No al carbone Alto Lazio

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23 dicembre 2011

Fusione fredda, la Shell investe in ricerca

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La Shell sarebbe seriamente interessata alle ricerche sulle reazioni LENR. Dunque, una della più grandi e potenti multinazionali energetiche del pianeta starebbe finanziando ricerche in questa direzione.

In concreto, due scienziati dipendenti della famosa azienda avrebbero chiesto incontri con alcuni tra i maggiori esperti mondiali in fusione fredda. Una notizia che non deve sconvolgere più di tanto. Già nel 1995, la Shell finanziò alcune ricerche francesi nel settore – mentre stavolta il centro sarebbe l’Olanda.
In sé e per sé questo non vuol dire ancora nulla: gli scettici continueranno a restare scettici, forti di alcune teorie scientifiche che vorrebbero come impossibili le LENR. Ma fa comunque pensare come una grande multinazionale, che ha le mani in pasta in quasi tutte le forme di produzioni di energia, si interessi di studi apparentemente di nicchia come le reazioni nucleari a basso calore. L’impressione che si voglia inaugurare una nuova stagione nella produzione energetica si fa più concreta. E forse, al di là del normale scetticismo, la fusione fredda avrà davvero un ruolo di primo piano in futuro.

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16 luglio 2011

Mario Tozzi, il carbone è scelta che più miope non si può

"Dalla padella alla brace", su LaStampa Mario Tozzi spiega come l'alternativa al nucleare non può essere il carbone. Parole abbastanza chiare, anche se restano fuori dall'articolo numerosi problemi non citati, connessi con l'uso del carbone a fini energetici

"Chi si era chiesto come avrebbe fatto l’Europa a procedere senza più energia nucleare ha avuto la sua risposta.

Soprattutto accendendo nuove centrali a carbone e non spegnendo le vecchie. Non avete voluto il nucleare? Allora beccatevi il carbone, una logica che più miope non si può. La scelta viene giustificata dalle nuove tecnologie (il carbone pulito) e
dal bisogno sempre più pressante di energia, fattori che si faranno risentire anche sul nostro Paese, che dipende solo per l’11% dal carbone, ma che vede diffusi tentativi di riconversione verso questo combustibile fossile.

Chiunque abbia preso mai in mano un pezzo di carbone sa che il carbone pulito non può esistere, esistono semmai tecnologie più pulite (clean coal technologies) per il suo sfruttamento. Come quelle che consentono di ricavare combustibili liquidi attraverso la sua liquefazione.

Polveri e ceneri volatili vengono limitate nelle nuove centrali a carbone attraverso l’impiego di dispositivi a ciclone, precipitatori elettrostatici, sistemi di lavaggio a umido e filtri di vario genere. Il problema micidiale delle emissioni di anidride solforosa (cioè delle piogge acide) viene risolto (il termine meritava le virgolette, ndr) soprattutto separandola dagli altri gas combusti o desolforando direttamente il carbone. Gli ossidi d’azoto possono essere significativamente limitati (denitrificazione) agendo sul processo di combustione o rimuovendoli dai gas combusti.

Non c’è niente da fare, però: il carbone inquina, comunque aumenta l’effetto-serra, produce ceneri e, alla fine, è destinato a esaurirsi. Ma sul ritorno al carbone giocano anche altre questioni strategiche industriali. Prima di tutto il fatto che ci sarebbe carbone sufficiente per altri 230 anni circa (altre stime parlano di 150 anni), molto di più di qualsiasi altro combustibile fossile si possa usare. Però, come per il petrolio, l’ultima tonnellata di carbone si estrae più difficilmente e costa molto di più da estrarre della prima: l’importante non è quando finisce, ma quando comincia a costare troppo, cioè circa a metà delle riserve sfruttate.

Il secondo dato favorevole è che la distribuzione geografica del carbone è molto diversa rispetto a quella del petrolio, non interessando Paesi con gravi problemi di instabilità politica. Questo dovrebbe garantire maggiore tranquillità nell’approvvigionamento e maggiore stabilità nei prezzi. Così il carbone consentirebbe di superare l’attuale fase di transizione energetica arrivando senza traumi al suo esaurimento, prima che ci si trovi in emergenza per aver esaurito definitivamente petrolio e gas naturale.

Ma i problemi connessi con l’uso del carbone sono gravissimi a partire dall’estrazione. Le miniere di carbone sono generalmente a cielo aperto e il loro scavo altera gravemente il paesaggio, sollevando polveri e altri inquinanti. In ogni caso si tratta di scavi giganteschi che comportano lo stravolgimento di una regione.

Le ceneri generate dalla combustione del carbone ammontano a una percentuale in peso maggiore di quella del petrolio e, ovviamente, del gas naturale (che non ne produce). Comportano quindi gravi problemi di inertizzazione e smaltimento, aggravati dalla presenza costante di impurità metalliche, spesso tossiche o comunque nocive, che vanno trattate a parte.

Bruciare carbone, poi, non libera dalla schiavitù dell’anidride carbonica, anzi, per questa via se ne produce di più che con qualsiasi altro combustibile fossile, con i relativi problemi in termini di surriscaldamento dell’atmosfera che già conosciamo bene per il petrolio (e, in misura minore, anche per il gas). Nessuna politica di opposizione al cambiamento climatico ha senso se non si rinuncia al carbone. Senza contare la sgradevole sensazione di essere finiti dalla padella nella brace.

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13 giugno 2011

ITALIA DENUCLEARIZZATA


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8 giugno 2011

Referendum: quel "servizio pubblico" che depista i cittadini

Abbiamo saputo, senza sorprenderci più di tanto, della direttiva Rai di passare sotto silenzio tutto quanto riguarda il Referendum: non parlarne è stata la parola d'ordine. Quel poco che s'è detto, è stato con parole confuse e depistanti (basti pensare allo spot, probabilmente indecifrabile per l'80% degli elettori italiani).

Ora i Tg a pochi giorni "sbagliano" persino le date in cui si vota:
"Dopo il Tg1, che domenica scorsa aveva annunciato il referendum per il "13 e 14 giugno" anche il Tg2 delle 13 ha sbagliato oggi, due volte, la data delle consultazioni.
Prima un errore della conduttrice che annuncia il voto per ''venerdì e domenica'' poi, nel servizio, ancora una volta lo slittamento della data: ''13 e 14 giugno'' invece che "12 e 13 giugno".
Fonte

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6 giugno 2011

Memento: i siti candidati a ospitare centrali nucleari (se non votiamo SI' al Referendum)

Trino Vercellese, Caorso, fra Mantova e Cremona lungo l’asta pluviale del Po, Monfalcone, Chioggia, San Benedetto del Tronto, Scarlino (Grosseto), Montalto di Castro, Borgo Sabotino (Latina), Oristano, Termoli, Mola di Bari, Scansano Ionico (Matera), Palma di Montechiaro, più (almeno) un deposito di scorie a Garigliano, fra Caserta e Latina.

Fonte: enel

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1 giugno 2011

Ulrich Beck sul futuro della produzione energetica

Il celeberrimo sociologo intervistato dal Foglio
"Professor Beck, qual è stata la sua prima reazione quando ha saputo dell’incidente alla centrale nucleare di Fukushima?
Come tutti, ho pensato al popolo giapponese, a questo concatenamento di catastrofi senza precedenti: la terra che trema in modo mostruoso, lo tsunami e poi l’incidente nucleare… Poi ho pensato alle conferenze che ho tenuto in Giappone alla fine dell’anno scorso. Parlavo della società del rischio, in particolare nucleare, e confesso di essere stato sorpreso dalla reazione degli ascoltatori: trovavano che le mie tesi fossero “intellettualmente stimolanti”, ma non mi hanno preso davvero sul serio.

Perché?

Perché i giapponesi erano sicuri di sé, perché il loro ammodernamento e sviluppo sono avvenuti all’europea, a partire dalla metà del XIX secolo: la società giapponese si è individualizzata e liberata delle sue tradizioni, ha costruito uno stato previdenziale e le istituzioni incaricate di individuare i rischi e controllarli; i tecnici e le tecnologie locali sono tra le migliori al mondo. In virtù della loro perfezione tecnica e delle loro competenze, i giapponesi credevano di essersi liberati dal rischio della catastrofe nucleare, nonostante la fragilità fisica della loro isola. Al museo di Hiroshima c’è una cesura molto netta tra la bomba che ha devastato la città nel 1945 e il nucleare civile, che in Giappone non è mai stato contestato. Fino alla catastrofe, nel paese non esisteva una vera opposizione al nucleare. I giapponesi credevano al mito della sicurezza della razionalità tecnica: credevano di essere infallibili. Non si percepivano come una società del rischio, a differenza di numerosi altri paesi asiatici, in primo luogo la Corea del sud: nel corso di 15 o 20 anni, questi paesi hanno conosciuto una “compressed modernisation”, uno sviluppo supersonico che non è stato accompagnato da istituzioni in grado di gestire i rischi nati da questa modernizzazione ultrarapida.

In “La società del rischio”, lei scrive che “la società industriale produce sistematicamente condizioni che la minacciano e che mettono a repentaglio la sua stessa esistenza, potenziando e sfruttando economicamente i rischi”. Secondo lei l’incidente di Fukushima è un caso da manuale dei disastri che possono nascere dalle società del rischio?
Fukushima va oltre, temo: questa catastrofe potrebbe diventare il simbolo delle società del rischio globalizzato. Quando ho scritto “La società del rischio”, nel 1986, prima dell’incidente di Chernobyl’, il nostro orizzonte era ancora in larga misura nazionale. Parlavo della scomparsa della Foresta Nera, dei pesticidi nell’agricoltura tedesca, dell’inquinamento dei fiumi, anche se già all’epoca l’utilizzo intensivo di concimi nelle risiere in Asia aveva conseguenze nefaste anche da noi… Oggi, come sappiamo tutti, i rischi sono globalizzati, le frontiere sono scomparse, le sfide hanno raggiunto tutta l’umanità, come ad esempio i mutamenti climatici. L’incidente di Fukushima è avvenuto sotto gli occhi sconvolti del mondo intero. Abbiamo constatato tutti in diretta che i giapponesi avevano perso il controllo delle centrali. Si tratta di un momento cosmopolita che opera come una rivoluzione, con conseguenze immense per l’energia nucleare, l’energia in generale, la “sicurezza”, lo stato, la tecnica e la tecnologia. Inizia una nuova era.

Quale?
Dopo l’incidente, tutto è possibile! Credo che questa catastrofe faccia nascere una nuova nozione di rischi: i rischi legati al nucleare, che sono giganteschi, mentre dei rischi normali le società moderne hanno imparato a occuparsi. Hanno elaborato strumenti, istituzioni, meccanismi di garanzia che da due secoli a questa parte accompagnano il “progresso”: è una delle componenti del contratto sociale moderno. Con Fukushima, si precipita in una nuova dimensione. Nessuna istituzione umana è adatta a rispondere a una sfida di queste dimensioni. Le stime dei danni parlano di 235 miliardi di dollari! La radioattività può durare migliaia d’anni! Tutti i vicini del Giappone sono preoccupati, la zona d’evacuazione intorno alla centrale ormai ha raggiunto i 30 chilometri, una regione immensa per un paese di superficie e densità come quelle giapponesi. Questa catastrofe non ha frontiere, né geografiche, né sociali, né economiche, né politiche, né temporali. Niente può controbilanciarli o cancellarli. Dà un’immagine apocalittica della nostra modernità, le cui conseguenze sono ancora difficili da valutare.

A cosa si può paragonare Fukushima?
Agli attentati dell’11 settembre 2001 e alla crisi finanziaria del 2008. Fratture storiche, avvenimenti complessi, senza confini e con una copertura mediatica universale, difficili da imputare a chicchessia, sia in termini di casualità, sia quanto a negligenze o responsabilità. Questi tre avvenimenti, molto ravvicinati sulla scala della Storia, dimostrano che il lato oscuro del progresso determina sempre più le controversie sociali su scala mondiale.

Anche i mutamenti climatici?
Sì, anche se sono ancora soggetti a interpretazioni diverse. I loro rischi sono ancora spesso invisibili, più diffusi dell’incidente di Fukushima o degli attacchi alle Torri gemelle di Manhattan, anche se sin d’oggi si fanno sentire, più o meno direttamente.
Quali saranno le conseguenze di Fukushima per il Giappone?
I giapponesi dovranno rivedere completamente la loro politica energetica, puntare su nuove fonti d’energia. Sarebbe un errore per il Giappone continuare a investire nel nucleare. Il Giappone si impegnerà nelle energie alternative; ne ha i mezzi tecnici e scientifici.

Ma come esattamente? Nel caso del Giappone, il solare e l’eolico non potranno mai dargli energia sufficiente nei prossimi anni…

In primo luogo, i giapponesi punteranno a risparmiare energia. Hanno ottenuto ottimi risultati in questo settore a seguito degli shock petroliferi degli anni Settanta: il consumo energetico è stabile rispetto agli anni Sessanta. Metteranno a punto anche nuove tecnologie. Detto questo, è vero che il loro problema principale è la produzione di energia. Dovranno certamente importarne dai vicini.

Da altri paesi asiatici? Dalla Cina? E’ realistico, da un punto di vista politico?
Forse non subito. Tutti gli stati sono ancora molto attaccati alla propria sovranità energetica…
Sì, è addirittura un dogma per gli stati moderni.
E’ vero, ma le cose in futuro dovranno cambiare. Le questioni energetiche dovranno essere discusse a livello mondiale. Penso per esempio al progetto Desertec: è stato lanciato da grandissimi gruppi tedeschi nel 2009 e mira, grazie a mega-centrali solari nel Sahara, ad approvvigionare di energia l’Europa. E’ molto promettente, per ragioni economiche ma anche politiche: con questo tipo di progetti ci si incammina progressivamente verso una gestione mondiale dell’energia.

Rimaniamo in Asia e in Giappone, se non le spiace.
Il grande pericolo per questa regione è che la Cina produca elettricità con nuove centrali a carbone, dopo la catastrofe di Fukushima. Queste nuove emissioni di Co2 sarebbero drammatiche per la regione. A causa dei venti, la Corea del sud già soffre molto l’inquinamento delle centrali cinesi. Quanto al Giappone, come già altri paesi, dovrà trovare un nuovo mix di energie per bilanciare l’abbandono progressivo e simultaneo, per ragioni ambientali e di sicurezza, del nucleare e del carbone. E’ una sfida colossale!

Secondo lei quindi il nucleare non ha futuro? Anche le nuove centrali EPR, la cui sicurezza pare sia ancora maggiore rispetto a quelle classiche?
Sì, penso che si tratti di una tecnologia obsoleta. Anche se la sicurezza è migliorata, nessuna centrale sarà mai infallibile. Come dimostra Fukushima, i rischi sono troppo grandi: peggio, sono più grandi di noi. Quindi è meglio non tentare il diavolo. D’altronde, non posso credere che un imprenditore, in cerca di quote di mercato e di credibilità, possa seriamente impegnare miliardi di euro nel nucleare. Sarebbe controproducente. Meglio sarà per lui investire nelle energie rinnovabili, le energie del futuro.

Sì, ma gli stati seguono una logica diversa. Sono loro i primi a promuovere il nucleare e a fare gara a presentare i loro progetti all’Aiea. Prima di Fukushima, erano in 60 a volersi dotare di impianti nucleari civili.
Sì, per ragioni di sovranità. La Francia, ad esempio, che ha puntato sul nucleare civile e militare per mantenere la propria indipendenza e il proprio “rango”. Personalmente, non faccio differenza tra nucleare civile e militare. E’ ancora più pericoloso per gli stati falliti o autoritari come il Pakistan. O per l’Iran, se il regime raggiunge i suoi fini. Nelle democrazie, anche la pressione dell’opinione pubblica sarà importante. Nei vari paesi, essa ormai è allertata e il messaggio dei tecnici e dei politici riuscirà sempre meno a raggiungere i suoi obiettivi: a forza di ripetere che le centrali sono sempre più sicure, in realtà non fanno altro che aumentare la paura dei cittadini. Tutti i paesi, i più ricchi così come i più poveri, devono oggi lavorare a un nuovo mix energetico.

Il baratro che separa gli stati più ricchi, i cui mezzi tecnologici sono infinitamente superiori, e i paesi poveri si farà ancora una volta più profondo?
Non necessariamente. Il Sahara, l’Africa, i paesi del sud a forte irraggiamento solare sono forse la nuova chiave di volta dell’approvvigionamento energetico mondiale.
Nell’attesa, il nucleare garantisce il 16 per cento della produzione di elettricità mondiale, con punte molto più alte in paesi come la Francia e il Giappone.
E’ una questione di volontà politica, di volontà di cambiare modello economico. Conoscendo i giapponesi, sono certo che prenderanno una direzione diversa e che per trovarla useranno tutti gli strumenti a loro disposizione.

In una recente intervista, Ray Kuzweil, il famoso inventore e teorico dell’high-tech americano, affermava che il sole tra 20 anni fornirà il 100 per cento del nostro fabbisogno energetico. Le sembra una prospettiva realista?
Perché no? Sottovalutiamo la creatività della modernità. Esistono sempre soluzioni tecniche. Parlavo prima del progetto Desertec. Uno dei grandi ostacoli sarà la trasmissione dell’energia del deserto ai paesi del nord. Ma sono certo che si riuscirà a costruire una nuova rete ad alta tensione. Quando l’uomo è alle strette, trova sempre qualche soluzione. E gli investimenti pubblici e privati per finanziarle.

La nostra civiltà – velocità, consumo, produttività, razionalità scientifica – è condannata? E’ la fine della religione del progresso? Possiamo seriamente prevedere un nuovo modello fondato sulla decrescita, come alcuni propongono?
Niente affatto! Non si tratta di tornare allo stato di natura o all’era pre moderna, quanto piuttosto di inventare una nuova modernità, che non sia più fondata sul nucleare e sulle energie fossili. Uscire dal nucleare non significa uscire dalla modernità! Almeno di certo non per me!

Ma il pianeta è in grado di fornire energia e nutrire sette, e presto, già nel 2050, nove miliardi di persone?
Le rispondo da sociologo: le ricchezze esistono, più che abbondanti, non c’è penuria, il problema è la condivisione, la distribuzione di queste ricchezze. Le disuguaglianze sono più grandi che mai e costituiscono ai miei occhi una bomba a orologeria. Niente di nuovo, mi dirà. Solo che, a differenza di oggi, le disuguaglianze non sono sempre state un problema politico. Gli schiavi, le donne, le minoranze di qualsiasi sorta, a tutte le latitudini, hanno sofferto delle disparità di trattamento sin dalla notte dei tempi. Queste disuguaglianze sono diventate problemi politici quando la nozione di uguaglianza è stata normata, quando abbiamo comunicato e lodato l’idea di uguaglianza. Oggi, tutto è sempre più normato. Di fatto, i rifugiati, il cui numero aumenta costantemente, trovano “giusto” venire a tentare la fortuna nei paesi del nord. Pensano di “averne diritto” anche loro.

E’ in parte la dialettica di colonizzatori e colonie?
Esatto. La metropoli vantava i meriti della colonizzazione, della sua civiltà, della sua democrazia liberale e illuminata, mentre gli indigeni hanno constatato soprattutto l’aumento della disuguaglianza, le differenze di trattamento e di stato tra colonizzatori e colonizzati; differenze che non corrispondevano in nulla ai discorsi e alle norme della metropoli. In quel momento sono cominciati i problemi.

La cancelliera Merkel ha ufficializzato che la Germania uscirà dall’atomo entro il 2022: la nevrosi del nucleare raggiunge nuovi vertici. Perché?
La Germania ha una cultura in cui la sicurezza sta al di sopra di ogni altro valore. Il maresciallo Goering al processo di Norimberga spiegava infatti che la democrazia e la libertà non erano valori della sua “Kultur”. Evidentemente, la Germania è cambiata, è diventata una democrazia moderna, ma continua a privilegiare la sicurezza. La Germania di Bismarck ha inventato lo stato assistenziale. La Repubblica democratica tedesca (Rdt) vantava la sicurezza del suo sistema economico e sociale a favore degli abitanti, di cui molti ancora oggi rimpiangono i benefici.

Questo non è legato anche ai disastri della Seconda guerra mondiale?
Certo: da allora abbiamo una cultura di previsione delle catastrofi, è un dato di fatto. Ed è legato probabilmente anche al Romanticismo, al nostro rapporto con la natura, a certi movimenti dell’inizio del XX secolo, come il Wandervögel. Il nazismo in realtà ha strumentalizzato questi sentimenti. Ma soprattutto, la società tedesca privilegia la sicurezza. Le cito due esempi contemporanei all’abbandono dell’atomo: il successo del libro di Thilo Sarrazin, che ritiene che la crescente multietnicità della società tedesca costituisca un pericolo – un bambino su quattro al di sotto dei cinque anni in Germania oggi ha doppia nazionalità; e la decisione della Germania di non votare la risoluzione 1973 dell’ONU sull’intervento armato in Libia. La Germania mette la sicurezza davanti a tutto!

Angela Merkel è simbolo di questa Germania, secondo lei?
La “banderuola dell’atomo”? Sì, sotto molti punti di vista. E’ molto pragmatica, anche prudente, e decide solo da ultima, quando tutti gli altri capi di governo si sono già pronunciati. Ed è una scienziata dell’ex Rdt. Il fatto che guidi una nazione sempre più vecchia per altro non è privo di importanza.

Non si rischia di passare da una società del rischio a una società dei tabù, della precauzione, in breve a una società della paura?
In effetti è un pericolo che incombe sulle nostre società e minaccia di paralizzarle. Questa paura, conseguenza della radicalizzazione delle società del rischio, ovvero della corsa sfrenata ai profitti e alla logica produttivista e finanziaria, molto spesso a scapito del buon senso, è già largamente strumentalizzata. In Europa, in particolare, con la crescita della nuova destra populista che avanza in tutti i paesi e a ogni tornata elettorale.

La catastrofe di Fukushima e l’impotenza del governo giapponese costituiranno un’ulteriore stangata per le democrazie sviluppate? Nutriranno il malessere e la crescente sfiducia dei cittadini nei confronti dei loro rappresentanti eletti e delle istituzioni?
Certamente: il terrore viene dalla fascia produttiva della società. La popolazione giapponese ha appena preso coscienza del fatto che sono stati i garanti del diritto, dell’ordine, della razionalità e della democrazia a mettere in pericolo la nazione, costruendo centrali nucleari in una zona molto esposta ai rischi sismici. Fukushima dimostra che in caso di catastrofe di grande ampiezza – una delle manifestazioni della società del rischio globalizzato – è possibile che non vi siano istituzioni capaci di garantire l’ordine sociale e la struttura culturale e politica di un paese. D’altronde, la crescita dei rischi globali e il processo con cui i governi e i loro amministrati ne prendono coscienza costituiscono un altro pericolo per le democrazie, perché questi ultimi potrebbero essere tentati di trovare soluzioni politiche non democratiche. Prendiamo ad esempio il caso dei mutamenti climatici: le democrazie europee hanno difficoltà a trovare posizioni comuni proprio in virtù del loro carattere democratico. Non riusciamo a metterci d’accordo e per questo non siamo stati in grado di far sentire la nostra voce al vertice di Copenaghen a fine 2009. Uno stato come la Cina non si fa carico di questo genere di sottigliezze: il governo decide in modo autoritario, ad esempio la sua nuova politica ambientale, che è una delle più ambiziose del mondo, indipendentemente dalle resistenze regionali. Per affrontare i rischi globali della nostra modernità sono possibili due modelli contrapposti, e l’idea di maggiore efficacia potrebbe essere allettante. E’ un nuovo scoglio che attende le nostre democrazie.

Come possono le nostre democrazie affrontare questi nuovi rischi globali?
Per rispondere a questi problemi, che hanno una dimensione nuova, bisogna cambiare paradigma e avere più fantasia. Dobbiamo creare un cosmopolitismo moderno. E’ fondamentale! Di fronte ai rischi globali – il cambiamento del clima, le questioni migratorie, le valute, il sistema finanziario – lo stato nazione non dispone né delle dimensioni né dei mezzi per trovare le soluzioni. Se non collaboriamo, scompariremo! Oggi nel mondo convivono due tendenze contrapposte: la ri-nazionalizzazione dei problemi da una parte, e dall’altra la crescita di una nuova governance mondiale, ancora in fase embrionale, incarnata dal G8 e soprattutto dal G20, congressi di Vienna non ancora istituzionalizzati… Di certo, prossimamente vedranno la luce nuove istituzioni transnazionali.

Lei ha parlato anche di una nuova governance mondiale dell’energia.
Sì, l’energia è tipicamente un campo dove solo la cooperazione internazionale permetterà di risolvere i rischi globali. E’ indispensabile una forma di collaborazione tra stati ma anche con le imprese multinazionali, giganti privati dell’energia che sempre più svolgono un ruolo cruciale e dispongono di mezzi ad esso commisurati: Siemens, per esempio, che è stata tra i grandi promotori del progetto Desertec.

Crede davvero a questo neo-cosmopolitismo kantiano?
Non abbiamo scelta: o riusciamo a collaborare e a trovare soluzioni frutto di quella collaborazione, oppure affonderemo in un mondo segnato dall’impronta di Carl Schmitt, un mondo di soluzioni semplici che, a seguito delle crisi globali che ci insidiano, sarà diviso tra stati autoritari fondati su basi etniche e strutture di dominazione forti.

di Oliver Guez

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Il quesito referendario sul nucleare è valido, tutti a votare!

Da Repubblica.it
"Si voterà il referendum sul nucleare. La Corte di Cassazione ha accolto le ragioni avanzate in un ricorso presentato dall'Italia dei Valori e sostenuto anche dal Pd e in una una memoria del Wwf che chiedevano di trasferire il quesito sulle nuove norme appena votate nel decreto legge omnibus 1: quindi la richiesta di abrogazione rimane la stessa, ma invece di applicarsi alla precedente legge si applicherà appunto alle nuove norme sulla produzione di energia nucleare (art. 5 commi 1 e 8). La decisione è stata presa a maggioranza dal collegio dell'Ufficio Centrale per il referendum della Cassazione, presieduto dal giudice Antonio Elefante..."

Quindi il referendum sul nucleare resta valido, è fallito il tentativo del governo di raggirarci! 12  e 13 giugno, vota e fai votare!

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20 maggio 2011

12 e 13 giugno, tre SI' per un'Italia migliore

Ai referendum di domenica 12 e lunedì 13 giugno vota SI'

Vota SI' per dire NO AL NUCLEARE.

Vota SI' per dire NO ALLA PRIVATIZZAZIONE DELL'ACQUA.

Vota SI' per dire NO AL LEGITTIMO IMPEDIMENTO.

Ricorda che il referendum passa solo se viene raggiunto il quorum, è indispensabile che vadano a votare almeno 25 milioni di italiani.

Ricorda che i poteri sporchi stanno operando per scoraggiare i cittadini a recarsi alle urne, così da rendere nullo l'esito del Referendum. In TV non se ne parla appostiamente, a maggior ragione abbiamo il dovere di diffonderne la notizia in modo autonomo.

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18 maggio 2011

Weekend di mobilitazione per il nostro territorio

Agisci!

Tarquinia: sabato 21 maggio presso il Palazzo dei Priori sede della STAS, verrà presentato il volume “NON VI DAREMO TREGUA”, che contiene i risultati del monitoraggio dell'aria realizzato per disporre di un termine di paragone precedente l'avvio della centrale a carbone di Civitavecchia. È quell'anno zero da tanti promesso e mai realizzato.
Vedi qui
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Montalto di Castro (Marina): domenica 22 maggio catena umana contro il nucleare a Montalto Marina (Lungomare Harmine), organizzata dal comitato antinucleare di Montalto di Castro. Concentramento ore 10:00 alla Foce del Fiora.
Coloriamo la spiaggia di Montalto Marina di bandiere “Vota SI’ per fermare il nucleare” e diamo visibilità ai referendum!
Invitiamo all’iniziativa tutti i comitati, le associazioni e i cittadini del Lazio.
Il comitato Lazio organizza dei pullman che partiranno da Roma (app.to ore 8 metro Cipro, si riparte per Roma alle 14 circa). Costo circa 10 euro. Per adesioni comunicate al più presto nome, cognome e numero di cellulare al 347 2310122.

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17 maggio 2011

Nucleare, la Sardegna lo boccia all'unanimità

Alle urne il 60% dei sardi, che votano il "Sì" (anti-nucleare) al 97,14%, No al 2,85%. Dal referendum in Sardegna un messaggio chiarissimo.

Mellu su sole, s'abba, su 'entu!

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5 aprile 2011

CODACONS: l'Italia non ha bisogno di importare energia dall'estero

Fonte

"L'associazione Codacons, ha presentato un esposto alla Corte dei Conti, alla Procura della Repubblica di Roma e al Tribunale dei Ministri, che ha come obiettivo l'apertura di una indagine sull'approvvigionamento di energia, da parte dell'Italia, all'estero, per ravvisare l'eventuale esistenza di sprechi di denaro pubblico per degli approvvigionamenti non necessari.

Secondo il Codacons infatti "In Italia la produzione di energia elettrica avviene in gran parte grazie all'utilizzo di fonti non rinnovabili (come il carbone, il petrolio e il gas naturale) e in misura minore con fonti rinnovabili (come lo sfruttamento dell'energia geotermica, dell'energia idroelettrica e dell'energia eolica); il restante fabbisogno viene coperto con l'acquisto di energia dall'estero, trasportata nel paese tramite l'utilizzo di elettrodotti". Fin qui nulla di nuovo, ma la questione verte proprio sul fabbisogno energetico che il nostro Paese è in grado di soddisfare, che secondo i calcoli del Codacons, è tale da non necessitare di nessuna necessità di approvvigionamento, ma "Per quanto riguarda la potenza installata (ovvero la potenza massima erogabile dalle centrali), l'Italia è tecnicamente autosufficiente; le centrali esistenti a tutto il 2009 sono infatti in grado di erogare una potenza massima netta di circa 101 GW contro una richiesta massima storica di circa 56,8 GW (picco dell'estate 2007) nei periodi più caldi estivi.

Secondo i dati 2009 tale potenza massima teorica non è quindi stata sfruttata interamente e la potenza media disponibile alla punta stimata è stata di 67 GW".

Emerge quindi l'esistenza una "sovrabbondanza di impianti di produzione, già cresciuti del 28,8% fra il 2002 ed il 2008".
Questi dati rendono difficilmente comprensibile le motivazioni che spingono l'Italia ad approvvigionarsi all'estero, eppure, prosegue l'esposto " Ancor più paradossale è che a fronte della potenza installata l'Italia è fra i maggiori importatori al mondo di energia elettrica (secondi i dati dell'International Energy Agency, nel 2008 è stata seconda solo al Brasile), e proprio la Francia è tra i nostri maggiori fornitori: considerando la quantità complessiva consumata in un anno in Italia, l'energia proveniente dalla Francia s'aggira intorno al 5 per cento, per una spesa superiore al miliardo di euro".

Ma la causa non è sconosciuta, infatti Codacons la individua come conseguenza "del "dumping nucleare' praticato dalla Francia e permesso dal meccanismo di immissione dell'energia elettrica in rete, mediante la borsa dell'energia e a seguito della privatizzazione dell'ENEL, meccanismo che deve ritenersi anti-industriale e in ultima analisi antieconomico per il Paese.

Il "dumping', infatti, penalizza l'industria italiana, gettando fuori dal mercato gran parte della potenza installata dall'ENEL e inducendo un forzato declino industriale del Paese anche nel settore energetico".

Cristina Iadeluca

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19 marzo 2011

Rinnovabili, subito.

Da L'Espresso a firma di Ignazio Marino
"Le emozioni suscitate dal terribile disastro che sta sconvolgendo il Giappone, con gravi ripercussioni su tutto il pianeta, hanno risvegliato incubi. Certo è che in Italia oggi il nucleare non piace a nessuno. e le ragioni non sono affatto emotive. Si pensi anzitutto al problema di maggiore attualità: il rischio di incidenti. I fautori del nucleare sostengono che i più moderni sistemi di costruzione sono assolutamente sicuri e non c'è dubbio che le centrali più recenti abbiano standard di sicurezza molto elevati ma poi ci sono i fatti che, evidentemente, dimostrano come un incidente non si possa mai escludere e, come si dice, 'a nuclear accident anywhere is an accident everywhere'. Ma incidente non è il termine adatto perché le parole per descrivere le conseguenze dell'esposizione alle radiazioni sono leucemia, cancro, sterilità, anemia, infezioni, malformazioni, alterazioni genetiche e cromosomiche, e il rischio di tali terribili malattie perdura molti anni dopo l'esplosione di un reattore.

D'altra parte, la crescita del consumo di energie ottenute da combustibili fossili (carbone, gas e petrolio) ha creato a sua volta enormi problemi all'umanità, dall'inquinamento al surriscaldamento, dalle instabili relazioni con i paesi produttori di petrolio ai vincoli economici legati al prezzo del greggio. E poi nemmeno le fonti di origine fossile sono esenti dal rischio incidenti, basti pensare all'incendio di Centralia, in Pennsylvania, quando nel 1962 andò a fuoco una miniera di carbone producendo emissione di gas tossici e voragini nel terreno, rendendo necessaria l'evacuazione permanente di tutta l'area, una superficie pari a quattro volte lo Stato del Vaticano. Dunque servono nuove fonti di energia: ma non sarebbe più sensato concentrarsi su quelle che pongono meno problemi? Nel caso del nucleare, oltre ai rischi legati a disastri naturali o incidenti, ci sono altri elementi pieni di incognite.

Le parole del Nobel Carlo Rubbia non dovrebbero lasciare indifferenti: «Si sa dove costruire gli impianti? Come smaltire le scorie? Si è consapevoli del fatto che per realizzare una centrale occorrono almeno dieci anni? Ci si rende conto che quattro o otto centrali non risolvono il problema, perché la Francia per esempio va avanti con più di cinquanta impianti? Se non c'è risposta a queste domande, diventa difficile anche solo discutere del nucleare italiano. E se non si riesce a risolvere il problema della costruzione di un inceneritore per bruciare l'immondizia, come riusciremo a sistemare queste grandissime quantità di scorie nucleari che nessuno al mondo sa ancora smaltire?».

Perché le scorie, ovvero i rifiuti del nucleare, sono estremamente tossiche e destinate a restare attive per migliaia di anni. Nessuno ha ancora trovato il modo per smaltirle e anche il progetto americano più ambizioso (tunnel profondi nel deserto del Nevada) dopo vent'anni di studi e 7,7 miliardi di dollari spesi dal governo federale con le tasse dei contribuenti, alla fine è stato sospeso perché non abbastanza sicuro.

Per non parlare dello smantellamento delle centrali nucleari che hanno terminato il ciclo di produzione, operazione complessa, pericolosa e molto costosa, che oggi in genere viene rimandata in attesa che la radioattività diminuisca e nella speranza che il progresso tecnologico renda più facili le operazioni. La Gran Bretagna, per esempio, non sapendo come affrontare la questione ha deciso di posticiparla di cento anni. Con tanti auguri a chi verrà dopo.

Quanto al nostro Paese, possiamo solo riconoscere che non abbiamo petrolio, né metano, né carbone ma non abbiamo nemmeno uranio dunque, anche sviluppando il nucleare, cambieremo fornitori ma resteremo dipendenti. Dovremo comprare l'uranio da chi lo possiede, considerando che si tratta comunque di una fonte di energia destinata ad esaurirsi prima del 2100.

Di fronte alla domanda crescente, la risposta della politica è stata sempre quella di aumentare le importazioni mentre la prima cosa da fare sarebbe consumare meno, risparmiare energia e, soprattutto, usarla in modo più efficiente. � possibile con il migliore isolamento delle case, con l'energia geotermica attraverso l'estrazione del calore dalle rocce profonde, il potenziamento dei mezzi pubblici, lo spostamento delle merci su rotaie e via nave, come del resto chiede anche l'Europa che obbliga a ridurre i consumi del 20 per cento entro il 2020.

Le energie alternative sono il settore in cui investire e costruire il futuro. Soprattutto perché l'Italia ha una grande risorsa naturale che è il sole, una fonte energetica che durerà per i prossimi 4 miliardi di anni e che, come sostiene il professor Vincenzo Balzani, chimico molecolare di fama mondiale, «rappresenta una stazione di servizio sempre aperta che invia una quantità di energia diecimila volte superiore a quella che l'intera umanità consuma».

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Fulvio Conti (a.d. enel) sul nucleare: "non fidatevi dell'emotività". Anzi sì...Beh, ogni tanto.

Fidatevi della vstra emotività, ma solo quando guardate gli spot menzogneri di enel, stracolmi di fiorellini, verde, sole, ed energia pulita. Vi fanno sentire bene? Era quello lo scopo dell'operazione, farvi dimenticare che Enel è il primo inquinatore sul suolo italiano.

Ma non fidatevi della vostra emotività quando vi prende il panico di fronte a un disastro nucleare che sta devastando un'area del Giappone e la renderà inabitabile per sempre. Enel sta investendo in nucleare: non va bene mettergli i bastoni tra le ruote.

Una sola parola come risposta: VERGOGNA

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18 marzo 2011

Ministro Prestigiacomo: "Fermiamo il nucleare o rischiamo alle prossime elezioni"

"PRESTIGIACOMO: "E' FINITA, USCIAMONE" - "E' finita, non possiamo mica rischiare le elezioni per il nucleare. Non facciamo cazzate". Nell'aula di Montecitorio e' finita da poco la cerimonia di celebrazione del 150o anniversario, e nel corridoio di fronte alla sala del governo il ministro dell'Ambiente, Stefania Prestigiacomo, si sfoga, lontana da occhi indiscreti, con Paolo Bonaiuti e Giulio Tremonti. Il dibattito sul progetto nucleare del governo si e' infiammato dopo il terremoto in Giappone, ma il ministro ha gia' le idee chiare. A sentire lei, il nucleare italiano non ha
futuro: "E' finita, non possiamo mica rischiare le elezioni per il nucleare. Non facciamo cazzate. Bisogna uscirne- dice rivolta a Bonaiuti e soprattutto a Tremonti- ma in maniera soft. Ora non dobbiamo fare nulla, si decide tra un mese". Al colloquio, che e' durato una decina di minuti, s'aggiunge poi anche il ministro dello Sviluppo economico, Paolo Romani."
Da Agenzia Dire

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17 marzo 2011

"L'atomo e i costi troppo alti: non conviene"

Ci voleva una catastrofe, per riflettere su quanto già sapevamo?
Dal Corriere.it
"Il nucleare, questo nucleare, non convince per diversi motivi. Innanzitutto non sono escludibili eventi catastrofici a causa di fattori esterni o di errori umani. Si spera nella quarta generazione che, verso il 2030, dovrebbe portare a reattori intrinsecamente sicuri. C'è poi una valutazione economica, in quanto i costi tendono costantemente ad aumentare. Nell'ultima valutazione del Dipartimento dell'Energia Usa (Energy Outlook 2010) sugli impianti da costruire nei prossimi due decenni, l'elettricità da nucleare risulta la più cara. È il motivo per cui negli Stati Uniti sono previsti dei meccanismi di incentivazione per le nuove centrali, altro che riduzione della bolletta... Infine pesa una considerazione etica. A quasi cinquant'anni dalla prima centrale, non esiste un solo Paese al mondo che abbia realizzato un deposito definitivo per le scorie altamente radioattive. Per tutti gli oggetti che noi conosciamo - un frigorifero, un'automobile, una bottiglia - è prevista la chiusura del ciclo. Per i rifiuti nucleari, la cui pericolosità ha tempi di dimezzamento di decine di migliaia di anni, non abbiamo ancora trovato una soluzione, lasciando in questo modo alle generazioni future un velenoso regalo.

I fautori di questa tecnologia sostengono che però consente di ridurre i consumi di combustibili fossili e le emissioni dei gas serra. Vero, ma è possibile ottenere lo stesso risultato in modo più efficace e meno rischioso. Le fonti rinnovabili, considerate marginali fino a poco tempo fa, stanno crescendo a ritmi imprevedibili e i loro costi si stanno rapidamente riducendo. L'elettricità producibile dagli impianti solari ed eolici installati nel mondo tra il 2005 e il 2010 è tre volte maggiore rispetto a quella dei reattori nucleari entrati in servizio negli stessi anni. La metà della potenza elettrica installata in Europa lo scorso decennio è rinnovabile. E l'accelerazione della crescita è formidabile. La potenza fotovoltaica globale installata nel 2010 è, ad esempio, aumentata del 120% rispetto all'anno prima.

Grazie al contesto energetico così drasticamente mutato, la riflessione internazionale che seguirà all'incidente di Fukushima avrà un decorso diverso rispetto all'impatto che si ebbe dopo Chernobyl. Allora l'effetto fu quello di bloccare la crescita del nucleare senza innescare però una vera alternativa. Le fonti rinnovabili erano all'inizio del loro sviluppo e non rappresentavano un'opzione credibile, anche se le esperienze californiane, danesi, giapponesi già facevano intuire le enormi potenzialità di queste tecnologie. La potenza eolica oggi è cento volte superiore, quella solare addirittura mille volte più ampia. E i costi sono scesi drasticamente.

Tutto ciò fa ritenere che altri Paesi seguiranno la strada della Germania che aveva deciso, già prima dell'incidente giapponese, di uscire dal nucleare puntando a soddisfare nel 2050 almeno l'80% della richiesta elettrica con le rinnovabili. Una strategia lungimirante che negli ultimi anni ha consentito di raddoppiare l'elettricità verde grazie a un milione di impianti solari, eolici, a biomassa e di creare un comparto che conta 340.000 addetti, un pilastro ormai dell'economia tedesca.
Dunque, le riflessioni dopo la tragedia giapponese possono portare ad un drastico ripensamento delle strategie energetiche con un rilancio delle politiche dell'efficienza energetica e dell'utilizzo delle rinnovabili. Una strada fortemente innovativa che garantisce maggiore sicurezza energetica, riduce i rischi di cambiamenti climatici, crea imprese ed occupazione. L'Italia, che ultimamente ha ottenuto risultati interessanti nelle rinnovabili, farebbe bene a seguire questa strada.

Gianni Silvestrini

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23 febbraio 2011

Bloccato lo spot del "Forum Nucleare": è ingannevole

Notizia da Greenpeace:
Il Giurì dell'Autodisciplina Pubblicitaria che ha bloccato la messa in onda dello spot promosso dal Forum Nucleare, perché "ingannevole". Da quando a dicembre le tv nazionali hanno cominciato a bombardarci, abbiamo denunciato le informazioni ingannevoli dello spot su tutti i nostri canali. In particolare:

"Le scorie si possono gestire in sicurezza."
E da quando? In sessant'anni l'industria nucleare non ha ancora trovato una soluzione per la gestione di lungo termine dei rifiuti nucleari;
"Tra 50 anni non potremo contare solo sui combustibili fossili."
È vero, ma anche l’uranio è limitato;
"Le fonti rinnovabili non bastano."
Sicuro? Uno scenario energetico 100% rinnovabile è possibile, come dimostrano analisi dell’Ue e dell’industria.

Lei l'articoo da IlFattoQuotidiano

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5 gennaio 2011

Le lobby energetiche finanziano spot falsamente neutrali sul nucleare

Lo spot atomico finto-neutrale, nuovo "brevetto di Chicco Testa", ecologista convertito e guru del marketing "p.i.m.b.y. col culo degli altri".

Da IlFattoQuotidiano.it
Il nuovo forum per l'informazione obiettiva sulla scelta per il nucleare è guidato da uomini di Enel e Edf. L'attuale campagna pubblicitaria, costata 6 milioni di euro, è pagata dalle lobby delle centrali
Gli antinuclearisti hanno reagito rabbiosamente. Altro che spot neutrale, protestano. Chicco Testa, presidente del Forum nucleare italiano, ironizza sulle critiche attirate dalla massiccia campagna pubblicitaria per una discussione senza pregiudizi sull’energia atomica: “Qualcuno sostiene che aver dato gli scacchi bianchi al filonucleare comunica in modo subliminale che quella è la parte migliore”. Testa ha ragione. E’ inutile analizzare i contenuti visivi e testuali di uno spot televisivo per capire da che parte tira. Si fa molto prima a guardare chi lo paga. E così si scopre che, in un Paese dove l’opposizione è accusata di ostacolare la regolare attività di governo, qualcuno considera normale che la lobby nucleare si tassi per affidare a se stessa l’informazione equilibrata da dare al popolo.

Testa conosce l’argomento. L’E-nel l’ha scelto per sanare i danni gravissimi da lui stesso prodotti alla cultura nucleare nazionale negli anni ‘80, quando guidava le manifestazioni per fermare le centrali. E’ lui che il 9 novembre 1987, deputato comunista, così commentava l’esito del referendum nucleare: “Il risultato è di grandissimo interesse politico. La battaglia è stata dura per i grossi interessi in campo”. Adesso evidentemente non ci sono più interessi in campo. Forse i 6 milioni stanziati per la campagna pubblicitaria sono disinteressati. E così, con la mente libera di spaziare senza pregiudizi nelle ampie praterie della conoscenza, l’ex leader antinucleare inonda tv e giornali con lo spot che invita a informarsi in modo serio, senza stare a sentire le assurdità propalate dai suoi successori di Legambiente e simili.

Lo spot
Creato dalla Saatchi & Saatchi così velocemente da andare in onda prima che il Forum nominasse il comitato scientifico che doveva approvarlo, rappresenta una partita a scacchi tra un favorevole e un contrario al nucleare, che sono poi la stessa persona, a rappresentare il dubbio che è in noi. Il dubbioso ha il nero, però muove per primo: “Sono contrario all’energia nucleare perché mi preoccupo per i miei figli”. Apertura generica. Il bianco replica mostrando conoscenze specifiche: “Sono favorevole perché tra cinquant’anni non potranno contare solo sui combustibili fossili”. E con i combustibili fossili, che tutti i telespettatori hanno imparato a enumerare fin dalle elementari, i figli sono sistemati.

Lo spaesato ci riprova: “Ci sono dei dubbi sulle centrali”. E’ ancora generico e disinformato, e il granitico lo infilza di nuovo: “Ma non ce ne sono sulla sicurezza”. E passa la paura. Terzo tentativo: “Il nucleare è una mossa azzardata per il Paese”, ci riprova l’ignorante. “O forse è una grande mossa”, insinua l’ottimista con il tono di chi sa a chi chiedere le dritte per vincere in Borsa. La voce neutrale dell’arbitro chiude lo spot: “E tu sei a favore o contro l’energia nucleare? O non hai ancora una posizione?”. Inutile qui ricordare i commenti diffusi nella Rete sui gradi angolari della posizione che lo spot suggerisce (subliminalmente) al cittadino.

Il caso
Lo spot finto neutrale solleva un problema più generale. L’informazione equilibrata e obiettiva sul nucleare, gestita dal Forum di Chicco Testa, è finanziata (fino a oggi per 7 milioni, mentre il budget 2011 è ancora in fase di definizione) dalle seguenti aziende, in ordine alfabetico: Alstom, Ansaldo Nucleare, Areva, Confindustria, Eon, Edf, Edison, Enel, Federprogetti, Gdf Suez, Sogin, Stratinvest Ru, Techint, Technip, Tecnimont, Terna, Westinghouse. Tra i soci del Forum ci sono anche Cisl e Uil di categoria, più alcune Università italiane.

I dirigenti del Forum sono, oltre a Chicco Testa, Bruno D’Onghia (capo in Italia dell’Edf, gigante elettrico nucleare francese), Karen Daifuku (nota lobbista internazionale del settore), e tre dirigenti Enel: Giancarlo Aquilanti, Paolo Iammatteo e Federico Colosi. L’associazione è fondata sul “supportoorganizzativoestrategico” della Hill & Knowlton, multinazionale della comunicazione. Testa, che non disdegna mai la polemica, replica alle critiche degli antinuclearisti con una provocazione: “Mi diano sui loro siti lo stesso spazio che noi diamo a loro sul nostro Forum”.

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12 dicembre 2010

Professor Balle Nucleari

Dal blog di Greenpeace.it, a firma di G. Onufrio

Umberto Veronesi continua a deliziarci con le sue sparate a favore del nucleare. Dice per esempio che potrebbe dormire avendo in camera da letto scorie nucleari: “non esce neanche la minima quantità di radiazioni” (AGI, La Repubblica, 30 novembre). Se un’affermazione di questo tipo la facesse come Presidente dell’Agenzia di sicurezza nucleare in qualche documento ufficiale, Veronesi andrebbe denunciato per falso ideologico. E se continuasse a promuovere il nucleare più che a controllarlo violerebbe nella sostanza la Direttiva UE 71/2009, che separa nettamente le due funzioni.

Anche a beneficio del prof. Veronesi, diamo qualche dato. A seconda del tipo di contenitore, la radioattività delle scorie vetrificate a un metro di distanza è di 40, 100 o 200 microSievert all’ora (World Nuclear Transport Institute, luglio 2006). Supponendo che il professor Veronesi dorma 6 ore a notte (è un tipo iperattivo, pare…), ci passerebbe 2.190 ore all’anno, assumendo quindi da 87 a 438 milliSievert (mSv) all’anno (radiazioni gamma e neutroni). La dose massima consentita per un individuo della popolazione è di 1 mSv all’anno. I lavoratori addetti sono, invece, autorizzati a prenderne 20 all’anno. Altro che sonni tranquilli: Veronesi si beccherebbe una dose di radioattività che, grosso modo, è da 80 a 430 volte oltre quella consentita.

Forse il Prof. spera di diventare fosforescente e risparmiare sull’abat jour? Purtroppo così al massimo si fa le lastre ai raggi gamma…

Se invece il professore preferisse tenere in camera da letto materiali nucleari non irraggiati, allora se la passerebbe molto meglio: in questo caso, infatti, si beccherebbe da 1 a 6 microSv all’ora con una dose annuale tra 2 e 12 mSv: dal doppio a 12 volte la dose massima.
Quali le conseguenze? Se, per assurdo, tutti i cittadini italiani seguissero il prof. Veronesi nell’esperimento in questione, avremmo oltre 250 mila casi di tumore fatali all’anno (le stime si riferiscono al tasso di esposizione di cui sopra: non sono di Greenpeace ma dell’ICRP la Commissione Internazionale per la protezione dalla radiazioni). Dubitiamo che basti il Prof. Veronesi a curarli tutti, e sarebbe meglio se il Prof. si facesse almeno un corso rapido sul tema per evitare di dire castronerie del genere.

Il problema è che queste balle non sono le sole di questo suo “battesimo nucleare”. Un’altra riguarda il deposito delle scorie. Il Prof. ci rassicura: questo problema non esiste perché secondo lui le potremo mandare in Spagna dove “c’è una vera e propria gara” dei comuni per accaparrarsi il deposito temporaneo per le scorie nucleari (alla faccia di quei cattivoni di Scanzano Jonico che proprio non ne vollero sapere). In effetti, sugli 8.000 comuni spagnoli, solo 8 comuni (di 5 regioni) hanno dichiarato la loro disponibilità a ospitare le scorie. La gara va male anche perché tutte e cinque le regioni coinvolte si sono un po’ alterate e i parlamenti regionali si stanno opponendo con forza.

Ma qualcuno ha avvisato il governo spagnolo delle intenzioni del nostro futuro Presidente dell’Agenzia di sicurezza nucleare?

Un’altra notizia bislacca (veronesica, potremmo dire) è che in Svizzera sono state “ordinate” tre nuove centrali. Di sicuro ce ne sono tre che devono chiudere e le aziende elettriche le vorrebbero sostituire. La Camera dei Cantoni su iniziativa del Cantone di Basilea, quello più fortemente antinucleare, ha deciso di continuare la procedura decisionale sulle tre centrali che avrà termine con un referendum nel 2013. Mentre da noi i referendum zoppicano, in Svizzera vanno forte: di recente ce ne sono stati due (a carattere locale) che hanno sancito la fuoriuscita dal nucleare di Berna e St Gallen, che si aggiungono alle decisioni antinucleari già prese dalle città di Zurigo, Basilea e Ginevra.

Conclusione: Veronesi straparla del nucleare e vorrebbe essere quello che ci “proteggerà” dalle centrali di Berlusconi e ENEL. Ma chi proteggerà Veronesi da sé stesso? E chi proteggerà noi dalle balle di Veronesi?


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Leggi anche: http://www.terranews.it/news/2010/12/dietro-lo-scenario-spunta-il-bluff-nucleare

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26 novembre 2010

Dietro la maschera di enel

Pregevole articolo di Vincenzo Comito, sbilanciamoci.info:

"Enel, la finanza e l'atomo"
Profitti rosei dalle bollette, presagi grigi dalla gestione finanziaria, look verde molto patinato. Questi i colori del colosso dell’energia, nazionalizzato nel ‘62 e privatizzato nel 1992. Alla vigilia dell’avventura nucleare, in cui Enel è immerso fino al collo.
L’Enel nasce nel 1962 con la nazionalizzazione dell’industria elettrica, azione che rappresentava un punto programmatico fondamentale della nuova alleanza di centro-sinistra varata allora nel nostro paese con l’ingresso del partito socialista nel governo. Il nuovo ente metteva insieme le attività sino ad allora esercitate da un rilevante numero di imprese private che fornivano l’energia agli utenti su di una base territoriale più o meno ristretta. Il sistema era inefficiente, offriva un servizio di cattiva qualità a costi molto alti, ottenendo invece profitti in media molto elevati. Il nuovo ente nasceva con molte speranze e con obiettivi ambiziosi, ma darà risultati non certamente all’altezza di tali aspettative iniziali. Inoltre, i soldi ottenuti dalle società private come indennizzi per le nazionalizzazione verranno in gran parte sprecati in iniziative imprenditoriali molto discutibili. Comunque, ancora oggi i prezzi dell’energia in Italia sono molto superiori a quelli medi europei e il servizio vi appare tra i più scadenti.
Tra le altre date da ricordare per quanto riguarda la società va sottolineato il successivo processo di privatizzazione varato nel 1992, che lascerà peraltro in mano all’operatore pubblico il 30% circa del capitale, secondo una formula che sarà comune ad altre società privatizzate, quali l’Eni e la Finmeccanica.
Nel 1999 viene costituita in seno all’Enel, su disposizione del potere politico, la società Terna, cui viene conferita la rete di trasmissione ad alta tensione; successivamente, tale società verrà quotata in borsa mentre l’operatore pubblico manterrà di nuovo circa il 30% del capitale nelle sue mani.
Sempre nel 1999 viene decretata la fine del monopolio Enel e la liberalizzazione del mercato elettrico. A tale scopo, tra l’altro, la società viene obbligata a cedere ai concorrenti una parte delle centrali di sua proprietà.
Nel 2007 l’impresa acquisisce il 92% del capitale di Endesa, la principale società elettrica spagnola. Si tratta del più importante atto di un processo di internazionalizzazione più vasto già intrapreso prima di tale data, processo che vede l’Enel diventare un protagonista del settore in numerosi paesi, europei e non. Da qualche anno la società si è anche inserita nel settore del gas naturale; essa è diventata oggi il secondo operatore del comparto in Italia dopo l’Eni, con una quota di mercato pari a circa il 10%.
Dati recenti
L’Enel è diventata una delle principali società del settore energetico a livello mondiale. Considerando i dati relativi al 2009, al primo posto si collocava la francese GDF Suez, con 84 miliardi di euro di fatturato, seguita dalla tedesca E.ON, con 82 miliardi, poi dall’altra francese EDF, con 66 e subito dopo da Enel con 64 (Nora, 2010).
La società italiana possiede la leadership di mercato, oltre che in Italia e in Spagna, anche in alcuni paesi dell’Europa dell’Est e dell’America Latina.
Su di un totale di 95,7 MG di capacità installata a livello mondiale, 40,6 sono collocati in Italia, 23,6 in Spagna, 17,1 nelle Americhe, 13,5 nell’Europa dell’Est. Per quanto riguarda le modalità di produzione dell’energia, 31 MG derivano da centrali idroelettriche, 26 da centrali a petrolio e gas, 12 da centrali con turbine a gas a ciclo combinato, 18 da unità a carbone, 5,3 da unità nucleari, mentre infine 3,3 MG provengono da fonti rinnovabili, compresa la geotermia.
La società occupava 81.200 persone a fine 2009, con un incremento di 5.200 unità rispetto all’anno precedente, incremento dovuto peraltro prevalentemente all’assorbimento di altre imprese nel perimetro del gruppo. Del totale degli occupati, circa 43.100 lavoravano all’estero e 38.100 in Italia, secondo un trend che vede la quota nazionale diminuire nel tempo in misura rilevante.
L’Enel, così come del resto la Terna, nata a suo tempo da una costola della società, presenta una redditività sostenuta. Nel 2006 gli utili netti erano di circa 3,0 miliardi di euro; essi erano saliti a circa 4,0 nel 2007, mentre nel 2008 essi sono stati pari a circa 5,3 miliardi e a 5,4 miliardi nel 2009; in quest’ultimo anno la società presenta il livello di profitti più elevato in assoluto tra tutte le società italiane, complice peraltro il forte calo di redditività nello stesso anno dell’Eni, in relazione alle difficoltà del settore petrolifero.
La diversificazione internazionale sembra aiutare in qualche modo tali margini di redditività. Ma i profitti sono da collegare, nel caso dell’Enel e anche della Terna, come delle altre principali società elettriche operanti nel nostro paese, non a presunte capacità manageriali dei gruppi dirigenti delle varie imprese, ma al fatto che nel settore vigono delle tariffe amministrate controllate dai governi, con i quali di solito ci si può intendere facilmente. L’apertura del mercato, che si è verificata in seguito alla liberalizzazione del settore, non ha modificato se non in misura modesta tale quadro.
Una visione meno rosea della situazione si ricava considerando invece gli aspetti finanziari della gestione. Il debito finanziario netto a livello di gruppo era pari a 12,3 miliardi di euro nel 2006 e a 11,7 miliardi nel 2006; nel 2007 esso era aumentato all’elevatissimo importo di 55,8 miliardi e al 30 giugno 2010 esso si collocava ancora intorno ai 53,9 miliardi di euro. La società italiana è una delle più indebitate di tutto il continente europeo. Il costo medio del debito si aggirava, tra il 2007 e il 2010, tra il 5% e il 5,5% annuo, generando, tra l’altro, oneri finanziari molto elevati. La ragione fondamentale di tale salto nel 2007 è da attribuire all’acquisizione, avvenuta nello stesso anno, della quota di controllo della spagnola Endesa, costata circa 40 miliardi di euro.
Va considerato, tra l’altro, a questo proposito, che la francese EDF, che nel 2009 presentava un fatturato complessivo leggermente superiore a quello di Enel -66 contro 64 miliardi di euro – , appare da tempo preoccupata per l’entità del proprio debito che, per la verità, è pari a meno della metà di quello della società italiana, collocandosi a fine 2009 intorno ai 25 miliardi di euro (Thomas, 2009), con un rapporto quindi tra debito e fatturato nello stesso anno pari al 37,8% per la società francese, contro il 79,5% dell’Enel.
La società ha come obiettivo dichiarato quello di riportare il livello dell’indebitamento a 39 miliardi nel 2014 – valore che rimarrebbe comunque molto alto-; questo risultato sarebbe ottenuto attraverso la generazione interna di flussi di cassa, una importante politica di dismissioni, tra cui la cessione sul mercato di una quota dell’Enel Green Power, nonché una rilevante riduzione degli investimenti e dei dividendi.
Ma tale programma è soggetto a molte incertezze, tra le quali un possibile abbassamento del rating da parte delle agenzie internazionali, che farebbe aumentare gli esborsi per interessi passivi, nonché un possibile andamento della redditività meno brillante delle previsioni. Va anche considerato che gli investimenti per il nucleare –se realmente portati avanti- potrebbero, in ogni caso, spingere di nuovo verso l’alto, dopo il 2014, il livello degli stessi debiti. Si stima –stima che potrebbe anche rilevarsi molto inferiore alla realtà-, che i programmi nucleari cui parteciperà l’Enel richiederebbero investimenti per circa 32 miliardi di euro, di cui 25 in Italia (Thomas, 2010).
L’Enel, la politica energetica italiana e i costi del nucleare
Nel febbraio del 2009, sulla base di una chiara scelta da parte del governo italiano per un ritorno al nucleare e in relazione anche ad accordi politici tra il nostro governo e quello francese, Enel e EDF hanno firmato un accordo che pone le basi per un nuovo sviluppo congiunto dell’energia nucleare nel nostro paese. Le due società si impegnano a varare almeno quattro centrali con tecnologia ERP. Secondo i programmi concordati la prima centrale dovrebbe entrare in esercizio nel 2020. E’ prevista una partecipazione di maggioranza dell’Enel nella proprietà e nell’esercizio degli impianti. L’accordo è aperto alla partecipazione di terzi. Sembrerebbe interessata alla partita, tra l’altro, la Edison.
Sulla base di un altro accordo con EDF, l’Enel parteciperà contemporaneamente, in posizione di minoranza, alla realizzazione in Francia di altri cinque reattori a tecnologia EPR.
A livello di imprese che dovrebbero collaborare alla costruzione delle centrali si parla di Ansaldo-gruppo Finmeccanica e Techint per la parte italiana e ovviamente per la parte francese di Areva, il leader mondiale dell’industria nucleare, operante nel settore della progettazione e costruzione di centrali nucleari e servizi collegati –si tratta anche della società titolare della tecnologia EPR.
Bisogna ora considerare che le centrali ad energia nucleare sono molto costose da costruire; si parla di 5 miliardi di euro per un impianto da 1600 MW, costo pari a circa 8 volte quello di una centrale a gas della stessa potenza (Greenpeace, 2009). Vanno poi ricordati gli enormi costi di decommissioning, anche essi se sono protratti molto in là nel tempo. Comunque il ritorno economico sugli investimenti è molto lento, anche se i costi di gestione durante la vita delle centrali sono ridotti.
Il reattore finlandese in costruzione da qualche anno sotto la guida di Areva e le cui tecnologie sono molto simili a quelle che dovrebbero essere utilizzate in Italia, ha più di tre anni di ritardo sui tempi programmati – i lavori dovevano essere terminati nel 2009, mentre invece si arriverà, come minimo, alla fine del 2012- , mentre il costo dell’investimento è nel frattempo lievitato dai 3,0 miliardi di euro iniziali ad almeno 5,5-6,0 miliardi e mentre sono emersi anche rilevanti problemi di sicurezza. Bisogna anche ricordare le passate esperienze dell’Enel nel settore in Italia, con impianti inaffidabili e con costi e tempi di realizzazione che hanno ecceduto di gran lunga le previsioni (Greenpeace, 2009).
Per molti, più in generale, l’elettricità derivata dal nucleare non è economica, oltre che fonte di rischi rilevanti. Secondo studi recenti (Silvestrini, 2010) essa è più costosa del carbone, del gas, del petrolio e dell’eolico. Molto dipende peraltro dai sussidi e da altre agevolazioni pubbliche; non si ha in effetti notizia di centrali atomiche costruite e gestite nel mondo senza un qualche importante apporto statale. Senza tale intervento è molto difficile che delle imprese si decidano di rischiare dei capitali in proprio.
In occasione del convegno annuale dello studio Ambrosetti a Cernobbio, nel settembre del 2010 i responsabili dell’Enel hanno affermato che con la costruzione delle centrali nucleari i prezzi dell’elettricità in Italia si sarebbero abbassati del 25-30%. Si tratta di cifre senza alcun fondamento (Silvestrini, 2010), che fanno parte di una campagna volta a dimostrare all’opinione pubblica che il nucleare è poco costoso e sicuro. In realtà, con la costruzione di tali centrali appare più probabile che i prezzi aumentino.
La costruzione degli impianti atomici in Italia, visti gli eventuali tempi lunghi di costruzione delle centrali, non potrebbe peraltro avere alcun ruolo nella corsa alla riduzione dei gas serra entro il 2020, riduzione in merito alla quale peraltro l’Italia non sembra stia facendo molto.
La politica energetica italiana, volta più in generale ad un ritorno al nucleare e al carbone, le due fonti più pericolose e sporche, nonché caratterizzata da una scarsa attenzione alle energie rinnovabili e ai programmi di aumento dell’efficienza energetica, rischia di relegare la penisola alla condizione di paese energeticamente sottosviluppato (Greenpeace, 2009). In effetti, oltre all’iniziativa sul nucleare, l’Enel sta anche portando avanti l’apertura di nuove centrali a carbone e la conversione a carbone di centrali già funzionanti da tempo con altre tecnologie. Va sottolineato che il tale combustibile è quello con le più alte emissioni di gas serra. Bisogna anche considerare che, in ogni caso, appare sostanzialmente impossibile che i tempi dichiarati ufficialmente per il programma nucleare vengano rispettati e ci sono anche delle speranze che tali progetti non verranno mai realizzati o che comunque essi saranno almeno ridimensionati.
Le presunte credenziali verdi dell’Enel
L’Enel ha costituito nel 2008 la “Enel Green Power”, mettendo insieme le sue attività nel settore delle energie rinnovabili. La nuova società sarà introdotta in Borsa nell’ottobre del 2010, con l’offerta al mercato di circa il 30% del suo capitale. L’operazione ha fruttato a consuntivo circa 2,6 miliardi di euro di denaro fresco per la capogruppo –abbastanza meno di quanto il gruppo dirigente dell’azienda sperava-, che con tale iniziativa cerca di accreditarsi contemporaneamente, almeno nelle intenzioni, come fortemente sensibile ai temi ecologici.
Ma gli scettici riguardo a tale operazione sono molti; essi sottolineano, tra l’altro, come in realtà l’amministratore delegato della società, Fulvio Conti, sia uno dei nemici più convinti delle tematiche ambientaliste, avendo tra l’altro dichiarato la sua contrarietà alle conclusioni del gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sul tema, gruppo che valutava come molto probabilmente l’aumento delle temperature globali sia causato dalle emissioni umane (Dinmore, 2010). Un consulente del settore, A. Consoli, giudica Conti come un campione della vecchia scuola dell’energia, che combatte i movimenti verdi e porta avanti delle cattive politiche accompagnate da campagne pubblicitarie devianti (Dinmore, 2010). La società, ancora recentemente, ha inoltre manifestato la sua opposizione alle norme più restrittive progettate dai ministri dell’Unione Europea in tema di permessi alle emissioni di gas serra (Dinmore, Crooks, 2010). L’Enel è, tra l’altro, il più grande emettitore di tali gas del nostro paese e non sembra voler fare nulla per ridurli in maniera significativa.
Greenpeace ricorda peraltro come nella nuova entità avviata dall’Enel, escludendo gli impianti idroelettrici e geotermici presenti in Italia da moltissimi decenni, le altre energie rinnovabili pesino meno dell’1% della produzione di energia di Enel in Italia (Greenpeace, 2010).
D’altro canto, cedendo una parte delle azioni della società Enel Green Power, l’Enel rinuncia anche ad una parte degli utili; bisogna ricordare, a tale proposito, come quello delle energie rinnovabili sia il settore più redditivo presente all’interno del gruppo.
Per quanto riguarda l’azionista pubblico, va sottolineato che, ridimensionando l’Enel in maniera molto importante i dividendi per diminuire nei prossimi anni il livello dell’indebitamento, si riducono contemporaneamente le entrate dello stato italiano per circa 1,25 miliardi di euro all’anno, mentre i contribuenti hanno già versato 2,5 miliardi per l’aumento di capitale effettuato nel 2009 (Thomas, 2009). Questo significa che una parte consistente del peso finanziario del processo di internazionalizzazione della società verrà pagato da noi, come molto probabilmente ricadrà sui contribuenti una parte importante degli investimenti nelle centrali nucleari, se mai si faranno.

Testi citati nell’articolo
-Dinmore G., Crooks E., Enel sounds alarm over tight emission rules, www.ft.com, 17 marzo 2010
-Dinmore G., Enel’s green credentials challenged ahead of IPO, www.ft.com, 21 giugno 2010
-Nora P. (a cura di), A nous, le vaste monde, Le Nouvel Observateur, 19-25 agosto 2010
-Greenpeace, Stop carbone! Efficienza energetica adesso, Documenti e rapporti, Greenpeace Italia, Roma, 2009

-Silvestrini G., Disinformazione nucleare, www.qualenergia.it, 8 settembre 2010
-Thomas S., Enel. Prospettive e rischi degli investimenti in energia nucleare, rapporto per Greenpeace Italia, Documenti e rapporti, Greenpeace Italia, Roma, 2009
(Vincenzo Comito, sbilanciamoci.info)

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