No al carbone Alto Lazio

12 marzo 2014

Chiusa la centrale a carbone di Vado Ligure: disastro ambientale doloso

Fonte: ivg

Una quarantina di pagine. Sono racchiuse tutte lì le motivazioni del provvedimento di sequestro preventivo per la centrale a carbone di Vado Ligure firmata dal gip Fiorenza Giorgi. Nell’ordinanza, che è stata eseguita questa mattina dai carabinieri del Noe di Genova insieme ai colleghi di Savona, il giudice ha disposto la chiusura dei due gruppi a carbone combinato ad olio, ma non quella del terzo gruppo presente nell’impianto vadese, ovvero quello a metano.

Alla base della richiesta di sequestro avanzata da parte del Procuratore Francantonio Granero e del sostituto Chiara Maria Paolucci ci sono ovviamente i risultati delle due consulenze, quella epidemiologica e quella ambientale, ma anche una serie di violazioni dell’Aia che la Procura avrebbe rilevato. A rafforzare la tesi dell’accusa sarebbe arrivata poi anche l’ispezione dell’Ispra ed il conseguente verbale, con il quale sono state notificate all’azienda irregolarità per quanto riguardo il sistema di monitoraggio in continuo delle emissioni in atmosfera (SME).

Osservazioni che sarebbero tutte presenti anche nel provvedimento del gip Giorgi. Nell’ordinanza si fa riferimento alle consulenze, secondo cui la centrale ha procurato un grave danno ambientale, ma si cita anche la “rarefazione dei licheni” rilevata nell’area intorno allo stabilimento di produzione di energia (accertata anche da uno studio commissionato dall’azienda stessa), un elemento che doveva costituire un importante “campanello d’allarme” per l’ambiente. Sempre in riferimento agli studi degli esperti nominati dalla Procura, nel provvedimento si prendono in considerazione le ricadute su “morbilità” e “mortalità”, calcolate escludendo dalla ricerca i comuni della Valbormida e prendendo in esame fattori inquinanti (come il mercurio e il cadmio) prodotti esclusivamente dalla centrale.

Il giudice prende poi in esame le presunte irregolarità relative alle prescrizioni dell’Aia, che non sarebbero state rispettate anche grazie alla “quasi assoluta neghittosità” di chi aveva il controllo sulla centrale (parte delle verifiche inoltre era a carattere autorefernziale). Un sistema che avrebbe permesso a Tirreno Power di gestire lo stabilimento in maniera “disinvolta”. Per quanto concerne l’autorizzazione integrata ambientale d’esercizio, nel caso di Vado, sarebbe stata rilasciata in tempi più lunghi rispetto al previsto (un periodo nel quale, secondo l’accusa, lo stabilimento avrebbe funzionato di fatto senza alcun controllo). Una delle violazioni più gravi rispetto all’Aia che sarebbe stata rilevata è quella relativa allo SME a camino, il sistema con cui si sarebbero dovute monitorare le emissioni, che l’azienda avrebbe dovuto installare entro nove mesi a partire dal 14 dicembre 2012, ma che invece non sarebbe stato montato nei termini. Lo SME, tra l’altro, non solo sarebbe stato installato in ritardo, ma sarebbe anche stato posizionato alla base della ciminiera anziché alla cima. Secondo quanto rilevato durante l’ispezione dell’Ispra non sarebbe nemmeno stato tarato correttamente e, di conseguenza, avrebbe fornito dati falsati.

Tra le “colpe” contestate a Tirreno Power ci sarebbe poi quella di non aver realizzato la copertura del parco carbone, di aver usato per l’accensione dei gruppi un olio più pesante rispetto a quanto previsto dalla normativa (contenente una percentuale di zolfo tra lo 0,3 e l’1% quando il valore avrebbe dovuto essere inferiore allo 0,3 %) e infine di non aver smaltito separatamente le ceneri combuste dell’olio e del carbone: le prime sono un rifiuto pericoloso, mentre le secondo no e possono essere impiegate nella produzione del cemento.

Secondo i magistrati ad aggravare la posizione della centrale ci sarebbero poi tutte le rilevazioni sulle emissioni, dati che non sarebbero da considerare attendibili. La conclusione della Procura quindi è che, oltre che violare sistematicamente le prescrizioni, Tirreno Power non abbia fatto nulla per attenuare e limitare il danno alla salute ed all’ambiente (secondo i consulenti potevano essere adottati degli accorgimenti per ridurre l’impatto ambientale della centrale, ma non è stato fatto). Visto che l’inquinamento ambientale, sempre secondo gli inquirenti, sarebbe stato tuttora in corso è scattata quindi la richiesta di sequestro. Il reato contestato rimane quello di disastro ambientale doloso, oltre ad una serie di violazioni specifiche che dal punto di vista penale sono classificabili come “contravvenzioni”, ma che dal punto di vista sociale avrebbero un impatto ben più rilevante.
L’ordinanza di sequestro si chiude lasciando una sorta di “via d’uscita” a Tirreno Power: il giudice infatti precisa che il provvedimento sarà revocato se l’azienda si impegnerà (e dimostrerà) di far funzionare l’impianto con le “MTD”, le migliori tecniche disponibili (in inglese “BAT- Best Available Tecnique”), che sono definite nella “Direttiva IPPC” e sono le tecniche piu efficaci per ottenere un elevato livello di protezione dell’ambiente nel suo complesso.

Nel provvedimento quindi è previsto che, se Tirreno Power si impegnerà ad impiegarle, il sequestro dell’impianto cesserà. Un passaggio che dovrebbe passare proprio dall’installazione dello SME secondo le prescrizioni e dal rispetto dei limiti delle emissioni.
La scelta di lasciare aperto uno spiraglio alla riapertura dell’impianto vadese è dettata anche dallo “stato di necessità”, che riconosce comunque l’importanza sociale del funzionamento della centrale, ma alla condizione che questa utilizzi le “MTD” e che quindi non danneggi la collettività.

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13 gennaio 2014

ISPRA: Enel risarcisca 3,6 miliardi per inquinamento a Porto Tolle

Ecco il doc originale: http://www.slideshare.net/thomasmackinson/relazione-ispra
Riportiamo l'articolo da Ilfattoquotidiano

 "Un risarcimento da 3,6 miliardi per danno ambientale e sanitario. Questa la cifra che i periti dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) hanno quantificato, per la prima volta, rispetto all’impatto economico per lo Stato della centrale di Porto Tolle, in provincia di Rovigo: 2,6 miliardi di danni sanitari, essenzialmente per la mortalità in eccesso, più un miliardo per omessa ambientalizzazione. Centrale gestita da Enel, colosso energetico italiano e seconda utility quotata in Europa, a processo per disastro ambientale. A chiedere la perizia, firmata da Leonardo Arru su incarico dell’avvocatura di Stato, i ministeri di Ambiente e Salute, parte civile nel procedimento – denominato ‘Enel bis’ – insieme alle associazioni. Una notizia che non piace (quasi) a nessuno, tanto che a parlarne è solo la stampa locale. Non piace a Enel che a fine dicembre aveva esultato per una riduzione dell’indebitamento da 42 a 40 miliardi ora virtualmente gravato dal rischio di future, pesantissime, passività. Non piace al governo che tramite il Tesoro (31,2%) è il primo azionista di riferimento e carezzava da tempo l’idea di vendere quote per fare cassa. E ora si trova in mezzo a una surreale disputa tra ministeri in cui lo Stato fa causa a se stesso. Sarà poi pane per le agenzie di rating che da mesi incrociano un balletto di svalutazioni e rivalutazioni su titolo e prospettive della seconda società italiana per capitalizzazione di Borsa La perizia è di fine novembre 2013 ma è rimasta confinata nell’ambito del procedimento che si tiene al tribunale di Rovigo per disastro ambientale che è prossimo alla conclusione (la sentenza è prevista per marzo 2014). Eppure potrebbe – secondo il legale di parte civile Matteo Ceruti – diventare un precedente per una serie di situazioni pendenti ad altissimo impatto ambientale oggetto d’indagine o di processi di riconversione: dalla Tirreno Power (ex Enel oggi gruppo De Benedetti) di Vado Ligure (Savona), per la quale la locale procura indaga per gli stessi capi di imputazione, passando per le centrali di Brindisi (Enel), Monfalcone in provincia di Gorizia (A2a), Torre Valdaliga Nord a Civitavecchia (Enel). Non a caso associazioni ambientaliste che si sono costituite nel processo, come Greenpeace, ritengono la perizia un significativo passo avanti non solo per l’entità dell’importo risarcitorio richiesto ma perché mette in chiaro il principio per cui ‘chi inquina paga’. Il conto arriva sul Delta del Po per cause di ordine storico, industriale e perfino politico. La centrale costruita negli anni Ottanta a pieno regime emetteva più anidride solforosa (SO2 ) di qualunque altro impianto fisso in Italia. Ancora nel 2002 si stima sprigionasse da sola il 10% di tutte le emissioni di SO2 imputabili a qualsiasi altra fonte sul territorio nazionale. Per i reati ambientali connessi al funzionamento della centrale, la responsabilità dei direttori dell’impianto e degli amministratori delegati di Enel spa dell’epoca, Paolo Scaroni e Franco Tatò, è stata definitivamente accertata in Cassazione nel 2011 ma i reati erano ormai prescritti: restavano le conseguenze patrimoniali che la corte d’appello di Venezia sta quantificando. Ulteriori indagini e perizie hanno poi permesso di accertare il nesso causale tra le emissioni e le conseguenze di ordine ambientale e sanitario sulla popolazione, in particolare sui bambini. Così è partito il processo “Enel bis” che vede oggi imputati una decina di dirigenti Enel che si sono avvicendati tra il 1998 e il 2009. Secondo la procura di Rovigo, che procede per disastro doloso, avrebbero trascurato l’installazione di impianti che avrebbero consentito di tutelare la salute dei residenti e del territorio provocando un significativo aumento dei ricoveri ospedalieri per malattie respiratorie della popolazione infantile. A comparire davanti al collegio saranno anche l’attuale amministratore delegato Fulvio Conti e i suoi predecessori. E’ in questo procedimento che il ministero dell’Ambiente, parte civile insieme a quello della Salute, tramite l’avvocatura dello Stato distrettuale di Venezia, ha chiesto di valutare anche i danni economici per lo Stato. Danni per l’appunto quantificati in 3,6 miliardi. “Un anno di vita perso vale 40mila euro” - Gli enti locali a corto di soldi stanno uscendo dal processo penale in cambio di noccioline: 130mila euro a testa per cinque Comuni emiliani, più 500mila euro per il Parco regionale del Delta del Po. In tutto 1,1 milioni di euro. Di ancor meno si accontentano gli enti locali veneti (fuorché la Provincia di Rovigo e i Comune di Rosolina e Porto Tolle che sono rimasti come parti civili). Risarcimenti a fronte dei quali le parti si impegnano, tra l’altro, a rinunciare a eventuali pretese o azioni giudiziarie future connesse al funzionamento della centrale sino al 2009. E a questo punto tocca vedere se lo Stato, invece, venderà cara la pelle. “Una valutazione cautelativa”: come viene calcolato il danno Il tecnico che ha firmato la perizia ha portato in aula i calcoli fatti per il periodo 1998-2009, riguardo alla diffusione di biossido di Zolfo (SO2) sulla base delle emissioni dichiarate da Enel al registro internazionale delle emissioni. La stima monetaria è stata fatta utilizzando la metodologia elaborata dall’Agenzia europea per l’ambiente (Eea) e – avverte il perito – “con un orientamento cautelativo” (leggi nel box). Non quantifica, tra l’altro, taluni tipi di impatti come i danni all’ecosistema da acidificazione e deposito di ozono o quelli agli edifici e al patrimonio culturale. Ma si avvicina molto al danno presunto, anche perché alternativa non c’è visto che “non si può stabilire generalmente il danno ritenendolo linearmente proporzionale ai carichi di inquinamento”. Si può, invece, circoscrivere l’addendum di emissioni in eccesso che qualificano e quantificano il peggioramento del profilo emissivo, e moltiplicarlo per unità di costo-vita, laddove esistano indici di mortalità correlabili. Ebbene secondo il perito del ministero dal ’98 al 2009 ci sarebbero 2,6 miliardi di euro di danni connessi al rilascio di 418mila tonnellate di SO2 in eccesso rispetto a quelli rilasciati qualora la centrale avesse operato in un ipotetico regime a gas metano, come imponeva di fare la legge regionale veneta del 1997 istitutiva del Parco del Delta del Po. Ciascuna tonnellata viene moltiplicata per diversi coefficienti individuati in sede europea. La difesa di Enel: “Cifra abnorme e analisi infondata” – Enel, dalla sua, ha già contestato queste cifre come “abnormi”, ritenendo del tutto “infondata” l’analisi dell’Ispra. In particolare, secondo la difesa del colosso energetico, il consulente ha preso a riferimento unicamente le emissioni della centrale senza dare alcuna importanza ai rilevamenti delle cadute a terra di altri inquinanti. Inoltre, secondo i legali Enel, ha considerato come emissioni in eccesso tutte quelle superiori a quelle previste dal decreto ministeriale del 1990 che prevedeva, invece, specifiche deroghe normative per Porto Tolle che la centrale ha rispettato. Ma chi le ha messe quelle deroghe? La politica che sulla vicenda non ha mai mollato la presa. Non solo facendo generose concessioni normative sui limiti di emissioni, ma arrivando a tentare di condizionare l’attività di indagine della procura. Deroga e dilazioni: 20 anni di politica sotto il traliccio La politica e le emissioni, la politica e il colosso nazionale dell’energia. Un rapporto sempre stretto che si fa strettissimo quando serve. La centrale di Porto Tolle doveva essere “ambientalizzata”, cioè ricondotta a tetti di emissione imposti dall’Europa e vigenti per il resto del Paese, fin dal 1990. E invece fino a oggi ha mantenuto impianti di combustione a olio con tecnologia da anni Sessanta. Come è stato possibile? Con l’aiuto della politica che ha sempre trovato, a livello centrale e locale, le giuste deroghe e scappatoie per evitare a Enel un intervento di adeguamento oneroso. Il primo processo penale, quello che ha visto riconoscere la responsabilità degli amministratori dell’epoca per i reati ambientali, ha accertato poi che nonostante le deroghe per l’ambientalizzazione Porto Tolle è stata tenuta scientemente per ultima con ulteriore danno per l’ambiente. Da qui le condanne. Avanti dieci anni, si parla di riconversione ma non a metano, bensì a carbone. Costerebbe a Enel 2,7 miliardi ma il punto è che non porterebbe mirabili riduzioni degli inquinanti, anzi. Il progetto tiene banco per anni con le associazioni ambientaliste, operatori turistici e pescatori che si mettono di traverso e riescono, nel 2011, a far annullare dal Consiglio di Stato il decreto di Valutazione di impatto ambientale (Via). I giudici accolgono i rilievi sollevati e riconoscono che non è stata fatta una valutazione alternativa rispetto all’ipotesi del carbone. In particolare sul gas metano, visto che a 10 km dalla centrale c’è il più grande terminale gasifero offshore al mondo (il rigassificatore di Porto Viro, di proprietà dell’emiro del Quatar), realizzato proprio nella prospettiva di alimentare la centrale di Polesine Camerini. Ma i due impianti non saranno mai collegati perché il metano costa più del carbone. Poi il colpo di scena: nell’estate del 2011 prima il parlamento e poi Regione Veneto modificano le leggi, statali e regionali, rendendo non più necessarie valutazioni alternative. Una coincidenza temporale? Forse. Fatto sta che così facendo si consente di porre nel nulla la sentenza del Consiglio di Stato e di agevolare la nuova Via per il progetto a carbone, attualmente in corso presso il Ministero dell’ambiente. Parallelamente la politica trova modo di mettere lo zampino direttamente sulle inchieste. Gli interventi a gamba tesa sui magistrati che indagano Luciano Violante (Pd) Se la politica tenta a frenare i magistrati della Procura di Rovigo. “Diciamo che è un dato di fatto che tutti quelli che hanno la lavorato a questa vicenda hanno avuto qualche problema”, ricorda l’avvocato di parte civile Ceruti. Il riferimento, neanche troppo velato. Il riferimento, neanche troppo velato, è all’avvocato dello Stato Giampaolo Schiesaro, fatto oggetto di pressanti consigli, da parte di un agente dei servizi caduto in disgrazia, di “allentare la presa” sul processo Enel. Ma anche alla richiesta di azione disciplinare nei confronti del pm Manuela Fasolato avanzata dal Pd Luciano Violante e dal ministro Pdl Angelino Alfano. Il filo delle future larghe intese, improvvisamente, si stringeva intorno al collo di chi rischiava di intaccare interessi che non vanno toccati. La storia è nota. E’ il 2010 e il pm sta lavorando a diversi filoni d’inchiesta sulla centrale ipotizzando legami tra le emissioni e l’aumento dell’incidenza di malattie nei territori circostanti l’impianto. Sulla centrale pende l’iter della Valutazione d’impatto ambientale per il progetto di riconversione che vale, sulla carta, 4mila posti di lavoro e 2 miliardi e mezzo di investimento. Il pm comunica però agli enti interessati, ministero dell’Ambiente e Commissione di Via, le risultanze di alcune perizie che mettono i dubbio la veridicità dei dati del progetto depositato da Enel: un via libera senza una loro verifica avrebbe potuto aggravare il quadro dei reati e comportare ulteriori conseguenze per ambiente e popolazione. Apriti cielo. A Cortina Incontra, il 5 gennaio 2010, Violante nella inedita veste di presidente della associazione Italia decide, si espone in prima persona chiedendo un’ispezione. Sarebbero solo parole in libertà, se non fosse per un dettaglio: Enel è tra i soci fondatori di Italia decide. Ma la coincidenza non impedisce al ministro Alfano di prendere in esame le doglianze di Violante e di inviare a Rovigo il capo degli ispettori Arcibaldo Miller (poi coinvolto nell’indagine della cosiddetta P3) con contestazioni varie e fantasiose (come quella di aver lavorato, su autorizzazione dei superiori, al processo Enel mentre era impegnata come commissario nel concorso per gli esami nazionali in magistratura). Fasolato, nel frattempo trasferita alla Procura generale presso la Corte d’Appello di Brescia, ha chiesto ed ottenuto dal CSM di essere applicata a questo processo davanti al Tribunale di Rovigo, ed ancor oggi è ancora lì che non molla. E la centrale dei veleni pure.

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29 dicembre 2013

Centrale a carbone TVN: è stato un buon anno


Fonte dei dati: http://aia.minambiente.it/AttuazionePub.aspx?id=3974

Da Gruppo di studio su Ambiente e Salute
comitatibiogas.wordpress.com

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20 ottobre 2013

Esposizione all’inquinamento dell'aria provoca tumori: dimostrazione definitiva dalla massima autorità mondiale

L’inquinamento dell’aria può provocare il cancro. Lo dice la massima autorità oncologica mondiale, lo IARC (International Agency for Research on Cancer) di Lione, l’Agenzia che per conto dell’Organizzazione mondiale della sanità analizza e classifica agenti e sostanze per la loro capacità di provocare il cancro. L’inquinamento da polveri e sostanze assortite che affligge le nostre città è stato classificato nel gruppo 1, cioè sicuramente cancerogeno per l’uomo: come il cloruro di vinile, la formaldeide, l’amianto, il benzene, le radiazioni ionizzanti. Già lo IARC si era espresso sulla cancerogenicità di alcune sostanze che compongono il classico smog, come il fumo da diesel e il benzo(a)pirene. Ma in questo caso è l’intero “cocktail” - formato da combustioni da traffico, riscaldamento e emissioni industriali - ad aver ricevuto la scomoda qualifica. Che avrà sicuramente vaste conseguenze politiche.

«Classificare l’inquinamento outdoor come cancerogeno umano è un passo importante per spingere all’azione senza ulteriori ritardi, visto che la pericolosità dell’inquinamento è proporzionale alle concentrazioni in atmosfera e molto si può fare per abbassarle» ha spiegato nella conferenza di presentazione dei dati il direttore dello IARC, Christopher Wild. Il verdetto scientifico è frutto di un notevole lavoro di revisione di più di mille studi effettuato da una squadra di esperti di rilevanza internazionale, documentato dalla Monografia 109 dell’agenzia internazionale. Lo scrutinio ha portato alla certezza che l’esposizione all’inquinamento protratto nel tempo aumenti la probabilità di sviluppare un tumore al polmone o alla vescica. Certamente il rischio non è raffrontabile a quello del fumo di sigaretta, che resta il killer principale. Ma coloro che derubricavano lo smog a fastidio tutto sommato sopportabile devono ora ricredersi: l’esposizione ad alte concentrazioni di polveri sottili, idrocarburi policiclici aromatici, ozono e biossido di azoto non aumentano solo il rischio di malattie respiratorie, infarto a altri problemi come il basso peso alla nascita (come appena confermato da uno studio uscito su Lancet).

Ora si può dire con relativa certezza che almeno dal 3 al 5% dei tumori al polmone derivino da queste esposizioni ambientali. La percentuale apparentemente bassa non inganni: si tratta pur sempre, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, di 223.000 morti in tutto il mondo, a cui vanno aggiunti circa 3 milioni di morti per tutte le altre malattie correlate all’inquinamento dell’aria. I circa 10mila litri di aria non propriamente immacolata che ogni giorno inspiriamo non resta quindi senza effetto. La monografia dello IARC ha evidenziato anche che l’inquinamento provoca il tumore al polmone attraverso un’azione diretta sul DNA, che mostra chiaramente i segni delle mutazioni indotte dai diversi inquinanti.

Fonte dell'articolo


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27 settembre 2013

Enel: i soliti #GUERRIERI col c*lo degli altri



L'hashtag lanciato dalla campagna di Enel "#guerrieri" ha prodotto un vero boomerang, come documentato dal Fatto: http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/09/25/guerrieri-enel-esempio-da-non-seguire-storify/723462/






Aggiornamento:
Enel torna alla carica con il programma di Saturnino, ispirato direttamente alla campagna di Enel: "guerrieri". Chi non ha memoria corta, ricorda come Lorenzo Cherubini "Jovanotti" abbia in passato sposato la causa di Enel, ripulendole la faccia (ma sporcando la sua). Guarda il caso: ora a condurre la trasmissione pro-Enel, troviamo proprio uno dell'entourage di Jovanotti. Chiamalo "caso"...




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26 settembre 2013

Civitavecchia: "Marcia per la Salute"


Dove? Civitavecchia - piazzale dell'Autorità portuale

Quando? Sabato 28/07/2013, ore 10,00

Perché?
PORTO: le navi continuano imperterrite a liberare i loro fumi sulla città e le prescrizioni sull'elettrificazione delle banchine del ministero dell'ambiente, restano inascoltate da parte dell'autorità portuale
CENTRALE: il sindaco lascia che venga approvata un'AIA che permette di bruciare 900.000 tonnellate di carbone in più all'anno per 1500 ore in più di funzionamento rispetto alla VIA del 2003. Carbone che potrà essere di qualità scadente, ovvero con contenuto di zolfo < 1% anzichè minore dello 0,3% come prevede il piano di risanamento della qualità dell'aria della Regione Lazio.
TRAFFICO: denunciamo la totale assenza di politiche di mobilità e viabilità. Secondo il polo idrogeno nel 2010 a Civitavecchia c'erano 610 macchine ogni 1000 abitanti. E abbiamo un TPL da terzo mondo!

INFINE SIAMO LA TERZA CITTÀ D'ITALIA PER INCIDENZA TUMORALE E NESSUNO HA MAI SMENTITO UFFICIALMENTE QUESTO DATO

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27 giugno 2013

24 aprile 2013

Torna lo spettro dei rifiuti di Roma bruciati a Civitavecchia

Riportiamo da Civonline.it "Rifiuti di Roma a Tvn e Tvs, De Crescenzo presenta una mozione"

Dopo lo stop di Malagrotta è ancora allarme in città sui rifiuti di Roma. Il capogruppo Sel Ismaele De Crescenzo presenta una mozione per chiedere a Tidei di emettere un'ordinanza che vieti di bruciare rifiuti nelle centrali di Tvn e Tvs


Prima la semplificazione del decreto sui rifiuti da parte del ministro Clini, poi la richiesta del commissario Sottile agli uffici della Regione di indicare tutte le centrali o cementifici idonei a bruciare Cdr o Css, poi la sentenza del Consiglio di Stato che capovolge la sentenza del Tar sul Piano rifiuti della Polverini e dietro le quinte, ma ancora presente, il protocollo d'intesa tra Alemanno e La Russa per portare i rifiuti di Roma a Civitavecchia. Gli ingredienti per far tremare il comprensorio e soprattutto la città portuale ci sono tutti. Almeno è così per il capogruppo Sel Ismaele De Crescenzo e per il portavoce del Comitato antidiscarica di Allumiere. "In una situazione di emergenza il commissario straordinario dei rifiuti Goffredo Sottile ha la facoltà di decidere come, dove e quando portare i rifiuti di Roma per risolvere l'emergenza". E per evitare che alle centrali di Civitavecchia si possa bruciare Css (combustibili solidi secondari, rifiuti a esclusione dell'umido) il capogruppo Sel ha già protocollato una mozione urgente da portare all'attenzione del Consiglio comunale e del sindaco Tidei per chiedere proprio al primo cittadino di emettere un'ordinanza in cui si probisca di bruciare rifiuti in siti già esistenti o futuri. Perché Civitavecchia, al momento "ha tutte le carte in regola - ha spiegato Emiliano Stefanini - chi dice infatti che è improbabile portare i rifiuti da Roma a Civitavecchia vorremmo solo ricordare che al momento i rifiuti di Roma vengono portati in Toscana. E a conti fatti, la nostra città è molto più vicina"

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"Carbone 'pulito', coscienze sporche". A Roma Stop Enel


Pubblichiamo da stopenel.org

Il 30 aprile si celebrerà a Roma l’assemblea degli azionisti di Enel Spa. Dalle mega dighe della Colombia, del Cile, del Guatemala al carbone di Civitavecchia, Brindisi, La Spezia; dal nucleare in Spagna alle rinnovabili di nome e non di fatto, come la geotermia in Toscana e le biomasse sul Pollino ; dalle mega centrali dell’Est Europa ai catorci ad olio combustibile di Rossano, Porto Tolle, Montalto di Castro: Enel rappresenta in pieno il modello energetico che ha caratterizzato gli ultimi cinquant’anni di politiche industriali dell’occidente, un modello fallimentare basato sull’esaurimento di risorse naturali, sullo sconvolgimento dell’ecosistema sulla prevaricazione sistematica della volontà, degli interessi e dell’identità delle comunità locali, in Italia come all’estero.

La Campagna “Stop Enel” nasce per contrastare queste politiche e promuovere un nuovo modello energetico. La rete che ha già dato vita a due assemblee internazionali e invita tutti a partecipare a tre giorni iniziative ed approfondimenti che si svolgeranno a Roma:

Domenica 28 aprile – ore 10.30-17.30

Seconda Assemblea Internazionale della Campagna Stop Enel

CineTeatro Volturno Occupato – Via Volturno 37

Lunedì 29 aprile, ore 10.30 – 13.30

Seminario di approfondimento: Il ruolo di ENEL nel mercato dei crediti di Carbonio

CineTeatro Volturno Occupato – Via Volturno 37

Pomeriggio: Incontro del Coordinamento Nazionale No Carbone

Martedì 30 aprile – ore 14.00

Sit in STOPENEL durante lo svolgimento dell’assemblea degli azionisti





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Carbone a Saline, l'anima nera del Governo Monti


Dagli amici di No al carbone Saline Joniche, comunicato stampa

L’ultima vergogna del governo dei tecnici, è stata perpetrata, nel silenzio assoluto,  il 5 aprile 2013. Provoca sconcerto in tutta l’Area Grecanica l’approvazione della V.I.A. per la costruzione della centrale a carbone della SEI-Repower, da parte del governo Monti con un decreto ministeriale a firma del Ministro Clini che nelle conferenze parla di difesa del territorio ed energie rinnovabili salvo poi, nel segreto della stanza dei bottoni, dimenticarsi di essere a capo del dicastero dell’ambiente, avallando progetti dannosi.
A distanza di qualche settimana il poliedrico ministro Clini ha apposto la sua firma su una catastrofe che rischia di abbattersi sulla nostra terra, autorizzando la V.I.A., ed allo stesso tempo è riuscito a dichiarare in occasione della prima tappa dell’ “Eart(h)”, la manifestazione itinerante promossa dal Ministero dell'Ambiente, che per uscire dalla crisi bisogna investire in “politiche di difesa del territorio, che puntano all’eco-sostenibilità e al risparmio energetico”.
Avevano tentato già il 15 giugno con l’emanazione del DPCM, a firma del Presidente del Consiglio Mario Monti, di dare esecuzione alla V.I.A., ma la Corte dei Conti aveva rispedito al mittente l’atto perché aveva chiesto dei chiarimenti su una serie di punti precisi e determinanti che il Governo non è stato in grado di fornire.

Il progetto scellerato e osteggiato dalle amministrazioni e da i cittadini aveva avuto, quindi, uno stop a causa delle numerose omissioni e forzature. Questo decreto tenta, dunque, di  bypassare il mancato visto della Corte dei Conti, ma non risolve, tra le tante cose, il conflitto di competenza tra stato e regione in materia di strategia energetica.
Le 59 prescrizioni che il governo ha imposto alla SEI-Repower la dicono lunga sulla lacunosità del progetto.

Un colpo di coda degno della peggiore politica italiana che di nascosto, sottobanco, fa le cose più infime.
Un’approvazione data nel pieno disprezzo verso la popolazione calabrese e verso la volontà delle amministrazioni Regionali, Provinciali e Comunali e dei cittadini da essi rappresentati.
Un colpo di coda di un governo dimissionario e dimissionato che, dopo le ultime elezioni, aveva come unico compito quello di svolgere attività di ordinaria amministrazione e che, invece, si arroga il diritto di decidere la strategia energetica italiana.
Insieme alla V.I.A. per Saline Joniche sono stati approvati altri progetti che provocheranno scempi ambientali e danni per la salute delle popolazioni.

Le recenti vicende di cronaca giudiziaria hanno messo in luce l’interesse della ‘ndrangheta nei confronti della centrale a carbone di Saline Joniche. Secondo le ipotesi degli inquirenti sarebbe stata la stessa SEI-Repower a cercare, attraverso un suo fidato collaboratore, i contatti con la criminalità organizzata.
La conoscenza di questi fatti rende ancora più inspiegabile l’approvazione della V.I.A. e getta ombre inquietanti sulle motivazioni che hanno portato, dietro chi sa quali pressioni, il governo a dire si ad un progetto insensato in una zona che ha nel turismo, nell’agricoltura, nelle bellezze naturalistiche e nella cultura i suoi punti di forza.
Il futuro di questa terra non può essere deciso dalle lobbies dell’energia, dai poteri forti e da chi intende speculare sulla pelle dei cittadini. Il Coordinamento Associazioni Area Grecanica, che non ha mai abbassato la guardia, impugnerà l’atto e continuerà, appoggiato dal volere della totalità delle persone oneste che abitano il territorio reggino, a dare battaglia contro un progetto che, se realizzato, porterebbe alla rovina per queste zone e per i suoi abitanti.

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SAT, "tracciato blu" di vergogna


Riportiamo da Maremmanews "Autostrada: comitati uniti contro il tracciato blu, da Albinia lanciano battaglia"

Si è svolta ieri ad Albinia una riunione dei comitati e delle associazioni di cittadini e di categoria orbetellani, per confrontare le posizioni e decidere le iniziative di lotta contro le decisioni imposte da SAT e Regione Toscana. Erano presenti: Colli e Laguna, Procosta, Circolo Culturale Gastone Mariotti, ADO, Comitato Neghelli, Cine Club Costa D'argento, Legalmente, Cinema D'essai, Confesercenti, Confcommercio, Italia Nostra Orbetello, Slow Food, Festival Dei Giardini, Comitato S. Donato Polverosa. Hanno confermato la loro adesione anche Welcome Maremma e Federalberghi.

"Unanime l’indignazione nei confronti della Regione che non ci ha tutelati per l’alluvione, ha iniziato lo smantellamento del sistema socio-sanitario e ora ha approvato lo scellerato tracciato Sat, ignorando le istanze di territorio, Comune e Provincia.

L’Associazione Colli e Laguna, come anche l’Associazione Procosta, ha ricordato le numerose azioni intraprese grazie all’adesione massiccia della cittadinanza per impedire la devastazione dell’area costiera.

Oltre alle manifestazioni, le assemblee pubbliche, i convegni e altre iniziative, sono fondamentali le azioni legali, che fermarono i procedimenti di esproprio nel 2010 e il progetto definitivo sull’Aurelia nel 2011, e soprattutto il ricorso al Tar presentato con Italia Nostra contro la delibera Cipe del 2/08/2012, che approva il progetto definitivo per tutti i lotti tranne che il nostro (Ansedonia-Fonteblanda) e quello successivo.

Di fronte alla scelta del “tracciato blu”, come di qualsiasi tracciato costiero, rimangono valide tutte le motivazioni alla base della lotta contro Sat e delle azioni giudiziarie già intraprese con efficacia. Si ribadisce quindi fortemente la richiesta di tutela del territorio e della popolazione, di rispetto della democrazia e delle normative di legge nazionali, comunitarie e della stessa Regione.

Se alla riunione è stato unanime il rigetto in toto del “tracciato blu” imposto da Enrico Rossi e Sat, come di qualsiasi tracciato costiero, si stanno diffondendo sempre più interrogativi sull'effettiva sostenibilità dell'infrastruttura autostradale nell’intero territorio comunale; gli eventi alluvionali del novembre scorso hanno reso evidente la fragilità di tutta la piana dell'Albegna che sarebbe fortemente "segnata" dal passaggio della Tirrenica. Ci si chiede seriamente come un’opera così impattante possa servire al territorio e alla popolazione, visto che danneggerebbe in modo irrimediabile le attività agricole, produttive e turistico-ricettive colpite da crisi e alluvione, infliggendo la ferita mortale al nostro Comune già devastato dal 12 novembre" scrivono i comitati.

Cresce quindi la forte e dura opposizione alle scelte politiche prese esclusivamente per favorire gli interessi privati di Sat, contro ogni interesse pubblico, nella totale mancanza di trasparenza e democrazia e nel più assoluto disprezzo delle istanze del territorio.

È emersa la necessità di una mobilitazione generale di comitati, associazioni, movimenti e cittadini. Tra le iniziative concordate: un’ulteriore riunione dei comitati e delle associazioni di cittadini e di categoria, incontri pubblici e manifestazioni.

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