi. Come riporta anche il Corriere della Sera, “E’ stata Patricia Espinosa che si è andata a prendere ad uno ad uno i dissenzienti di Kyoto, a cominciare dal Giappone. E’ stata lei a convincere anche la Russia ed il Canada. Lei che si è presa le lodi, pubbliche e sperticate, di un paese affatto docile, come l’India, per bocca del suo ministro Ramesh”. “La Presidenza ha saputo creare un’atmosfera improntata all’inclusione e all’efficienza che ha aiutato in modo diretto i paesi a ritrovare fiducia nel processo UNFCCC”, commenta il WWF che rispetto alle azioni decise dal Cancun Act continua:

“I governi hanno sostenuto la creazione di un nuovo “fondo verde” globale, ma ora hanno bisogno di identificare fonti di finanziamento innovative, come un sistema di prelievi imposti al settore internazionale dei trasporti aerei e marittimi, attualmente non regolamentato, che sarebbe rivolto all’8% delle emissioni globali e simultaneamente sarebbe in grado di garantire miliardi di dollari di finanziamenti di lungo termine".“La decisione riguardante le emissioni derivanti dalla deforestazione (REDD+) non ha incluso tutto ciò che avremmo desiderato, ma garantisce una solida base per far avanzare un processo REDD credibile e per creareun’agenda per il lavoro futuro.”

Dello stesso parere anche Greenpeace: " il meccanismo REDD sarebbe un passo importante per le foreste, ma è un po 'un passo ubriaco, in quanto i paesi hanno preferito l'ambiguità alla chiarezza. Tuttavia passi in avanti sono stati fatti e questa potrebbe essere la base per una decisione tanto più forte in futuro".

“E’ ancora presto per essere ottimisti ma i risultati del vertice di Cancun sono sicuramente incoraggianti soprattutto rispetto a quelli del precedente summit di Copenaghen. - dichiara anche il presidente di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza - L’accordo sul trasferimento di tecnologie ai Paesi in Via di Sviluppo e sulla protezione delle Foreste rappresentano positivi passi avanti così come aver riconosciuto la necessità di un obiettivo di riduzione delle emissioni al 2020 tra il 25 e il 40%. Restano tuttavia dei grossi nodi da sciogliere, come la questione della ripartizione delle quote e i sistemi di verifica. Ci aspettiamo ora che l’Europa mantenga la linea tenuta fino ad oggi e che l’Italia la segua senza ulteriori indugi. Chiediamo al governo, alle imprese e ai sindaci d’intervenire con incisività nella riduzione delle emissioni. Il primo passo è rinunciare all’utilizzo del carbone per la produzione di energia elettrica”.

Insomma, volendo tirare le somme, si tratta di un accordo che potremmo definire “di mediazione”, in fondo non così diverso da quello raggiunto a Copenhagen che però, anche a sentire le associazioni, sembra un successo date le poche aspettative che ruotavano intorno a questa conferenza, al contrario del clima di speranze che ha accompagnato la Cop15 dello scorso anno, circondata da un'attenzione mediatica ben diversa da quella che ha caratterizzato il vertice messicano, passato praticamente nell'indifferenza di quotidiani e televisioni. Questioni di aspettative dunque? Calcolando che già da ora sono tante quelle che si stanno riversando sulla prossima conferenza di Durban in Sud Africa, tra un anno speriamo proprio di non dover scrivere la parola fallimento perché in tal caso il mondo potrebbe davvero non sopportare le conseguenze. Anche perché, poi, non si potrà più procrastinare: il Protocollo di Kyoto scadrà e il 2012 è una data troppo vicina alla parola “fine”.


Congresso di Cancun: la svolta della Cina? Un errore di traduzione (Ecologiae)
Le speranze che il congresso di Cancun potessero essere un successo sono durate appena un paio di giorni, il tempo che i delegati cinesi correggessero il tiro. La cosiddetta “svolta verde della Cina” che qualche giorno fa sembrava dover portare al prolungamento del Protocollo di Kyoto e all’impegno da parte dei Paesi in via di sviluppo a ridurre le emissioni è stato solo un errore di traduzione.

E’ bastato che l’addetta alla traduzione dal cinese all’inglese prendesse lucciole per lanterne che immediatamente si è scatenato un polverone. Todd Stern, capo negoziatore degli Usa, aveva immediatamente capito cosa stava accadendo, ma quando cercava di spiegarlo ai giornalisti, questi erano convinti che fosse solo una tattica per prendere tempo perché la dichiarazione cinese aveva colto tutti di sorpresa, Stati Uniti compresi. Ieri purtroppo siamo tornati con i piedi per terra.

Il capo delegazione Xie Zhenua ha preso la parola e, nonostante non abbia detto apertamente che la traduzione fosse sbagliata, ha però spiegato, stavolta in inglese in modo che tutti potessero capire, la posizione del suo Paese: sì agli investimenti sulle rinnovabili, sì alla riduzione “generica” della CO2, ma nessun impegno vincolante sui numeri né limiti allo sviluppo industriale. Come in un gioco dell’oca, siamo tornati al punto di partenza.

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India favorevole a standard vincolanti per emissioni Co2 (Reuters)

L'India ha fornito il suo contributo ai tormentati colloqui Onu sul clima dando oggi la disponibilità ad accettare eventuali standard vincolanti per quanto riguarda le emissioni. Lo riportano alcuni quotidiani nazionali, sottolineando come il governo abbia radicalmente cambiato opinione su questo tema.

L'India, infatti, è al terzo posto nel mondo per quanto riguarda le emissioni di gas serra dopo Stati Uniti e Cina, e la rapida crescita economica, con il relativo innalzamento dei consumi, sta provocando anche un aumento della produzione di diossido di carbonio provocato dalle centrali elettriche a carbone, dai trasporti e dalle industrie.

Ma il governo aveva a lungo rifiutato di sottoporsi a standard legalmente vincolanti per quanto riguarda le emissioni, ritenendo questo tipo di accordo un danno per la crescita economica del paese.

Ma il ministro dell'Ambiente Jairam Ramesh, parlando a margine dei colloqui Onu sul clima a Cancun, ha detto che era giunto il momento per l'India di cambiare posizione accettando gli standard vincolanti all'interno di un nuovo patto sul clima.

"Dobbiamo accettare che la realtà globale sta cambiando. Il G77 sta invocando un accordo vincolante", ha detto Ramesh in un'intervista all'Hindustan TImes, facendo riferimento ai 131 stati membri del gruppo delle nazioni in via di sviluppo, di cui l'India fa parte.

"Io ho solo detto che tutti i paesi dovrebbero mirare ad obiettivi che siano vincolanti, all'interno di un'intesa appropriata", ha spiegato il ministro.

I colloqui sul clima dello scorso anno a Copenaghen si chiusero con un accordo non vincolante invece di un nuovo patto che prendesse il posto del Protocollo di Kyoto dal 2013.

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