Da Adnkronos/Xinhua
"Pechino, 30 giugno - Nove persone sono rimaste uccise in Cina a seguito di un'esplosione avvenuta in una miniera di carbone nella provincia sud occidentale dello Yunnan. Secondo le autorita' locali, la deflagrazione nella miniera Goutou di Zhaotong, nella contea di Weixin, sarebbe avvenuta a causa di una fuga di gas intorno alle 11 ora locale."
30 giugno 2010
Miniere di carbone: nove nuovi morti in Cina
Riconversione a carbone a Rossano: interpellanza parlamentare
Riportiamo da Strill.it
"Centrale Rossano: domani i Ministri risponderanno ad interrogazione Elio Belcastro
Di seguito la nota diffusa da Noi Sud
L’on. Elio Belcastro, vice segretario nazionale del partito Libertà e Autonomia “noi Sud”, ha informato i sindaci dei Comuni di Corigliano e Rossano che domani, in Parlamento, i Ministri dell’Ambiente, per i Beni e le Attività Culturali e delle Attività produttive, risponderanno all’interpellanza urgente che ha presentato per sapere:
1) Cosa si intenda fare, di concerto con le amministrazioni locali e regionale, per far sì che l’Enel riveda le sue valutazioni e decisioni in merito alla ristrutturazione e riconversione al carbone della centrale sita nel territorio di Rossano e Corigliano.
2) Se non ritenga tale progetto totalmente inidoneo e in contrasto con ogni possibile ipotesi di sviluppo di quel territorio che ha nell’agricoltura e nel
turismo le leve fondamentali per puntare ad una propria autonomia economica.
3) Se non si ritenga necessari utilizzare questa situazione per una seria riflessione che ponga il territorio della Calabria al centro di produzioni di energie alternative che possano rappresentare un volano per nuove forme di sviluppo e, al contempo, che siano in armonia con le vocazioni naturali della Regione Calabria.
Secondo Belcastro, per l’ennesima volta i calabresi e nella fattispecie la popolazione dei due Comuni interessati dalla centrale dovrebbero subire, dopo aver manifestato il loro disaccordo, una decisione dell’Enel che contrasta con la vocazione del territorio.
Belcastro conclude dicendo che é ora di smetterla con le decisioni che si prendono a Roma e si ribaltano sui territori meridionali incuranti dei guasti che producono e senza avere riguardo per le peculiarità del territorio, per le sue potenzialità e per le aspettative della popolazione.
Il partito Libertà ed Autonomia “noi SUD” sarà a fianco delle amministrazioni locali e delle popolazioni per tutelare le legittime aspettative anche per le generazioni che verranno.
“noi SUD” Calabria
La zappa sta ai piedi come il carbone alla salute
Riportiamo l'articolo "Carbone europeo, l'aiuto sporco continua" da QualEnergia.it
La Commissione avrebbe deciso di rinviare per la settima volta la fine degli aiuti di Stato al carbone. Dovevano cessare quest'anno, se ne riparlerà invece nel 2023. Miliardi di euro in nome di crescita e occupazione che faranno però aumentare le emissioni. Una decisione in contraddizione con l'impegno assunto al G20 di eliminare gli aiuti alle fonti fossili. L’Europa continuerà a finanziare il carbone, rinviando per la settima volta la fine dei sussidi? La notizia uscita giusto un paio di giorni prima del G20 di Toronto, dove i grandi hanno rinnovato l’impegno a mettere fine ai finanziamenti pubblici in favore delle fonti fossili. è appunto che la Commissione avrebbe intenzione di prolungare gli aiuti alla fonte più dannosa per il clima per altri 12 anni, Una contraddizione evidente.
Nel 2002, con la fine della Ceca (Comunità europea per il carbone e l’acciaio), l’Ue aveva adottato un regolamento che permetteva gli aiuti di Stato all’industria del carbone (facendone un’eccezione rispetto agli altri settori). Il regolamento, prorogato già per 6 volte, sarebbe dovuto decadere a fine 2010 ma – come detto - la Commissione pare propensa ad accogliere la proposta dello spagnolo Joaquín Almunia e rinviare al 2023 la chiusura dei rubinetti (anche se la pubblicazione della decisione definitiva avverrà solo il prossimo 6 luglio).
A spingere la Commissione verso il prolungamento dei sussidi – riporta Reuter che ha visionato il documento provvisorio – ci sono le preoccupazioni per sicurezza energetica ed occupazione: si parla di 100mila posti di lavoro a rischio se gli aiuti venissero tolti e problemi per paesi come la Polonia che contano su questo combustibile per il 95% del fabbisogno elettrico. Gli aiuti al carbone al 2020 arriverebbero così a 3,2 miliardi di euro, distribuiti soprattutto in Germania Spagna, Ungheria, Polonia e Slovacchia.
Soldi, non c’è bisogno di dirlo, spesi per allontanare l’Unione Europea dal suo obiettivo in materia di emissioni. Soprattutto una decisione che va in direzione opposta a quanto si sono impegnati a fare anche alcuni governi europei al G20 appena concluso. Contro i sussidi alle fonti fossili i 20 grandi si erano già espressi l’autunno scorso. Poche settimane fa un report della IEA rivelava che gli aiuti di Stato a petrolio, gas e carbone nel mondo ammontano a oltre 550 miliardi l’anno: il 75% in più di quanto si era stimato (Qualenergia.it, Quei 550 miliardi regalati ogni anno alle fonti fossili). Secondo l’agenzia eliminando gli aiuti pubblici alle fonti fossili le emissioni mondiali calerebbero del 7%.
Lo scorso week end a Toronto i G20 hanno così rinnovato questo impegno: la versione finale del testo approvato (pdf) – riporta Rueter - usa un linguaggio meno vago di quello che si era proposto in fase di redazione. Scomparso, ad esempio, ogni riferimento alla “volontarietà” dell’eliminazione, anche se si è ancora lontani dallo stabilire un obbligo. “Accogliamo con favore il lavoro dei Ministri delle finanze e dell’energia per definire tempi e strategie, basate su circostanze nazionali, per la razionalizzazione e l’eliminazione progressiva sul medio termine degli incentivi inefficienti ai combustibili fossili che incoraggiano lo spreco, sempre tenendo in considerazione i gruppi più vulnerabili e le loro esigenze di sviluppo”, vi si legge. Sarebbero stati gli Usa - gli stessi a promuovere la prima risoluzione anti-sussidi dell’anno scorso - a spingere per un testo più deciso.
La consapevolezza della distorsione provocata dagli aiuti ai combustibili nemici del clima, dunque, è ormai chiara anche ai massimi livelli. Più difficile il passaggio dalla teoria alla pratica, quando l’eliminazione dei sussidi si scontra con gli interessi economici e le esigenze di crescita economica e di mantenimento occupazionale. Che la strada per liberasi di questa distorsione sia lunga lo si capisce constatando che anche l’Europa, l’attore più impegnato a livello mondiale per la riduzione delle emissioni, stenta a liberarsi degli aiuti a una delle fonti energetiche più sporche.
GM
29 giugno 2010
29 giugno 2010
Carbone e costi reali dello sviluppo non sostenibile: il Pil sale, il benessere scende, il danno è maggiore del vantaggio.
Dall'articolo pubblicato su Avvenire.it: "Carbone: il futuro è nero?"
"...Anche se sono trascurati nelle contabilità nazionali, i costi esterni di molte merci sono elevati e spiegano perché nei Paesi ricchi il Pil cresce, ma il benessere diminuisce.
Nel 2008 il centro studi olandese «Ce Delft» stimò che i costi esterni del carbone nel mondo ammonterebbero ad almeno 360 miliardi di euro, a confronto dei 300 miliardi di euro di carbone commerciato. Ogni euro di carbone causerebbe un po’ più di un euro di costi esterni, cioè di danni alla salute e all’ambiente. Il 99% dei costi sarebbe dovuto ai gas di combustione. I costi reali, in realtà, sono più alti perché lo studio non ha potuto tener conto di un decimo del carbone mondiale e di molti effetti sociali e ambientali difficili da quantificare. Per esempio, le centrali a carbone sono la principale singola fonte di dispersione atmosferica del mercurio, un metallo tossico che si accumula nei mari e negli organismi marini; altri metalli pesanti e sostanze radioattive fanno parte delle emissioni e sono difficili o impossibili da filtrare. I costi umani inoltre sono ingenti e concentrati soprattutto nei Paesi estrattori più poveri, dove la salute, i suoli e le risorse idriche di milioni di persone vengono compromessi dall’estrazione del carbone.
Il danno maggiore del carbone è quello più difficile da quantificare: il suo effetto sul clima. La combustione del carbone causa le più alte emissioni di CO2: circa 760-1000 grammi per ogni kWh elettrico, contro i circa 370 grammi di una moderna centrale a gas. Già nel 1896 il premio Nobel Svante Arrhenius calcolò, con notevole precisione per l’epoca, che l’aumento della CO2 nell’atmosfera dovuto alla combustione del carbone e delle foreste avrebbe causato un aumento dell’effetto serra naturale e un aumento della temperatura alla superficie terrestre.
Oggi la concentrazione di CO2 nell’atmosfera è superiore del 40% a quella di 200 anni fa ed è ai livelli più alti degli ultimi 700.000 anni. Questo rapido aumento è attribuito alle attività umane di combustione dei carburanti fossili (carbone, petrolio, gas naturale) e delle foreste. Secondo la maggioranza dei climatologi, queste combustioni sono la principale causa dell’aumento della temperatura media alla superficie terrestre constatato nell’ultimo secolo e dell’aumento ancora più rapido previsto nei prossimi decenni. Tra i molti che hanno cercato di valutare in denaro i costi ambientali dei probabili cambiamenti climatici dovuti alle attività umane, il più autorevole è sir Nicholas Stern, già capo economista della Banca mondiale.
Secondo il «Rapporto Stern» del 2006, la continuazione dell’attuale ritmo di crescita delle emissioni di CO2 e di altri gas a effetto serra potrebbe tanto alterare il clima da portare in alcuni decenni a una diminuzione del 10 o 20% del prodotto economico mondiale. Secondo Stern, questo danno potrebbe essere evitato investendo ogni anno l’1 o 2% del prodotto economico mondiale in iniziative e tecnologie che permettano una forte riduzione delle emissioni di gas di serra. La parola chiave di questa strategia è «decarbonizzazione» dell’economia mondiale, cioè riduzione dell’uso di tutti i combustibili che emettono carbonio nell’atmosfera: principalmente il carbone, ma anche petrolio e gas.
Proprio di recente è stato pubblicato il rapporto «Energy (R)evolution 2010», redatto da trenta scienziati e ingegneri dell’Istituto di termodinamica tecnica del Centro Tedesco Aerospaziale (DLR) e di università e aziende energetiche di altri Paesi. Secondo costoro, entro il 2050 le quote mondiali possibili sono del 95% di energie rinnovabili (cioè solari, eoliche, idroelettriche, geotermiche) per l’energia elettrica, del 91% di energie rinnovabili per l’energia termica e dell’80% per la riduzione delle emissioni di CO2; l’uso del carbone andrebbe quasi abbandonato nei prossimi decenni e la vita media delle centrali a carbone accorciata da 40 a 20 anni. Svezia e Islanda programmano prima del 2050 un abbandono di gran parte dei combustibili fossili; la Gran Bretagna ha deciso una riduzione delle emissioni di CO2 dell’80% entro il 2050.
La Svizzera dal canto suo persegue l’obiettivo di una «società a 2000 watt», cioè di ridurre l’uso nazionale di energia primaria dagli attuali 7000 a 2000 watt pro capite, riportandolo al livello svizzero degli anni ’60, che è il valore medio attuale per la popolazione mondiale. Questa strategia, promossa dallo Stato e dalla fondazione «Novatlantis», è stata sviluppata nel 1998 dal Consiglio dei Politecnici federali svizzeri e adottata nel 2002 dal governo federale di Berna, dalle principali istituzioni scientifiche e tecnologiche, da decine di governi comunali e cantonali nonchè numerose aziende, pubbliche e private.
Marco Morosini
Monitoraggio ambientale nell'alto Lazio: la malafede di Moscherini & co.
Riportiamo da Unonotizie.it:
"Lazio, Cerveteri - “Se tre indizi fanno una prova, ebbene ora abbiamo la certezza che il sindaco di Civitavecchia è schierato dalla parte dell’Enel e non con i cittadini dell’alto Lazio”.
Il sindaco Gino Ciogli ha così inteso stigmatizzare il comportamento delle amministrazioni di Civitavecchia, Allumiere e Tarquinia che, in occasione della riunione per l'Osservatorio Ambientale hanno dichiarato la non legittimità di questo organo regionale che ha il delicato compito di monitorare il tasso di inquinamento della centrale di Torre Valdaliga nord.
“E’ paradossale – ha proseguito il sindaco Ciogli – che il sindaco di Civitavecchia, oltre a difendere spudoratamente l’Enel, contesti apertamente la presenza dei comuni di Cerveteri e Ladispoli nell'Osservatorio Ambientale. Insieme al sindaco Paliotta, abbiamo il sacrosanto diritto di tutelare la salute della popolazione del nostro litorale, così come Cerveteri e Ladispoli hanno fatto a suo tempo scagliandosi contro la trasformazione a carbone della centrale di Civitavecchia. Noi non ci siamo venduti per un piatto di lenticchie, sia pure d’oro, nè abbiamo partecipato alla spartizione della torta per essere accomodanti con l’Enel. Preferiamo non avere sponsorizzazioni per gli spettacoli estivi, nè contributo al bilancio comunale. Proseguiremo la nostra battaglia per evidenziare i danni del carbone all’ambiente ed alla salute dei cittadini dell’alto Lazio. Anche nell'Osservatorio Ambientale dove faremo sentire la nostra voce. Lo sappia sin da subito il sindaco di Civitavecchia”.
- Uno Notizie Lazio - ultime news Cerveteri -
28 giugno 2010
Porto di Civitavecchia, un'altra fonte d'aria pura
Tanti pennacchi densi d'aria pura si levano dai camini delle numerose navi nel Porto di Civitavecchia, che peraltro ricordiamo dopo anni e tante promesse ancora privo di banchine elettrificate.
Un cittadino racconta il commiato che la nostra città ha ricevuto da una nave in partenza. Vedi qui
27 giugno 2010
Disinformazione strumentale sul carbone a Vado Ligure
Fonte: Savonaeponente.com
“Riassume così il senso dell’Open Day della centrale di Vado Ligure, al quale stanno aderendo già tantissime persone, l’Ing. Giovanni Gosio, direttore generale di Tirreno Power: “Vogliamo che la gente veda qual è il livello tecnologico, il modo di produrre di Tirreno Power e come abbiamo dato attuazione a quei valori che spesso abbiamo chiamato in causa: produrre energia nel rispetto dell’ambiente e del sociale” aggiunge Gosio.” Ivg del 19 Giugno 2010.
Ricordiamo al Direttore di T. Power di Vado e alla popolazione il vero livello tecnologico della centrale:
1) la centrale produce energia elettrica dagli obsoleti gruppi a carbone 3 e 4 che risalgono agli anni ’60 e che hanno subito una ristrutturazione dopo il Decreto MICA del ’93 con desolforatori e denitrificatori in grado di abbattere solo parzialmente le emissioni di SO2 e NOx. (Allegato 1) .
Anche considerando i dati di T.Power 2008 oggi i gruppi 3 e 4 per complessivi 660 MWe con un basso rendimento (36%) producono emissioni di SO2 con 5.123 tonnellate /anno e di NOX con 2.745 tonnellate/anno ed energia elettrica netta per 3.639 GWh/anno.
Si tratta di valori di emissione assai elevati e di molto superiori a quelli prodotti dai gruppi della stessa centrale a CCGT (turbogas) che, pur di potenza superiore (760 Mwe) ad alto rendimento (57%), producono annualmente minori emissioni di NOx con 471 tonnellate/anno, e di SO2 con circa 90 tonnellate /anno ed energia elettrica di circa 2.659 GWh/anno.
Da ciò si deduce che:
La vecchia tecnologia degli obsoleti gruppi 3 e 4 a carbone produce oggi circa
• 1,4 tonnellate di SO2 per Gigawattora netto venduto
• 0,75 tonnellate di NOx per Gigawattora netto venduto
La migliore tecnologia disponibile (BAT) CCGT (turbogas) produce oggi circa.
• 0,018 tonnellate di SO2 per Gigawattora netto venduto
• 0,18 tonnellate di NOx per Gigawattora netto venduto
A parità di energia elettrica prodotta, quindi, i vecchi gruppi a carbone 3 e 4 producono circa 80 volte SO2 in più rispetto alla migliore tecnologia disponibile a turbogas e circa 4 volte NOX in più rispetto alla migliore tecnologia disponibile a turbogas.
Sig. Direttore di Tirreno Power, sig. Sindaci, Amministratori locali e Governo nazionale, oggi la normativa italiana ed europea imporrebbe da piu’ di 10 anni sugli impianti industriali l’utilizzo della migliore tecnologia disponibile (IPPC 96_61, d.lgs. 4/08/99 e d.lgs. 59/05) per ridurre l’inquinamento atmosferico, ottenere l’obbligatoria autorizzazione A.I.A. (richiesta ma non ottenuta da Tirreno Power) e ridurre anche gli elevati costi esterni di questa “centrale in citta’” stimati dalla Unione Europea in piu’ di 100 milioni di euro/anno per danni alla salute e all’ambiente (Allegato 2).
Ricordiamo che per la centrale Tirreno Power di vado i ricavi totali dalla vendita di energia sarebbero di circa 500 milioni di euro /anno (anno 2005).
Come dichiarato anche dai Sindaci di Vado e Quiliano nel 2009 (Allegato 4) i gruppi 3 e 4 non sono ristrutturabili con le nuove tecnologie per cui per rispettare le attuali normative si imporrebbe da subito la chiusura dei vecchi gruppi a carbone altamente inquinanti per lasciare cosi’ i gruppi a turbogas esistenti che già da soli con 760 MW producono 2.700 gwh/anno in eccedenza rispetto ai 1.450 gwh/anno consumati in provincia di Savona (dati TERNA nazionali).
(Depotenziamento e metanizzazione della centrale VOTATA da Comuni ed Enti locali).
2) Il depotenziamento della centrale, escludendo il carbone e lasciando gli attuali gruppi a gas metano, eviterebbe anche la possibilità inaccettabile di bruciare il rifiuto CDR in centrale (permessa a pag 170 del piano rifiuti approvato da Provincia e Regione), possibile tecnicamente solo sui gruppi a carbone che aggiungerebbe ai fumi della centrale pericolose diossine e metalli pesanti.
E’ ora quindi che anche l’industria energetica che per anni ha inquinato il territorio savonese con la combustione massiccia del carbone faccia decisamente un passo in avanti adeguandosi alle normative italiane ed europee.
Vado Ligure: i medici spiegano il no al carbone
Fonte: Terra news.it
"IL CASO. A Vado Ligure, Tirreno Power cerca di tranquillizzare la popolazione sul progetto per l’ampliamento della centrale: usiamo le migliori tecnologie. Ma il dottor Franceschi smentisce e spiega i danni sanitari.
La centrale a carbone di Vado Ligure garantisce di usare le “tecnologie più avanzate” per non nuocere ad ambiente e salute. Ma i Medici per l’ambiente smentiscono e chiedono la chiusura dei gruppi 3 e 4 dell’impianto. È un tutti contro uno eclatante quello che sta andando in scena in questi ultimi tempi a Vado Ligure, nel savonese. Al centro c’è la vecchia, vecchissima, centrale a carbone Tirreno Power, per il cui futuro i proprietari vorrebbero un doppione, anziché una riconversione.
Ma gli abitanti, da anni ricoperti da emissioni, non ci stanno. Per mettere le cose in chiaro, lo scorso 19 giugno nella località ligure l’Unione dei Comitati e cittadini per l’Ambiente e la salute della provincia di Savona (con manifestazioni congiunte anche a Brindisi e Tarquinia) hanno detto il loro “no” all’ampliamento
della centrale e al carbone come fonte di energia, a fronte di alternative che non sacrificano la salute e la vita stessa degli abitanti. Il presidio, di protesta e di informazione, si è attivato proprio davanti alla centrale, in concomitanza con l’”Open day” organizzato dalla Tirreno Power per far capire alla gente, una volta per tutte, quali siano le effettive modalità produttive dell’impianto.
Il direttore generale Giovanni Gosio ha sottolineato in quell’occasione «il rispetto per l’ambiente e per la società» garantito dalle “tecnologie più avanzate”. «I valori delle emissioni sono a norma e controllate – ha dichiarato il dg -. Per noi, le emissioni non sono il punto di uscita di un processo, ma sono il punto di riferimento su cui si imposta tutto il processo». E intanto ai “no carbone” in piazza assicurava: «La preoccupazione è infondata, soprattutto dopo la riqualificazione degli impianti a carbone esistenti».
A stretto giro, le parole di Gosio si polverizzano dietro ai fatti. Come ci spiega infatti il dottor Paolo Franceschi, referente scientifico della Commissione salute e ambiente dell’Ordine dei medici di Savona, «gli attuali gruppi 3 e 4 a carbone non utilizzano affatto “le tecnologie più avanzate”: emettono oltre il quadruplo degli ossidi di zolfo, e oltre il triplo degli ossidi di azoto e del particolato di quanto potrebbero fare se veramente utilizzassero “le tecnologie più avanzate”. Le acquisizioni scientifiche dimostrano che i danni sanitari causati alla popolazione dalle centrali termoelettriche sono direttamente proporzionali alle emissioni: danni che potrebbero essere da 3 a 4 volte maggiori rispetto a quanto sarebbe consentito dall’applicazione delle migliori tecnologie disponibili, come dettato dal decreto legislativo 59/2005».
Alla Tirreno Power, gli ambientalisti del Moda ribadiscono l’opposizione all’ampliamento della centrale, spingendo con fermezza sulla possibilità di chiudere i gruppi obsoleti a carbone, che producono emissioni assai elevate, di molto superiori a quelle prodotte dai gruppi della stessa centrale a turbogas, di potenza superiore ed alto rendimento. Un depotenziamento, invece del raddoppio, che eviterebbe anche di bruciare il rifiuto Cdr (possibile solo sui gruppi a carbone), causa dell’emissione di pericolose fuoriuscite di metalli pesanti. Una cortina fumogena che oscura la trasparenza del patetico “Open day”.
Moratoria sul carbone, rinuncia al nucleare
Riportiamo da Terra News.it
"ENERGIA. Wwf, Legambiente e Greenpeace al governo: «Più impegno sulle fonti pulite». Numeri alla mano gli ambientalisti spiegano il no a carbone e nucleare e il sì all’aumento del target di riduzione dei gas serra al 30%.
Bisogna fare di più sulle fonti rinnovabili, abbandonando invece l’idea di tornare alle centrali nucleari. Lo dicono le associazioni ambientaliste Greenpeace, Legambiente e Wwf, che hanno tenuto ieri una conferenza stampa a Roma, chiedendo al governo un maggiore impegno sull’energia pulita. Secondo le associazioni, il «piano di sviluppo delle fonti rinnovabili presentato dimostra che l’Italia può raggiungere gli obiettivi europei previsti per il 2020, ma è comunque necessario fare di più e meglio, valorizzando le potenzialità del Paese in questo settore». Proprio in quest’ottica, il direttore di Greenpeace, Giuseppe Onufrio, il presidente di Legambiente, Vittorio Cogliati Dezza, e la responsabile clima ed
energia del Wwf, Mariagrazia Midulla, hanno presentato due documenti: il primo chiede all’esecutivo obiettivi più ambiziosi per quanto riguarda le rinnovabili, l’altro chiede all’Italia di sollecitare l’innalzamento al 30% della riduzione di gas serra prevista entro il 2020.
Secondo le associazioni, sono le stesse stime del governo a dire che se i consumi di elettricità al 2020 fossero quelli previsti nel piano d’azione (366 Twh), tra dieci anni le rinnovabili potrebbero coprire il 41,5% del fabbisogno, oltre il doppio di quanto previsto attualmente (appena il 17%), con una percentuale che potrebbe salire ulteriormente al 45% a seconda dell’efficienza energetica. Per questo si chiede alla politica di fare «di più», rinunciando contestualmente al processo che si sta seguendo per riportare l’atomo in Italia: in particolare, spiega la responsabile Wwf, la richiesta è «di una moratoria del carbone e insieme rinuncia al nucleare, fonti che ci fanno perdere tempo e soldi senza farci entrare nell’economia del futuro».
Per Onufrio, la tecnologia già bocciata nel nostro Paese da un referendum è «costosa e rischiosa oltre che fuori mercato», tenuto conto anche che quella che sbarcherà per prima nel Belpaese è l’Epr della francese Areva, frutto della collaborazione tra Enel ed Edf (l’azienda elettrica transalpina), quindi si tratta solo di «un piacere che stiamo facendo alla Francia, tenuto conto che tra il 25 e il 30% del debito pubblico italiano è in mani francesi».
Il direttore di Greenpeace spiega che «la competizione tra rinnovabili e nucleare è già in corso oggi», ed è un esempio la Spagna, dove oltre il 50% della domanda elettrica è già fornita da fonti rinnovabili, ma «su venti Giga Watt di eolico disponibile ne sono in funzione solo 12,5 per non comprimere la rete», visto che sarebbe rischioso, in termini di sicurezza, ridurre la ben più costosa produzione del nucleare. Questa differenza di trattamento è ancora più evidente in Italia dove, conclude Onofrio, «serve un anno per l’autorizzazione unica al nucleare e quattro per gli impianti rinnovabili». La chiosa è affidata al direttore di Legambiente, secondo cui «non abbiamo assolutamente bisogno di centrali nucleari e a carbone», semplicemente perché «il mondo sta andando da un’altra parte».
24 giugno 2010
Cantiere TVN, morte di Sergio Capitani: nuova indagine sulla sicurezza
Da TrcGiornale.it:
"Incidente a Tvn, l'avvocato Capitani chiede di indagare anche i progettisti
L'avvocato Davide Capitani, legale della famiglia di Sergio Capitani, l'operaio della ditta Guerrucci deceduto alla vigilia di Pasqua mentre stava lavorando al cantiere della centrale di Torre Valdaliga Nord, chiederà alla procura della Repubblica l'iscrizione del registro degli indagati anche dei firmatari del progetto dell'intera centrale e anche di chi doveva prevedere le misure di sicurezza sul lavoro in corso d'opera.
“Chi ha firmato il progetto definitivo della centrale – spiega infatti l'avvocato capitano, peraltro cugino dell'operaio deceduto – ha l'obbligo di verificare che tutte le misure di sicurezza, se erano previste nel progetto, siano state rispettate”. Ma proprio qui sta il punto, perché l'avvocato Capitani sospetta che tutta la documentazione, prevista per legge, sulla sicurezza del lavoro in realtà non ci sia. Ed è per questo che, in fase di prima udienza di incidente probatorio, ha chiesto ed ottenuto, nonostante l'opposizione dei legali dell'Enel, la presentazione di quella documentazione nel corso delle relazioni tecniche dei periti nominati dal tribunale. “Se in quella documentazione, qualora esistesse, - aggiunge l'avvocato Capitani – erano previste delle ulteriori misure di sicurezza, allora chiederò alla procura di indagare anche chi doveva prevedere quelle misure in corso d'opera del cantiere”.
BP valuterà l'ipotesi bancarotta (con tanti saluti a casa)
Da Grist apprendiamo che secondo le stime di alcuni esperti di alta fianza, BP potrebbe verificare l'ipotesi bancarotta.