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8 aprile 2012

Coal Rush

Da Repubblica l'intervista ai registi Lorena Luciano e Filippo Piscopo, autori del lungometraggio "Coal Rush", di cui segue il trailer
"Un film sull'America remota e poco setacciata dai media, una storia di monopolio dell'industria carbonifera nel cuore degli Appalachi, dove gli uomini e i luoghi diventano immensi come le montagne che li circondano". Per raccontare il loro documentario, Coal Rush, i registi Lorena Luciano e Filippo Piscopo partono dalla Green America, la terra del "progresso verde" contaminata dalla speculazione e dal malaffare delle grandi corporation, come la compagnia Massey Energy, accusata di aver inquinato le acque della Virginia Occidentale.

Tutto è cominciato da una notizia al telegiornale: tredici minatori rimasti intrappolati in una miniera della West Virginia, a Sago. E' il primo gennaio 2006. Lorena si trova in Italia a trascorrere le feste natalizie; suo padre è all'ultimo stadio di una malattia che non lascia scampo (la SLA, sclerosi laterale amiotrofica). "In un momento di stasi, mi sono collegata ad Internet per approfondire la notizia dei minatori e ho recuperato una serie di articoli pubblicati dalla stampa americana", spiega Lorena, affascinata dai rituali e dalla fede delle famiglie: in quelle occasioni, c'è chi si raccoglie in superficie, fuori dalla miniera, chi prepara dei tavoli, i compagni di lavoro e le mogli portano dei viveri e delle candele. Si prega, aspettando di conoscere la sorte dei minatori sottoterra. "Inevitabilmente, il parallelo con la malattia di mio padre è molto forte, anche lui intrappolato nel suo corpo, aspettando che finisca l'ossigeno". 
Appena tornati a New York, i due filmmaker cominciano a fare ricerca sulle miniere negli Stati Uniti. Prendono atto che gli USA dispongono dei più grossi giacimenti di carbone al mondo (secondo posto Russia, terzo Cina) e che quasi il 50% dell'energia americana dipende dal carbone. Adesso la percentuale si è abbassata al 42%, grazie anche alla nuova amministrazione Obama che incentiva le energie rinnovabili. "Una volta arrivati in West Virginia, abbiamo capito subito che il film che avremmo girato doveva raccontare lo stridere di questi luoghi incantati, in contrasto con la barbarie perpetrata dall'industria carbonifera". Il viaggio nei meandri del capitalismo sfocia nel crudo, e poco garantito, diritto alla salute.

Ma "Coal Rush", che il 29 marzo sarà proiettato in anteprima al Landmark Midtown Art Cinema di Atlanta, è anche un ritratto dei vizi di certe corazzate Lorena Luciano: "La realizzazione di questo film ci ha permesso di avvicinarci ad una realtà sociale di cui spesso nemmeno il cittadino medio americano è a conoscenza. Più che di diritto alla salute qui si tratta di un diritto umano fondamentale, quello all'acqua potabile, negato a un'intera comunità per decenni. Questa tragedia ambientale e umana poteva essere evitata con l'assunzione delle debite misure di smaltimento dei rifiuti tossici da parte di una compagnia che invece ha messo i profitti davanti a tutto. In America, come in Italia, le grandi compagnie rappresentano un grosso introito per le casse dello stato, che spesso chiude un occhio sui costi ambientali della grande industria. Inutile citare la diossina a Marghera o l'amianto di Casale Monferrato".


Il cinema si trasforma per raccontare la realtà: la vostra esperienza con il cine-documentario indipendente da dove ha origine e cosa vi ha portato ad attraversare? Filippo Piscopo: "All'origine della nostra carriera c'è un documentario su Dario Fo (Venezia, 1998) su cui avevamo cominciato a lavorare prima del Nobel, e poi l'avventura americana con "Urbanscapes", che racconta la trasformazione feroce delle citta americane. Il cinema indipendente è una grande opportunità per scoprire e approfondire delle storie spesso solo sfiorate dai grandi media. Il documentarista diventa un esploratore, un antropologo, una lente di ingrandimento su territori geografici e umani".

Perché, tra le tante storie a sfondo ambientalista, avete scelto questa? Qual è la sua particolarità?
Lorena Luciano: "Abbiamo impiegato circa due anni per trovare la storia giusta. Siamo andati in West Virginia a più riprese, ammaliati sia dalla bellezza dei luoghi che dalla cattività rurale. Cercavamo una storia fatta di tanti piccoli eroi che potessero raccontare la complessità dell'America in modo corale. Tutti i personaggi di "Coal Rush" sono piccoli eroi del quotidiano: il pastore Larry Brown che manda avanti la sua chiesa da solo, Donetta che è sopravvissuta a mille malattie causate dall'acqua contaminata e non si stanca di dare sostegno ad altre persone, l'avvocato Kevin Thompson e tutta la sua squadra che si è battuta contro la compagnia carbonifera, ma anche i minatori che vanno in miniera tutti i giorni e sono fieri di avere un lavoro e mantenere le loro famiglie in modo dignitoso. Seppur "Coal Rush" è a suo modo una storia estrema, la sento molto più vicina alla vita reale di un generico reality show".

Quanto è costato il progetto e chi lo ha sostenuto? Filippo: "Il budget complessivo del film è di 200.000 dollari. Non è stato facile raccogliere i fondi perché i cosiddetti documentari di denuncia non fanno grande mercato e quindi non sono facili da sovvenzionare. Co-finanziatori del progetto sono stati, tra gli altri, il New York State Council for the Arts, l'ente pubblico newyorchese che per eccellenza si occupa di finanziare le arti, e la Ben Jerry Foundation, esempio di società illuminata che reinveste parte dei suoi profitti a sfondo filantropico e in particolare su progetti a salvaguardia delle risorse idriche nazionali".

Che cosa vorreste lasciare, con 'Coal Rush', agli europei, e in particolare agli italiani?
Lorena: "L'immagine di un'America più fragile e umana di quello che si pensi".

Lo stile di "Coal Rush" ha modelli ispiratori? Filippo: "Vittorio De Seta è stato senz'altro un maestro, oltre che un caro amico a cui eravamo molto affezionati. Quando gli abbiamo parlato di "Coal Rush", ne era molto entusiasta, ci ha incoraggiato a perseverare nonostante le difficoltà a trovare i finanziamenti. Ci aveva addirittura suggerito di contattare Brad Pitt per coinvolgerlo nella promozione. I suoi film, da "Banditi a Orgosolo" a "Diario di un Maestro", sino ai cortometraggi sui minatori e pescatori, sono dei modelli ineguagliabili di cinéma vérité. Sul fronte americano, Barbara Kopple è un riferimento importante per la sua capacità di penetrare in modo intimo la realtà dei suoi personaggi: "Harlan County USA" rimane uno dei suoi film più belli. Per non parlare di Werner Herzog e della sua affascinante commistione tra documentario e fiction".

La vicenda avrà un nuovo inizio con "Coal Rush"? Filippo: "Dal punto di vista legale, no, perché le parti hanno raggiunto un accordo extra-giudiziale, quindi il caso é chiuso. Dal punto di vista umano, questo film ha un grande significato emotivo per i nostri personaggi che hanno lottato sette anni contro un gigante dell’energia. Ci vuole forza, audacia e una grande perseveranza per non farsi intimorire, e questo film è la testimonianza del loro coraggio".

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