No al carbone Alto Lazio

12 ottobre 2010

Quel "fare" che non si declina mai come "far bene", che non riguarda mai il bene comune

Nel video: la Maremma nelle parole di Nicola Caracciolo

Comunicato del Comitato dei Cittadini liberi - Tarquinia (via UnoNotizie)

"Nell'Italia Centrale, a nord di Roma, vi è un luogo che può emblematicamente rappresentare l'Italia dei Berlusconi, delle "cricche", dei finti comunisti e dei chierici mancati.

Si chiama Tarquinia.

E' una terra che sembrava salva dalle grinfie degli speculatori anni '70. All'epoca il Partito Comunista stampava un adesivo con una grande conchiglia e la scritta "SALVIAMO SAN GIORGIO DAL CEMENTO" invitando a sottrarre 2 chilometri quadrati delle nostre migliori terre alla speculazione edilizia.

Oggi gli stampatori sono scomparsi. Hanno altro a cui pensare.

Oggi esistono "quelli del fare". Gli interessi delle ghenghe naturalmente, che non coincidono mai con quelli della comunità che dovrebbero servire e dove vivono. E come se la intendono con eredi e pupilli della melma che diede a Tarquinia il lustro dei primi politici in galera, precorrendo "Mani Pulite".

Quando entrano in azione "quelli del fare" hanno in genere bisogno di due cose: una maggioranza che non vede, non sente e non parla e una minoranza che puo' solo fare finta d'opporsi, perché molti affari riguardano anche gente vicina a loro.

Probabilmente la storia del cementificio a Pian dei Cipressi, quello delle carte fasulle, è roba di questo tipo. "Quelli del fare" in genere usano molto la parola "sviluppo" mentre bruciano la terra dove i loro figli forse non vorranno vivere.

I loro padroni di oggi sono le compagnie elettriche, i cementieri, i novelli palazzinari di San Giorgio, le combriccole di un'autostrada inutile: lo ha detto il Ministro Matteoli poco tempo fa, che la messa in sicurezza dell'Aurelia avrebbe reso inutile la A12 e possiamo credergli; una decisione balorda quella di realizzarla comunque, un "porcellum", come la legge elettorale di Calderoli, e per Tarquinia un'autostrada tra le case.

L'assalto ai nostri beni comuni prosegue, per depredare quel po' che è rimasto: chi insozza l'aria che respiriamo, chi deturpa il paesaggio costiero, chi fa carte false per costruire il cementificio, chi ha distrutto la foce del Marta con argini inutili che l'hanno trasformata da eccezionale micro-habitat in canale di servizio di un porto che non potrà funzionare, se non a prezzo di rendere il nostro mare ancora più lurido, dando il colpo finale all'economia balneare.

Gli argini si potevano evitare, ma senza argini sarebbe più difficile far approvare il porto.

Per non restare nel vago la messa in sicurezza degli abitati e anche dell'agricoltura si sarebbe ottenuta realizzando prima quello che è stato fatto poi, cioè il ripristino delle sezioni fluviali del 1965, abbinate a una cassa d'espansione in linea senza sbarramento in alveo, per moderare le piene ma questa roba qui ai servitori dei nuovi padroni non serve.

Ernesto Cesarini

Coordinatore del Comitato dei Cittadini Liberi"

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8 ottobre 2010

Nuccio Barillà: in Calabria si chiuda per sempre il capitolo carbone

Da teleReggioCalabria
“Incontri ravvicinati di quarto tipo”: così Nuccio Barillà, del direttivo nazionale di Legambiente, etichetta, ironicamente, le riunioni “off-media” che i sindaci di Montebello, Melito e di qualche altro comune di Capo Sud stanno tenendo a ritmo intensificato con la SEI, la società che continua a perseguire l’insano progetto di costruzione di una Centrale a Carbone a Saline. “E’ dello studioso di Ufo, Jacques Fabrice Vallèe – spiaga l’ambientalista- la definizione di questo particolare tipo di “incontri” come quelli “nel corso del quale i testimoni provino una sensazione di alterazione del loro senso della realtà", nonché rapimenti di natura
allucinatoria”. Il senso della “realtà reale” avrebbe richiesto che le Amministrazioni, a partire da quella di Montebello, esprimessero a “muso duro”, in molti casi riconfermandolo, un no netto al progetto di cui è capofila la società svizzera. Ciò nell’interesse del territorio, delle popolazioni e sulla base di già acquisite valutazioni sia di carattere tecnico-scientifico( vedi controdeduzioni VIA) sia riferite a scenari i(nconciliabili) di sviluppo dell’area interessata. Invece, nel “dietro le quinte”, seppure non chiaramente espressa, sembra si sia preferito avviare una trattativa spicciola sul tipo di opere integrative e sull’entità di ritorni finanziari e occupazionali, da “portare a casa”. In sostanza – ipotizza Barillà - si starebbe alzando il prezzo sulle contropartite da ottenere per far ingoiare la polpetta avvelenata ai cittadini e garantire l’assenso a livello territoriale alla Centrale. In questo contesto, l’istituzione dell’ennesima Commissione, decisa dai Sindaci, per l’esponente ambientalista “è solo la “coperta” o forse più semplicemente la “foglia di fico” per nascondere, dietro la sventolata esigenza di “approfondimento scientifico” del progetto, quella che è una operazione di mercato oltre a un modo come un altro per precostituirsi un alibi.” Ambiguo e deludente, in questo contesto, è, soprattutto -continua Nuccio Barillà - il comportamento del Sindaco di Montebello Ionico, dottore Guarna, che dopo aver fatto del no alla centrale ,“senza se e senza ma”, un fortunato vessillo elettorale, adesso tradisce, attraverso molti “se” e tanti “ma”, la sua parola e il suo mandato, allineandosi, balbettante, al suo collega di Melito Iaria, che di questa operazione mutualistica sembra essere la vera “testa di ponte”. “Maldestro è, infine – attacca ancora il dirigente di Legambiente - il tentativo di bollare il no diffuso e variegato al carbone come un no “ideologico” piuttosto che, semplicemente, “logico”. “La vera ideologia- ribatte Barillà - è quella di chi pensa che con i soldi e con il ricatto occupazionale è possibile comprare il consenso e la salute dei cittadini calabresi. Forse anche stavolta, come trent’anni fa a Gioia Tauro, le lobby che si sono coalizzate attorno all’affare-carbone, hanno sbagliato calcoli e previsioni. Ormai diffusa è la consapevolezza che la Centrale rappresenterebbe la peggiore risposta alle esigenze del territorio della fascia ionica reggina che, dopo le beffe e il fallimento del disegno di industrializzazione forzata dei decenni passati, aspira ad un cambiamento di scenario”.
Secondo Nuccio Barillà “è inutile continuare a parlare di un “carbone pulito” che non esiste. Una Centrale di “ultima generazione” come quella di Saline rilascerebbe nell’atmosfera una quantità massiccia di inquinanti, con particolare riferimento alla anidride carbonica che rappresenta il principale e più micidiale gas serra e alterante climatico prodotto sulla Terra; Va, peraltro, ancora una volta sottolineato – insiste il dirigente di Legambiente - come ,allo stato attuale della ricerca, mentre, per l’abbattimento di altri inquinanti atmosferici, nuove tecnologie impiegate hanno prodotto dei positivi seppure parziali risultati, non esiste scientificamente al mondo nessun apprezzabile miglioramento tecnologico né sezione di abbattimento fumi capace di ridurre anche minimamente le emissioni di CO2 emessa da combustione; Per non parlare del versamento di mercurio nelle acque marine e la produzione di polveri ultrafine. La stessa reclamizzata tecnologia, cosiddetta Carbon Capture and Storage (CCS) - che dovrebbe permettere anche a Saline la cattura della CO2 generata dal carbone e il suo stoccaggio in depositi geologici marini individuati in profondità - non solo è in fase di sperimentazione e si dovranno attendere diversi anni prima che diventi matura, ma ha costi insostenibili. Peraltro, contrariamente a quanto alcuni “venditori di fumo” dicono, non si tratta di una tecnologia a emissioni zero. Ci sono studi ufficiali che dimostrano come per ogni kWh prodotto si genererebbero 54-120 grammi di CO2, secondo altri 105-206 grammi. La stessa SEI, a leggere bene tra le carte del progetto, afferma che l’impianto della Centrale sarà predisposto per questa futura tecnologia non che verrà da subito attivata. Campa cavallo che l’inquinamento cresce. Su questo e su tutti gli altri aspetti relativi al progetto Legambiente e il suo comitato scientifico nazionale hanno invitato , da oltre due anni,al confronto pubblico la SEI. La società a trazione svizzera, che si dice a ogni piè sospinto “aperta al confronto” ,non ha mai risposto. E’ giusto infine - sottolinea Nuccio Barillà - esprimere apprezzamento per le recenti prese di posizioni bipartisan di esponenti del Consiglio regionale, condensate sulla riconferma del rigetto dell’ipotesi carbone. “La posizione della Regione Calabria, già espressa, in modo inequivocabile, durante la presidenza Loiero e ribadita dall’attuale Presidente Scopelliti, resta – a parere di Nuccio Barillà - importante e forse decisiva. Queste giuste esternazioni – aggiunge- non devono restare fini a sé stesse. Hanno bisogno, piuttosto, di essere accompagnate da investimenti certi nell’area di Saline (e non, come in precedenza, solo annunciati) per la riconversione della zona ex industriale e la valorizzazione sostenibile del territorio; Solo offrendo risposte concrete al bisogno occupazionale e di sviluppo dell’Area si potrà archiviare

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7 ottobre 2010

Eliminare chi inquina per tagliare le emissioni (The exploding-kids climate video)

A proposito della campagna 10/10/10, c'è un video che in rete sta facendo discutere, forse più di quanto meriterebbe.
Un gruppo di attivisti inglesi ha creato e diffuso in rete un video che una parte della popolazione potrebbe trovare troppo ambiguo o scioccante, sia per reale timore di fondamentalismi vari (qualunque maglietta indossino), sia perché si tratta di una forma di humour per il palato di pochi, e infine perché, oggettivamente, lo spirito degli autori, almeno alla prima visione, si coglie solo da un certo punto in poi.

Ecco il video:


Lo stesso McKibben, ideatore della campagna 10/10/10, ha preso chiare distanze dal video, spiegando che c'è una fetta non piccola della popolazione che non coglierà l'ironia o comunque non apprezzerà. Difficile dargli torto.
Gli autori dell'opera controversa hanno chiesto scusa e rimosso il video dal loro sito, ma naturalmente questo continua a girare sulla rete. Non sono mancati quanti -talebani dalla parte opposta o semplici sciacalli- hanno colto la palla al balzo per criticare l'iniziativa tout court:
[il video]

"No Pressure" celebrates everybody who is actively tackling climate change ... by blowing up those are aren't.
In realtà il messaggio è chiaro: "No pressure" significa che non c'è molto da scherzare, non possiamo permetterci di rimandare, un'azione globale per rivedere il nostro modello di sviluppo e le nostre abitudini quotidiane. Del resto, viviamo in tempi in cui la parola d'ordine è "scioccare" per attirare l'attenzione, "fare sensazionalismo" a ogni costo.

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La rivoluzione energetica vista dalla Danimarca

Fonte
"La Danimarca prepara un piano per abbandonare completamente i combustibili fossili entro il 2050. Si punterebbe su eolico - che dovrà moltiplicarsi per 5 - e biomasse. Niente nucleare e sequestro della CO2, ma fondamentali efficienza, rete intelligente e auto elettriche. Tasse pesanti sulle fonti fossili e incentivi innovativi. Tutto con un costo abbordabile per il sistema-paese.
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Ci si può liberare completamente dalle fonti fossili entro il 2050, sia per quel che riguarda la produzione elettrica, che per i trasporti, che per i consumi termici. La settimana scorsa, riferito alla sola elettricità, era già arrivato l'annuncio del premier scozzese di voler soddisfare entro il 2025 l'intero fabbisogno con le rinnovabili. Ora - mentre il nostro governo continua a cercare di frenare e “difendersi” dagli obiettivi europei per il 2020 - fanno notizia altre nazioni che guardano ancora più avanti e studiano piani per soddisfare con le rinnovabili l'intero fabbisogno energetico.

È il caso dell'esecutivo danese, sul cui tavolo in questi giorni è arrivato uno studio (vedi allegato) preparato dalla commissione governativa per le politiche sui cambiamenti climatici. Un documento che spiega come il paese può, entro il 2050, portare la quota delle fonti fossili nel proprio mix energetico dall'80% circa attuale a zero e ridurre così le proprie emissioni fino al 80-95% rispetto ai livelli del 1990.
Una “riconversione totale del sistema energetico” impegnativa ma fattibile se portata avanti con gradualità: le tecnologie per farlo ci sono già tutte, spiega il report, e le centrali a fonti fossili del paese entro il 2050 finirebbero comunque il loro ciclo di vita. Perno del mix energetico sono l'eolico e le biomasse. L'efficienza energetica avrebbe ovviamente una grande parte: i consumi verrebbero diminuiti del 25% sul fabbisogno totale, mentre i trasporti dovrebbero essere riconvertiti quasi totalmente all'elettricità e, in misura minore, ai biocarburanti.

Un nuovo sistema energetico in cui l'elettricità passerebbe dall'attuale 20% dei consumi fino al 70%, una rivoluzione che presuppone una rete elettrica all'avanguardia, capace di gestire grandi produzioni da una fonte aleatoria come l'eolico, che secondo lo studio dovrebbe passare dai 3 GW attuali fino a 10-18,5 GW nel 2050. Fondamentali, ad esempio, le connessioni transnazionali che permettano alla Danimarca di esportare elettricità durante i picchi di produzione eolica e di importarla in altri momenti (Qualenergia.it, Verso la super-rete europea). Già ora la Danimarca usa i bacini idroelettrici di Svezia e Norvegia come gigantesche batterie in cui accumulare, pompando l'acqua in salita, l'elettricità prodotta in eccesso. Anche le auto elettriche o ibride – che dovranno sostituire progressivamente quelle con motore a combustione nella mobilità privata – avranno un ruolo importante nell'infrastruttura elettrica, funzionando, quando sono in ricarica, da buffer per la rete elettrica (Qualenergia.it, L'auto elettrica in soccorso dell'eolico).

Ad integrare l'energia discontinua dell'eolico sarà soprattutto una fonte modulabile come la biomassa, il cui ruolo nel mix, dato che molta dovrà essere d'importazione, dipenderà dall'andamento dei prezzi. Non è previsto invece il nucleare in quanto poco modulabile e dunque non adatto a coesistere con l'eolico, ma soprattutto perché, spiega il report, “non ci sono evidenze che sia economicamente più competitivo rispetto all'eolico off-shore, specie se si includono i costi di stoccaggio delle scorie e di decommissioning”. Giudizio sospeso invece sulla cattura della CO2, che “se divenisse più conveniente” potrebbe essere applicata alle centrali a biomassa (che hanno già un bilancio di gas serra neutro) per una ulteriore riduzione delle emissioni.

Una transizione energetica per la quale si indicano anche alcune misure che il governo danese potrebbe adottare. Si suggerisce ad esempio una tassa sui combustibili fossili da aumentare gradualmente, partendo l'anno prossimo con 5 corone danesi (0,67 euro) a gigajoule (277,7 kWh) per salire progressivamente fino a 20 corone (2,68 euro) al 2020 e a 50 (6,7 euro) al 2030. Sgravi fiscali sono previsti (oltre a quelli già in vigore) per auto elettriche e riscaldamento a biomassa. Mentre una serie di provvedimenti promuoverebbero l'efficienza energetica, che nel settore residenziale andrebbe migliorata del 50%: ad esempio dal 2015 verrebbero bandite le caldaie a gasolio. Interessante poi la proposta di creare per ogni edificio uno speciale “fondo per il risparmio energetico”: un conto su cui i proprietari sarebbero obbligati a versare ogni anno una somma, tanto più alta quanto peggiori le prestazioni energetiche dello stabile, e da cui potrebbero attingere solo per interventi certificati che migliorino l'efficienza energetica.

Quanto costerà alla Danimarca tutto questo? Il documento dedica il capitolo finale appunto alle conseguenze economiche di questa rivoluzione energetica, che, va detto, sono difficili da quantificare, visto che vi incidono molti fattori come il prezzo di CO2, dei combustibili fossili e del kWh dalle varie rinnovabili nei prossimi decenni. Serviranno sicuramente grossi investimenti e probabilmente aumenterà il costo dell'energia per il consumatore rispetto ad uno scenario 'business as usual' (seppur di poco 0,1 corone, cioè 1,3 centesimi di euro in più a kWh). Allo steso modo diminuiranno le entrate dello Stato legate alle tasse sull'energia.

Ma questi svantaggi, spiega lo studio saranno compensati dai soldi risparmiati su combustibili fossili e CO2 – che inevitabilmente saranno sempre più cari – oltre che su eventuali sanzioni internazionali. A conti fatti la previsione è che rispetto allo scenario 'business as usual' eliminare le fonti fossili costi alla Danimarca mezzo punto percentuale di prodotto interno lordo da qui al 2050 (assumendo comunque che il Pil del paese raddoppi). Se si considera che dal conto sono esclusi i danni evitati ad ambiente e salute rinunciando alle fonti sporche (a proposito vedi su Qualenergia.it, CO2, il meno 30% che fa bene alla spesa sanitaria), non sembra affatto una prezzo proibitivo.

GM

6 0ttobre 2010

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6 ottobre 2010

Vittorio Petrelli non rinnega la scelta pro-carbone e si autoappella "Paladino dello svilupo sostenibile" (aggiornamento)

Petrelli (attualmente consigliere IdV a Civitavecchia) replica alla critica di Gabriele Pedrini (Fiamma) che aveva recentemente rilevato (leggi qui) l'opacità dell'azione di Petrelli, nel 2003 uno dei responsabili politici del "via libera" alla riconversione a carbone di TVN, ma recente promotore dell'iniziativa "Salute da Civitavecchia".

Ecco la replica integrale (aggiornamento: in fondo riportiamo la risposta di Pedrini a questo intervento) : "Caro segretario della Fiamma Tricolore, non è una cartolina che manca piuttosto una lettura obiettiva dei fatti, scevra da qualsiasi demagogia. Non ho mai rinnegato il mio assenso alla riconversione a carbone della centrale di Torrevaldaliga nord, perché è stato frutto innanzitutto di una scelta della lista a cui rappresentavo, ossia Ambiente e Lavoro che ha fatto dello sviluppo sostenibile il suo cavallo di battaglia. Mi dispiace constatare che non riconosca quell’assenso quale frutto di un intenso lavoro che ci ha visti impegnati per rendere sostenibile quel progetto. Lo abbiamo fatto presentando numerose Osservazioni al procedimento della VIA e, solo dopo che Enel ha apportato le modifiche, abbiamo avallato quella scelta, con molte difficoltà e sacrifici per il nostro ruolo di non governo consapevoli che la riconversione avrebbe comportato una riduzione delle emissioni rispetto alla configurazione precedente. All’impegno di Ambiente e Lavoro sono ascrivibili – 33% di NOX, - 25% di potenza rispetto a quella presentata ed uno scarico del carbone tecnologicamente il più avanzato, quale quello del sistema a caricamento continuo invece delle benne proposte. Non ci siamo preoccupati di quello che si bruciava piuttosto di quello che sarebbe uscito dalla ciminiera e che produce danno alla salute pubblica. C’è, poi, un altro aspetto che non si deve dimenticare: quella riconversione ha permesso il mantenimento di posti di lavoro sul territorio e, in un momento di crisi, non è cosa da poco. E, proprio per le preoccupazioni di ciò che potesse uscire dalla ciminiera di Torre Valdaliga sud, ho lavorato intervenendo nei procedimenti appositi, per far pronunciare l’AIA negativamente circa la richiesta dell’azienda, Tirreno Power, per il mantenimento dell’esercizio del 4° gruppo così com’è avvenuto, perché, al di là della scelta del combustibile, se invece avesse avuto l’avvallo della Commissione AIA, si sarebbe determinato un peggioramento ambientale per l’ aumento delle quantità di emissioni inquinanti sul territorio rispetto al decreto che ha autorizzato la riconversione della centrale di TVS. Eppure le sue osservazioni o quelle del suo partito non le ho mai viste in questi procedimenti. Altra cosa è la gestione. Se essa si discosta da quanto autorizzato ci sono responsabilità che vanno individuate e colpite. E non è un caso che, pur avendo un ruolo di non governo, sono stato impegnato sempre, ed in prima fila, per denunciare anomalie gestionali, cercando di risolvere il problema. E’ stato così per i rumori, per il trasporto anomalo del cenerino, ed anche per un errore di pubblicazione del decreto autorizzativo 55/’03 sulla Gazzetta Ufficiale che aveva consentito un quantità di emissioni in eccesso di 600 tonnellate di SO2. Anomalia risolta tra l’indifferenza di altri amministratori, alcuni di questi anche nocoke. Lei si scaglia in maniera convinta contro quella riconversione, tant’è che ha proposto di intitolare anche una via ai 23 amministratori che operarono quella scelta, ma ci spiega perché rimane ancora silente sul grave impatto ambientale che provoca il porto e le attività ad esso connesse, tale da provocare un cappa rosso-giallastra, la stessa che provocava Torre Valdaliga nord appena entrata in funzione nel 1980? Ci spieghi, signor Segretario, perché altri politici le fanno compagnia in questo silenzio. Non crediamo che gli inquinanti possano avere un colore politico. Come vede non è una cartolina che manca, anche perché in quella relativa alla qualità dell’aria un episodio di inquinamento dovuto a Torre Valdaliga nord, per nostra coerenza, l’abbiamo collocata. Quanto al mio cambio di casacca lasci stare… non si è nemmeno accorto che ho dovuto cambiarle quando queste liste civiche non esistevano più. Piuttosto che scomodare Totò, al di là delle proprie posizioni e convinzioni, ognuna delle quali merita il rispetto altrui, mi domando perché non ha mai ufficializzato le sue posizioni nei procedimenti VIA od AIA piuttosto che lasciarli a sterili polemiche, forse perché non aveva fiducia neanche lei che potessero trovare accoglimento presso gli organi competenti?

Vittorio PETRELLI

Paladino dello Sviluppo Sostenibile"
[UAAAZZ! NdR]

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Nuova risposta di Petrelli (07/08/2010):

Sono stato a lungo indeciso se dare risposta al comunicato del Sig.Petrelli ,dopo aver letto e preso atto del “diluvio di scempiaggini” in esso contenute, oppure chiudere la questione con un secco, espressivo ed esauriente: “NO COMMENT!”.Poi , ricordandomi che dare una risposta ad un qualunque interlocutore ,a prescindere dal suo profilo intellettivo e culturale,  è un obbligo derivante dalle normali regole del “buon vivere” ho preso in mano la penna ed ho deciso di dare un riscontro, che mi auguro definitivo, alla “querelle” , aperta in prima istanza dal Sig.Dei Giudici , che ha avuto il buon gusto  di accontentarsi della mia replica, e proseguita ,in seconda istanza, dal Sig.Petrelli  non ancora “pago” di quanto da me già espresso nel corpo della mia prima replica.
 Ritengo opportuno offrire al Sig.Petrelli un paio di spunti di riflessione, chissà che questa volta non abbia un attimo di “resipiscenza”.
In particolare,ed in prima istanza, vorrei chiedere al Signore in parola se é umanamente possibile cambiare una gomma ad una macchina in movimento o ,se preferisce, chiedersi quale logica esiste nel chiudere la stalla  dopo che i buoi ne sono fuggiti?
 Dopo aver votato, insieme ad altri ,non importa quanti siano, la conversione a carbone voleva forse con i suoi successivi “vantati” interventi riconquistarsi una “verginità politica”?
Per caso  forse chi commette un reato e poi tenta di attenuarne od occultarne in seguito ed in qualche modo la gravità non é ritenuto colpevole ?
Sig.Petrelli abbia rispetto per l’intelligenza del prossimo, su per favore!
In seconda istanza, a proposito di VIA(Valutazione di Impatto Ambientale) offro alla riflessione del Sig. in parola quanto  tratto dai contenuti della Valutazione di Impatto Ambientale della Centrale, Relazione Istruttoria,pag.39,rigo 26 in cui si poteva leggere “…in seguito alla conversione a carbone della Centrale di Torre Valdaliga Nord ci sarà un aumento del 50% delle emissioni di mercurio” ed ancora  nel Decreto di Valutazione di Impatto Ambientale della Centrale in questione, a pag.18-rigo 16 si poteva leggere  che : “..si esprime perplessità riguardo al fatto che le emissioni di mercurio possano essere effettivamente contenute nel valore dichiarato di 08 microgrammi/Nm3” Signor Petrelli ,Le aggiungo “ad abundanziam” quanto espresso ,in un recentissimo rapporto, dalla Società Internazionale dei Medici per l’Ambiente-Alto Lazio, secondo il quale, la situazione riguardante la presenza del mercurio nell’ambiente non é ancora giunta al suo massimo livello di criticità. In tale contesto,viene,inoltre precisato, in merito al mercurio, che  circa il 70% delle emissioni derivanti dall’attività umana sono provocate dall’incenerimento dei rifiuti e,soprattutto, dalla combustione del carbone, che può contenere fino a 150 volte la quantità di mercurio presente nell’olio combustibile. Come non bastasse, il rapporto evidenzia la capacità del mercurio di operare alterazioni in campo genetico che possono esporre la popolazione alla predisposizione di patologie croniche come il diabete ,l’arteriosclerosi ed il cancro.
 Da ultimo Green Peace ha reso noto che su di un campione di sogliola pescato recentemente al largo di Civitavecchia  la quantità di mercurio é ben 10 volte maggiore dell’indice previsto,le ricordo che tale pesce viene utilizzato nella fase di svezzamento dei neonati :va bene come analisi obiettiva dei fatti,Sig. Petrelli?
 Penso di averLe dato degli ottimi spunti di riflessione per pubblicare ulteriori cartoline…….Sig.Petrelli noi tutti la ringraziamo per i suoi indefessi sforzi per migliorare la qualità della vita della città e, per chiudere, non mi resta che dirLe: “ Salute …da Civitavecchia”.

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"Why new coal", "Perché nuovo carbone?" Nuovo docufilm dall'India





Da un nuovo docufilm una critica al modello di sviluppo indiano e alla sua dipendenza dai combustibili fossili. Si chiama WhyNewCoal, ed è stato realizzato da Ekta Kothari e Vinay Jaju in partnership con www.SwitchON.org e http://onergy.in/

Sotto: lavoro minorile nelle miniere di carbone indiane



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    L'ombra del terminal Cina sulle nostre teste. La malavita fa il tifo, Moscherini anche.

    Da TrcGiornale.it
    "Civitavecchia in competizione con Tripoli, per la realizzazione del terminal Cina. “I cinesi vogliono realizzare un grande approdo per i container, e sono due le città in lizza, Civitavecchia e Tripoli”. Lo ha detto questa mattina, a margine del consiglio comunale, l'assessore Mauro Nunzi, commentando l'approvazione del Piau, programmi innovativi in ambito urbano.

    “Uno studio di fattibilità che – ha detto sempre l'assessore – non può non tenere conto delle gradi direttrici di comunicazione di cui la nostra città rappresenta uno snodo”. In questa chiave Nunzi ha spiegato l'inserimento dello studio del district park e del terminal Cina, definendolo “un sogno”. Ma in consiglio l'opposizione non è stata del suo stesso avviso. Marietta Tidei (Pd) ha detto che “il progetto che ci hanno mostrato i consulenti non è quello della delibera”. Manuedda (Verdi) ha sottolineato che il progetto “travalica i limiti imposti dal finanziamento ministeriale” mentre per Piendibene “la zona a nord deve essere preservata perché è un tratto di costa assolutamente peculiare”. E anche per Petrelli “non c'è alcun bisogno di allargarsi con i container a nord di Tvn”. Di segno opposto ovviamente gli altri interventi dalla maggioranza, con Vitali (Pdl) che ha invitato l'opposizione a collaborare “perché questa è una coalizione aperta” e Balloni (Polo Civico) che invece ha chiesto l'astensione. Favorevoli al Piau anche gli ex Udc Cerrone e Mecozzi. Alla fine il Piau è passato con 22 voti favorevoli e 7 contrari, compreso Gatti (Gruppo Misto). Guerrini (Pd) era uscito. “Questa è la svolta dello sviluppo, è la nuova storia di Civitavecchia, per i prossimi venti anni”. Il terminal Cina, quindi, non è un progetto finito nel cassetto del Pincio e la Frasca non è ancora salva.

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    Centrale a carbone di Bastardo: lifting in vista?

    (ASCA) - Perugia, 5 ott - ''Le anticipazioni che leggiamo dai giornali ci appaiono spudorate e preoccupanti. Pensare di rendere compatibile con l'ambiente e la salute umana un impianto obsoleto abbassando i parametri sulle emissioni sarebbe inaccettabile. Una maggiore capacita' progettuale deve farci optare per un serio progetto di riconversione, non a rimettere insieme i pezzi di quella che ormai deve essere considerata come una testimonianza di archeologia industriale ed energetica''. Cosi' il capogruppo dell'Italia dei valori in Consiglio regionale dell'Umbria, Oliviero Dottorini, commenta le notizie relative a ''presunte iniziative mirate a far rimanere a pieno regime la centrale a carbone ''Pietro Vannucci' di Bastardo, abbassando i parametri di tutela ambientale e riproponendo progetti di combustione delle biomasse''. ''A noi preme ricordare - spiega - che il Consiglio regionale ha deciso nel 2007, approvando la mozione che ci vedeva come primi firmatari, di abbandonare il progetto di co-combustione delle biomasse e a valutare invece una progressiva riconversione dell'attuale centrale verso impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, quali fotovoltaico, solare termondinamico ed eolico, secondo i limiti posti dall'attuale Piano energetico regionale. Oggi - aggiunge - qualcuno sembra voler mettere in discussione quella deliberazione per tornare alla carica con un progetto senza futuro, incurante delle prospettive economiche e ambientali del nostro territorio e delle linee programmatiche di legislatura che fanno della green economy il cardine delle politiche regionali. Se fosse vero quanto apprendiamo rispetto alla volonta' dell'assessorato all'Ambiente - osserva Dottorini - di predisporre un piano per abbassare i parametri di legge in fatto di emissioni in modo da permettere alla centrale Enel di ottenere il rilascio della Autorizzazione integrata ambientale (Aia), si tratterebbe di un progetto che incontra la nostra ferma opposizione. La salute dei cittadini si tutela chiedendo il rispetto di parametri restrittivi e non abbassando il livello di guardia''. ''Quanto alle biomasse, - continua - sappiamo che il Piano energetico regionale non consente iniziative di queste dimensioni che comporterebbero l'importazione di materie prime da fuori regione e l'eventualita' di bruciare rifiuti. Per quanto ci riguarda, continuiamo a ritenere che l'impianto di Gualdo Cattaneo presenta enormi criticita' di carattere socio-sanitario che richiedono verifiche che non ci risultano siano state mai condotte. Cosi' come non sono pervenute risposte alle nostre numerose interrogazioni sui carbonili scoperti. Ci preoccupa il fatto che il ministro Calderoli defini' quell'impianto come altamente inquinante''.

    ''E' giunto il momento - conclude - di abbandonare progetti assurdi come quello del rilancio della centrale e porre invece finalmente sul tavolo delle politiche di governo, a fianco di una decisa opzione a favore delle energie rinnovabili, il tema della riconversione di un impianto che puo' trasformarsi nel fiore all'occhiello dell'impegno umbro per la green economy e per le energie rinnovabili''.

    pg-rg/mcc/rob

    (Asca)

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    5 ottobre 2010

    Cambia proprietà la centrale solare di Montalto di Castro

    "(AGI) - Roma, 4 ott. - SunPower ha venduto a Etrion Corporation, produttore indipendente di energia solare, la partecipazione azionaria delle prime due fasi del parco solare di Montalto di Castro, la piu' grande centrale solare fotovoltaica (PV) italiana, per circa 49 milioni di euro.
    L'acquisizione della prima fase del progetto, da 20 megawatt (MW), informa una nota, e' stata completata nel mese di agosto e l'acquisizione della seconda fase da 8 MW e' stata completata la settimana scorsa. SunPower riconosce cosi' la vendita della prima fase del progetto come ritorno di capitali e quella della seconda come ricavi, compresi anche quelli precedentemente differiti, relativi al contratto EPC di cui la stessa Sunpower era responsabile. "Quest'anno, con la chiusura di questa acquisizione, siamo sulla buona strada per completare la realizzazione e vendita di asset fotovoltaici per 85 MW in Italia", ha detto Dennis Arriola, direttore amministrativo e finanziario di SunPower. "La tecnologia leader a livello mondiale di SunPower e le sue comprovate prestazioni su oltre 225 MW di centrali fotovoltaiche operative in Europa ci ha fornito una serie di partner finanziari potenziali forti, tra cui molti nuovi partecipanti al mercato del solare". SunPower ha progettato e costruito il parco solare da 28 MW a Montalto di Castro, nel Lazio, vicino a Roma, e fornira' anche la gestione e manutenzione del parco stesso per i prossimi anni.
    La prima fase da 20 MW e' stata collegata alla rete nel novembre 2009, diverse settimane prima del previsto, ed e' stata acquistata da SunPower al momento dell'acquisizione della SunRay Renewable Energy nel maggio del 2010. Le seconda fase da 8 MW e' stata commissionata lo scorso mese. Entro la fine di quest'anno e' previsto inoltre il completamento e la vendita di ulteriori 44 MW , portando la capacita' totale del parco solare di Montalto di Castro a 72 MW confermando il suo record assoluto su scala nazionale ed internazionale. (AGI) .

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    Inceneritori, rifiuti tossici e tumori: lo Stivale dei veleni

    Fonte originale: IlSole24Ore, via

    "Lo stivale italiano dei veleni svelato 
dal super-consulente delle procure. In ufficio ci va a bordo di un kajak perennemente ormeggiato tra i canneti che dalla riva degradano lentamente fino al giardino di casa. L’uomo che scende e deposita il remo ha una barba incolta bianca e il cappello alla Crocodile Dundee. Ha scelto di vivere in un suggestivo scorcio del Lago di Mantova che gli allontana i ricordi olezzanti di discariche abusive, rifiuti tossici e industrie chimiche fuorilegge, ossia tutto ciò che nel suo lavoro affronta quotidianamente. Si chiama Paolo Rabitti, 60 anni, due lauree – ingegneria e urbanistica –, innumerevoli pubblicazioni, docenze e ricerche alle spalle. Ai suoi studi si affidano i Comuni alle prese con la Tav o i comitati di cittadini preoccupati da inceneritori e aziende chimiche. Gente con cui spesso collabora gratuitamente, così, per coscienza civica, dice. Ma il suo nome appare soprattutto nelle più importanti inchieste ambientali, chiamato come consulente dalle Procure di mezza Italia. Dai tempi di Felice Casson per il petrolchimico di Porto Marghera, ai pm di Brescia, Ferrara, Rovigo o Grosseto, giusto per citarne alcune: e sempre per smaltimento di materiali tossici, inquinamento da emissioni di Pcb dalle acciaierie, acque devastate da scarichi illeciti. Come per il Lago Maggiore: la sua perizia per il tribunale di Torino è valsa la condanna civile per 1,6 miliardi di euro alla Syndyal, responsabile dello sversamento nelle acque di quantità industriali di Ddt. 
    «Se ne accorsero gli svizzeri, poi fu vietata la pesca. E ancora oggi ci sono sul fondale quantità enormi di sedimenti inquinanti». I magistrati, alle prese con un disastro ambientale dietro l’altro, per capirci qualcosa suonano al suo campanello sempre più spesso. E non poteva non essere così anche per il caso dei rifiuti in Campania: trenta ore di testimonianza nell’aula bunker, un vero record, per spiegare che «con la gestione dei rifiuti la camorra non c’entra proprio nulla». E che per contro c’entravano istituzioni e multinazionali, per le quali è diventato una sorta di incubo, un cave hominem da cui stare alla larga visto che ogni volta che ci incappano finisce a condanne e risarcimenti per i disastri commessi. «In effetti tentano spesso di etichettarmi per un ambientalista, un’etichetta comoda se si devono nascondere gigantesche magagne». Per quelle che ha scovato in diverse città sugli affari d’oro del pattume, è stato appena nominato consulente della Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti. Un incarico, l’ennesimo, che svolge gratis. E che probabilmente avrà il suo fulcro proprio in ciò che accadde nell’area campana. Intorno a un tavolo in legno, sotto al pergolato, l’ingegnere inizia a ricostruirne la storia, attorniato dalla moglie Gloria Costani, di professione medico, da Smilla e Black, i suoi due cani e da un numero imprecisato di gatti. «Lì la situazione era già piuttosto compromessa, perché per decenni le industrie del centro-nord vi avevano smaltito illegalmente rifiuti pericolosi, interrandoli, sversandoli nelle acque o direttamente nelle falde. Questo per delineare il quadro. Quanto allo scandalo dei rifiuti urbani, c’è un processo per truffa ai danni dello Stato e falso alla Fibe-Impregilo. In sostanza doveva gestire i rifiuti per l’intera regione, separando carta e plastica dalla componente organica. La prima sarebbe servita per produrre combustibile da bruciare negli inceneritori. La seconda doveva essere inertizzata diventando una specie di terriccio da fiori».

    Invece?

    «Di fatto non veniva prodotto combustibile, né – tantomeno – il terriccio. E la regione si è trovata alle prese con circa dieci milioni di tonnellate di cosiddette “ecoballe”, in barba al Commissariato ai rifiuti che avrebbe dovuto controllare».

    Rifiuti uguale camorra, dicono.

    «Guardi, la camorra forse è intervenuta nel business dei trasporti dei rifiuti dagli impianti alle discariche, in qualche subappalto fatto da Fibe-Impregilo che peraltro non poteva subappaltare. E forse, ma forse, la camorra si accaparrava i terreni in cui Impregilo aveva deciso di costruire le discariche. Ma di sicuro, con la gestione dei rifiuti, la camorra non c’entra assolutamente nulla, contrariamente a quanto si lascia intendere. La responsabilità è di controllori e controllati. Ed era impossibile non vedere che nelle discariche c’era una situazione da Terzo mondo, che ancora adesso nessuno racconta».

    Tipo?

    «Progettate per accogliere materiale inerte, e cioè il terriccio, venivano invece riempite con rifiuti organici addirittura freschi che andavano rapidamente in putrefazione e producevano enormi quantità di liquido marcio (il cosiddetto percolato) e di gas. Sicché, oltre a inquinare, puzzavano da morire. Nemmeno le coprivano tutte le sere, né tentavano di limitare almeno le quantità di percolato o di captare il gas. Risultato, il percolato tracimava, l’odore era intollerabile.


    E per attenuarlo, a qualcuno è venuta l’idea di piazzare spruzzini di profumo sulle recinzioni».

    Sta scherzando?

    «Giuro. Ho qui una foto».

    Con l’intervento del Governo Berlusconi i rifiuti sono spariti d’incanto, in una manciata di giorni. E tutti si chiedono ancora oggi come sia stato possibile.

    «Beh, io commento solo ciò che ho visto. E cioè il sito di Ferrandelle: hanno accatastato circa un milione di tonnellate di rifiuti in piazzole preparate in fretta e furia su un terreno quasi paludoso e senza alcun tipo di copertura. Non mi pare esattamente la panacea che hanno dipinto».

    Resta il fatto che in alcune regioni del Sud l’emergenza si ripresenta periodicamente.

    «Perché per funzionare il ciclo dei rifiuti necessita di amministrazioni che amministrino, controllori che controllino e aziende che facciano quello per cui sono pagate. Ma se, tanto per fare un esempio ipotetico, il politico di turno decide di mandare tutto in discarica, affida la localizzazione a un emissario della camorra, il progetto al cognato che non ne ha mai vista una, la raccolta dei rifiuti a un’azienda creata solo per assumere personale, lo smaltimento a un’altra azienda che ha interessi nei rifiuti pericolosi e la discarica a chi ci fa andar dentro di tutto e se ne infischia della corretta gestione, allora, come dire, se succede tutto questo è molto probabile che si verifichino disastri».

    Per molti la soluzione starebbe nei termovalorizzatori.

    «Mah, termovalorizzatore è un termine eufemistico. Secondo le leggi nazionali ed europee si deve parlare di “inceneritori con recupero di energia”. Certamente sono impianti assai vantaggiosi economicamente ed è per questo che c’è la corsa a costruirli. Peccato che in Italia l’energia prodotta incenerendo i rifiuti sia stata fatta passare alla pari di quella proveniente dal sole e dal vento. E veniva così adeguatamente sovvenzionata finché la Comunità europea ci ha tirato le orecchie, perché è evidente che non si tratta della stessa cosa. E vorrei confutare un’altra colossale bugia: non è vero che gli inceneritori non inquinino. Anche ammesso che le emissioni rientrino nei limiti di legge, moltiplicando le concentrazioni a metro cubo degli inquinanti per il numero di metri cubi di gas che escono dai camini si trovano quantità molto rilevanti. Senza contare i delinquenti che taroccano il software di controllo per simulare emissioni inferiori a quelle reali. Alcuni casi li ho constatati di persona».

    E allora, la soluzione?

    «Il sistema migliore è, ovviamente, non produrli».

    Facile.

    «Scusi, perché se compro una fetta di formaggio al supermercato mi devo portare a casa altrettanta plastica? Costa poco produrla, ma molto smaltirla, sia in termini economici che ambientali. Oltre a ridurre bisogna cercare di recuperare e riusare, visto che ogni cosa che finisce in discarica o viene incenerita provoca un impatto ambientale».

    Un po’ utopistico.

    «Nient’affatto. A Treviso raggiungono l’80 per cento, ripeto 80 per cento di raccolta differenziata come media annuale. Così, visto che non serve l’inceneritore per rifiuti urbani, gli industriali hanno pensato bene di chiedere di costruirne due per rifiuti speciali. E sta ovviamente succedendo un putiferio, perché la gente si sente presa in giro». Una sensazione che si avverte spesso. Lei si è occupato del cloruro di vinile di Porto Marghera, uno dei più grandi scandali italiani, che vedeva al centro il colosso industriale Montedison. «Già. Scoppiò tutto perché un operaio, Gabriele Bortolozzo, volle capire il motivo per cui gli amici che lavoravano con lui nel reparto in cui si produceva polivinilcloruro (Pvc) a partire dal cloruro di vinile (Cvm) fossero tutti morti di tumore. Fu grazie alla sua personale ricerca inviata alla Procura di Venezia che iniziò l’indagine di Felice Casson. Tra le carte dell’inchiesta sul Petrolchimico di Brindisi trovai un documento del 1974 (che poi depositai agli atti del processo di Marghera) in cui un dirigente di Montedison affermava che le aziende sapevano che il Cvm fosse cancerogeno molto prima della scoperta ufficiale del 1973, ma che l’avevano tenuto segreto. E in un secondo documento del 1977 (che mi fu anonimamente imbucato nella cassetta della posta) un altro dirigente Montedison scrisse che non bisognava fare le manutenzioni agli impianti. E questi sono solo due esempi, per dare l’idea di una vicenda incredibile».

    Pare incredibile anche ciò che è accaduto con lo sversamento in mare del petrolio della BP. Barack Obama l’ha paragonato all’11 settembre…

    «È certamente un disastro ambientale di proporzioni terrificanti, ma è anche la dimostrazione che l’estrazione del petrolio comincia a essere troppo difficile. Le conseguenza sull’ambiente non sono per ora compiutamente valutabili. Si pensa che gli effetti dureranno molte decine di anni. D’altra parte, il caso americano ha fatto riemergere anche la questione dello sversamento nel delta del Niger che da decenni, nel silenzio generale, sta devastando l’ecosistema. O meglio: negli anni Ottanta il poeta Ken Saro-Wiwa si fece portavoce delle rivendicazioni della popolazione. Ma finì impiccato».

    Anche lei è tra quelli che sostengono la necessità di passare alle energie rinnovabili?

    «Credo che sfruttarle sia un dovere morale, oltre che una necessità contingente. Se, invece di riempire le tasche dei padroni degli inceneritori con i contributi destinati alle energie rinnovabili, i soldi fossero stati usati per incentivare la ricerca e l’installazione degli impianti il nostro Paese sarebbe sicuramente all’avanguardia».

    Lei non si fida del nucleare?


    «Il ministro che più spingeva per le centrali nucleari era Scajola. Veda lei».

    È degli incidenti che tutti hanno paura. In fondo qui siamo nella terra della diossina di Seveso, dell’Icmesa dei disinfettanti… Seveso, la Chernobyl italiana…

    «Posso raccontarle a questo proposito una storia cui lavoro da molto tempo? Sa, ci sto scrivendo un libro».

    Prego.

    «A seguito del disastro del 1976 all’Icmesa, la commissione della Regione Lombardia stilò un rapporto secondo il quale “sembra” che parte delle 1.600 tonnellate di materiale asportato dalla fabbrica subito dopo il disastro venne smaltita in un inceneritore del Mare del Nord, inceneritore che però non fu indicato. Scrisse proprio così, “sembra”. Il resto del materiale rimasto nel reattore, e cioè 41 fusti di diossina e triclorofenolo, fu affidato a tale Bernard Paringaux, persona che si disse legata ai servizi segreti e che avrebbe dovuto smaltirli in una discarica controllata in Francia. Paringaux li mostrò in tv, solo che i fusti erano più piccoli di diametro rispetto a quelli che erano partiti. Ne nacque un giallo che si risolse solo molto tempo più tardi, quando fu spiegato che erano stati smaltiti probabilmente vicino alle ex miniere di sale della Ddr. Probabilmente. Di fatto, nessuno seppe mai nemmeno in questo caso né dove, né se a essere effettivamente smaltiti furono i fusti partiti dalla sede dell’Icmesa. Perché la verità è questa: che nessuno sa dove siano finiti. E questo è il primo punto. Il secondo è che la diossina provoca il sarcoma, un tumore il cui tempo di latenza si aggira intorno ai dieci anni».

    E quindi?

    «Lei lo sapeva che Mantova è la città con la più elevata frequenza di sarcomi in Italia rispetto alle popolazioni della zona industriale?».

    Non seguo il paragone.

    «Ce ne accorgemmo io e mia moglie che, essendo medico di base, notò che buona parte di questi tumori colpivano pazienti che abitavano vicino al vecchio inceneritore della città. Che oggi è vecchio, ma che nel 1980 era stato inaugurato come il più moderno inceneritore per rifiuti tossico-nocivi d’Europa. Scrivemmo un report. E in effetti l’Istituto superiore della Sanità promosse uno studio approfondito, constatando che chi abitava vicino all’inceneritore di Mantova aveva una probabilità ben trenta volte superiore al resto della città di sviluppare il sarcoma. Ed è una circostanza stranissima, perché in nessun altro luogo dove è presente un inceneritore per tossico-nocivi è mai stato evidenziato un aumento dei sarcomi. Circostanza della quale infatti sono stato chiamato a relazionare poco tempo fa alla Gordon and Mary Cain Foundation a Philadelphia».

    La questione comincia a farsi inquietante.

    «All’epoca di Seveso non esistevano strumenti per capire quanta diossina potesse essere entrata nel sangue della popolazione. Ne furono congelati alcuni campioni che vennero analizzati anni più tardi dalla Cdc (Center for Diseases Control) di Atlanta, praticamente l’Istituto superiore della sanità degli Stati Uniti. Tempo dopo, per sintetizzare, fu chiesto di analizzare il sangue dei mantovani. La clinica del lavoro di Milano stilò un rapporto in cui concludeva che il livello di diossina nel loro sangue a campione era medio-basso. Invece non era vero. A seguito di un’interrogazione parlamentare di Casson, rivide drasticamente il proprio parere e in un cosiddetto “consensus report” assieme all’Istituto Superiore di Sanità sostenne che il livello di diossina era medio-alto. Ecco, il problema è questo. Che non è possibile, o almeno non c’è una spiegazione scientifica, che lo giustifichi. Visto che qui il polo chimico è chiuso da vent’anni. Come del resto l’inceneritore, sigillato nel lontano 1992. La domanda è: da dove arrivava la diossina che provoca i sarcomi nel sangue dei mantovani?».

    Sta dicendo che i fusti di Seveso vennero smaltiti da queste parti, a Mantova?

    «No. Sto facendo alcune constatazioni scientifiche su coincidenze attualmente senza risposte. La prima è che Mantova ha inspiegabilmente questa elevata concentrazione di sarcomi. La seconda è che chi abita vicino all’inceneritore ormai fermo da diciotto anni aveva inspiegabilmente probabilità trenta volte più alte di ammalarsi di sarcoma rispetto al resto della popolazione di Mantova, quasi che lì si fosse bruciata diossina. La terza è che in nessun’altra città che abbia avuto un inceneritore per rifiuti tossico-nocivi c’è mai stata correlazione statistica così diretta con i sarcomi. La quarta è l’assolutamente inspiegabile livello medio-alto di diossina nel sangue dei mantovani. E la quinta è che – purtroppo – nessuno sa che fine abbiano fatto i 41 fusti e gli altri rifiuti di Seveso: quelli che la stessa commissione della Regione Lombardia scrisse soltanto che “sembra” siano stati smaltiti nel Mare del Nord, e la cui sorte è dunque avvolta nel mistero. E poi c’è un sesto elemento…».

    Cioè?

    «I sarcomi a Mantova hanno iniziato a manifestarsi alla fine degli anni Ottanta, con i consueti dieci anni di latenza. E cioè più o meno dieci anni dopo l’incidente dell’Icmesa, a 150 chilometri da qui. Lo ricordo bene perché venni ad abitare in questa zona alla fine degli anni Settanta. E osservai nel mio giardino un fenomeno che non avevo mai visto prima e che mi colpì profondamente, anche perché non lo rividi più».

    Quale?

    «Era il mese di maggio. E dagli alberi caddero le foglie».

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    Guccione (PD): in Calabria non c'è spazio per nuove centrali a carbone

    (ASCA) - Reggio Calabria, 4 ott - ''Ha ragione l'on. Nucera.

    I tentativi di realizzare centrali a carbone in Calabria (Rossano Calabro e Saline Joniche) non sono questioni che possono riguardare solo le amministrazioni locali o le popolazioni interessate, ma la Calabria intera e, soprattutto, il Consiglio regionale calabrese''. Lo afferma il Consigliere regionale del Pd, Carlo Guccione, gia' primo firmatario, insieme ad altri otto Consiglieri regionali, di una interrogazione bipartisan al Presidente Scopelliti contro la riconversione a carbone della Centrale Enel di Rossano.

    ''Nei mesi scorsi -ricorda l'esponente del Pd- abbiamo piu' volte dichiarato e ribadito la nostra netta contrarieta' all'utilizzo del carbone nella Regione Calabria e, conseguentemente, all'approvazione del progetto di riconversione della centrale Enel di Rossano in coerenza con quanto gia' fatto dal Consiglio regionale con l'approvazione della mozione n*41 del 7 settembre 2007 e, successivamente, dalla Giunta regionale con la delibera n*686 del 6 ottobre 2008. La Calabria e' una regione a prevalente vocazione agricola e turistica. Un territorio con grandi potenzialita' nel settore dell'agroalimentare di qualita' e nel campo storico-culturale e monumentale non puo' subire i fattori di inquinamento che una centrale a carbone porta inevitabilmente con se'''.

    ''Per questa ragione -ricorda Guccione- abbiamo chiesto alla nuova Giunta regionale di esprimersi immediatamente in merito ai tentativi di aggressione che vengono da quanti vorrebbero introdurre il carbone nella nostra regione, anche per ribadire che la Calabria ha bisogno di uno sviluppo sostenibile, pienamente compatibile con le sue vocazioni''.

    ''Cogliamo l'occasione, infine -ha concluso Guccione- per ribadire, ancora una volta, con forza, il nostro ''no'' chiaro e fermo a qualsiasi tentativo di utilizzo del carbone nella nostra regione e confermiamo il nostro impegno a costruire e promuovere uno sviluppo sostenibile, pienamente rispettoso delle vocazioni e delle peculiarita' della nostra terra''.

    red-rg/mcc/ss

    (Asca)

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