No al carbone Alto Lazio

5 marzo 2011

Carbone, mortalità infantile, aspettativa di vita

Un contributo del dott. M. Portaluri, da Brindisium.net

"Alcuni ricercatori di varia nazionalità (USA, Svizzera, Nuova Zelanda) hanno recentemente (febbraio 2011) pubblicato un interessante lavoro scientifico in cui mettono in relazione i consumi elettrici, i consumi di carbone come combustibile e alcuni risultati di salute.
L'analisi è stata condotta su serie di dati relativi a 41 paesi nel mondo e sulle condizioni di salute in un periodo che va dal 1965 al 2005.
L'elettricità serve per ottenere acqua potabile e per riscaldare gli ambienti di vita senza inquinarne l'aria. Ma i costi sanitari esterni agli impianti di produzione di energia con combustibile fossile come il carbone rappresentano circa il 70% dei costi esterni totali e sono stati stimati negli USA, dalla Accademia Nazionale delle Scienze, in 120 miliardi di dollari solo per il 2005.

L'analisi ha evidenziato che l'aumentato consumo di elettricità è associato ad una riduzione della mortalità infantile per quei paesi in cui nel 1965 la stessa era superiore a 100 casi per 1000 nati vivi, e ad un aumento dell'aspettativa di vita se inferiore ai 57 anni nel 1965 (e non è il nostro caso per entrambi i parametri!).
Gli autori sostengono che i loro dati dimostrano che un crescente consumo di carbone è associato con un aumento della mortalità infantile e ad una riduzione dell'aspettativa di vita al netto dei vantaggi anzidetti.
Per questo concludono che l'aumento di consumo di elettricità in paesi con una mortalità infantile inferiore a 100 per 1000 nati vivi “non comporta a un maggior beneficio in termini di salute mentre il consumo di carbone produce significativi impatti negativi sulla salute”.

Continuano, quindi, ad essere prodotti lavori che confermano l'impatto negativo del consumo di carbone sulla salute delle popolazioni laddove viene impiegato.
Ogni nuovo lavoro consolida quanto è già ben noto e cioè che le centrali carbone, per quanto vantaggiose per il basso costo del combustibile, hanno un costo “esterno” all'impianto che viene addebitato alla collettività.
Altrove queste verità non si nascondono e gli stessi governi commissionano analisi approfondite per stabilire i vantaggi e gli svantaggi di manutenere, riconvertire o dismettere certi impianti.

Ma cosa succede da noi? Si confonde l'indubbio valore sociale del lavoro prodotto dall'industria energetica con la sua innocuità sanitaria ed ambientale.
Se su Torchiarolo incide il 10% di inquinanti provenienti da Cerano ed il 15% di quelli provenienti dal Petrolchimico, perché un rimedio per contenere gli sforamenti delle letture delle centraline di quel Comune si devono pagare al 100% con denaro pubblico? Valutiamo, pur con i limiti della scienza, l’impatto sulla qualità dell’aria delle singole componenti.
Ognuno paghi per quello che inquina, soprattutto se lo fa per profitto e non per riscaldarsi.

Il rigore scientifico paga sempre, la propaganda può nascondere la polvere sotto il tappeto, ma prima o poi, in termini di inquinamento o di danni alla salute, la verità emergerà. Bisognerebbe replicare gli studi che vengono effettuati in tutto il mondo vicino alle centrali a carbone anche a Brindisi.
Perché questo non si fa?
Il Servizio Sanitario Regionale, per quanto impegnato – come risulta dagli atti giudiziari pubblicati in questi giorni – in tutt'altre faccende, dovrebbe valutare più attentamente lo stato di salute della popolazione in rapporto ai più svariati fattori di rischio.
Altrimenti non ha molto senso sbracciarsi per il diritto alla salute quando la salute è già stata irrimediabilmente persa.

Maurizio Portaluri

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