No al carbone Alto Lazio

31 marzo 2009

L'incidente nucleare a Three Mile Island (USA) - 30 anni dopo

Invito alla lettura:
"Three mile Island trent'anni dopo: quante radiazioni e quanti morti?"

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Replica alla "risposta" di enel sulla nube

Comunicato stampa del Forum ambientalista in risposta ad enel
La repentina risposta dell’ENEL alla pubblicazione delle foto sulle emissioni della centrale di TVN del 24 u.s. è’ offensiva per l’intelligenza della popolazione dell’Alto Lazio.


Con quale credibilità ENEL, quella condannata a Porto Tolle per “illecite emissioni di fumi in casi non consentiti dalla legge” nonché per “danneggiamento aggravato del patrimonio pubblico e privato”, quella stessa ENEL che negava gli effetti inquinanti della centrale di Brindisi fino a che non è stato fatto divieto di coltivare nei campi limitrofi,alla stessa, può affermare che la nube che sovrastava Civitavecchia era un semplice effetto ottico, che comunque era composta di solo vapore acqueo e che, infine, quel giorno la centrale andava a metano?
Un copione già visto quando dalla centrale, alcuni mesi fa, si alzo un’inquietante nube rossa che ENEL si affrettò a chiarire composta di sola ruggine e confinata (SIC!) nei soli limiti del cantiere di TVN.
Come se, peraltro, fosse normale che cittadini e lavoratori del cantiere siano costretti a respirare aria satura di ruggine!
Quanto ancora dovremo accettare che all’ENEL sia concesso di comportarsi da padrona del vento e dell’aria, e finanche della nostra salute, e di certificare da sola il proprio operato fungendo, nel contempo, da controllata e da controllore?
Qualcuno tra le istituzioni competenti, Ministero dell’Ambiente, Regione, Sindaci compiacenti, ha avuto il coraggio di dire ai cittadini dell’Alto Lazio che, grazie al loro immobilismo, quand’anche vi fossero, come probabilmente vi sono, sforamenti ai limiti di emissioni previsti dalle norme vigenti, quest’ultimi non possono né essere certificati né tanto meno sanzionati in quanto l’Autorizzazione unica relativa alla riconversione a carbone non contiene in alcuna parte misure relative alla fase diverse dal normale esercizio quali quelle di avvio e collaudo?
Proprio al fine di evidenziare il pericolo per l’ambiente e la salute della popolazione derivante dalla già avvenuta, e tuttora in corso, messa in esercizio dell’impianto senza l’individuazione di specifici limiti prescrittivi, la nostra associazione, unitamente al Movimento No Coke Alto Lazio, ha presentato formale denuncia/esposto alla Procura della Repubblica di Civitavecchia.
Il silenzio delle Istituzioni, su questo come su tanti altri aspetti relativi alla condotta di ENEL, ha reso ormai evidente a tutti che la salute della popolazione e il futuro di questo territorio sono il prezzo pagato dai Sindaci per ottenere quei maledetti milioni di euro elargiti da ENEL a seguito dell’approvazione di quelle vergognose convenzioni.
Vogliamo infine invitare ENEL ad usarci la compiacenza di evitare di continuare ad illustrarci le bontà della sua mercanzia, la cui qualità è testimoniata non solo da quanto vediamo con i nostri occhi, ma anche e soprattutto dalle percentuali di mortalità e morbilità da sempre altissime sul nostro comprensorio.
Non risolverebbe il problema, ma almeno farebbe miglior figura!
La responsabile locale
Simona Ricotti

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29 marzo 2009

"riconoscimento dei danni alla salute causati dall'inalazione di polveri di carbone negli operai"

Riceviamo e pubblichiamo
Centinaia di migliaia di operai del Regno Unito hanno ottenuto una vittoria storica: il, la loro quantificazione e il relativo risarcimento economico. Sono state presentate oltre 600.000 richieste d’indennizzo per i danni conseguenti l’inalazione di polveri di carbone.


Il danno riconosciuto e oggetto del risarcimento è la Bronco Pneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO). Questa è una malattia dell'apparato respiratorio caratterizzata da un'ostruzione irreversibile delle vie aeree, di entità variabile secondo la gravità. La BPCO (nota in inglese come COPD, Chronic Obstructive Pulmonary Disease) è solitamente progressiva ed è associata a uno stato d’infiammazione cronica del tessuto polmonare. La conseguenza a lungo termine è un vero e proprio rimodellamento dei bronchi, che provoca una riduzione consistente della capacità respiratoria.


Ad aggravare questo quadro clinico è l’aumento della predisposizione alle infezioni respiratorie di origine virale, batterica o fungina. Non esiste al momento una cura efficace, ma sono disponibili diversi trattamenti per controllare i sintomi e per evitare pericolose complicanze. Sebbene il fattore di rischio più importante sia il fumo di sigaretta, la BPCO è una nota complicanza dell’esposizione cronica alle polveri di carbone.


Invitiamo tutti gli operai che durante la loro attività lavorativa siano stati in contatto con le polveri di carbone e sono affetti da sintomi importanti a carico delle vie respiratorie, a recarsi dal proprio medico di fiducia per escludere una BPCO, un suo eventuale rapporto causale con il lavoro svolto e, se così fosse, l’inizio anche in Italia come nel Regno Unito di una richiesta di risarcimento nelle sedi opportune.

Coordinamento Nazionale dei Comitati dei Medici per l’Ambiente e la Salute (Lazio)

Società Internazionale dei Medici per l’Ambiente (Alto Lazio)

http://www.nao.org.uk/publications/0607/coal_health_compensation.aspx

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TVN torna a benedire le popolazioni coi suoi fumi


foto diffuse dai comitati nocoke

da centumcellae.it
Al calar del sole dalla centrale ufficialmente non ancora in funzione fuoriesce una tenebrosa cappa che avvolge la città. E i controlli?

CIVITAVECCHIA – Sonni tranquilli per i civitavecchiesi, tanto c'è mamma Enel che ci guarda e ci protegge. Come il fumo biancastro e denso che martedì sera, come immortalato dalla foto inviataci da alcuni no coke, fuoriusciva dai camini della centrale di Torre Valdaliga Nord avvolgendo cupamente l'intera città. Centrale a cosiddetto “carbone pulito” che, ufficialmente, non è ancora in funzione e quindi non dovrebbe produrre alcun fumo. Fermo restando che invece i fumi escono eccome, ovviamente quando il sole cala e la notte oscura alla vista della maggiorparte dei cittadini l'esalazione “pulita” che esala il lungo camino biancorosso, secondo una chiara strategia aziendale per cui “occhio non vede, cuore non duole”. Chi mai infatti controllerà che cos'è quel fumo uscito dalla ciminiera? Sicuramente nessuno, dato che, come ricordano i comitati no coke, attualmente non vi possono essere controlli dal momento che secondo il Ministero dello Sviluppo Economico quella attuale non è una fase da sottoporre a controllo. E il Sindaco? E l'assessore all'Ambiente? E l'Osservatorio ambientale? Ci sono in questa città? Esistono davvero? Come sono lontani quei tempi in cui si discuteva della centrale a carbone ed Enel, politici, imprese e pro coke si sperticavano per rassicurare i cittadini che i controlli sull'inquinamento di Tvn sarebbero stati ferrei e non c'era nulla da temere. Eccoci serviti.

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22 marzo 2009

Parco nazionale dei monti della Tolfa

da civonline.it
"ALLUMIERE - Un no secco ad ogni ipotesi di discarica allo Spizzicatore ed una proposta nuova: puntare su un parco nazionale della Valle del Mignone e dei Monti della Tolfa. A parlare è Giuseppino Cammilletti, sindaco di Allumiere

per due mandati, dallo scorso anno all’’opera su tutto il territorio per cercare di costruire un Partito Democratico “dove si faccia politica e si mettano da parte i litigi e le divisioni di tipo personalistico”. «“Mi ha fatto piacere - afferma Cammilletti -– notare come sull’’idea dell’’Ama e del Campidoglio di realizzare una maxi discarica ad Allumiere si sia levato un coro unanime di protesta e ferma opposizione. Ritengo però che sia necessario avanzare contemporaneamente anche una contro-proposta forte: a chi vorrebbe speculare sull’’ambiente, contrapponiamo l’’idea di realizzare un parco nazionale che ci consenta di tutelare le nostre ricchezze paesaggistiche e naturalistiche, sfruttando al tempo stesso le opportunità derivanti dai flussi turistici del porto di Civitavecchia»”. Da anni si parla, senza essere pervenuti a risultati concreti, del parco regionale dei Monti della Tolfa, «Anche questa –- afferma Cammilletti -– è un’idea da superare. Aveva senso proporre una battaglia quando c’’era la possibilità di essere inseriti nel piano regionale dei parchi. Oggi non ci sono più spazi di manovra a questo livello, e per di più con la istituzione della Zps vengono meno anche alcune motivazioni di tutela ambientale. Continuare la diatriba con i cacciatori non serve, per di più con il diverso approccio dei Comuni stessi: non mi sembra, ad esempio, che a Tolfa si riesca a dare la stessa risposta di Allumiere. Ma ad ogni modo, quello che servirebbe oggi è un salto di qualità anche nella proposta politica»”. Cammilletti quindi lancia la sua idea:“ «Coinvolgiamo sindaci e parlamentari del territorio dell’alto Lazio, oltre a Provincia e Regione, per una proposta di legge per l’istituzione del parco nazionale della Valle del Mignone e dei Monti della Tolfa. Ci sarebbe la possibilità di attivare finanziamenti a livello nazionale per risolvere i problemi territoriali di occupazione e tutela ambientale, dando anche una risposta forte e univoca del territorio su una problematica (chiaro il riferimento al carbone) che in questi anni ha prodotto solo lacerazioni sul territorio».

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"“VERTENZA MAREMMA”: FESTA DELLA PRIMAVERA A CAPALBIO CONTRO LE MALVAGITA’ RISERVATE A QUESTO TERRITORIO"

riceviamo e pubblichiamo
Trentadue anni fa, a inizio primavera, nasceva a Capalbio il movimento antinucleare che, alcuni anni dopo, avrebbe promosso il referendum popolare per la chiusura delle centrali atomiche italiane e dato impulso alla sospensione dei programmi nucleari degli altri paesi. Siamo nel 2009: è tornata l'emergenza nucleare in Maremma; le lobby energetiche hanno imposto al Governo di irridere la volontà degli italiani che nel 1987 coniugarono ragione, emozioni e buon senso e dissero no alle centrali.

Per carpire un consenso distratto oggi si usano definizioni ad effetto come “nucleare di terza generazione”, parole nuove per una tecnologia vecchia. Il segretario dell' Associazione Nucleare Italiana, in una recentissima intervista ha dichiarato che il nucleare di terza generazione, a parità di uranio impiegato, si differenzia dal precedente per il fatto che produce il 15% in più di energia, costa il 15% in meno e riduce in parte la radioattività che colpisce quanti lavorano nelle centrali; praticamente un lifting; è sufficiente poi cercare in Internet il parere di esperti autorevoli, che non risultino sul libro paga delle lobby energetiche, per comprendere che nulla è cambiato per quanto riguarda le scorie e gli incidenti nucleari. Insomma un'altra sòla.

Purtroppo la Maremma oltre la questione nucleare deve affrontare altre emergenze, come la centrale a carbone di Civitavecchia, in corso di completamento e l'autostrada A12 fortemente voluta dal ministro Matteoli.

Monumenti all'insipienza umana e cartina di tornasole del distacco, dei professionisti della politica, dalla gente.

I decisori politici, a tutti i livelli, si muovono dentro partiti incapaci di ascoltare il battito dei cuori e il respiro delle persone. I decisori politici vedono solo due cose: i soldi e la rielezione; sono in genere molto sensibili alle grandi opere che generano lucrosi guadagni per gestori e concessionari e garantiscono ossigeno per i partiti; e alle popolazioni locali i danni. Grazie alla complicità dei decisori politici vengono esternalizzati la maggior parte dei costi.

Ad esempio il costo del chilowattora per il gestore della centrale a carbone di Civitavecchia è di circa 5,5 eurocent e nessun decisore politico lascia affiorare il fatto che ci sono altri 10 eurocent di costi occulti, che il carbone porta con sé come spese sanitarie per i futuri malati e come danno all'ambiente e all'economia agricola e turistica.

Un ragionamento analogo si può fare per l'autostrada A12. Una ricerca sviluppata nel 2006 dall'Università di Brescia indica che l'incremento della velocità massima, dai 90 km/h dell'Aurelia ai 130 km/h dell'autostrada, fa mediamente raddoppiare gli inquinanti emessi dai motori. Si aggiunga poi che per fare cassa il flusso veicolare aumenterà di 2 volte e mezzo, dagli attuali 16.000/18.000 a 40.000/45.000 al giorno, con una forte deviazione del traffico dell'autostrada Milano-Roma verso la A12.

Quale decisore politico s'è preoccupato di sapere che cosa succede sommando gli inquinanti dell'autostrada a quelli emessi dalle centrali elettriche, dal porto di Civitavecchia e da tutte le porcherie che menti criminali hanno in serbo per questo territorio e i suoi “miti” abitanti? Alla Festa di Capalbio si parlerà molto di autostrada, ma la vertenza è unica e si chiama “Vertenza Maremma”.

Si farà festa per cercare e trovare uno spirito di gruppo, si ascolteranno persone autorevoli e si preparerà una strategia comune per affrontare le malvagità riservate a questo territorio e per dire che la misura è colma.



Comitato dei Cittadini Liberi

http://cittadiniliberi.blogspot.com

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18 marzo 2009

Arsenico Denuncia dei Medici alla Procura di Civitavecchia



Clic qui per scaricare il documento

PROCURA DELLA REPUBBLICA PRESSOIL TRIBUNALE DI CIVITAVECCHIA

ESPOSTO - DENUNCIA

Il Coordinamento Nazionale dei Comitati dei Medici per l’Ambiente e la Salute (CNCMAS - sez. Lazio)

L’Associazione Italiana dei Medici per L'ambiente (ISDE - International Society of Doctors for the Environment - sez. Alto Lazio)

ESPONGONO quanto segue


il Comune di Civitavecchia, con delibera della Giunta Regionale del Lazio n. 521 del 14/02/1995, risulta inserito tra le aree a rischio di inquinamento per la presenza di tre centrali elettriche situate complessivamente, in linea d’aria, entro un raggio di circa 15 km dalla città, un porto sede di intenso traffico navale ed il traffico stradale;
l’incenerimento dei rifiuti, la combustione dell’olio combustibile e del carbone, l’industria mineraria e l’uso dei pesticidi hanno una importanza rilevante nell’inquinamento ambientale da arsenico, non inferiore alle cause naturali (Guidelines Canadian Drinking Water quality, 2006; EPA, Locating and Estimating Air Emissions from Sources of Arsenic and Arsenic Compounds, 1998);
il troppo frequente ricorso a deroghe sui limiti dell’arsenico nell’acqua potabile nel comprensorio di Civitavecchia, conferma dello stato di inquinamento da arsenico già presente in questo territorio;
le emissioni di arsenico causate dalla combustione cinquantennale dell’olio combustibile, emissioni che, nella centrale di Torre Valdaliga Nord nell’anno 2002 (dichiarazione INES anno 2003) sono state di oltre “287 chilogrammi”;
la Valutazione di impatto ambientale per la conversione a carbone della Centrale di Torre Valdaliga Nord, fase istruttoria, ha rilevato che in alcune aree di Civitavecchia come Sant’Agostino, Unon influenzate significativamente dal trafficoU, la presenza di arsenico nell’aria ha raggiunto livelli medi annuali 10 volte superiori ai limiti consentitiU, Ucon punte di superamento di 40 volteU.
la Valutazione di impatto ambientale ha messo in evidenza che, in passato, le concentrazioni di arsenico e nickel possono essere state anche superiori e la popolazione essere stata esposta a concentrazioni “non accettabili”. Tale situazione rappresenta un segnale di allarme da considerare con grande attenzione;
la combustione del carbone è associata ad un aumento del rischio di emissioni di arsenico per il maggior contenuto di quest’ultimo nel carbone rispetto all’olio combustibile. L’arsenico è contenuto nell’olio in una quantità media di circa 10 - 37 μg/kg, ma può oscillare tra i 0.2 ed i 1.630 μg/kg (Stigter, Env. Poll. 2000). L’arsenico contenuto nel carbone mediamente non è superiore a 5.000 μg/kg, ma può arrivare fino a 35.000.000 di μg/kg secondo la provenienza (Stigter, Env. Poll. 2000);

emissioni nell’ambiente di arsenico, in seguito alla combustione del carbone presso la centrale di Torre Valdaliga Nord, sono dichiarate, anche se nei limiti di legge, nella trasmissione degli elementi integrativi ai fini del riesame dell’autorizzazione unica n. 55/02/2003, del 24/12/2003, limitatamente agli aspetti inerenti l’autorizzazione integrata ambientale.

CONSIDERATO
che nel rispetto del DL 3 agosto 2007, n. 152 e sue Modifiche ed Integrazioni, DL 26 giugno 2008, n. 120, in attuazione della direttiva 2004/107/CE relativa all'arsenico, il cadmio, il mercurio, il nichel e gli idrocarburi policiclici aromatici nell'aria ambiente, nel comprensorio di Civitavecchia l’arsenico avrebbe dovuto e dovrebbe essere monitorizzato. I dati ottenuti avrebbero dovuto e dovrebbero essere messi regolarmente a disposizione del pubblico.

CONSIDERATO INOLTRE
che il rischio di avere un cancro ai polmoni, al fegato, all’intestino, alla vescica, alla pelle ed al rene (US EPA 2003: Risk based concentration tables, riportato nella Relazione Istruttoria della V.I.A.) è di 1 caso su 1.000.000 per ogni 0.4 nanogrammi per metro cubo di aria;
che l’arsenico ha effetti acuti quali: irritazione locale: pelle, occhi, mucose; se inalati: tosse, dispnea, dolori al torace, laringite, bronchite, danni all’apparato respiratorio; se ingeriti: debolezza, disturbi gastro-intestinali, crampi muscolari, cianosi, coma, convulsioni, paralisi, morte; neuropatie periferiche, epato e nefrotossicità (UNEP/ILO/WHO. EHC 224. Arsenic and Arsenic Compounds);
che l’arsenico ha effetti cronici quali: congiuntivite faringite, ulcerazione e perforazione del setto nasale, iperpigmentazione e sensibilizzazione cutanea, ipercheratosi, disturbi respiratori, anemia, disturbi ematopoietici, danni cardiovascolari, neuropatie periferiche, diabete (UNEP/ILO/WHO. EHC 224. Arsenic and Arsenic Compounds);
che recenti studi hanno messo in evidenza che l’arsenico, anche a dosi molto basse quali quelle presenti nell’acqua potabile, rappresenta una importante minaccia per la salute delle popolazioni (Hamilton, EHP, 10/2007). Dosi molto basse di arsenico hanno effetti negativi su recettori ormonali fondamentali quali quelli dell’acido retinoico e degli ormoni tiroidei (Bodwell, JCRT, 12/2006). In passato era già stata provata la possibilità di questi effetti negativi sui recettori degli estrogeni e del testosterone. I recettori cellulari ormonali ricevono dei segnali specifici dagli ormoni ed innescano una risposta cellulare indispensabile per la vita. L’arsenico è capace di interferire negativamente sull’attività recettoriale ormonale (endocrine disruptors) e minare un normale sviluppo dell’essere umano;
che l’esposizione all’arsenico durante la gravidanza può causare dei cambiamenti nell’espressione genetica che possono condurre al cancro e ad altre malattie croniche anche dopo decenni (Ruchirawat, PLoS Genetics, 11/2009);
che nell’ottobre 2006, presso questa Procura, è stato presentato un esposto da parte di comitati e cittadini sull’obbligo dello screening per l’arsenicosi cronica in tutti coloro che avevano lavorato, lavoravano e che avrebbero lavorato nell’area di Sant’Agostino, per la presenza di arsenico nell’ambiente, nel rispetto del D.L 626 in relazione all’obbligo del controllo in tutti i lavoratori a rischio di esposizione ai carcinogeni;


i sottoscritti

VOLGONO ISTANZA
al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Civitavecchia di verificare se nei fatti esposti ricorrano ipotesi di reato. In caso affermativo, di procedere nei confronti dei responsabili anche con provvedimenti di natura cautelare a tutela della salute della popolazione e dell’ambiente e per ripristinare la legalità eventualmente violata.

Chiedono di essere avvertiti di eventuali richieste di archiviazione per esperire i rimedi consentiti dal codice di procedura penale.


Coordinamento Nazionale dei Comitati dei Medici per l’Ambiente e la Salute (CNCMAS – sez. Lazio)
Associazione Italiana dei Medici per L'ambiente (ISDE - International Society of Doctors for the Environment - sez. Alto Lazio)

Civitavecchia, lì 09/03/2009

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Convegno "Inquinamento e Cuore" - Civitavecchia 19/03/2009

Giovedì 19 marzo 2009 - ore 16.00 aula Pucci
Comune di Civitavecchia

C O N V E G N O dal titolo

Inquinamento e Cuore

interverranno:

dott. F.Forastiere, dott. S.Calcagno, dott. M.Iacomelli, dott. T.Usai

moderatore: dott. Marco Di Gennaro

SI PREGA DI INTERVENIRE NUMEROSI

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Ci siamo ancora

Chiediamo scusa a tutti i nostri lettori per la prolungata assenza. Un problema tecnico ci ha impedito di pubblicare per più di un mese.

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8 febbraio 2009

"OtherEarth - chi siamo"

Otherearth

Premessa: chi siamo; la crisi attuale

Programma: a) al servizio dei movimenti

b) nuova cultura energetica

c) contro il ritorno del nucleare

d) piano energetico regionale


Premessa: chi siamo; la crisi attuale.

Nell’autunno scorso, in occasione della Conferenza del World Energy Council tenutasi a Roma e della Conferenza alternativa Otherearth, abbiamo pensato fosse necessario dare continuità all’impegno lì profuso, per contribuire ad innestare una riflessione più consapevole e ampia sia circa la natura della sfida di fronte alla quale ci troviamo, sia nell’identificazione dei moltissimi problemi teorici e pratici, politici e sociali, culturali, che un intento di cambiamento investe necessariamente. Dunque, per concorrere ad alimentare un confronto meno episodico e più di lunga durata circa i processi di trasformazione dei modi di produzione e di consumo, di vita, che la crisi energetica e ambientale rendono urgenti. Se, poi, ad essa si sovrappone la crisi finanziaria ed economica mondiale che è esplosa così drammaticamente negli ultimi mesi (ma di cui da tempo vi erano le avvisaglie), diventa ancora più decisivo muoversi, pensare ed agire, per contribuire a quel rinnovamento della cultura della sinistra e a quella incisività nell’azione politica che si avvertono come necessarissimi e urgentissimi. Per un pensiero che si cimenti circa le caratteristiche moderne della questione sociale e di quella ambientale e che riconosca che il benessere interviene a prezzo di uno sfruttamento durissimo delle persone e dei beni naturali, e con un uso spropositato delle fonti energetiche fossili. Per cercare di orientare gli sviluppi della crisi a favore della pace, del lavoro, dell’ambiente.

Siamo sufficientemente consapevoli dei nostri limiti perché non ci sfiori minimamente la presunzione di poter essere in grado di intervenire nel presente vuoto. Ma di citarlo sì, e di insistere perché si intervenga, anche; sollecitando la sinistra a osare nel mare aperto delle contraddizioni moderne. Le difficoltà sono immense, e pur tuttavia affrontabili, e sappiamo benissimo che tanti altri, singoli studiosi e associazioni e movimenti e iscritti a partiti e non iscritti, si stanno cimentando su questi stessi temi. Noi, Otherearth, intendiamo porci alcuni obiettivi, che sono di seguito indicati, che chiariscono l’ambito della azione che ci ripromettiamo di compiere.

S’intende che il nostro è un programma, una ricerca, di critica della società, e non solo dell’economia capitalistica, nella forma moderna che essa ha assunto. Critica dunque degli stili di vita e anche delle mutazioni antropologiche indotte dal capitalismo, nel tempo, per fondare il consenso che lo sostiene e difende. I cui tratti essenziali restano la riduzione a merce di ogni aspetto della vita produttiva e civile e delle stesse persone; un gigantesco processo di abbattimento delle diversità e di omologazione che alimenta disuguaglianze sociali e distruzione della natura. Per questo riteniamo preziosa l’esperienza di tanti movimenti, soprattutto di quelli che si sono posti il problema della pace e della libertà, dell’ambiente e del lavoro e dell’eguaglianza delle persone, e crediamo sia di rilevante valore conoscitivo, teorico oltre che pratico, la nuova consapevolezza indotta in particolare dalla cultura e dalla lotta delle donne.

Perciò non possiamo tacere e dobbiamo polemizzare seriamente con la presunta modernità del riformismo politico italiano. Ci basta sottolineare la mistificazione contenuta nell’ideologia “del fare” contrapposta alle popolazioni, o a quelle parti di esse, che si oppongono a decisioni che, in nome di un soi disant progresso, manomettono alle volte irreversibilmente le condizioni di vita. Un uomo che dice no è un uomo in rivolta, sostenne Albert Camus, e siamo d’accordo con lui; se rifiuta tuttavia è perché non rinuncia: è un uomo che dice di sì fin dal suo primo muoversi. Ne ha abbastanza di una situazione, ritiene che sia leso un suo diritto oltre il tollerabile.

L’elemento distintivo e proprio del nostro impegno può definirsi in tal modo: programmare in modi non antagonistici con le caratteristiche degli ecosistemi; pensare ed avviare processi sociali che si muovano in sintonia con la natura (lavoro e natura sono il padre e la madre della ricchezza delle nazioni, secondo Petty, ripreso da Marx con l’affermazione del “ricambio organico con la natura”) e riflettere su come l’uscita dal colonialismo, dalla servitù e schiavitù, il rispetto per l’altro da sé, la comprensione che lo sviluppo può avvenire solo nell’intreccio delle esperienze differenti, di culture diverse aventi eguale dignità, implica un’uscita positiva dal caos del mondo governato dal profitto e dall’interesse dei più forti: verso un governo alternativo delle risorse naturali, democratico e rispettoso dei diritti dei viventi e delle leggi che reggono i cicli propri degli ecosistemi. Un governo il cui scopo sia quello di diminuire sostanzialmente il contenuto di energia e di materia (in primis dell’acqua) di beni e servizi assicurando tuttavia una qualità elevata della vita. Sembrerebbe una contraddizione, ma non lo è, si tratta del cambiamento del punto di vista, della adozione di un differente paradigma conoscitivo.

Il programma

a) al servizio dei movimenti

Il primo obiettivo è quello, dunque, di affiancare e sostenere i movimenti che intendono affermare il loro diritto di capire quel che sta avvenendo e di dire la loro. Per influire sulle decisioni.

Questa attività ci sembra cruciale per due ordini di motivi: la democrazia partecipativa e l’ignoranza tecnologica.

E’ evidente che la nostra è ormai una democrazia procedurale, nel senso che almeno le procedure debbono essere condivise perché la decisione non sia sentita come un’imposizione immotivata (meglio, motivata da interessi economici o politici che non debbono essere discussi e valutati). Le procedure consistono, generalmente, in informazioni sul programma o progetto messe a confronto con informazioni sul contesto nel quale sono destinati a inserirsi. Le une e le altre sono spesso difficili da reperirsi, sia perché il decisore le centellina e non conosce per nulla o solo parzialmente il contesto, sia perché le conoscenze della popolazione non sono state fino ad allora specificamente ordinate con riferimento a quel tema. E, in definitiva, perché le conseguenze, ancor più i rischi, per loro natura non possono essere compiutamente definiti in anticipo. Perciò le valutazioni di impatto e il dibattito pubblico, previsti dalle normative europee e non solo. Perciò il nostro impegno di mettere a disposizione di comitati e movimenti informazioni ed esperienze differenti, per costruire alternative. Nella convinzione profonda che si tratti, per parte nostra, di un’azione eminentemente di servizio, poiché si ritiene che esistano, diffusi, saperi conoscenze esperienze, che assai validamente possono sostenere ragioni, emozioni, sentimenti dai quali non si dovrebbe prescindere nel “fare”. Vogliamo puntare sull’auto formazione, sul reciproco arricchimento nell’incontro e nel dialogo. Lo scopo nostro è di lavorare alla elaborazione di analisi e proposte e, per questa via, stimolare ad una partecipazione sempre più pressante, che innervi una democrazia delegata che sta ormai sempre più smarrendosi, mediante il rafforzamento del diritto di parola dei cittadini e del loro diritto di decidere sul proprio ambito di vita.

Nessuna remora deve esserci nella discussione pubblica, piuttosto è quanto mai impellente la creazione di specifici spazi pubblici nei quali vagliare problemi e soluzioni. L’unico modo per superare la tecnofilia degli esperti e del senso comune dilagante che affidano alla scienza e alla tecnologia ogni prospettiva possibile ( pur di non toccare, consapevolmente o no, l’organizzazione sociale dominante) e la parallela inversa tecnofobia di chi, di fronte ai drammi moderni, diffida di ogni proposta tecnologica. Tecnofilia e tecnofobia sono figlie di un processo mentale arrogante che esclude il principio di precauzione, che esclude cioè di non sapere, ma afferma invece di sapere. In realtà si sa assai poco e sempre molto parzialmente, in un senso e nell’altro. L’esperto lo è di un piccolissimo frammento e quindi non può essere sicuro che le conseguenze saranno proprio quelle che lui espone. Il cittadino ha accumulato un sapere che può, al limite, lasciargli soltanto presumere che i rischi saranno effettivamente quelli che l’esperienza alle sue spalle sembra indicare. L’uno e l’altro debbono applicare il principio di precauzione nelle loro analisi, previsioni e critiche, e lo debbono fare attraversando lo spazio pubblico del confronto.

Per evitare, il più possibile, le innumerevoli trappole nelle quali gli uni o gli altri possono cadere. Il punto, quindi, non è la soluzione tecnologica, ma la trasformazione sociale che essa comporta nel lungo periodo e la fuoriuscita, intanto, da ogni paradigma di crescita centrato sulla ricchezza calcolata solo in termini quantitativi (il Pil).

Se i sistemi che sostengono la vita sono pesantemente compromessi, l’acqua, l’aria, il terreno, non si può rinunciare ai benefici che potrebbero apportare tecnologie moderne per temperare questa compromissione. Ma vogliamo essere precisi, affinché non siano possibili fraintendimenti.

Per esempio, per quanto attiene alla sequestrazione della CO2, è evidente l’assurdità di produrla per sotterrarla. Altra cosa se si considera che non sarà così semplice liberarsi dalla dipendenza dalle fonti fossili. Per esempio, la produzione di energia elettrica dalla fonte nucleare non impedisce che si usi il petrolio nell’estrazione del minerale, nella costruzione delle centrali, ecc. insomma che si continui a produrre anche CO2. Ma analoghe considerazioni valgono, evidentemente, anche per le fonti rinnovabili: le pale di alluminio dell’eolico, i materiali del fotovoltaico… implicano consumi petroliferi non indifferenti (e di materie prime) per cui non è sufficiente che decollino tali energie perché ne risulti automaticamente l’emancipazione dalla dipendenza dal petrolio. Siamo quindi contrari a ritenere che la sequestrazione della CO2, una volta che ne fosse dimostrata l’intrinseca affidabilità, possa significare l’avvento dell’era del carbone o dei fossili puliti. Tutt’altro. Tuttavia dobbiamo porci il problema di quante energie fossili (sempre più in quantità decrescenti) e per quanto tempo occorreranno nel periodo della transizione, che è appunto un periodo e non un momento.

Simili considerazioni riguardano un altro grande scottante tema, l’utilizzo degli OGM. L’ostilità è dovuta alla constatazione di come l’uso massiccio di varietà geneticamente modificate abbia prodotto negativi effetti socioeconomici. Con la connessa gravissima riduzione della biodiversità (elemento cruciale per il futuro del Pianeta). Non solo la proprietà dei semi si restringe in pochissime mani, attribuendo un potere enorme, ma le nuove varietà generalmente necessitano di irrigazioni, fertilizzazioni e antiparassitari, cioè di consumi di energia, ben più rilevanti di quelli locali. Del resto, la fame nel mondo, risulta la conseguenza degli assetti sociali (compresa la distruzione dell’agricoltura locale) e di fenomeni globali, come il cambiamento climatico, la desertificazione e l’inquinamento delle acque. Altra cosa sono la ricerca chimica e medica.

In ogni caso, tutte queste azioni e questi interventi, e altre simili, quand’anche si rendessero possibili, richiedono che si abbandonino consumi così elevati e così concentrati in piccolissime porzioni del globo, a beneficio di una ridottissima parte dell’umanità. Non perché siano estesi, ma perché siano dovunque modificati, poiché già oggi restringono il possibile futuro umano. Il quale potrà svolgersi solo in sintonia con gli ecosistemi terrestri, con la loro protezione, con la conservazione della diversità. Contro il modo di produzione considerato vincente, ma in realtà momento di accumulazione di situazioni ambientalmente e socialmente insostenibili.

b) nuova cultura energetica

L’azione di contrasto svolta sul campo da forze sociali e politiche, da movimenti, comitati e associazioni, nonché i risultati di ricerche e approfondimenti scientifici e culturali si cimentano tuttavia con modi di pensare, con un senso comune, per nulla incrinati nella certezza che il futuro ed il progresso risolveranno le più critiche situazioni attuali. In un certo senso prevale la convinzione che le soluzioni verranno trovate, sia pure con una fatica e con drammi che purtroppo bisogna mettere nel conto. In altre parole, non vi è la percezione di trovarsi a un punto di svolta, almeno in Europa. Da tempo, per esempio, appare in tutta la sua tragicità la dura condizione dei lavoratori, con la sequenza impressionante delle morti sul lavoro, ma non a caso l’emozione pubblica non ha scalfito l’inazione della politica, l’arroganza delle imprese, l’afasia della società civile. E il caos del mondo, con le sue guerre e ingiustizie resta comunque sullo sfondo, sfocato.

Intervenire su questo punto va, ovviamente, troppo oltre le nostre possibilità e capacità; resta comunque un tema che deve inquietarci, spingendoci ad aprire un laboratorio che sia punto di scambio di analisi, pensieri, esperienze. Perché si riacquisti fiducia nell’azione collettiva e per far valere quella sapienza che si instaura laddove ci si riconosce nell’altro, sia pure attraverso il conflitto, e si riconosce e comprende il legame con l’ecosistema.

Due ci sembrano i versanti di intervento.

Intanto riflettere sul trovarci nel Mediterraneo, recuperando una dimensione specifica di cultura energetica, poiché qui il sole e il vento, l’acqua e l’aria, il mare e la terra, presentano aspetti e sfumature differenti da quelli di altre regioni. Nessun mito romantico della natura mediterranea, né alcun ritorno a culture idealizzate del passato. Più semplicemente la riflessione sulla propria storia può mettere capo alla elaborazione di un punto di vista, e di un modello energetico, di un sistema che accetta di dipendere coscientemente dalla natura del Mediterraneo. Che cerca di conoscerla meglio, di salvaguardarla e non di violentarla, di chiudere il cerchio con i suoi ecosistemi. Un campo di ricerca enorme, di divulgazione da parte nostra, per sprovincializzare una società omologata dall’egemonia, dal senso comune, dominanti.

Parallelamente interrogarci sulla responsabilità della scienza, tema quanto mai spinoso, soprattutto perché anche la conoscenza scientifica è stata ridotta a merce. Ad essere venduta e acquistata (i brevetti) in esclusiva pur essendo prodotta tramite un processo sociale. Da questo punto di vista non basta neppure più il principio di precauzione, prima invocato, ma vanno considerati gli interessi in gioco, soprattutto quelli dei finanziatori che ne intendono ricavare profitti e va considerata anche la temperie culturale complessiva di una determinata epoca, che influisce sul ricercatore e sui temi della ricerca, anche oltre il condizionamento imposto dal finanziatore.

Pensiamo siano cruciali la priorità della ricerca pubblica e l’urgente bisogno di uscire da schemi epistemologici che lasciano insoddisfatti perché centrati su modelli che comportano la parcellizzazione o la riduzione dei temi in esame ai soli elementi che si ritiene di poter ordinare in sequenze comprensibili. Che ne semplificano, arbitrariamente, la complessità. L’arbitrarietà non significa perdita di efficacia, ma, certo, rende fragile il sistema sulla lunga durata: il cambiamento climatico ne è un esempio eclatante. Accettare invece di fare i conti con tale complessità è probabilmente il più importante passo di quel cambio di paradigma su cui intendiamo insistere.

c) contro il ritorno del nucleare

Il governo del nostro Paese ha riproposto “il miglioramento del quadro strategico di approvvigionamento dell’energia, della sicurezza e dell’affidabilità del sistema” mediante la costruzione di nuove centrali nucleari, archiviando la contraria decisione del referendum abrogativo del 1987. Non c’è dubbio che, risalendo l’ultimo piano energetico nazionale al 1988, un tempo lontanissimo, addirittura prima della Conferenza delle NU di Buenos Aires e del protocollo di Kyoto che ne fu il “migliore” frutto, occorresse porre mano alla ridefinizione delle politiche energetiche, così come giustamente invita a fare anche l’Unione Europea, con la proposta di ridurre il consumo di energie fossili del 20%, aumentando del 20% sia il risparmio di energia che l’utilizzo di fonti rinnovabili. No! Il governo italiano, fattosi portavoce di Confindustria – e cioè di settori poco inclini all’innovazione come dimostra la scarsissima quota di investimenti da loro dedicata alla ricerca – contrasta queste decisioni sostenendone l’eccessivo costo, insopportabile afferma, per il sistema industriale del nostro Paese. Contestualmente rilancia il nucleare affermando che ne verrà il beneficio della diminuzione della produzione di CO2 e degli altri gas alteranti il clima. A parte la contraddittorietà di questo modo di fare, è sufficiente ricordare come l’estrazione del minerale, la sua trasformazione, la costruzione e la gestione delle centrali, il loro smantellamento producano CO2 perché tutte operazioni che implicano un uso massiccio di fonti fossili e di materiali (cemento, acciai speciali…) prodotti con grande loro impiego. E, poi, riflettere sulla circostanza che il nucleare attiene alla produzione di elettricità che è una quota minoritaria degli attuali consumi energetici (il 17% circa); resta scoperta la gran parte del problema energetico, riferibile ai settori dei trasporti, del riscaldamento, dell’industria, dell’agricoltura (oltre l’80% dell’energia consumata). D’altronde è utile ricordare che la Francia, lo Stato più nuclearizzato (59 centrali), è anche quello dove vi è il maggior consumo di petrolio pro capite, a dimostrazione che il nucleare non è un’alternativa all’uso dei combustibili fossili; e, inoltre, che sempre la Francia deve importare elettricità nelle ore di picco, per la scarsa flessibilità della produzione elettrica da fissione, la quale a sua volta costringe alla vendita a prezzi stracciati agli stati confinanti dell’elettricità in esubero nelle ore morte. Il prof. Angelo Baracca (L’Italia torna al nucleare?) scrive anche che la Francia “nel 2006 ha deciso di riattivare centrali termoelettriche a combustibili fossili obsolete per 2600 MW”, proprio per far fronte a situazioni di picco

Queste condizioni particolari, e la circostanza che la Francia da tempo sia una potenza nucleare sottolineano come la tecnologia della fissione dell’uranio non sia nata per produrre elettricità ma bombe (dal complesso militare ha ottenuto e ottiene i maggiori finanziamenti). Questo imprinting ha pesato enormemente nel precludere altre linee di ricerca. Inversamente, oggi è estremamente facile, per gli Stati che vogliono dotarsi di armi atomiche, iniziare con la produzione elettrica per passare successivamente, una volta acquisite le competenze, le tecnologie e organizzate le strutture, all’”atomo di guerra”. Alimentando così i rischi di guerra.

Vale la pena, ancora, di ricordare il monito di Paolo Baffi, in apertura della Conferenza dell’energia del 1987, circa il cambiamento inaccettabile che sarebbe stato indotto dalle esigenze di sicurezza e segretezza per custodire il plutonio, risorsa fondamentale per la costruzione degli ordigni nucleari. L’idea di una società militarizzata ha fatto strada, non ostante l’orrore che si pensava potesse suscitare, la Camera dei Deputati discute come sia possibile che in mancanza di un’intesa con le amministrazioni locali nel cui territorio siano localizzati i siti nucleari, debba scattare “il potere sostitutivo” dello Stato. Il quale deciderà e disporrà senza tante storie, sorvegliando i territori con le forze militari e, addirittura, localizzando le nuove centrali direttamente nelle aree militari. Con recente legge il governo ha in generale tagliato corto con tutte le possibili obiezioni statuendo che possono essere considerati siti strategici e quindi protetti dai militari e sottratti al dibattito democratico e al controllo trasparente delle popolazioni un insieme di altre strutture.

L’autoritarismo, la centralizzazione delle decisioni, le scelte concrete stanno quindi producendo una società in cui la democrazia è colpita al cuore per ridursi al puro momento elettorale (peraltro ampiamente condizionato dal controllo dei mass media): perciò la battaglia contro il nucleare si configura anzitutto come lotta per la democrazia e per la pace.

Altri argomenti ancora suffragano questa impostazione. Il fatto, per esempio, che la disponibilità del minerale uranio non vada oltre i 35-40 anni al ritmo dell’attuale utilizzo (salvo nuove scoperte e processi di fertilizzazione che possono allungarne di poco l’esistenza) implica che l’Italia dovrà vedersela con colossi come gli Usa, la Cina, l’India, il Brasile, la Russia… per contendere loro il prezioso minerale. E’ credibile uno scenario di tal fatta? E se sì, con quali rischi di guerra?

Per quanto riguarda la suscettibilità della scelta nucleare di diminuire la bolletta elettrica richiamiamo qui il problema del costo del Watt, incomparabile con quelli prodotti altrimenti, per l’inconoscibilità di molti elementi (soprattutto di quelli relativi a decommissioning e alla protezione delle scorie). Ancora, in Finlandia è in costruzione a Okiluoto dal 1998 un reattore per 1600 MW, il cui costo iniziale previsto in 3 miliardi di euro è raddoppiato e la cui realizzazione, prevista in 11 anni, è ancora lontana dalla conclusione. . Dunque, è impossibile fare un vero raffronto. Anche da queste minime considerazioni su quanto sta avvenendo oggi traspare il metodo superficiale seguito dal governo, la mancanza di un’idea precisa, che non sia il business dell’appalto per questi mega impianti. A riprova, si può ricordare che attualmente sono in costruzione nei Paesi avanzati soltanto tre centrali (Finlandia, Francia, Giappone), perché il nucleare non conviene, come ricorda addirittura Pasquale Pistorio, ex vicepresidente di Confindustria, e non certo per l’opposizione degli ambientalisti o per via del referendum italiano. Secondo Amory Lovins “il nucleare è stato ucciso da un inguaribile attacco di economia di libero mercato”, e non è stato rianimato negli Usa neppure dai consistenti incentivi introdotti dal presidente Bush.

Un problema irrisolto (essendo tale da tantissimo tempo è forse il caso di dirlo irrisolvibile?). E’ quello dei rifiuti, le cosiddette scorie, del ciclo produttivo complessivo, delle miniere, delle centrali e degli installazioni militari nucleari. La scienza generalmente ne ammette l’estrema pericolosità: minore in quelli che dimezzano in pochi anni la loro radioattività, maggiore in quelli che continuano ad essere attivi per migliaia d’anni (Plutonio 239 24100 anni; Uranio 234 245000 anni; Uranio 235 710 milioni di anni; Uranio 238 4,5 miliardi di anni). Perciò il costo per la protezione di tali scorie è effettivamente incalcolabile, si sa soltanto che è elevatissimo e, di conseguenza, con estrema disinvoltura non entra mai nei calcoli che vengono presentati all’opinione pubblica per misurare la fattibilità dei programmi. Se pensiamo che nel mondo le scorie possono aver raggiunto le 270mila tonnellate, ci rendiamo conto della gravità del problema, già oggi.
Nella attesa di trovare i famosi siti di confinamento a grandi profondità, si cercano intanto depositi di “lunga durata”, cioè pur sempre temporanei, sia pure di 2 o 3 centinaia di anni. Ma anche qui si è in alto mare, pur consapevoli che in tal modo si sta preparando un biscotto avvelenato per i nostri discendenti! Restano i depositi di “messa in sicurezza”, provvisori per definizione, sotto la Yucca Mountain nel Nevada, cui far convergere le scorie dai 131 depositi disseminati negli Stati Uniti, Sellafield In Gran Bretagna e la Hague in Francia dove si ritrattano per produrre nuovo combustibile. A Sellafield si trovano anche una parte delle scorie molto radioattive prodotte dalle centrali nucleari italiane. In Italia hanno funzionato quattro centrali (Caorso, Trino Vercellese, Latina e Garigliano), cinque impianti di ritrattamento del combustibile (Saluggia, Bosco Marengo, due a Casaccia e Trisaia), una dozzina di centri di ricerca, oltre ad una decina di piccoli depositi. In totale si dovrebbe trattare di circa 64mila metri cubi di scorie radioattive, la maggior parte dei quali (35mila) sono conservati nelle quattro vecchie centrali. Il resto è conservato negli altri siti, principalmente a Saluggia e Casaccia. L’aspetto molto grave è che l’Italia abbia affidato alla Sogin spa, finanziandone le attività con il sovrapprezzo sul kWh elettrico, la gestione delle scorie. A parte la circostanza che la Sogin non ha fatto quasi nulla, è stato anche assurdo affidare ad una spa, e non un’Agenzia pubblica, tale incombenza con l’effetto devastante della sua esclusione dai consessi internazionali, mettendo l'Italia nel più completo isolamento internazionale. Per gestire i rifiuti, occorre chiudere la Sogin e dotarsi di un sistema fondato su di un’Agenzia pubblica (da affiancare a Enea e Apat riformate) che, previa definizione degli obiettivi e dei finanziamenti da parte del Parlamento e sulla base di precisi input del Governo, stabilisca programmi, tempi e costi. L’Agenzia indipendente e autonoma opererà valutazioni e controlli, che verifichino anche il rispetto da parte di tutti gli operatori del settore degli elementi di sicurezza e protezione delle popolazioni e dell'ambiente. Essa riferirà al Parlamento e alle Regioni, sia per riceverne osservazioni e indirizzi sia per mettere al corrente le popolazioni dei problemi e delle soluzioni.

Si è costituito il Comitato oltre il nucleare, per un’alternativa energetica, basata sulle fonti rinnovabili e il risparmio. Otherearth è tra i promotori del Comitato e, intanto, sta lavorando alla fattura di un DVD che argomenti i perché dell’opposizione al nucleare e documenti su di un argomento che sembra accettato da molti sostanzialmente perché disinformati sulla sostanza.

L’alternativa da costruire è quella della elaborazione di un Piano energetico nazionale, al cui centro siano parametri differenti ( dalle energie fossili a quelle solari) che indichino le politiche entro le quali iscrivere le singole azioni: decisioni energetiche e scelte tecnologiche, riconversione ecologica delle industrie più energivore e riduzione dei rifiuti, cambiamento del peso del trasporto individuale e su gomma e protezione dell’acqua e del suolo. E’ chiaro che un piano energetico, se non vuole ridursi a una generica indicazione che avrà semmai attuazione in relazione agli incentivi volta a volta stabiliti dal governo (con criteri e scelte che potranno essere assai discutibili seppure, perché mai dubitarne? sempre motivate con l’interesse generale), per orientare i comportamenti dei consumatori, e le decisioni di investimento degli imprenditori, non può non definire gli strumenti con i quali operare. Questi sono, anzitutto la funzione di guida che possono avere aziende e agenzie che, come recita la nostra Costituzione, agiscano operando per l’utilità sociale e siano “riservate” a comunità di utenti e di lavoratori. Un piano energetico degno di questo nome deve prendere atto del grande processo di concentrazione delle imprese seguito alle decisioni di liberalizzazione; ormai, come afferma anche Alberto Clò, le concentrazioni sono il paradosso delle liberalizzazioni. Magari ci sono buone ragioni economiche, per irrobustirne la presenza sui mercati, ma certo vi sono anche decisioni politiche che interagiscono perché gli approvvigionamenti di gas e petrolio attengono direttamente alla politica estera di un Paese (e così sarà anche per l’uranio). Come abbiamo accennato, il nucleare è il simbolo di una decisione fuori mercato perché senza un adeguato sostegno nessun imprenditore si assume rischi e incertezze così rilevanti, e costi difficilmente prevedibili all’inizio di quel lungo percorso che porterà eventualmente alla realizzazione dell’impianto. Insomma, le concentrazioni seguite alle liberalizzazioni sono parte di una decisione politica che non può essere la nostra, perché riteniamo che l’universalità del servizio, la sua accessibilità, la rispondenza ad obiettivi di qualità sociale debbano prevalere sull’obiettivo di un’adeguata e rapida remunerazione del capitale, cioè sulla centralità della competitività e del profitto. Insomma è un tema, quello del Piano, che comporta impervie strade contro correnti.

d) il piano energetico regionale

Nel nostro Paese, e in Europa, sono molte le esperienze di lotta e di proposta, e notevoli le iniziative tecnologiche, decise da istituzioni, imprese, singoli, che delineano alternative di comportamenti; esse costituiscono una miniera ricchissima per cercare di realizzare itinerari di cambiamento. Perciò l’elaborazione del Piano Energetico Regionale può costituire l’anello di verifica delle posizioni nostre (della sinistra) se tentiamo di passare dalle parole di critica alla messa a punto di obiettivi e scelte: la transizione non è solo un desiderio, un dover essere, ma costituisce il fondamento di un’analisi specifica che mette capo a precisi programmi.

La redazione del PER non si deve limitare, secondo noi, all’analisi della domanda e dell’offerta, dei loro andamenti, degli elementi critici che si debbono rimuovere e della crescita che deve essere assicurata nei vari settori di produzione e di impiego. Ma da questa analisi bisogna partire per orientare la società regionale verso una prospettiva differente dall’aumento quantitativo del Pil. In un certo senso l’analisi energetica è un buon punto dal quale leggere elementi significativi della struttura della società laziale, il suo rapporto con la natura e le situazioni di crisi. Crisi ambientali e crisi economiche e sociali, che non sono adeguatamente affrontate.

Ovviamente, i fenomeni sociali e naturali sono interdipendenti tra loro e l’uno verso l’altro ed occorre una capacità di analisi intersettoriale che faccia riferimento a diversi saperi e culture (anche a differenti discipline); e ciò dovremo aver ben presente per concludere con delle proposte, in tema di energia, che ci permettano di fare un passo avanti. Un progetto integrato verso un modo di produrre, consumare e vivere complessivamente diversi è il nostro desiderio, per contribuire a imprimere una svolta non immaginaria.

Questo modo di pensare l’energia differisce dall’impostazione delle élites dominanti che vedono buio il futuro dell’Italia perché, secondo loro, la politica esita a decidersi e, quando lo fa, pasticcia. Premono a favore del carbone pulito, che non esiste, e del nucleare intanto impegnandosi in Francia o all’Est; destinano qualche euro alle rinnovabili, ma poi assimilano a queste anche il recupero dei rifiuti; con il più alto tasso di motorizzazione dell’Europa e la più ampia cementificazione del territorio, puntano ancora alla rottamazione, ai condoni, a rendere edificabili le aree agricole. L’efficienza energetica nell’industria e in agricoltura resta un obiettivo lontano, il risparmio energetico si è trasformato in un appello più che diventare pratica, l’osservanza del protocollo di Kyoto è apertamente contestata.

Al contrario, noi vogliamo enormi finanziamenti per realizzare la transizione verso un assetto differente. Non solo esattamente opposto, precisamente la civiltà solare, ma in cui l’innovazione dei processi e dei prodotti sia la parte più cospicua sulla quale investire formazione, ricerca, iniziativa economica e sociale. E in cui tutte le occasioni energetiche presenti sul territorio possano essere considerate importanti e valorizzate (non dunque la ridicola riduzione di questa ipotesi alla produzione esclusivamente su piccola scala, magari di spezzoni di energia elettrica prodotta in sovrappiù rispetto ai propri consumi).

L’uscita dalla società fondata sull’uso dei combustibili fossili è il problema energetico e sociale di oggi e se indubbiamente vi é un ampio campo per le azioni che comunque si possono già fare e una grande responsabilità anche degli individui (che tuttavia vanno educati a questo obiettivo e questa già potrebbe essere una forte iniziativa: l’educazione nelle scuole all’uso razionale dell’energia), non c’è dubbio sulla necessità di un nuovo punto di vista culturale e politico, di un nuovo paradigma energetico. A formare il quale, su quali forze intellettuali si può contare e su quali risorse, e come reperite e, in definitiva, chi sono i molteplici soggetti del cambiamento e come fare affinché diventino attivi e trainanti? Domande che premono, perché estremamente difficili nella frammentata società dei consumatori. Eppure con esse dobbiamo misurarci, individuando nel percorso di costruzione del PER un momento decisivo per tentare di non restare alla proclamazione di intenti. Il metabolismo della città di Roma, la struttura artificiale degli ecosistemi laziali, il modello dissipativo della crescita, la privatizzazione della vita, le disuguaglianze diffuse costituiscono, per esempio, tutti capitoli interdipendenti di una proposta di cambiamento che limiti i danni e inverta le tendenze in atto. La quale, come abbiamo visto considerando l’obiettivo del Pen, non potrà realizzarsi senza la dotazione in mano alla Regione di adeguati strumenti e, intanto, recuperando una dimensione pubblica nella produzione e distribuzione di energia e una capacità di assicurare alla comunità laziale forme precise di intervento nella gestione stessa delle imprese energetiche.

In qualche modo il nostro si potrebbe definire un progetto di energia politica, nel senso di una proposta di politica energetica che fondi un asse politico differente dall’attuale, in controtendenza, centrato su di un’alternativa di civiltà e non sulla crescita di beni (e di residui) che mettono a rischio l’umanità che verrà dopo di noi perché sconvolgono le condizioni della biosfera entro la quale la vita è possibile.

I promotori

Roma, 1 dicembre 2008

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"Piano energetico regionale - Appello di Otherearth ai Consiglieri dei Gruppi di sinistra della regione Lazio"

Riceviamo e pubblichiamo
Siamo vivamente preoccupati dal fatto che il Piano energetico regionale non indichi un chiaro percorso di diminuzione dell’utilizzo delle fonti fossili e di aumento dell’energia risparmiata, per maggiore efficienza dei prodotti e per innovazioni nei processi produttivi, e della quota di energia proveniente da fonti rinnovabili.

Come sapete l’Unione Europea ha indicato precise priorità, in tal senso, che non si ritrovano nella proposta in discussione nella regione Lazio, che considera essenzialmente la produzione elettrica che è una quota inferiore al 20% dei consumi energetici complessivi, riferendosi invece in via marginale ai settori di maggiore impatto (trasporti, industria, agricoltura). Riteniamo infatti che il Lazio, e più in generale il nostro Paese, avrebbe tutto da guadagnare, in termini di risalita dal declino nel quale si trova per più fattori, dall’accelerare l’adozione di processi innovativi. Non soltanto perché rinviare gli obiettivi del protocollo di Kyoto e le modifiche urgenti e mature nei settori a maggiore impatto energetico ci costerà molto di più tra qualche anno quando ci troveremo di fronte Paesi che si sono mossi per tempo su queste strade (Il Rapporto Stern indica in una percentuale oscillante intorno all’1% del Pil il costo attuale della lotta al cambiamento climatico, che salirebbe al 5-6% tra qualche anno). Ma perché, nell’immediato, implicherebbero una finalizzazione delle risorse finanziarie a favore della ricerca, della valorizzazione delle conoscenze, della qualità e quantità di lavoro impiegabile. Tutti gli scenari indicano, infatti, grandi potenzialità in tal senso, qualora si imboccasse la strada del cambiamento e si superasse la miopia e l’inerzia delle élites di Confindustria e del Governo.

La decisione, poi, del Governo di riprendere la produzione di energia elettrica con la fonte nucleare, si rivela molto poco seria, sia perché il costo del kWh nucleare è talmente elevato (se consideriamo i processi di decommissioning e la protezione dei rifiuti) da porlo fuori mercato e da richiedere massicci finanziamenti pubblici, sia perché la costruzione delle centrali richiede un tempo tale che non si può in alcun modo pensare che tale produzione influisca sulla sicurezza energetica del Paese. Sia perché l’esempio della Francia (la maggiore consumatrice di petrolio dell’Unione e lo stato con minore flessibilità e maggiori costi nella produzione elettrica) indica gi errori della scelta; senza qui richiamare l’orrore democratico della militarizzazione dei siti e dei rischi di guerra per poter disporre di un minerale che diventerà sempre più raro. L’intento del Governo serve solo a rianimare un po’ l’industria degli appalti e i produttori di cemento e acciaio. Un misero esito che richiederebbe, proprio nel PER del Lazio una decisa presa di posizione e l’apertura di un conflitto serio per evitare manomissioni irreversibili del territorio e dell’integrità fisica e della salute dei propri cittadini.

Può il Per del Lazio essere l’occasione per avviare la grande sfida della transizione dall’energia fossile e nucleare all’energia solare ?

E’ la domanda cui chiediamo si risponda.

Otherearth (un mondo altro forum energia ricerca)

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