Fonte: ilfattoquotidiano Sentenza storica nel processo a Rovigo per il disastro ambientale alla Centrale Enel di Porto Tolle. Dopo diverse ore in camera di consiglio la corte ha condannato a tre anni di reclusione gli ex ad Paolo Scaroni (oggi al vertice di Eni) e Franco Tatò con interdizione di cinque anni dai pubblici uffici. Assolto, per mancanza di elemento soggettivo, l’attuale amministratore e direttore generale Fulvio Conti. Assolti gli altri dirigenti. La corte ha accolto la tesi del pm Manuela Fasolato per il secondo capo di imputazione relativo al disastro colposo nell’ipotesi non aggravata. Sostanzialmente si è accertato che la Centrale di Porto Tolle è stata gestita senza adeguati meccanismi di contenimento delle emissioni che hanno messo in pericolo la pubblica incolumità. Non è stato accertato, invece, che il disastro sia avvenuto, ipotesi aggravata del 434 comma 2. La sentenza, per il legale di parte civile Matteo Cerutti, accerta che i condannati “hanno posto in essere fatti diretti a cagionare un disastro”. E la cosa più interessante, sottolinea, è che riconosce una precisa scelta di vertice, perché condanna gli amministratori e assolve i quadri intermedi e i direttori di centrale. Mentre le conseguenze sanitarie del “disastro” dovranno essere ora accertate dalle autorità sanitarie, quelle patrimoniali in sede civile. Esultano le associazioni ambientaliste costituite al processo. “La condanna dei vertici di Enel – dichiara il direttore generale di Greenpeace Giuseppe Onufrio – relativa al periodo in cui ci sono state le emissioni di inquinanti maggiori e, sopratutto, la definizione del danno ambientale causato dalle emissioni in eccesso rispetto alla normativa, sono un riconoscimento importante da parte del magistrato”. Intanto arrivano le prime reazioni dei condannati. L’assoluzione di Conti è accolta con sollievo: “Sono soddisfatto per la sentenza di assoluzione, che dimostra la mia totale estraneità rispetto alle accuse sollevate in questi mesi di dibattimento. Come ho già avuto modo di dichiarare, nutro il pieno riguardo nel lavoro della magistratura. Ribadisco comunque che la centrale di Porto Tolle ha sempre operato nel rispetto delle leggi e delle prescrizioni sia regionali sia nazionali”. L’ex ad di Enel, Paolo Scaroni, già condannato in passato per la gestione della Centrale e poi prescritto, si dichiara invece estraneo alle accuse: “Sono completamente estraneo alla vicenda e farò immediatamente ricorso. Sono stupefatto da questa decisione, come dimostrato dalle difese la centrale Enel di Porto Tolle ha sempre rispettato gli standard in vigore, anche all’epoca dei fatti contestati”. La sua condanna rischia di mandare a monte l’ipotesi di riconferma ai vertici dell’Eni. Il suo nome rientrava d’ufficio nella lista che il Mef dovrà sottoporre al governo. Nessun effetto diretto, perché l’incompatibilità per la guida delle società pubbliche scatta solo al terzo grado di giudizio. E tuttavia non è un bel biglietto da visita per Scaroni, indagato per tutt’altra vicenda (presunte tangenti su una commessa in Algeria) dalla Procura di Milano. “Considero questa una sentenza assurda, che scuote la mia teutonica fiducia nella giustizia. Sono certo – afferma in una nota Franco Tatò - che chi gestiva la centrale quindici anni fa ha sempre rispettato le norme: vedremo in appello”.
31 marzo 2014
27 dicembre 2011
Guangdong, Cina: è rivolta popolare contro la nuova centrale a carbone
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Da Asianews:
"Il villaggio ribelle di Wukan, che ha condotto una lunghissima battaglia contro la corruzione dei dirigenti comunisti locali e l’esproprio dei terreni, festeggia oggi il ritorno a casa di Zhang Jiancheng, uno dei leader della protesta arrestato due settimane fa dalla polizia locale. Nel frattempo ad Haimen, a circa 150 chilometri da Wukan, si continua a combattere contro i soprusi del regime comunista.
Il rilascio di Zhang, 26 anni, fa parte di un accordo siglato fra Lin Zuluan – rappresentante del villaggio – e il segretario del Partito comunista provinciale Zhu Mingguo. Subito dopo la firma, Zhu ha visitato il villaggio insieme al capo del Partito di Shanwei Zheng Yanxiong e un’altra decina di rappresentanti governativi: sono stati accolti da cori di benvenuto e da applausi.
I dirigenti hanno accolto le richieste del villaggio, eliminato i funzionari corrotti e promesso “giustizia” per la morte di Xue Jinbo. Due leader popolari, però, rimangono in galera: si sono rifiutati di firmare le “confessioni” che il governo impone ai dissidenti prima di rilasciarli e per questo non sono stati liberati.
Arrestato proprio insieme a Zhang, Xue è morto durante un interrogatorio: secondo i suoi concittadini a ucciderlo è stata la polizia, mentre gli agenti parlano di un attacco di cuore. Il rilasciato racconta: “Siamo arrivati insieme alla prigione di Shanwei all’una e mezzo di pomeriggio del 9 dicembre. Mi hanno interrogato per 31 ore e mezzo filate: avevo gli occhi devastati, è stata un’esperienza terrificante”.
Del suo compagno di detenzione, ricorda: “Eravamo a poche porte di distanza. L’11 dicembre ho sentito dei colpi violenti alla sua porta, ho visto che 4 agenti lo portavano via di peso. L’ho chiamato diverse volte urlando, ma non ha dato alcun segno di aver sentito. Lì ho pensato che era morto”. Ora le autorità centrali promettono una nuova inchiesta sul caso, ma gli abitanti di Wukan non ripongono molta fiducia in questa promessa.
Haimen, nel frattempo, festeggia invece il suo terzo giorno consecutivo di proteste (v.foto). La popolazione vuole bloccare la costruzione di una centrale energetica a carbone, cancerogena, ed è scesa in piazza contro gli accordi illegali stipulati fra il governo locale e alcuni investitori. Ora la polizia sta cercando di farla sgombrare con lacrimogeni, cannoni ad acqua e cariche: inoltre, l’autostrada che collega il villaggio al resto del Paese è ancora bloccata.
Le proteste sociali continuano dunque a colpire l’intera Cina, e il fatto che le più violente si verifichino nella ricca provincia meridionale del Guangdong non è un caso. I terreni di questa zona sono i più costosi e vengono espropriati con risarcimenti sempre più bassi, e qui hanno casa le maggiori industrie straniere che producono in Asia: i salari sono miseri e il governo li mantiene tali per attirare nuovi investitori. I lavoratori, però, sono sempre meno intenzionati a rimanere in silenzio: soltanto nel 2010, oltre 180mila proteste sociali."
Altri resoconti degli scontri avvenuti:
Euronews
Blitzquotidiano
Asianews
SavonaNews
A Vado autorizzata una sezione a carbone aggiuntiva da 460MW
Fonte: Trucioli Savonesi, stralcio dell'originale via UPLS
L’ampliamento della centrale a Carbone di Vado è stato approvato in Regione Liguria.
Sì avete capito bene, quella delle tante battaglie avvalorate da dati e analisi scientifiche che denunciavano dati allarmanti sulla salute del territorio colpito dalle emissioni della stessa e mai pubblicamente contestate, mai state oggetto di un corretto confronto tra le parti che hanno preferito sedersi ai tavoli decisionali senza tenere conto della volontà contraria dei 18 Comuni interessati, dell’opposizione netta della popolazione e dei Sindaci dei Comuni di Vado e Quiliano, dell’opinione di scienziati e medici che da anni a gran voce comunicavano i gravi allarmi sulla salute.
Hanno preferito discutere: Regione, Provincia di Savona, sindacati e Tirreno Power tenendo a dovuta distanza coloro che sono i più interessati all’intera vicenda: i cittadini che pensavano di aver già dovuto pagare un prezzo molto alto a causa della combustione del carbone con quarant’anni di malattie, morti premature, alterazioni e inquinamento di un territorio che è stato sempre merce di ricatto occupazionale e di scambio politico.Il lavoro o la salute. Lo sviluppo o la decrescita.
Oggi le promesse di lavoro non sembrano del tutto credibili, sia per la crisi economica che in particolar modo la nostra Provincia sta attraversando , sia per la mancanza di capacità progettuali della classe industriale e di quella sindacale , fermi entrambi su scelte anacronistiche, obsolete e scarsamente innovative, quindi anche il ricatto “ Se vuoi lavorare, devi accettare qualche rischio sulla salute tua e quella dei tuoi figli…” non sembra reggere più.
Non bisogna essere necessariamente ambientalisti, conoscere perfettamente le risultanze scientifiche legate alla combustione del carbone, sapere che il “carbone pulito” non esiste, diffidare di chi oggi ci promette decisivi e miracolosi miglioramenti in fatto di emissioni quando sino ad oggi si è potuto auto certificare e dichiarare le proprie emissioni inquinanti senza che nessun ente pubblico potesse verificarne l’attendibilità, per non crederci più
La maggioranza di cittadini di Vado e Quiliano, ma anche di Savona, Albissola, Noli, Spotorno , Finale e degli altri Comuni sono contrari all’ampliamento della centrale a carbone e non solo sulle Delibere di Consiglio comunicate al Presidente della Provincia, ma per la concreta opposizione dei loro cittadini.
Grande è lo sconcerto per avere appreso la decisione favorevole della Regione Liguria e del Governatore Burlando che, nonostante avesse a conoscenza le problematiche e le aspettative della popolazione contraria , ma soprattutto la netta opposizione dei Sindaci dei Comuni di Vado e Quiliano, ha voluto salutare come mediazione, l’accoglimento delle richieste della proprietà, nelle parti più sostanziali e gravose.
Grande è lo sconcerto per aver appreso come tutte le forze politiche presenti in Regione siano state complici e protagoniste di questo vergognoso accordo, dal PD all’IDV, al PDL( che in Provincia col Presidente Vaccarezza aveva il più strenuo sostenitore).
Tutti senza distinzioni.
Grande, infine, lo sconcerto per la presa di posizione del PD provinciale che con il Segretario Di Tullio in testa, ma ampiamente sostenuto dal Consigliere Verdino e dalla Rambaudi, dimenticano di aver cavalcato i motivi dell’opposizione all’ampliamento , raccogliendo addirittura le firme in campagna elettorale e si permettono, oggi, di attaccare l’operato politico di due Sindaci , di cui uno , Ferrando, facente parte del Partito Democratico.
Certo è grave nel PD non seguire in modo fedele e cieco le decisioni della Segreteria, non ubbidire agli ordini di chi con gravi incoerenze cerca di giustificare la bontà di un progetto di scempio ambientale che mortificherà il nostro territorio per altri 50 anni: potrebbe meritare una punizione.
Ma noi avremo la memoria lunga.
Ci ricorderemo di tutti coloro che si sono resi responsabili o complici di questo progetto di scempio ambientale, quasi un crimine contro la popolazione che lo abita.
Ci ricorderemo di loro quando saremo, di nuovo, nella cabina elettorale.
Ci ricorderemo di loro per le prossime morti premature, per i prossimi casi di tumore, per tutti i bimbi asmatici o sofferenti che testimonieranno come tra la salute dei cittadini e gli interessi dei poteri forti, loro hanno scelto i secondi.
Ci ricorderemo di loro che hanno dimenticato quale sia il ruolo dei Sindaci eletti dai cittadini, che tengono onestamente fede al mandato che gli è stato conferito e per il quale sono stati eletti.
Ci ricorderemo di chi non ha mai fatto nulla per verificare l’operato di autocontrollo delle emissioni in atmosfera e nei corsi d’acqua interessati dalla centrale e poteva farlo.
Ci ricorderemo di chi non ha saputo essere obbiettivo e non ha concretamente preso le distanze da chi ha deciso il futuro del nostro territorio dando il parere positivo di VIA pur non avendo le carte in regola, essendo indagato per la valutazione ambientale di un’altra centrale a carbone: quella di Porto Tolle.
Ci ricorderemo di chi non solo non ha voluto ascoltare la denuncia di medici e scienziati sui danni da polvere sottili e ultra sottili, ma anche di chi ha finto di credere a una battaglia ambientale, talvolta prendendone parte in prima persona, ma senza poi assumere posizioni di vera rottura con i loro partiti e le loro segreterie per chiedere, ad esempio, una verifica seria sui gruppi 3 e 4 che continuano a operare fuori dai parametri di legge.
Ci ricorderemo di chi, mentre il mondo andava in un’altra direzione , funzionale alla diminuzione dei livelli di CO2 e quindi ad una diminuzione della combustione da carbone ritenuto la prima fonte fossile responsabile del surriscaldamento globale del pianeta, a Savona promuoveva un aumento di produzione ingannando i cittadini sulla bontà dello stesso.
E ci ricorderemo anche di chi come i Sindaci Ferrando e Caviglia hanno avuto, invece il coraggio di essere coerenti, con il mandato dei cittadini, con il programma elettorale ma soprattutto con se stessi.
Non sono stati certo loro ad avere indebolito la trattativa politica in Regione, perché non si tratta su un progetto sul quale ci si sente in netto disaccordo. La trattativa è un compromesso, una falsa impostazione per tradire elegantemente i cittadini e soprattutto i propri elettori .......
Le ricadute sul territorio non saranno mai quelle che, chi si batte contro l’ampliamento della centrale e per la metanizzazione dei gruppi esistenti, chiede da decenni.
Le sole ricadute ammissibili devono essere: la salute.
Solo quella avremmo voluto incassare e non ci arrenderemo certo facilmente a rinunciarvi.
La memoria quella sì non la perderemo e siamo certi di conservarla a lungo.
ANTONIA BRIUGLIA
9 dicembre 2011
Banche, chi finanzia il carbone e il riscaldamento climatico
Interessante lettura da Qualenergia.it
"Qualcosa proprio non quadra. Da una parte è evidente che investire ancora nelle fonti fossili vuol dire andare incontro ad un disastro climatico. Dall'altra i grandi della finanza continuano a scommettere decine di miliardi di dollari sulla fonte peggiore per il clima, il carbone. Il risultato è un mix esplosivo di rischio ambientale e finanziario: forse è già troppo tardi per scegliere tra un fallimento sul piano della lotta al global warming - nel caso gli investimenti delle banche andassero a buon fine e le centrali a carbone finanziate riuscissero a funzionare per il loro ciclo di vita - e una grossa bolla di investimenti, che scoppierà se le politiche per il clima impediranno alle fonti fossili di ripagare i finanziatori.
La prima affermazione, cioè che per evitare gli effetti peggiori del riscaldamento globale bisogna fermare immediatamente gli investimenti in fonti fossili, non viene da un'associazione ambientalista, ma dalla International Energy Agency. Nell'ultimo World Energy Outlook infatti si mostra come quattro quinti della quantità di emissioni massima per rimanere entro la soglia critica dei 2 °C sono già allocati dallo stock di capitale esistente, ossia impliciti in centrali industrie e altre infrastrutture in fase di realizzazione. Se entro il 2017, scrive l'Agenzia, non si farà inversione ci saremo già giocati la possibilità di contenere le emissioni abbastanza per tenere la concentrazione della CO2 sotto le 450 ppm, e dunque di fermare l'aumento della temperatura entro i 2 °C.
Quanto al secondo punto, è appena uscito un report che documenta ampiamente come e quanto le più grandi banche del mondo stiano investendo nel carbone: si intitola Bankrolling Climate Change. E' stato realizzato da una rete internazionale di ONG (la tedesca Urgewald, le sudafricane GroundWork e Earthlife Africa Johannesburg e il network internazionale BankTrack) e analizza gli investimenti di 93 tra le più grandi banche del mondo. Lo studio mostra come la finanza, al di là della mano di verde data alla facciata, il cosiddetto greenwashing, stia puntando ancora pesante sul nero, ossia sull'estrazione di carbone e sulle centrali.
Come si vede dai grafici (vedi in fondo) i nomi sono importanti e i numeri alti, anche se probabilmente sottodimensionati: si basano infatti solo sui dati consultabili pubblicamente. E la somma complessiva è in aumento negli ultimi anni (grafico qui sotto).
D'altra parte il carbone, questa fonte “del passato”, è tutt'altro che in declino: negli ultimi dieci anni ha soddisfatto quasi la metà dell'aumento della domanda di energia (1200 Mtep contro poco più di 1400 di tutte le altre fonti sommate, vedi grafico). In Europa – dicono i dati di Greenpeace - oltre un centinaio di nuove centrali sono in fase di progettazione o di realizzazione. In India 173 hanno già ricevuto il via libera per la costruzione, pari ad un aumento del 600% della potenza da carbone e in Cina se ne stanno realizzando circa due a settimana. Beffa aggiuntiva: parte di queste nuove centrali potrebbero ricevere aiuti destinati alla lotta al global warming (si veda qui), mentre procedendo a questo ritmo la Cina nel 2030 avrà emissioni di CO2 pari a quelle odierne dell'intero pianeta.
Non c'è bisogno di elencare le altre controindicazioni del carbone (ad esempio inquinamento e danni alla salute, il 7% del Pil nel 2007 in Cina e 30mila morti premature all'anno negli Usa) per capire che la finanza – investendo in miniere di carbone e centrali - sta mettendo la benzina nel motore di una macchina fuori controllo.
Un problema che dovrebbe far insorgere gli azionisti di quelle stesse banche che stanno finanziando il carbone e le altre fossili. E non solo per il contributo al disastro climatico: gli investimenti in energie fossili infatti rischiano di essere anche un enorme boomerang economico, capace di far scoppiare una bolla paragonabile a quella dei mutui subprimes.
Il perché lo spiega un altro report, di Carbon Tracker Initiative, di cui abbiamo parlato nei mesi scorsi. In sintesi, una quantità enorme di denaro è impegnata in carbone, petrolio e gas che in un non così lontano futuro probabilmente non potranno essere estratti e bruciati. Investimenti spesso a medio e lungo termine compiuti anche da grandi fondi pensione e Stati senza guardare al quadro macro della situazione: con le politiche necessarie a limitare il riscaldamento globale, circa l'80% delle riserve su cui si è finora investito non potrà essere sfruttato.
Per ragionare con dei numeri forniti da CTI: le riserve in possesso delle 100 più grandi compagnie quotate nel carbone e delle 100 del petrolio ammontano ad un equivalente in CO2 di 745 Gt: 180 in più di quello che potremo bruciare fino al 2050 per stare sotto ai 2 °C. In aggiunta ci sono anche le riserve di proprietà degli Stati: ne emerge che di tutte le riserve controllate dalle grandi compagnie quotate, si potranno usare solo gas, carbone e petrolio per l'equivalente di 149 Gt CO2, ossia circa un quinto.
"Questo significa - denuncia lo studio – che governi e mercati globali stanno trattando come asset riserve che sono 5 volte il budget che si potrà usare nei prossimi 40 anni. Le conseguenze di poter usare solo il 20% di queste riserve non sono ancora state considerate”. Gli investitori sono esposti al rischio di possedere asset di “carbonio che non si può bruciare” che potrebbero subire una pesante svalutazione. Dato che la capitalizzazione legata alle risorse fossili su varie Borse ha un ruolo molto importante (20-30% in Borse come quella australiana, Londra, Mosca, Toronto e San Paolo), le conseguenze a catena per l'economia mondiale potrebbero anche essere catastrofiche.
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10 novembre 2011
Condanna da 1,5 milioni per l'azienda energetica che spiava Greenpeace
Dal FattoQuotidiano
"Spiò i piani di Greenpeace, Edf condannata a pagare 1,5 milioni di euro
Edf è colpevole di spionaggio informatico ai danni di Greenpeace. Il colosso energetico (e soprattutto nucleare) francese, per di più un gruppo pubblico (controllato dallo Stato per oltre l’80% del capitale), avrebbe fatto ricorso a un sottobosco di ex agenti segreti e hacker per scoprire cosa l’organizzazione ambientalista stava studiando per protestare contro il suo progetto di un nuovo impianto nucleare a Flamanville, in Normandia. Quell’Epr, reattore di terza generazione, ora in costruzione (anche Enel fa parte della partita) lì, davanti al mare. Lo stesso costosissimo modello che i francesi volevano vendere all’Italia quando ancora Berlusconi e Nicolas Sarkozy erano molto amici.
La condanna di Edf è giunta oggi in primo grado da parte dei giudici della procura di Nanterre, alle porte di Parigi. Prevede il pagamento di una multa di un milione e mezzo di euro da parte dell’azienda. E soprattutto due ex alti dirigenti del servizio di sicurezza interno di Edf, Pierre-Paul François e Pascal Durieux, sono stati condannati rispettivamente a sei mesi e a un anno di reclusione. I reati contestati sono spionaggio informatico ai danni di Greenpeace e ricettazione di documenti confidenziali rubati. Edf, in realtà, si difende accusando a sua volta la società alla quale si era affidata per l’operazione. Che sarebbe andata oltre le istruzioni impartite. Che avrebbe esagerato. Il gruppo francese ha già deciso di ricorrere in appello alla sentenza di oggi.
I fatti risalgono al 2006. François è un ex poliziotto e Durieux addirittura un ex contrammiraglio. Vogliono capire le intenzioni di Greenpeace sul discusso progetto di Flamanville, il nuovo Epr, lì dove già esiste una potente centrale nucleare. Ricorrono a Kargus Consultants, una società di intelligence economica, come ce ne sono sempre più a Parigi. E’ diretta da Therry Lohro, ex paracadutista, passato attraverso i servizi segreti, che fa affidamento, per i lavoretti più delicati, a Alain Quiros, informatico con un talento particolare, hacker autodidatta, localizzato in Marocco. Sono loro che riescono a inserirsi nel computer di Yannick Jadot, allora dirigente di Greenpeace e oggi portavoce di Eva Joly, la candidata dei Verdi alle presidenziali del 2012.
Oggi i giudici di Nanterre hanno anche condannato a un anno di prigione con la condizionale il ciclista americano Floys Landis: aveva pagato la stessa Kargus per accedere a dossier segreti nel Laboratorio nazionale di depistaggio del doping (Lndd). Durante il processo il procuratore della Repubblica Benjamin Branchet ha fatto una requisitoria durissima contro il sottobosco dell’intelligence economica. “Vi rendete conto: una società come Edf, famosa in tutto il mondo e di cui la Francia si inorgoglisce, tollera e addirittura incoraggia il ricorso a pratiche di questo tipo – aveva affermato in aula -. Com’è possibile che, in questo contesto, i cittadini conservino una totale fiducia negli alti dirigenti privati e pubblici, che a loro volta esigono da loro rispetto delle regole finanziarie e sacrifici?”. Da sottolineare: l’”alto dirigente”, l’amministratore delegato, di Edf è Henri Proglio. Cioè uno dei manager più vicini da sempre alla destra e a Sarkozy.
29 ottobre 2011
La Pedocultura di enel
Mentre gli italiani si preparano a dichiarare che il carbone non deve far parte del futuro energetico di questo Paese, e che anche il presente ne va depurato, intanto enel invita i bambini nella centrale a carbone di TorrevaldaligaNord (Civitavecchia), per un'adeguata azione di depistaggio informativo strumentale, con aggiunta di colorante verde.
Investire in educazione rende, si sa. Scegliere quale educazione proporre dipende A CHI deve convenire quanto ne risulta. Razionalità e democrazia vorrebbero si guardasse a ciò che conviene alla comunità, che si proteggesse il bene comune. Nel caso dell'educazione by enel, il bene non dubitiamo che la supposta formativa somministrata ai ragazzi -e indirettamente alla società, sarà rivolta a uno scopo proumano, secondo una prospettiva comunitaria. E chi ne dubita, peste lo colga.
11 ottobre 2011
Carbone: Sindacalista si dimette dalla CGIL, lo statuto è in contrasto con la tutela della salute pubblica
Savona, una vicenda significativa che ci auguriamo sia dìispirazione per tanti altri nella posizione di Brunetti. Riportiamo da SavonaNews
"Pubblichiamo integralmente la lettera di dimissioni con la quale Vito Brunetti si ritira dalla CGIL.
Vale la pena leggerla:
"Alla Segreteria Provinciale Della C.G.I.L. di Savona
Alle Segreterie Provinciali e Regionali dello S.P.I.- C.G.I.L.
Al Direttivo provinciale dello S.P.I. -C.G.I.L.
Alla Sede S.P.I. - C.G.I.L. Di via Acqui 4R Savona
Oggetto : Revoca della delega sindacale e carbone.
Con la presente comunico, con tristezza e rammarico, la revoca della mia iscrizione al Sindacato, in quanto non mi sento tutelato nella difesa della salute mia, della mia famiglia, della mia comunità.
Quanto sopra in coerenza con le posizioni, da me assunte, contro il raddoppio di potenza della centrale a carbone Tirreno Power di Vado Ligure. In particolare viene ripercorso dal Sindacato l'errore passato dell'ACNA di Cengio, dove la monetizzazione della salute portò alle conseguenze nefaste che ancora paghiamo.
Ricordo che l'art.32 della Costituzione recita :
"La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività...."
E' evidente che le posizioni attuali di C.G.I.L confliggono con l'affermazione dell'art.2 del Suo Statuto : "La CGIL basa i propri programmi e le proprie azioni sui dettati della Costituzione della Repubblica e ne propugna la piena attuazione ....".
Oggi sul territorio è presente una grave spaccatura che separa da un lato parte delle amministrazioni a livello nazionale e regionale e dall'altro gran parte del territorio che segnala la propria sofferenza (almeno 18 comuni, peraltro di diversi colori politici, Ordine dei Medici, IST regionale, Pneumologia dell'Ospedale S.Paolo , enti, ACLI,ARCI, associazioni per la salute,partiti politici.
Una classe politica balbettante e succube si è rimangiata posizioni espresse in campagna elettorale e non è neppure in grado di imporre un controllo serio e pubblico delle emissioni a camino, accontentandosi dei monitoraggi aziendali, nell'assenza di un Piano energetico nazionale e in violazione al Libro Bianco dell'Unione Europea, da cui continueranno a fioccare multe. Su ambiente e carbone rimando all'intervista del metereologo Mercalli (il Letimbro numero 4 di aprile 2011).
Sempre il giornale della Curia di agosto 2011 raccomanda nell'articolo prudenza politica e di fatto prende le distanze dalla scelta del carbone, citando lo stesso Papa Benedetto XVI° e auspicando l'applicazione di energie a minore costo sociale e ambientale.
I dati dell'IST sono drammatici e sottolineano come la provincia di Savona abbia la mortalità più elevata per tumori maligni rispetto a tutto il resto della Liguria e doppia rispetto alla media nazionale: a Noli è cinque volte la media, per cancro ai polmoni nelle donne.
Senza considerare le malattie ischemiche (un solo dato +44% nelle femmine a Vado), malattie polmonari, cardiovascolari, asma e bronchiti croniche. Infine risibile è il discorso della difesa dell'occupazione perché oggi,oltre alla metanizzazione degli impianti in centri abitati, vi è la tecnologia per costruire edifici a risparmio energetico (Bolzano, Germania), centrali a biomasse, eolico, eolico di alta quota Kite gen, fotovoltaico, solare termico; con ben altro impatto sull'occupazione.
Mi rattrista pensare a un sindacato confederale ridotto al rango di gigante istituzionale ma nano politico, appiattito sulle posizioni di un sindacato categoriale , comprensibilmente ricattato e non autonomo, legittimato solo dalla controparte. Sempre disponibile ad un confronto sereno, invio i migliori saluti.
Vito Brunetti"
9 ottobre 2011
Porto di Civitavecchia, Confitarma chiede libertà di violare la legge
Da centumcellae.it
"Toni accesi avrebbero animato l’assemblea nazionale degli armatori tenutasi lo scorso giovedì 6 ottobre alla presenza del Ministro dei trasporti Matteoli. Durante l’assemblea, il Presidente di Confitarma Paolo d’Amico avrebbe dichiarato – in riferimento alle trentadue denunce elevate nel Porto di Civitavecchia nei confronti degli armatori – che se si perpetuasse una simile situazione, le navi saranno costrette a fare scalo in altri porti. Un’affermazione questa, che ha subito suscitato calde reazioni: “Piuttosto che lanciare minacce – risponde immediatamente il consigliere Vittorio Petrelli- “il presidente farebbe bene a confrontarsi con chi, a Civitavecchia, solleva due questioni fondamentali: la salvaguardia della salute pubblica e, a seguire, il lavoro e lo sviluppo”. Negli ultimi anni infatti, il porto di Civitavecchia è arrivato a gestire elevati livelli di traffico, da cui consegue una situazione di vero e proprio allarme ambientale. “Quanto alla questione delle denunce” continua Petrelli “il Presidente è così certo che non troverebbe un ugual trattamento negli altri porti in considerazione che la normativa è nazionale e l’attenzione ambientale, specie nei confronti dei porti, è abbastanza elevata dappertutto?” Sulla stessa linea di Petrelli, arrivano le accuse al comportamento degli armatori da parte di Marco di Gennaro. “Ci saremmo aspettati dagli armatori un comportamento più serio e responsabile”- dichiara il segretario Udc – “pretendere infatti di passare da carnefici a vittime e per di più fare ricatti occupazionali non è né serio né responsabile”. La questione dell’abbattimento dei fumi poi, sulla cui emergenza si era espresso anche lo stesso Sindaco, sembra essere avvolta, per usare una terminologia ad hoc, in una fitta e intricata nebulosa. “Una soluzione in tempi brevi doveva essere l’impegno preso qualche tempo fa”- continua di Gennaro – “ma ad esso non è seguita alcuna tangibile iniziativa e le navi continuano ad emettere nuvolaglie nere con le quali sfidiamo chiunque pensi che non siano nocive a fare corroboranti inalazioni”.
Parla invece di problema sottovalutato il Consigliere comunale dei Verdi Alessandro Manuedda, che ricorda quanto sottolineato dalla Commissione Europea, proprio per dare il giusto peso alla questione, nel documento datato 25 luglio 2011, il quale afferma: “Dato che le emissioni di inquinanti atmosferici possono attraversare grandi distanze, molte emissioni marittime avranno un impatto a terra, in particolare quando si producono vicino alla costa. È stato previsto che, senza ulteriori interventi di regolamentazione, la crescita incessante delle emissioni di SO2 e NOx del settore marittimo supererà il totale delle emissioni di questi inquinanti proveniente da tutte le fonti terrestri entro il 2020”. “Tale analisi – commenta Manuedda – ribadisce che, contrariamente a quanto affermato dal presidente della Confederazione Italiana degli Armatori, le navi non sono certo ‘il mezzo meno inquinante che ci sia’ ma, anzi, rappresentano, soprattutto per alcuni inquinanti, uno dei principali fattori di pressione ambientale e sanitaria. A Civitavecchia, come nel resto del mondo, siamo appena all’inizio del cammino che dovrà condurre alla riduzione dell’inquinamento prodotto dalle navi, che, al di là dell’aspetto visibile dei fumi neri, è rappresentato da centinaia di tonnellate all’anno di polveri, ossidi di azoto e ossidi di zolfo, con il relativo contributo alla formazione di inquinanti secondari, quali ad esempio l’ozono. La strada è lunga e tra istituzioni, cittadini e armatori, ognuno deve fare la propria parte. Quella degli armatori non può che essere di rispettare le leggi senza aspettarsi particolari elogi e di aprire i cordoni della borsa per una manutenzione ottimale delle navi”.
Piccata la replica alle parole di D’Amico, infine, anche da parte del comitato NessunDorma, che rispondono: Noi non pensiamo che i reati contestati siano immaginari, ma la Procura della Repubblica e la Capitaneria di Porto sono i soggetti autorizzati a rispondere. Per quanto attiene invece alla nostra protesta, possiamo affermare che, proprio perché non in possesso di strumenti di monitoraggio della qualità dell’aria, abbiamo chiesto e ottenuto una centralina con gestione Arpa Lazio per il controllo dei fumi e degli altri inquinanti all’interno del porto. Ma è evidente che, in assenza di strumenti, le persistenti fumate nere, il colore giallastro del cielo, la qualità dell’aria, che due giorni su tre non raggiunge il livello di “buona” e i malesseri fisici accusati dalla popolazione, costituiscano un serio e valido motivo di preoccupazione per i cittadini stessi, nonchè una seria minaccia alla loro salute. Oppure dobbiamo pensare che decine di navi ormeggiate in porto, con migliaia di persone a bordo, non costituiscano un serio impatto ambientale in termini di emissioni inquinanti?”. Quanto poi alla minaccia di D’Amico di dirottare su altri porti le navi degli armatori il comitato risponde così: “Volendo prescindere dall’indiscussa posizione strategica del porto di Civitavecchia, l’affermazione risulta a dir poco illogica, visto che le leggi vanno rispettate su tutto il territorio nazionale. A meno che il presidente non conosca città, dove passando con il semaforo rosso, si guadagni un bonus”.
7 ottobre 2011
Appello internazionale per ridurre le sovvenzioni pubbliche alle fonti fossili
Dal blog di Gualerzi (Repubblica)
"L’Ocse e l’Agenzia internazionale per l’energia hanno lanciato un appello per ridurre le sovvenzioni ai carburanti fossili, che nel 2010 hanno superato i 400 miliardi di dollari nel mondo. “E se non ci saranno cambiamenti di politica da parte dei governi, potremmo raggiungere i 660 miliardi di dollari nel 2020, pari allo 0,7% del pil mondiale”, ha avvertito Fatih Birol, capo degli economisti dell’Aie.
A sua volta, riferiscono le agenzie di stampa, il segretario generale dell’Ocse, Angel Gurria, ha commentato che il livello di sovvenzioni è divenuto “insostenibile” e che la cifra è superiore a quella delle sovvenzioni all’agricoltura nel mondo, a vantaggio di una gran parte di paesi sviluppati. Secondo i responsabili energetici dell’Ocse, abbandonare i finanziamenti alle energie fossili (petrolio, gas, carbone) permetterebbe di ridurre la domanda mondiale di energia del 4,1% e la domanda di petrolio di 3,7 milioni di barili quotidianamente.
L’abbandono comporterebbe inoltre una riduzione delle emissioni di anidride carbonica di 1,7 miliardi di tonnellate all’anno. Secondo le stime dell’Agenzia, le sovvenzioni “che riducono artificialmente” i prezzi dei carburanti si attestano a 409 miliardi di dollari (310 mld euro) nel 2010, pari a 110 miliardi in più del 2009 a fronte del rialzo dei prezzi dell’energia (ma 150 miliardi meno del 2008, quando i prezzi avevano raggiunto un picco storico).
Un problema di cui non parla nessuno, perché come è noto l’unico vero scandalo sono gli incentivi al fotovoltaico previsti dal conto energia.
23 settembre 2011
Falsi comitati per il "sì al carbone" finanziati da Repower, ricostruzione della vicenda
Il quotidiano Terra ricostruisce l'accaduto col suo articolo "Centrale di Saline. Creati ad arte i comitati per il sì", che riportiamo di seguito.
IL CASO. Un dipendente della multinazionale svizzera Repower scriveva nel suo ufficio milanese i comunicati stampa per due associazioni pro impianto. Svelato un finanziamento di 7.500 euro.La centrale a carbone di Saline Joniche targata Repower Italia per adesso esiste solo sulla carta. Ma lontano da sguardi indiscreti, abilmente occultata da sedicenti “comitati per il sì”, la macchina del consenso messa in piedi dalla multinazionale svizzera lavora già a pieno regime. E da tempo. Non ha avuto alcuno scrupolo il colosso svizzero dell’energia a sostenere sottobanco le associazioni pro carbone “Vedere chiaro” e “Trasparenza”, che sul territorio si limitavano a diramare i comunicati stampa che proprio un dipendente della Repower Italia scriveva dal suo ufficio milanese. A stanarlo, Luigi Palamara, editore di Mnews, un sito di informazione locale, che è rimasto a dir poco stupito quando si è reso conto che i comunicati diramati dai due comitati locali pro centrale – ufficialmente autonomi e indipendenti tanto da Repower, come dal Gruppo Sei, il braccio operativo del colosso svizzero sul territorio – venivano confezionati direttamente dagli uffici milanesi della multinazionale svizzera.
«Andando a verificare l’autore e il proprietario dei documenti word abbiamo notato con stupore e incredulità che quasi tutti fanno riferimento ed hanno come autore un dipendente della Repower Italia», scrive in una nota Palamara, chiedendo con forza alle due associazioni pro carbone di fare chiarezza. «Fino ad oggi i due comitati hanno rivendicato con forza l’assoluta indipendenza, e che nessun legame vi era con la SEI e tantomeno con Repower Italia. è incredibile allora andare a capire come mai invece i comunicati stampa siano di un dipendente dalla Repower». Una rivelazione sconcertante, ma che non stupisce chi come Nuccio Barillà, presidente della locale sezione di Legambiente, denuncia da tempo l’oscura origine di queste associazioni.
«Gli ultimi avvenimenti non fanno che dimostrare quello su cui noi insistiamo da tempo: i comitati pro-centrale, che non hanno né storia né radicamento sul territorio, non sono che la scialuppa d’appoggio della corazzata del Gruppo Sei, disposto a tutto pur di portare a termine l’affare della centrale». Dai due presidenti di “Vedere chiaro” e “Trasparenza”, Leandro Fisani e Domenico Foti, ex uomo di punta di Sel alle ultime comunali, non è ancora giunto alcun commento. Del resto, pochi sono i pretesti che potrebbero accampare: la conferma della strategia di “comunicazione” della Repower è arrivata direttamente dalla Svizzera. Da uno degli uomini di punta della multinazionale dell’energia. Ai microfoni della televisione pubblica Rf, Kurt Bobst, uno dei soci fondatori della multinazionale, ha ammesso, non senza imbarazzo, di aver finanziato la partecipazione dei comitati del sì, alla manifestazione contro le centrali a carbone tenutasi a Coira, in Svizzera.
Una provocazione non andata a buon fine – il corteo è infatti sfilato, senza che nessuno degli ambientalisti che vi hanno partecipato si lasciasse trascinare in liti o diverbi - ma costata alla Repower novemila franchi svizzeri, circa 7mila e 500 euro. «Il candore con cui il sig. Kurt Bobst ha confessato di aver elargito una notevole somma di denaro a favore dei i comitati pro-centrale è semplicemente sconvolgente», ha commentato una delle attiviste del comitato “No alla centrale a carbone di Saline Joniche”, ma siamo soprattutto profondamente indignati per la campagna diffamatoria portata avanti da un anno a questa parte contro il coordinamento delle associazioni dell’area grecanica, che oggi si scopre portare la firma “Repower”. Negli ultimi mesi, racconta ancora Barillà, mentre il territorio veniva invaso da manifesti e affissioni sui supposti benefici del centrale e della CO2, gli uomini della Sei si sarebbero prodigati in un serie di incontri a porte chiuse con le autorità locali, alle quali avrebbero proposto una lunga lista di opere compensative in cambio dell’assenso alla costruzione dell’impianto. «Repower deve prendere atto che il suo gioco è stato scoperto. Se la multinazionale svizzera, leader mondiale delle rinnovabili, vuole investire a Saline non può farlo eludendo leggi e Costituzione, ma soprattutto senza il consenso dei cittadini».
Dipendenti prezzolati dietro i comitati sì al carbone per Saline Joniche, le Associazioni dell'Area Grecanica intervengono
Comunicato del Coordinamento Associazioni Area Grecanica sull'incresciosa vicenda di cui ci siamo occupati ieri, e che continua a far discutere anche in terra elvetica.
"Il Coordinamento delle Associazioni dell'Area Grecanica esprime profonda indignazione per il comportamento ingiustificabile della RePower, socia di maggioranza della SEI s.p.a., che cerca di acquisire consensi foraggiando i comitati "spontanei" per il si al carbone.
Ai microfoni del programma Rundschau, della tv svizzera SF, Kurt Bobst, CEO di Repower, ha confessato di aver finanziato con 9000 franchi svizzeri i comitati pro carbone, affinchè gli aderenti e i simpatizzanti degli stessi potessero presenziare alla manifestazione tenutasi il 27 agosto 2011 a Coira in Svizzera.
Questi comitati, pertanto, rappresentano l’unico esempio di organizzazione “spontanea” in cui la “spontaneità” sembrerebbe essere incentivata da finanziamenti di scopo. Stando a quanto emerso da un’altra inchiesta giornalistica condotta da Mnews.it, la Repower, inoltre, avrebbe anche “supportato” la comunicazione istituzionale degli attivisti del SI, facendo redigere i comunicati stampa dei comitati direttamente da propri dipendenti.
Il Coordinamento è fortemente sdegnato per i metodi a dir poco censurabili usati dalla RePower che, mentre ufficialmente, parla di dialogo e confronto con la popolazione poi, adotta comportamenti che Irene Aegerter, vicepresidente dell'Accademia svizzera delle scienze tecniche e co-firmataria di una lettera aperta contro le centrali a carbone, definisce ASSOLUTAMENTE IMMORALI.
Quello che le due inchieste hanno portato alla luce è a dir poco indecoroso. Le popolazioni dell’Area Grecanica sono state raggirate per tre anni dai comitati "spontanei" del si che, alla luce dei fatti emersi, di spontaneo sembrano avere ben poco.
Tutto questo, ironia della sorte, è accaduto mentre alcuni comitati del Si e qualche consulente della SEI, lanciavano una campagna denigratoria nei confronti del Coordinamento, al fine di smentire, attraverso dichiarazioni palesemente contrastanti con la realtà dei fatti, la buona riuscita della manifestazione No Carbone di Coira, in Svizzera.
Il Coordinamento, a questo punto, non può che chiedersi come mai una multinazionale come RePower, che si dichiara sicura della bontà del proprio progetto, abbia deciso di ricorrere a questi mezzucci per creare consenso e soprattutto: cosa ancora potrebbe emergere da tutta questa torbida vicenda?
Il Coordinamento continuerà con sempre maggiore determinazione a vigilare e a lottare in difesa del territorio, informando in modo chiaro, onesto e trasparente, affinchè il NO espresso ripetutamente a gran voce da tutta la popolazione e dalle istituzioni, sia un NO consapevole!"
Intanto i media svizzeri continuano ad occuparsi della vicenda Repower/centrale a carbone a Saline Joniche: Power für Klimaerwärmung - Graubünden setzt auf Kohlekraftwerk in Kalabrien
Leggi l'articolo di ReggioTv
22 settembre 2011
L'azienda del carbone paga 9000 franchi per manifestare a suo favore
Deja-vù? Noi dell'Alto Lazio sappiamo con quale facilità certi sindacalistucoli del comparto elettrico siano pronti a bivaccare in piazza con improbabili striscioni come "Sì al carbone pulito" ogniqualvolta mammaenel chiami, magari con al seguito una dozzina di ingenue (o rassegnate) tute blu, non troppo dispiaciute di trovarsi la giornata pagata per una gita fuori porta. "Cosa fate qui?" abbiamo chiesto agli operai in più occasioni: molti non sapevano cosa dire oltre che "Ci hanno pagato la giornata".
Siamo avvezzi a sorbirci pagine di pseudoscienziati che sbavano sofismi per confondere la gente comune; sulle pagine comprate dai potentati per cui lavorano, o in salotti televisivi blindati, vanno sostenendo che "il carbone riduce l'inquinamento e non fa poi così male alla salute, oggi che è 'pulito'".
Quindi no, non ci sorprende sapere che Repower, azienda svizzera interessata a costruire un impianto a carbone a Saline Joniche (RC), ha pagato il soggiorno in Svizzera per i suoi sostenitori calabresi, nell'occasione della manifestazione internazionale contro il carbone tenutasi a Coira nello scorso agosto. Chissà quanti di questi "sostenitori" avevano idea di cosa stessero facendo in terra elvetica, quel giorno. La notizia di seguito, direttamente dai notiziari svizzeri.
Dalla RSI-Radiotelevisione svizzera
"L'azienda elettrica grigionese ha finanziato la trasferta a Coira dei sostenitori calabresi della centrale a carbone
I dimostranti favorevoli al carbone hanno ricevuto dalla direzione 9'000 franchi, somma confermata ieri sera durante la trasmissione "Rundschau" dallo stesso CEO di Repower Kurt Bobst.
Un mese fa alcune centinaia di oppositori della centrale a carbone in Calabria - progettata da una filiale della società con sede a Poschiavo - avevano sfilato pacificamente per le vie del centro cittadino di Coira. In quell'occasione un gruppetto di sostenitori del carbone, anch'essi giunti dall'Italia, aveva indetto una contro-manifestazione. Ora si sa che per quell'evento la trasferta in terra retica è stata finanziata direttamente dall'azienda elettrica.
Dura critica dei socialisti: azione indegna
Il gesto dei vertici della società - 9'000 franchi in totale - non è passato inosservato e oggi ha scatenato dure critiche degli ambientalisti e dei partiti di sinistra, che da tempo hanno nel mirino il produttore d'energia grigionese per il suo impegno nell'impianto a carbone calabrese e anche in un'altro sito analogo nel nord della Germania. Il cantone dei Grigioni è azionista di maggioranza di Repower con il 46% del capitale azionario.
In un comunicato il PS grigionese si dice sorpreso: che Repower paghi dei manifestanti è "imbarazzante e indegno di una società solitamente rispettabile".
21 settembre 2011
"Quelli che" vogliono l'autostrada Tirrenica: Antonio Bargone
Eccone uno, tra "quelli che" lavorano alla realizazione dell'autostrada Tirrenica anche detta "Spaccamaremma". Come insegna la nota filosofa morale Terry De Nicolò, per avere così tanto difficilmente puoi aver agito nella legalità. Liberi cittadini hanno diffuso su Facebook le seguenti notizie su tale "onorevole", noto uomo-crocevia di loschi affari bipartisan:
- una pensione a vita di euro 6.590 al mese (esentasse?) dalla Camera pagata con soldi pubblici http://www.publice.it/pensionicamera.htm
- un compenso come Commissario straordinario del Governo per la costruzione della Tirrenica (nominato dal nostro ex sindaco Matteoli) di euro 232.884 annui pagati con soldi pubblici http://www.facebook.com/note.php?note_id=130268917035124
- uno stipendio di euro 61.000 annui come presidente Società Autostrade http://www.facebook.com/note.php?note_id=130271463701536
24 agosto 2011
"Infrastrutturocrazia"
Un contributo di Vanni Destro, Movimento 5 Stelle Rovigo e Coordinamento Nazionale No al Carbone
"Per il carbone a Porto Tolle modificate la Costituzione, fate quel che va fatto, non c'interessa, ma smettetela di mettervi in mezzo!" Messaggio chiarissimo quello di Fulvio Conti davanti alla più presitigiosa platea nazionale dal punto di vista degli intrecci economico - politici, il Meeting di CL- Compagnia delle Opere che annualmente raccoglie gli affiliati a quella specie di massoneria cattolica col pallino degli affari.
Una scena di sicuro peso che, in fondo, rappresenta il volto dirigenziale di quest'Italia in rottura prolungata e che ha ancora tanto, tanto, troppo potere. Un Conti spregiudicato che rivela la propria anima e lancia il messaggio più forte ben sapendo che questa classe politica non vedeva l'ora di sentirselo chiedere.
In fondo Italia Decide di Violante che sollecita ad Alfano le ispezioni alla Procura di Rovigo è co-fondata e finanziata da Enel, questo Governo ha già prodotto un paio di provvedimenti legislativi per favorire la riconversione a carbone e, addirittura, la Regione Veneto ha modificato la legge istitutiva del Parco del Delta del Po per il medesimo motivo.
Su, un'altro piccolo sforzo.
La democrazia? Stiamo ancora a perder tempo con questi anacronismi? La politica del fare (quel che a lorsignori pare e piace) non può tenere conto delle persone, dei loro diritti, della loro vita, di ciò che pensano, del fatto che facciano lavori che subirebbero danni dalla riconversione o, peggio, che rischino malattie gravi, conta solo il dio denaro e conta solo per pochi potenti.
Infrastrutture, impianti e grandi opere vanno fatte anche se inutili, coi nostri soldi e alla faccia nostra perché sono la via per succhiare altri soldi pubblici.
Conti non vuole le stazioni di pompaggio e gli accumulatori di Terna che, recuperando energia, toglierebbero mercato ad Enel e allora dice che energia ne abbiamo fin troppa. Conti piange e si dispera per le sorti del carbone portotollese e dice che abbiamo una disperata necessità di energia. Finalmente Conti la dice giusta: fateci fare quel che vogliamo! A parte che sembra quasi un alzare la posta per cincischiare un'altro po', per rimandare l'inizio dei lavori trovando un'altro capro espiatorio negli enti locali che, giustamente, rivendicano la giurisdizione sui propri territori e la salvaguardia di chi e ciò che amministrano che la Costituzione loro legittimamente garantisce. Siamo all'infrastrutturocrazia, al lobbismo che si incarna nel governo
del Paese.
A questi boiardi di Stato, con velleità di supermanager che non rischiano mai e, se lo fanno, usano come stuntman al loro posto gli italiani sarebbe ora di dare il benservito altro che modificare la Costituzione a loro piacimento.
14 agosto 2011
Marcinelle 1956, l'ipocrisia nelle parole di chi ricorda
Che le sigle dei sindacati nazionali siano pronte a propagandare come positivo qualunque affare relativo al carbone è una realtà ormai consolidata, e i potentati energetici sono ben contenti di sfruttarle mediaticamente.
Poi d'improvviso emergono le contraddizioni, come quelle di chi nello scorso 8 agosto commemorava i minatori italiani morti a Marcinelle, eppure tace sulle migliaia di lavoratori che muoiono ogni anno nelle miniere di carbone, ancora oggi, nel 2011. Di quelli semmai ci ricorderemo tra 50 o 100 anni.
1 agosto 2011
Tangenti per il carbone di Porto Tolle, la P4 coinvolta
Pubblichiamo un articolo di grande interesse, dalla home page del FattoQuotidiano
"Servizi, mazzette e P4: le trame oscure intorno alla centrale Enel di Porto Tolle". Una lettura consigliata!
Un agente dei servizi viene arrestato a Padova per concussione. Il suo nome compare due giorni sui giornali locali. Poi il vuoto. I magistrati padovani che indagano sul caso chiedono informazioni su di lui alla procura di Rovigo, perché è lì che l’agente segreto vive. E il Procuratore Capo Dario Curtarello salta sulla sedia. Quel nome lo conosce bene. Ettore Mantovan, 57 anni di Porto Viro è conosciuto anche al pool del Pm Carlo Nordio, che ha condotto le indagini sulle coop rosse. E ora sul nome dello 007 incombe l’ombra della P4.
I giochi si compiono a Rovigo, capoluogo “depresso”, dimenticato da tutti quelli che non sanno nemmeno dove collocarlo sulla cartina geografica. Eppure è qui si gioca la doppia “partita energetica” del Paese: il rigassificatore a metano di Porto Viro (Edison), inaugurato dall’ex governatore Giancarlo Galan, e, a una manciata di chilometri, la centrale Enel di Porto Tolle, che dal funzionamento a olio combustibile, altamente inquinante, vuole passare al carbone, progetto fortemente voluto dalla Regione e dai sindacati, osteggiato dagli ambientalisti e, sul piano giudiziario, dalle consulenze della procura di Rovigo.
Ma all’ombra dei due “mostri” c’è un oscuro sottobosco tutto da svelare. Perché un anno fa Ettore Mantovan, agente segreto dell’Aisi (Agenzia italiana per la sicurezza interna, ex Sisde) avrebbe fatto pressioni sui pm di Rovigo che si permettevano di “andare contro” gli interessi dell’Enel a suon di consulenze sull’impatto ambientale dell’opera. Il caso finisce a Trento, procura competente per i magistrati veneti, che però archivia il caso. Poteva continuare la sua vita nell’ombra, Mantovan. Ma quattro mesi fa i carabinieri di Padova gli trovano nelle tasche 50mila euro in contanti. E’ una mazzetta appena estorta ad un imprenditore ittico. E ora sul tavolo dei due pm padovani che indagano si di lui, Paolo Luca e Roberto d’Angelo, arrivano i fascicoli dell’inchiesta P4 di Henry John Woodcock e Francesco Curcio. Ci sarebbe quindi un collegamento con le intercettazioni che hanno incastrato Bisignani-Milanese-Papa, gettato ombre sulla Guardia di finanza ed evidenziato possibili accordi “segreti” per le nomine e gli affari dei grandi enti statali, tra cui proprio l’Enel.
I magistrati padovani sono ora a caccia di possibili nessi tra l’inchiesta partenopea e i movimenti di Mantovan. Dal suo passato emergono infatti molti dettagli che, messi in uno in fila all’altro, potrebbero svelare un inedito interessamento dei Servizi agli interessi economici di Rovigo.
Sono le 17.30 del 29 marzo scorso quando il 57enne rodigino Ettore Mantovan viene arrestato dai carabinieri al casello di Padova sud: ha appena preso 50mila euro da Archimede Finotti, imprenditore titolare della Finpesca di Porto Viro. Ma il contestato reato di concussione non è che una deriva rispetto ad altri piccoli particolari che emergono ripercorrendo la carriera di Mantovan. Negli anni ’90 è in questura a Rovigo, fa l’ispettore. Ma è molto ambizioso, quel ruolo gli sta stretto. Si mette in mostra a Venezia, dove porta al pubblico ministero Carlo Nordio elementi determinanti in merito all’inchiesta sulle coop rosse. Il nome di Alberto Fontana, il famoso “compagno F” che manovrava tangenti per finanziare il Pci, arriva proprio grazie alle informazioni di Mantovan. L’ispettore ha le mani in pasta e lo dimostra chiaramente a tutti quelli che lo conoscono. Il suo obiettivo sono i Servizi. Più volte chiede alla procura veneziana di essere “segnalato” a Roma. Ma dal capoluogo veneto non parte alcuna spintarella. Lui non si arrende. Passa qualche tempo alla Dia di Padova. Alla fine ce la fa: dopo il 2000 entra nel Sisde, che poi diventa Aisi, ed è responsabile di zona per il Triveneto.
Il suo nome ricompare nel 2008. Scoppia il caso della riconversione a carbone della centrale Enel di Porto Tolle. Il colosso che svetta nel fragile equilibrio del parco del Delta del Po funziona a olio combustibile, ma inquina troppo. Che progetti ha l’Enel? La riconversione a carbone. Gli ambientalisti promettono battaglia. E il caso arriva in Procura. Nel 2008 giunge sul tavolo del pm rodigino Manuela Fasolato la relazione dell’ Enel sulla riconversione: l’ente parla di emissioni non nocive, di polveri più sottili del temuto pm10. Ma una consulenza richiesta dalla pm e controfirmata dal procuratore capo Dario Curtarello dice che non è vero che quel tipo di polveri non comporta rischi, anzi potrebbe inquinare in modo più subdolo. Per L’Enel compare lo spettro dei sequestro preventivo.
Parallelamente, gli ambientalisti parlano del ‘controsenso energetico’: a una manciata di chilometri da Porto Tolle c’è il rigassificatore di Porto Viro, che porta alti gli interessi di Edison e di una ditta del Quatar che trasporta qui il metano in stato liquido. La domanda è quasi banale: perché la centrale Enel non può essere collegata al rigassificatore e funzionare a metano? L’Enel non risponde. Non risponde nemmeno la Regione Veneto, e sindacalisti si scontrano con Greenpeace, Legambiente e Movimento 5Stelle. Perché ai sindacati L’Enel promette soldi e lavoro, con il metano non ci sono né l’uno né l’altro. Peccato che la magistratura si metta di traverso. Lo pensa anche per l’ex pm ed ex parlamentare del Pd Luciano Violante. Violante guida una “lobby” che si chiama “Italia-decide”, che ha la missione di agevolare la ripresa economica del Paese. Piccolo dettaglio: tra i fondatori di della lobby c’è anche Enel.
Nell’inverno del 2010 Violante, in un pubblico salotto chic di Cortina d’Ampezzo, riprende il rapporto annuale di Italia-decide, che ha un capitolo dedicato proprio all’Enel e fa un commento che, a posteriori, appare come un anatema: si augura infatti che si trovi presto una soluzione alle perplessità dei magistrati che stanno bloccando la riconversione a carbone della centrale di Porto Tolle. Detto fatto. Violante chiama, Alfano risponde. Nel giro di pochi giorni il ministero della Giustizia manda gli ispettori in procura a Rovigo. E un cavillo lo trovano: quando ha richiesto la consulenza “ammazza-Enel”, il pm Fasolato si occupava contemporaneamente della commissione per gli esami dei neomagistrati. “Per legge” non si possono fare le due cose contemporaneamente. Il pm deve quindi spiegare questa sua “smania” di lavoro. Il procedimento disciplinare, nel quale è stato coinvolto anche il procuratore capo Curtarello, non è ancora chiuso.
Inaspettatamente, però, lo stop arriva dal Consiglio di Stato, che a metà giugno di quest’anno blocca i piani dell’Enel perché la legge sul parco del Delta limita le emissioni di Co2 in vicinanza dell’area protetta. La Regione Veneto di Luca Zaia risponde in meno di un mese approvando la modifica della legge “blocca-Enel”. Insomma questa riconversione s’ha da fare, a 5Stelle e ambientalisti restano solo le barricate.
Mentre accade tutto questo, dice oggi l’inchiesta, c’è un “movimento sotterraneo” che preme nella stessa direzione, un movimento che ha il nome di Ettore Mantovan. Lo 007 opera infatti delle velate pressioni in Procura affinché i magistrati abbassino le barricate nei confronti dell’Enel. Ma non lo fa in modo diretto. Si serve di un agente di polizia giudiziaria in servizio in Procura, che sarebbe stato incaricato di far arrivare il messaggio a Fasolato e Curtarello.
Perché uno 007 dovrebbe mettere il naso sugli interessi economici del paese? I due pm chiedono alla procura di Trento, competente per territorio sui magistrati veneti, di fare chiarezza. Mantovan viene sentito come persona informata sui fatti, e nega ogni pressione. I magistrati trentini archiviano, non ci sono elementi per individuare rati. Caso chiuso? Non ancora. Perché intanto Mantovan si fa pescare nel padovano a estorcere soldi agli imprenditori. Quando la notizia arriva a Rovigo, in Procura cominciamo a girare facce scure. Quell’uomo lo conoscono troppo bene. Passano i mesi, Mantovan sta in carcere e soprattutto sta zitto.
Nel frattempo esplode il caso P4. Bisignani e Papa, Bisignani e Milanese, la Guardia di finanza, le fughe di notizie. Ma soprattutto, ed è quello che più interessa ai magistrati padovani, ci sono le nomine e interessi degli enti statali, Enel compresa. Sospetti, indizi. Da qualche giorno è iniziata la caccia ai possibili collegamenti. I magistrati padovani sono convinti che Mantovan non abbia agito da solo. Un fatto è certo: i faldoni di Napoli sono a Padova. La verità sta in quegli intrecci. La verità la sa anche Mantovan. E i magistrati sono convinti che e non sia l’unico a saperla.
di Roberta Polese
16 luglio 2011
Nella Finanziaria la norma per imporre dall'alto le centrali a carbone
Fonte: ANSA
"Ancora una volta questo governo di centrodestra, leghista ed antimeridionalista, si prende gioco della Calabria e mostra in maniera chiara ed inequivocabile di considerare questa parte del Paese non una risorsa ma una grande pattumiera''. E' quanto denuncia il Consigliere regionale della Calabria, del Pd, Carlo Guccione.
''Il Governo Berlusconi, infatti - prosegue - ha introdotto nel collegato alla manovra finanziaria, una 'norma-vergogna', che espropria i calabresi e le istituzioni locali del diritto di poter decidere liberamente e autonomamente del destino dei propri territori''.''Per effetto di questa norma'', aggiunge, ''le Centrali Enel di Rossano e Saline Joniche, per le quali l'intera Calabria, i Comuni della zona jonica cosentina e reggina, le Province di Cosenza e Reggio Calabria e il Consiglio regionale nella sua unanimita' - dice Guccione - hanno detto no alla riconversione a carbone, potrebbero ora essere riconvertite''.
Secondo il consigliere, si tratta dell'''ennesimo tentativo di esautorare i poteri che in materia ambientale hanno proprio le Regioni e gli enti locali''.
Sullo stesso argomento anche Dima (Pdl)
8 luglio 2011
Carbone a Porto Tolle, dove si spinge il lobbismo velenoso
Un contributo di Vanni Destro sulla scandalosa vicenda del carbone a Porto Tolle. Sul medesimo argomento anche Greenpeace e M. Scalia
"Niente da dire, il progetto di riconversione a carbone deve essere proprio buono. Talmente buono da richiedere l'impegno della Giunta, del Consiglio regionale del Veneto e addirittura del Governo in sede di Finanziaria per farlo procedere. E tutto ciò a fronte di un'indagine della magistratura a carico dei vertici Enel e di alcuni componenti delle commissioni VIA regionale veneta e nazionale per l’ipotesi di abuso d’ufficio per le procedure e i documenti che avevano permesso alle medesime di dare l’ok al
progetto di riconversione e di una sentenza del Consiglio di Stato che boccia la stessa.
Si, perché, oltre all'inutile, ai fini della riconversione, modifica dell'art. 30 della legge 36/97 istitutiva del Parco del Delta del Po, su cui si stanno avvitando in Regione Veneto perché pressati da sindacati, amministratori, politici vari e imprenditori privi di lungimiranza, ora spunta un emendamento in Finanziaria.
Riprendendo l'articolo del decreto incentivi 2010 che apriva, considerando sufficiente l'abbattimento del 50% delle emissioni rispetto alla centrale preesistente (a oliaccio combustibile, funzionante per 25 anni senza autorizzazione,dal 1980 a 2005, quando
fu posta in "riserva energetica", anche questa piena di condanne e pendenze), la strada al carbone, richiusa dal Consiglio di Stato che richiamava all'obbligo delle comparazioni con altri combustibili per definirne l'impatto, tale emendamento esonererebbe dall'obbligo
comparativo.
Non ci si dica che ciò viene proposto per i posti di lavoro, visto che nella stessa Finanziaria erano previsti tagli, fortemente voluti dal Ministro della semplificazione Calderoli, deli incentivi alle fonti rinnovabili con una perdita di 250000 posti di lavoro da qui al 2020 e
la distruzione dell'unico settore che "tira" economicamente con un giro d'affari corrispondente a quel punto di PIL che è pure la crescita prevista a livello nazionale per l'anno corrente.
Non ci si racconti che è per abbassare il costo dell'energia elettrica visto che l'Autorità per l'energia elettrica e il gas ha appena comunicato che in Italia, a fronte di un costo superiore in bolletta rispetto al resto d'Europa (per l'industria iil 26% in più, ad
esempio), se depurato dalle tasse, il costo di produzione è in linea con la media europea.
Non è più semplice dire: li si usa il carbone perché così piace a noi e le leggi ce le tagliamo e cuciamo come vogliamo, chiaro? Anche certe leggi comunque sono impugnabili e chissà che in Regione Emilia Romagna, dove di carbone non ne vogliono sapere, qualcuno non ci stia già pensando...
Bonanni (Cisl): il carbone è pulito. E le migliaia di operai morti ogni anno nelle miniere?
La cronaca dei morti nelle miniere di carbone cinesi è un rullo ininterrotto, ordinario racconto di un business che molti continuano impunemente a definire "pulito". Persino il leader sindacale Bonanni (CISL) non ha avuto esitazioni nel definire la riconvertenda centrale di Porto Tolle come assolutamente pulita su tutti i fronti.
Purtroppo però anche oggi sono uscite notizie come queste:
Shandong: 28 minatori cinesi intrappolati a 255 metri sottoterra
Shanxi: 5 morti in un smottamento
Come per enel e per l'ex ministro Scajola in visita a TVN erano accettabili e messi in preventivo i tre operai morti nel cantiere di Torrevaldaliga (Civitavecchia), anche per Bonanni il tributo di vite dei lavoratori è scontato e accettabile, rientra nel bilancio "pulito" del funzionamento del nuovo mostro ecologico che incombe su Porto Tolle.
Non parliamo poi delle morti per cause sanitarie connesse all'inquinamento da carbone, se non quando nominarle serve a sostenere il nucleare (leggi le parole di Chicco Testa pre-referendum)
30 giugno 2011
Moscherini allo scoperto, disboscata la Frasca per far posto al Terminal Cina
Da BigNotizie
"Offensive per l'intelligenza dei cittadini. Non sono definibili altrimenti le recenti affermazioni del sindaco Moscherini in relazione alla compatibilità tra la realizzazione del terminal China/Asia e la necessità di mantenere e riqualificare la costa e la pineta della Frasca – scrivono in una nota stampa congiunta Roberta Galletta (presidente sezione locale di Italia Nostra) e Simona Ricotti (responsabile della sezione civitavecchiese del Forum ambientalista) - Probabilmente convinto che tutti i cittadini corrispondano agli stessi requisiti di narcotizzazione ed acquiescenza di quanti lo circondano, il Primo cittadino continua a propinare falsità che i cittadini oramai hanno ben capito essere tali.
Fatto testimoniato chiaramente dalle centinaia di cittadini che hanno partecipato alla manifestazione del 10 giugno scorso contro lo scellerato abbattimento di quasi 2000 pini alla Frasca, e che, chiunque non sia in malafede, ha letto come correlato, anche se indirettamente, con i progetti di cementificazione dell'intera area.
Vogliamo ancora una volta ricordare che secondo il progetto di massima circolante dal 2006 la realizzazione del Terminal Asia prevede una cassa di colmata di 3.000.000 di m3 che darebbe vita ad una banchina lunga ca. 1 Km e 700 m e larga tra i 400 e i 600 m, per una superficie di 1.000.000 di m2, coronata in mare aperto da un nuovo antemurale di ca. 2 Km e, alle spalle, da una bretella stradale di 5 KM e un tronco ferroviario di 1 Km e 600 m. Il tutto collocato immediatamente a nord di Torre Valdaliga fino a occupare per il primo tratto superstite della pineta de La Frasca che, aggredita via mare dal traffico di navi gigantesche, via terra da bretelle stradali e rotaie, finirebbe per sparire definitivamente, risucchiata in pieno ambito portuale e trasformata, per giunta in parte e a tempo determinato, in un patetico campeggio artificiale, adagiato sul "ridente" accesso nord di un porto dall'impatto devastante.
Non può che mentire - continuano - sapendo di farlo chi, come il sindaco Moscherini afferma che una tale mostruosità non andrebbe a compromettere in maniera irreversibile l'area verde della pineta (dichiarata Bene di Notevole interesse ambientale com DM del 1975 e del 1985), i fondali del mare antistante la costa nel tratto tra la centrale ENEL di Torrevaldaliga e Sant'Agostino (dichiarati Sito di Interesse Comunitario SIC IT6000005) nonché le varie preesistenze archeologiche ivi esistenti (vincolate con due decreti di vincolo archeologici rispettivamente del dicembre 2008 e dell'aprile 2009).
Ormai il giochetto degli annunci, conditi di palizzate e barbecue, non convince più nessuno; se veramente il Sindaco, l'assessore Pierfederci e quant'altri vogliono persuadere la cittadinanza di voler lavorare per la valorizzazione della Frasca si adoperino, come in loro potere, per sveltire l'iter di approvazione del progetto di riqualificazione presentato nel gennaio 2010 dall'Autorità Portuale in Regione, per il quale, peraltro, sono disponibili cinque milioni di euro, e diano il loro avallo, finora palesemente ed ufficialmente negato, alla realizzazione del Monumento Naturale.
Altrimenti abbiano il coraggio di dire ai civitavecchiesi che la Frasca deve sparire per realizzare un progetto a tutto vantaggio dell'incremento dei profitti aziendali di società private, quali la Centrale Finanziaria di Giancarlo Elia Valori (Espresso 09.10.2010), con cui il Primo Cittadino ha, peraltro già firmato, sin dal 5 marzo 2008, uno specifico protocollo d'intesa e magari, per amor di trasparenza, raccontino pure che, proprio in queste ore, la cinese HNA sta acquistando sostanziose quote societarie della stessa (Sole 24ore 08.06.2011).
Insomma - concludono Galletta e Ricotti - abbia il coraggio di dire, il Primo Cittadino, che invece di rispondere alle istanze dei civitavecchiesi, che chiaramente si sono espressi per il mantenimento della Frasca e contro la realizzazione del terminal Asia, è molto più propenso a rispondere a quelle di grandi privati e/o multinazionali straniere. Se non altro, nessuno potrebbe rinfacciargli di non essere stato chiaro.