No al carbone Alto Lazio

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9 aprile 2015

"Fuori il carbone dalla bolletta", Civitavecchia 13 Aprile 2015


In apertura di incontro, sarà proiettato anche il cortometraggio "Epicentro Civitavecchia", realizzato da Giulia Morelli, David Pagliani e Patrizia Pace nell’ambito dell’omonimo progetto che il CDCA - Centro di Documentazione sui Conflitti Ambientali ha condotto in città tra il 2013 e il 2014.
Il corto è dedicato a Pino Ibelli

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1 marzo 2015

Bocciato il carbone a Saline Ioniche


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4 ottobre 2014

Niente più carbone a Porto Tolle

Vittoria? Vittoria!
Nota Enel: "A fronte dell'evidente cambiamento del contesto energetico e della differente dinamica tra domanda e offerta di energia avvenuti negli ultimi dieci anni - tanto è durato l'iter autorizzativo, peraltro non ancora concluso, per la riconversione della centrale di Porto Tolle, nuove alternative devono essere esaminate per l'impianto polesano alimentato a olio combustibile".

Guarda il caso: la decisione è stata comunicata nelle stesse ore in cui sono state rese pubbliche dagli avvocati di parte civile, le motivazioni con cui il tibunale di Rovigo ha reso note le motivazioni con cui il tribunale di Rovigo ha condannato in primo grado gli ex vertici di Enel, i manager Franco Tatò e Paolo Scaroni, all'epoca dei fatti contestati rispettivamente presidente e amministratore delegato di Enel.

Da savonanews.it
“La pena inflitta risulta adeguata alla non indifferente capacità a delinquere dimostrata dai prevenuti, i quali hanno agito al fine di incrementare gli utili d'impresa a discapito della sicurezza e della salute dei cittadini”. Questa la frase che esprime l’esito del processo “Enel bis” per il disastro conseguente alle emissioni della centrale a carbone di Porto Tolle.

Le motivazioni della sentenza, emessa dal Tribunale di Rovigo lo scorso 31 marzo, sono state depositate nei giorni scorsi che, accolte le richieste della Procura della Repubblica (P.M. Manuela Fasolato), hanno portato alla condanna degli ex amministratori delegati Enel Scaroni e Tatò per disastro, in termini di messa pericolo della salute di un numero indeterminato di persone (in particolare in termini di patologie respiratorie nei bambini) conseguenti alle emissioni della centrale termoelettrica di Porto Tolle tra il 1998 e il 2009. Tutti e tre i magistrati del Collegio giudicante (il presidente Cristina Angeletti, e i due giudici Silvia Varotto e Gilberto Stigliano Messuti) sono estensori della sentenza. “La centrale ad oggi non potrebbe mai entrare in funzione perchè il suo funzionamento sarebbe illecito. Gli imputati condannati non solo a somme pecuniarie ma anche al ripristino ambientale dei danni causati”: la pronuncia prende il via esaminando tutte le violazioni commesse dagli imputati e già accertate nel primo processo conclusosi davanti al Tribunale di Rovigo – Adria nel 2006 (giudice Lorenzo Miazzi) e confermate dalla Corte di Cassazione nel 2011 (dalla mancata ambientalizzazione della centrale alla scelta del combustibile con elevato tenore di zolfo, alla scarsa manutenzione), pervenendo alla conclusione che la mera autorizzazione -peraltro tacita- al funzionamento della centrale non è sufficiente ad escludere reati suscettibili di incidere sulla salute delle persone. I giudici del Tribunale di Rovigo precisano infatti che “nessun margine di tolleranza può essere contemplato, nel nostro sistema giuridico, in ordine alla causazione di lesioni, morti o di danno ambientale di dimensioni tali da integrare la nozione di disastro, attesa la posizione preminente da attribuirsi ai beni della salute e dell'ambiente rispetto a quello della libertà delle attività economiche. E qui compare il riferimento al decreto di sequestro preventivo del Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Savona dell’ 11 marzo sulla Tirreno Power.

E’ stata così riconosciuta dai giudici la validità probatoria delle perizie sulla centrale di Porto Tolle, eseguite con gli stessi periti e le stesse metodologie per il caso della centrale termoelettrica di Vado Ligure. Ad essere riconosciuta la validità probatoria delle perizie epidemiologiche del dottor Crosignani e le perizie ambientali del dottor Scarselli, condotte dalla procura. “Un duro colpo a chi per mesi ha criticato l'impianto accusatorio della procura di Savona, formulato con gli stessi periti e le stesse metodologie”.

E’ stato inoltre riconosciuto il ruolo importante delle associazioni di protezione ambientale costituite parti civili: “Risultata provata nel presente processo che le predette associazioni hanno svolto concretamente e continuativamente attività di valorizzazione e tutela del territorio nel quale insiste la centrale, organizzando manifestazioni ed iniziative volte a denunziare le problematiche ambientali connesse al funzionamento dell'impianto”.

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27 giugno 2013

15 marzo 2013

Deputati M5S: 'No carbone' sulla cravatta

"Carissime e carissimi siamo entrati in aula occupando le file in alto - scrive sulla sua pagina Facebook la deputata 5 stelle Tiziana Ciprini - né a destra né a sinistra, ma sopra (ed oltre), operazione fiato sul collo sempre". 
La maggior parte dei deputati uomini, nonostante alla Camera non sia obbligatorio, ha deciso di indossare la cravatta. Nera con su scritto «No carbone» per alcuni di loro.
Da Corriere.it

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8 aprile 2012

Coal Rush

Da Repubblica l'intervista ai registi Lorena Luciano e Filippo Piscopo, autori del lungometraggio "Coal Rush", di cui segue il trailer
"Un film sull'America remota e poco setacciata dai media, una storia di monopolio dell'industria carbonifera nel cuore degli Appalachi, dove gli uomini e i luoghi diventano immensi come le montagne che li circondano". Per raccontare il loro documentario, Coal Rush, i registi Lorena Luciano e Filippo Piscopo partono dalla Green America, la terra del "progresso verde" contaminata dalla speculazione e dal malaffare delle grandi corporation, come la compagnia Massey Energy, accusata di aver inquinato le acque della Virginia Occidentale.

Tutto è cominciato da una notizia al telegiornale: tredici minatori rimasti intrappolati in una miniera della West Virginia, a Sago. E' il primo gennaio 2006. Lorena si trova in Italia a trascorrere le feste natalizie; suo padre è all'ultimo stadio di una malattia che non lascia scampo (la SLA, sclerosi laterale amiotrofica). "In un momento di stasi, mi sono collegata ad Internet per approfondire la notizia dei minatori e ho recuperato una serie di articoli pubblicati dalla stampa americana", spiega Lorena, affascinata dai rituali e dalla fede delle famiglie: in quelle occasioni, c'è chi si raccoglie in superficie, fuori dalla miniera, chi prepara dei tavoli, i compagni di lavoro e le mogli portano dei viveri e delle candele. Si prega, aspettando di conoscere la sorte dei minatori sottoterra. "Inevitabilmente, il parallelo con la malattia di mio padre è molto forte, anche lui intrappolato nel suo corpo, aspettando che finisca l'ossigeno". 
Appena tornati a New York, i due filmmaker cominciano a fare ricerca sulle miniere negli Stati Uniti. Prendono atto che gli USA dispongono dei più grossi giacimenti di carbone al mondo (secondo posto Russia, terzo Cina) e che quasi il 50% dell'energia americana dipende dal carbone. Adesso la percentuale si è abbassata al 42%, grazie anche alla nuova amministrazione Obama che incentiva le energie rinnovabili. "Una volta arrivati in West Virginia, abbiamo capito subito che il film che avremmo girato doveva raccontare lo stridere di questi luoghi incantati, in contrasto con la barbarie perpetrata dall'industria carbonifera". Il viaggio nei meandri del capitalismo sfocia nel crudo, e poco garantito, diritto alla salute.

Ma "Coal Rush", che il 29 marzo sarà proiettato in anteprima al Landmark Midtown Art Cinema di Atlanta, è anche un ritratto dei vizi di certe corazzate Lorena Luciano: "La realizzazione di questo film ci ha permesso di avvicinarci ad una realtà sociale di cui spesso nemmeno il cittadino medio americano è a conoscenza. Più che di diritto alla salute qui si tratta di un diritto umano fondamentale, quello all'acqua potabile, negato a un'intera comunità per decenni. Questa tragedia ambientale e umana poteva essere evitata con l'assunzione delle debite misure di smaltimento dei rifiuti tossici da parte di una compagnia che invece ha messo i profitti davanti a tutto. In America, come in Italia, le grandi compagnie rappresentano un grosso introito per le casse dello stato, che spesso chiude un occhio sui costi ambientali della grande industria. Inutile citare la diossina a Marghera o l'amianto di Casale Monferrato".


Il cinema si trasforma per raccontare la realtà: la vostra esperienza con il cine-documentario indipendente da dove ha origine e cosa vi ha portato ad attraversare? Filippo Piscopo: "All'origine della nostra carriera c'è un documentario su Dario Fo (Venezia, 1998) su cui avevamo cominciato a lavorare prima del Nobel, e poi l'avventura americana con "Urbanscapes", che racconta la trasformazione feroce delle citta americane. Il cinema indipendente è una grande opportunità per scoprire e approfondire delle storie spesso solo sfiorate dai grandi media. Il documentarista diventa un esploratore, un antropologo, una lente di ingrandimento su territori geografici e umani".

Perché, tra le tante storie a sfondo ambientalista, avete scelto questa? Qual è la sua particolarità?
Lorena Luciano: "Abbiamo impiegato circa due anni per trovare la storia giusta. Siamo andati in West Virginia a più riprese, ammaliati sia dalla bellezza dei luoghi che dalla cattività rurale. Cercavamo una storia fatta di tanti piccoli eroi che potessero raccontare la complessità dell'America in modo corale. Tutti i personaggi di "Coal Rush" sono piccoli eroi del quotidiano: il pastore Larry Brown che manda avanti la sua chiesa da solo, Donetta che è sopravvissuta a mille malattie causate dall'acqua contaminata e non si stanca di dare sostegno ad altre persone, l'avvocato Kevin Thompson e tutta la sua squadra che si è battuta contro la compagnia carbonifera, ma anche i minatori che vanno in miniera tutti i giorni e sono fieri di avere un lavoro e mantenere le loro famiglie in modo dignitoso. Seppur "Coal Rush" è a suo modo una storia estrema, la sento molto più vicina alla vita reale di un generico reality show".

Quanto è costato il progetto e chi lo ha sostenuto? Filippo: "Il budget complessivo del film è di 200.000 dollari. Non è stato facile raccogliere i fondi perché i cosiddetti documentari di denuncia non fanno grande mercato e quindi non sono facili da sovvenzionare. Co-finanziatori del progetto sono stati, tra gli altri, il New York State Council for the Arts, l'ente pubblico newyorchese che per eccellenza si occupa di finanziare le arti, e la Ben Jerry Foundation, esempio di società illuminata che reinveste parte dei suoi profitti a sfondo filantropico e in particolare su progetti a salvaguardia delle risorse idriche nazionali".

Che cosa vorreste lasciare, con 'Coal Rush', agli europei, e in particolare agli italiani?
Lorena: "L'immagine di un'America più fragile e umana di quello che si pensi".

Lo stile di "Coal Rush" ha modelli ispiratori? Filippo: "Vittorio De Seta è stato senz'altro un maestro, oltre che un caro amico a cui eravamo molto affezionati. Quando gli abbiamo parlato di "Coal Rush", ne era molto entusiasta, ci ha incoraggiato a perseverare nonostante le difficoltà a trovare i finanziamenti. Ci aveva addirittura suggerito di contattare Brad Pitt per coinvolgerlo nella promozione. I suoi film, da "Banditi a Orgosolo" a "Diario di un Maestro", sino ai cortometraggi sui minatori e pescatori, sono dei modelli ineguagliabili di cinéma vérité. Sul fronte americano, Barbara Kopple è un riferimento importante per la sua capacità di penetrare in modo intimo la realtà dei suoi personaggi: "Harlan County USA" rimane uno dei suoi film più belli. Per non parlare di Werner Herzog e della sua affascinante commistione tra documentario e fiction".

La vicenda avrà un nuovo inizio con "Coal Rush"? Filippo: "Dal punto di vista legale, no, perché le parti hanno raggiunto un accordo extra-giudiziale, quindi il caso é chiuso. Dal punto di vista umano, questo film ha un grande significato emotivo per i nostri personaggi che hanno lottato sette anni contro un gigante dell’energia. Ci vuole forza, audacia e una grande perseveranza per non farsi intimorire, e questo film è la testimonianza del loro coraggio".

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4 aprile 2012

Carbone business macabro a norma di legge

L'articolo originale è della CNN, "A power plant, cancer and a small town's fears", qui raccontato da petrolio.blogosfere.it:
"L'impianto a carbone di Juliette, in Georgia (USA) è il più grande impianto degli States, con due ciminiere da 300 metri ciascuna. Secondo l'Environmental Protection Agency è il più grande produttore di gas serra del Paese.
I cittadini di Juliette, che vivono attorno alla centrale, si ammalano e muoiono. Il sintomo più diffuso è svegliarsi nel cuore della notte sputando sangue. I medici interpellati, regolarmente, chedono:"Lei è un alcolista?" A madri di famiglia, vecchietti, "Lei è un alcolista?". Ovviamente non lo sono mai, e altrettanto ovviamente in seguito ad analisi ed esami l'origine del male rimane misteriosa. Come "misteriosa" rimane l'origine di tutti i casi di cancro che colpiscono ogni famiglia. La Georgia Power, compagnia elettrica, nega ogni responsabilità. Anche quando nelle analisi dei capelli svolte di propria iniziativa dai cittadini si trovano 68 parti per milione di uranio, sottoprodotto delle ceneri del carbone, la compagnia nega. "E' tutto sotto controllo, è tutto a norma di legge". E' a norma di legge anche comprare case e proprietà. E infatti la Georgia Power lo sta facendo: quando una casa resta vuota perché gli abitanti sono alfine morti, la compagnia compra. Compra, rade al suolo nottetempo, pianta un boschetto di pini e sigilla il pozzo. Ultimamente vengono fatte offerte di acquisto per case ancora abitate, quelle abitate da gente malata. Anche lì poi, case rase al suolo e pozzi sigillati. Gli attivisti locali sostengono che questo silenzioso chiudere i pozzi rappresenta un allarme rosso. L'acqua è inquinata, ed è l'acqua che i cittadini bevono. Ma è tutto sotto controllo e a norma di legge. Le compagnie mentono spudoratamente, ma i cittadini sono obbligati a crederci e la stampa a far finta di crederci. Funziona così ovunque, anche qui, chiedetelo ai tarantini."

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29 febbraio 2012

Costi umani del carbone - il caso degli Appalachi

Vaste zone dei monti Appalachi (area nord-est degli USA) sono interessate dall'impatto devastante delle miniere di carbone ricavate con la tecnica del "Mountaintop Removal", di cui abbiamo già parlato più volte (leggi, ad esempio, qui).

Dal 2007 ad oggi sono stati pubblicati 21 studi scientifici riguardanti i costi umani legati all'impatto ambientale di queste attività, il link è questo

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29 gennaio 2012

Lünen e Wilhelmshaven, centrali a carbone da rivedere

Da Ticinonline via UPLS
Il Consiglio di Stato è al corrente della sentenza del tribunale amministrativo di Münster del 2 dicembre scorso?". E' questa la prima delle due domande rivolte dal gruppo parlamentare dei Verdi al Consiglio di Stato inerente alla sentenza dell'alta corte amministrativa di Münster che ha ritenuto illegale la licenza della centrale di Lünen. Il progetto non rispetterebbe le normative in materia di immissioni di sostanze inquinati".

"Pur non essendo un blocco totale della centrale di Lünen - si legge nel documento inoltrato al Consiglio di Stato - è chiaro che la revoce della licenza obbligherà la TRIANEL a correggere i propri progetti. E' fuori dubbio che questo porterà a maggiori costi, e non è da escludere che si ritarderanno anche i tempi di messa in funzione della centrale".

Un'altra notizia che preoccupa sul futuro della politica energetica ticinese è l'annuncio della BKW del 24 gennaio di perdite finanziarie importanti per l'anno contabile 2011. "Le perdite - si legge - sono da ricondurre ad accantonamenti supplementari necessari a seguito della correzione al ribasso delle aspettative di guadagno di tre centrali termoelettriche ad energie fossili. Una delle centrali in oggetto è una centrale a carbone in Germania, più precisamente a Wilhelmshaven. Questa centrale ha subito importanti ritardi nella costruzione e sorpassi di spesa, che ridurranno la redditività dell’investimento. La BKW prevede addirittura che il costo dell’energia proveniente da questa centrale sarà addirittura più elevato del prezzo di mercato".


Le domande poste
Il Consiglio di Stato è al corrente della sentenza del tribunale amministrativo di Münster del 2 dicembre scorso? Se sì, è in grado di quantificare i maggiori costi che derivano dall’adeguamento del progetto? Quest’ultimo provocherà ritardi nella messa in funzione della centrale? Quali saranno le conseguenze finanziarie per la partecipazione di AET nella centrale a carbone di Lünen?

È possibile stabilire le cause dei problemi annunciati dalla BKW nella centrale a carbone di Wilhelmshaven? Questi problemi potrebbero palesarsi anche per la centrale a carbone di Lünen? Sono stati fatti accertamenti in questo senso?

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27 dicembre 2011

Guangdong, Cina: è rivolta popolare contro la nuova centrale a carbone

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Da Asianews:
"Il villaggio ribelle di Wukan, che ha condotto una lunghissima battaglia contro la corruzione dei dirigenti comunisti locali e l’esproprio dei terreni, festeggia oggi il ritorno a casa di Zhang Jiancheng, uno dei leader della protesta arrestato due settimane fa dalla polizia locale. Nel frattempo ad Haimen, a circa 150 chilometri da Wukan, si continua a combattere contro i soprusi del regime comunista.

Il rilascio di Zhang, 26 anni, fa parte di un accordo siglato fra Lin Zuluan – rappresentante del villaggio – e il segretario del Partito comunista provinciale Zhu Mingguo. Subito dopo la firma, Zhu ha visitato il villaggio insieme al capo del Partito di Shanwei Zheng Yanxiong e un’altra decina di rappresentanti governativi: sono stati accolti da cori di benvenuto e da applausi.

I dirigenti hanno accolto le richieste del villaggio, eliminato i funzionari corrotti e promesso “giustizia” per la morte di Xue Jinbo. Due leader popolari, però, rimangono in galera: si sono rifiutati di firmare le “confessioni” che il governo impone ai dissidenti prima di rilasciarli e per questo non sono stati liberati.

Arrestato proprio insieme a Zhang, Xue è morto durante un interrogatorio: secondo i suoi concittadini a ucciderlo è stata la polizia, mentre gli agenti parlano di un attacco di cuore. Il rilasciato racconta: “Siamo arrivati insieme alla prigione di Shanwei all’una e mezzo di pomeriggio del 9 dicembre. Mi hanno interrogato per 31 ore e mezzo filate: avevo gli occhi devastati, è stata un’esperienza terrificante”.

Del suo compagno di detenzione, ricorda: “Eravamo a poche porte di distanza. L’11 dicembre ho sentito dei colpi violenti alla sua porta, ho visto che 4 agenti lo portavano via di peso. L’ho chiamato diverse volte urlando, ma non ha dato alcun segno di aver sentito. Lì ho pensato che era morto”. Ora le autorità centrali promettono una nuova inchiesta sul caso, ma gli abitanti di Wukan non ripongono molta fiducia in questa promessa.

Haimen, nel frattempo, festeggia invece il suo terzo giorno consecutivo di proteste (v.foto). La popolazione vuole bloccare la costruzione di una centrale energetica a carbone, cancerogena, ed è scesa in piazza contro gli accordi illegali stipulati fra il governo locale e alcuni investitori. Ora la polizia sta cercando di farla sgombrare con lacrimogeni, cannoni ad acqua e cariche: inoltre, l’autostrada che collega il villaggio al resto del Paese è ancora bloccata.

Le proteste sociali continuano dunque a colpire l’intera Cina, e il fatto che le più violente si verifichino nella ricca provincia meridionale del Guangdong non è un caso. I terreni di questa zona sono i più costosi e vengono espropriati con risarcimenti sempre più bassi, e qui hanno casa le maggiori industrie straniere che producono in Asia: i salari sono miseri e il governo li mantiene tali per attirare nuovi investitori. I lavoratori, però, sono sempre meno intenzionati a rimanere in silenzio: soltanto nel 2010, oltre 180mila proteste sociali."

Altri resoconti degli scontri avvenuti:
Euronews
Blitzquotidiano
Asianews
SavonaNews

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USA, un taglio all'inquinamento da mercurio delle centrali a carbone

Mentre il carbone arretra negli USA, un'altra buona notizia:

Da Greenreport
"L'Environmental protection agency Usa (Epa) ha adottato i nuovi Mercury and Air Toxics Standard, le misure di protezione contro le emissioni di mercurio delle centrali a carbone, che ne producono negli Usa ben 33 tonnellate all'anno e che finiscono nell'aria, nei fiumi e nelle falde idriche. Il mercurio contamina anche uccelli acquatici e pesci e minaccia in particolare la salute dei bambini e delle donne incinta. I nuovi standard di protezione sostituiscono quelli adottati dall'amministrazione di George W. Bush, che sono stati più volte respinti da diversi tribunali statunitensi perché ritenuti insufficienti, e ridurranno le emissioni di mercurio di oltre il 90%.

A trarre beneficio dai nuovi standard sarà soprattutto la comunità ispanica statunitense dato che, secondo recenti studi, quasi il 30% degli ispanici vive vicino a centrali a carbone e l'80% abita nelle aree con la peggiore qualità dell'aria degli Usa. Inoltre gli ispanici sono il gruppo di popolazione che si ciba di più dei pesci dei fiumi spesso inquinati dal mercurio.

Michael Brune, direttore esecutivo di Sierra Club, la più grande e diffusa associazione ambientalista Usa, è molto soddisfatto: «L'annuncio del Presidente Obama rappresenta una pietra miliare per le famiglie di tutto il Paese. Questo significa che, dopo decenni di ritardo, ora abbiamo solide protezioni contro il mercurio e soprattutto significa tranquillità per i padri e le madri dei più di 300.000 bebè che ogni anno nascono esposti a livelli pericolosi di mercurio. Sierra Club applaude il presidente e la sua amministrazione per il loro coraggio e impegno per la protezione di tutte le famiglie, particolarmente le donne ed i bambini, contro questo pericoloso veleno e per essersi opposti ai tentativi degli inquinatori di debilitare queste salvaguardie vitali. Sono stati ricevute più di 800.000 osservazioni pubbliche, un record, in appoggio a queste protezioni e ci complimentiamo con il Presidente per aver ascoltato le preoccupazioni del popolo americano».

Sierra Club ha dato vita on-line ad una vera e propria campagna di ringraziamento a Barack Obama per aver approvato garanzie contro il mercurio che secondo gli ambientalisti e l'Epa dovrebbero salvare negli Usa 11.000 vite ogni anno. Nella lettera a Obama si legge: «Il regalo di Natale perfetto: l'aria pulita. Il nuovo Mercury and Air Toxics Standard proteggerà i bambini, gli anziani e noi tutti da inquinanti atmosferici nocivi come mercurio, arsenico, diossina e gas acidi. Questo regalo crea lavoro, stimola l'innovazione ed assicura un futuro più sano per il nostro Paese. Grazie Presidente Obama per aver messo gli interessi delle famiglie davanti a quelli delle Big Coal!»

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Facebook dichiara: tolgo l'amicizia al carbone

Da IlFattoQuotidiano
"Da oggi Greenpeace e Facebook sono alleati contro il carbone. Ci sono voluti venti mesi di campagna ambientalista ma alla fine ne è valsa la pena: il gigante dei social media si è schierato a fianco dell’associazione nella lotta alle fonti di energia fossile. Com’è stato possibile? Semplice, energia pulita altrimenti “ti tolgo l’amicizia”.

Il passo fatto da Facebook in questi giorni, con l’annuncio di alimentare i suoi data center con energia pulita e non con il carbone nonché di aiutare Greenpeace a promuovere le rinnovabili e a incoraggiare le grandi aziende che erogano energia a puntare sulle fonti pulite, è il risultato di un tam-tam di quasi due anni sul social media stesso, dove oltre 700mila utenti in tutto il mondo hanno aderito ad Unfriend Coal (Togli l’amicizia al carbone). Venti mesi di post, video e commenti per dire basta ad una delle fonti fossili più sporche al mondo.

Tutto inizia nel gennaio 2010, quando trapela la “notizia” che Facebook usa il carbone per alimentare il suo data center in Oregon, Stati Uniti. Il 19 febbraio sono già migliaia gli utenti del social media che si uniscono in gruppi inglesi (We want Facebook to run on 100% renewable energy) e spagnoli (Queremos que Facebook utilice 100% energía renovable) per chiedere a Facebook di convertirsi al 100 per cento alle rinnovabili. Ormai l’onda verde non si arresta più. Nel luglio 2010 Facebook annuncia di aver raggiunto 500 milioni di utenti. Ben 500mila di questi chiedono a gran voce alla compagnia di abbandonare il carbone, e scrivono direttamente a sua maestà Mark Zuckerberg. Da lì a poco le iniziative non si contano più, dall’adesione spontanea di testimonial internazionali (rigorosamente su Facebook) a competizioni fotografiche di artisti internazionali (come a Stoccolma). A metà 2011 Greenpeace pubblica un interessante rapporto (“How dirty is your data?”) su quanto inquinano i data center delle principali compagnie informatiche (Akamai, Amazon.com, Apple, Facebook, Google, HP, IBM, Microsoft, Twitter e Yahoo), e proprio Facebook risulta una delle più avvezze al carbone.

La decisione di fine ottobre di Facebook di costruire il suo primo centro dati europeo a Luleå in Svezia, vicino al circolo polare artico, apre la strada all’utilizzo di metodi di raffreddamento naturali e dell’energia idroelettrica prodotta nella zona Infine, qualche giorno fa, ecco il grande annuncio da parte di Tzeporah Berman, co-direttrice della campagna Energia e Clima di Greenpeace International: “Greenpeace e Facebook lavoreranno da oggi insieme per convincere i principali produttori di energia ad abbandonare il carbone e a investire sulle rinnovabili. Solo perseguendo la strada delle energie pulite sarà possibile lottare contro i cambiamenti climatici, rafforzare l’economia e tutelare la salute dei cittadini”. Insomma, alla fine Greenpeace, e i 700milautenti di Facebook, ce l’hanno fatta. “Facebook guarda lontano, a un giorno in cui le fonti energetiche primarie saranno pulite e rinnovabili, e stiamo lavorando con Greenpeace e con altri per far sì che quel giorno sia sempre più vicino”, ha detto Marcy Scott Lynn del Facebook’s sustainability program. “Da oggi, la nostra politica sulla localizzazione dei data center favorirà l’accesso alle fonti rinnovabili e con Greenpeace metteremo la forza del nostro network al servizio del pianeta”.

In attesa di capire se e quanto alle parole seguiranno i fatti, Facebook e Greenpeace rilanciano “la sfida alle altre aziende dell’IT e del cloud computing come Apple, IBM, Microsoft e Twitter”, dice Andrea Boraschi, responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace Italia. Insomma, bisogna solo decidere da chi iniziare.

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9 dicembre 2011

Polvere di carbone fin sul Tetto del mondo

Fonte: Adnkronos
"Se l'inquinamento riesce ad arrivare a oltre 5.000 metri di altitudine, allora c'è davvero di che preoccuparsi. Secondo i dati contenuti nel progetto "Share" (Stations at high altitude for research on the environment), frutto di cinque anni di lavoro del comitato Ev-K2-Cnr e presentati a Durban, dal 2006 al 2010 nella regione dell'Everest si sono registrati oltre 150 giorni caratterizzati da picchi di inquinamento.

Coordinato da Paolo Bonasoni dell'Istituto di Scienze dell'atmosfera e del clima del Consiglio nazionale delle ricerche (Isac-Cnr), il progetto "Share" ha costantemente monitorato la presenza di composti inquinanti e clima-alteranti presso la stazione globale Gaw-Wmo ''Nepal Climate Observatory - Pyramid'', a 5.079 metri di quota in Nepal, alle pendici del Monte Everest.
Il risultato è che tra marzo 2006 e dicembre 2010 ci sono stati oltre 164 giorni di inquinamento acuto, pari al 9% del totale del periodo analizzato, per lo più localizzati durante la stagione pre-monsonica (primaverile) quando si verifica il 56% dei giorni caratterizzati da picchi di inquinamento. Rispetto alla normalità, in questi giorni le concentrazioni dell'ozono aumentano del 29%, quelle del black carbon del 352%.
L'ozono troposferico è uno dei gas serra più pericolosi, mentre le particelle di ''carbone nero'' sono in grado di accelerare lo scioglimento dei ghiacciai. A portarli sul tetto del mondo sono stati i monsoni, che trasportano nubi inquinate e gas che provengono dalle aree industriali dei paesi dell'Asia del sud.
Il risultato? Gli abitanti di Dhe, di Sam Dzong e di altri villaggi d'alta quota hanno visto le sorgenti inaridirsi e hanno dovuto abbandonare una parte dei loro campi. I pascoli sono diventati rapidamente più aridi. In alcune zone le fonti di acqua per irrigare e dissetarsi si sono ridotte del 70-80%.
Le popolazioni locali della regione del Mustang, in Nepal, hanno chiesto lo status di rifugiati ambientali a causa delle mutate condizioni che stanno distruggendo la loro economia locale. Sulla questione è stato realizzato nella regione nepalese di Mustang il documentario "Mustang: il cambiamento climatico su tetto del mondo", di Stefano Ardito, prodotto da Ev-K2-Cnr.

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26 novembre 2011

Contro il business sporco del carbone, i successi dei Movimenti

Articolo di M. Cardone su Qualenergia.it: "Carbone Usa, una guerra che si vince dal basso

Per l'ambientalismo americano è il carbone il nemico numero uno. Basta un numero per rendersene conto: 250, sono le associazioni statunitensi impegnate nella guerra al carbone. Una fonte fossile che non piace perché responsabile di un inquinamento atmosferico che crea enormi danni alla salute, senza portare alcun beneficio alla società: secondo la ricerca Environmental Accounting for Pollution in the United States Economy, pubblicata sull'American Economic Review, per ogni dollaro di valore aggiunto generato dall'industria del carbone, ci sono 2,2 dollari di danno esterno. Una volta internalizzati i costi della sanità, alla società non conviene produrre energia dal carbone.

Gli scienziati di tutto il mondo, inoltre, additano il carbone come causa dei cambiamenti climatici, risorsa energetica del passato, ad altissimo contenuto di CO2.

Attivismo e scienza concordano sul fatto che bloccare o ridurre drasticamente lo sfruttamento delle risorse carbonifere, non potrebbe che fare bene al Pianeta. Il climatologo James Hansen, direttore del Nasa Goddard Space Institute, ha detto più volte che eliminare le emissioni da carbone rappresenterebbe l’80 per centro della soluzione alla crisi del riscaldamento globale. La società americana sembra convinta della necessità di combattere questa battaglia. Le azioni di disobbedienza civile si moltiplicano e tante sono le vittorie.

Ted Naceè il coordiantore del sito web Coal swarm con cui, dal 2007, segue lo stato di avanzamento di tutti i progetti di centrali in attesa di autorizzazione. Nel 2008, in collaborazione con il Center for media and democracy, Nace ha avviato il CoalSwarmWiki, una sorta di Wikipedia delle lotte al carbone, dove si possono consultare 3.500 articoli con tutte le informazioni sullo sfruttamento di questa fonte e sulla mobilitazione a livello globale.

“Dai numeri è chiaro che stiamo vincendo: sono 230 le centrali di cui è in programma la chiusura – dice Nace – Anche se a Washington non siamo riusciti a portare a casa quasi nessun risultato, la pressione ambientalista sta condizionando l'industria”.

Per trovare un movimento ecologista altrettanto forte e strutturato bisogna andare indietro fino alle lotte contro il nucleare degli anni ‘70 e ’80, che riuscirono a far cancellare 100 progetti negli Usa. La guerra al carbone sta andando anche meglio: secondo l’associazione ambientalista Sierra Club, che, come parte della campagna Stopping the coal rush, raccoglie in un database informazioni sul settore del carbone, tra il 2005 e il 2010, sono stati cancellati 150 piani per la realizzazione di nuove centrali.

La corsa al carbone in cui gli Stati Uniti avrebbero dovuto lanciarsi per garantirsi energia nazionale a basso costo è stata frenata da una forte opposizione e da un mercato che non sembra troppo convinto della bontà di questo investimento. Nel 2000 erano 151 le richieste di permesso per nuove centrali, di queste, nel 2007, solo 40 erano state finalizzate. Altre richieste e altre cancellazioni sono seguite negli anni successivi e oggi il database del Sierra club include 244 progetti.

Meriterebbe un discorso a sé il capitolo mountain top removal. Questa pratica di estrazione del carbone, dal forte impatto ambientale, è diffusa nelle regioni dei monti Appalachi dove, sta creando non pochi nemici all’industria del settore e mettendo in difficoltà gli investitori (tra cui grandi gruppi bancari come JP Morgan-Chase bank). In questo autunno di proteste, il mountain top removal è stato additato come uno dei simboli dell’avidità delle corporation e, da problema locale, è diventato argomento di interesse nazionale.

Il movimento anti carbone si appoggia alle grandi associazioni ambientaliste, ma la sua forza sono i gruppi locali dal basso che, attraverso un rapporto diretto con il territorio e con la controparte, stanno riuscendo a corrodere le basi dell’industria del carbone. Ted Nace, che ha scritto un libro sul movimento anti carbone, ci spiega come queste azioni dal basso stanno riuscendo a minare il sistema: “Si inizia col cercare di ritardare il progetto. Basta un’azione legale o in alcuni casi è sufficiente che i cittadini manifestino pubblicamente le proprie preoccupazioni e chiedano chiarimenti. Se il piano viene ritardato si inizia a corrodere la fiducia degli investitori o dei finanziatori pubblici. Naturalmente il tutto è reso più facile dal fatto che l’industria è già debole di per sé. Le nuove regole, che impongono costosi sistemi di trattamento e depurazione, hanno messo in forte difficoltà il settore. Oggi produrre energia dal carbone non è più economico”.

A livello locale, l’opposizione al carbone cresce costantemente ed è riuscita a bloccare diversi progetti di nuove centrali. Vittorie ottenute con la complicità delle incertezze economiche legate al settore dei combustibili fossili e della crescita delle rinnovabili. Vittorie che, nate in ambito locale, hanno un riflesso globale in quanto mostrano che i mercati internazionali sono in grado di riorientarsi verso energie pulite. “Secondo le previsioni l'industria del carbone Usa avrebbe dovuto crescere del 20 per cento negli ultimi dieci anni e invece abbiamo assistito a una riduzione della stessa percentuale. E ora anche Cina e India stanno iniziando a mettere in discussione gli investimenti sul carbone e a cancellare alcuni progetti di nuove centrali. Se riusciremo a evitare che questi paesi installino nuova capacità, potremo uscire dal carbone con la sola forza di auto-regolamentazione del mercato”.

La transizione verso le rinnovabili è possibile: la disponibilità di fonti alternative al carbone aumenta costantemente così come cresce la competitività di queste risorse. Secondo una mappatura realizzata dalla Southern Methodist University di Dallas, in collaborazione con Google, il potenziale geotermico degli Stati Uniti equivale a dieci volte la capacità installata in tutte le centrali a carbone americane. In Texas, che non è uno stato tradizionalmente associato alle rinnovabili, l’eolico produce tanta energia quanto il carbone. Intanto il fotovoltaico americano si sta avvicinando a quella sostenibilità economica che, entro il 2018, dovrebbe renderlo competitivo sui mercati.

Va detto, tuttavia, che nello scenario delle alternative si sta facendo strada soprattutto il gas naturale che molti considerano una fonte ponte per realizzare l’uscita dal carbone. E, quando si tratta di gas di scisto, il rischio è di cadere dalla padella alla brace.

Ma si fa tutto nel tentativo di dire addio a un'industria che non può nemmeno giocarsi la carta dei posti di lavoro: “Ci sono solo cinque stati in cui il numero dei lavoratori del settore – riprende Ted Nace – tocca le cinque migliaia. In passato il carbone dava lavoro a 800.000 persone in tutto il paese, ora sono 83.000, mentre l'eolico conta 85.000 addetti. È un'industria da 50 miliardi di dollari: Bill Gates da solo potrebbe comprarla tutta. Però è un'industria vecchia, che quindi sa giocare al gioco della politica meglio di quanto non sappia fare la giovane industria delle rinnovabili”.

In attesa che gli operatori del clean teach imparino a muoversi tra i banchi del Congresso, lo scorso luglio l'Epa (Environmental Protection Agency) ha presentato il Cross-State Air Pollution Rule (Csapr), una regolamentazione che chiede a 27 stati di ridurre le emissioni delle proprie centrali elettriche. Dove non arriva il mercato, una mano dalle istituzioni non guasta.

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22 novembre 2011

I costi del carbone, nuovo studio: "Ogni dollaro speso in carbone ne causa due di danni"

Nuovo studio sui costi esterni del carbone, di solito tralasciati dal bilancio costi/benefici. Fonte: Qualenergia

"Ogni dollaro speso in carbone ne causa 2 di danni e, senza contare l'impatto sul clima e le relative conseguenze, le centrali a carbone Usa costano all'ambiente e alla salute degli statunitensi circa 53 miliardi all'anno.

Il carbone è una fonte di elettricità economica solo perché i danni che provoca all'ambiente, al clima e alla salute umana vengono scaricati sulla collettività. A sostegno di questo concetto sono stati pubblicati diversi studi che cercano di quantificare economicamente le esternalità negative di questa fonte.

L'ultimo, intitolato “Environmental Accounting for Pollution in the United States Economy”, arriva appunto dagli Usa ed è stato pubblicato sull'American Economic Review di agosto. Le conclusioni del report (che prendiamo sintetizzate da Think Progress e da Legal Planet, blog di politiche ambientali curato dalle facoltà di legge di Berkley e dalla Ucla) mostrano appunto che i danni per ogni chilowattora prodotto bruciando carbone costano economicamente il doppio rispetto al prezzo di mercato di quello stesso chilowattora.

In totale, è l'impressionante conto fatto nello studio, le centrali a carbone Usa pesano per un quarto del GED del paese (ossia delle gross external damages, quantificazione del complesso delle esternalità negative). Un danno causato soprattutto dall'aumento di mortalità legato al biossido di zolfo e, in maniera minore, agli ossidi di azoto e al particolato fine.

Secondo lo studio il conto dei danni ambientali e sanitari delle centrali a carbone Usa per il sistema paese è di 53 miliardi di dollari all'anno. Una cifra impressionante specie se si ricorda che il calcolo si limita a considerare le emissioni di alcuni inquinanti per via aerea e non comprende altre esternalità, come ad esempio quelle legate all'estrazione del minerale, ma sopratutto non tiene conto dell'impatto delle emissioni di CO2 sul clima e delle relative conseguenze, enormi ma difficili da quantificare.

Se si aggiungesse al conto una stima conservativa dei danni legati alle emissioni di CO2, si spiega nello studio, il conto delle esternalità negative salirebbe del 30-40%. Ipotizzando che ogni tonnellata di CO2 emessa causi danni per 65 $ (ma secondo altri studiosi il conto sarebbe molto più salato) ogni chilowattora prodottoda carbone costerebbe al paese 0, 21 dollari.

Il carbone è responsabile di circa il 41% delle emissioni mondiali di gas serra e del 72% di quelle per la produzione di elettricità (dati riferiti al 2007). L'ultimo studio che ha tentato una quantificazione economica delle esternalità negative di questa fonte è "The true cost of coal" di Greenpeace. Tra malattie respiratorie, incidenti nelle miniere, piogge acide, inquinamento di acque e suoli, perdita di produttività di terreni agricoli e cambiamenti climatici, aveva calcolato l'associazione, nel 2007 il carbone a livello mondiale aveva fatto danni per 356 miliardi di euro. In Cina dove si fa ricorso al carbone per i due terzi del fabbisogno energetico nazionale - aveva segnalato un precedente rapporto, sempre realizzato da Greenpeace in collaborazione con alcuni economisti cinesi - i costi esterni del carbone sono pari a 7 punti di prodotto interno lordo.

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8 novembre 2011

ONU: fermare l'inquinamento da mercurio con un trattato globale

Fonte
"E' stato catalogato dall'Organizzazione Mondiale della Sanità come uno degli elementi chimici più pericolosi per la salute perché può causare danni al sistema nervoso e disordini comportamentali. Quando immesso nell'ambiente, inquina acqua, aria, sedimenti e suolo, entrando comodamente nella catena alimentare di uomo e animali. Eppure continua a circolare indiscriminatamente.

L'elemento incriminato è il mercurio, fino a qualche tempo fa presente in quasi tutte le case europee all'interno dei termometri.

La sua pericolosità è tanta da aver spinto l'Agenzia delle Nazioni Unite per l'Ambiente (UNEP) a radunare per una settimana a Nairobi i rappresentanti di 120 Paesi per elaborare un trattato globale che lo tenga sotto controllo e ne limiti l'uso.

La maggior parte delle discussioni, si legge in una nota dell'UNEP, si sono focalizzate sulle miniere d'oro artigianali e su piccola scala, visto che sono proprio loro la principale fonte di domanda globale del mercurio.

Si stima che nel 2011 queste attività, praticate in circa 70 paesi, quasi la metà dei quali si trova in Africa, avranno utilizzato 1300 tonnellate di prodotto.

Praticamente tutto il mercurio utilizzato nell'estrazione dell'oro su piccola scala viene rilasciato nell'ambiente, con grandi rischi nel lungo termine per i minatori e le comunità che vivono a valle o vicino alle miniere.

Altra priorità è quella di ridurre le emissioni di mercurio delle centrali a carbone e quelle provenienti dalla combustione di petrolio e gas, con uno sguardo attento anche alla presenza del temibile elemento chimico nei cosmetici, negli strumenti medici, nelle batterie e nelle lampade fluorescenti.

I modi per evitare una catastrofe ambientale ci sono, basta raggiungere un accordo globale. L'UNEP spera di dare la buona notizia entro il 2013.

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Boscàn a Saline Joniche: "il no al carbone è per difendere la vita"

Da Womenews
Colombiana proveniente dalla regione de La Guajira, attivista per i diritti umani delle popolazioni indigene, leader del popolo Wayuu e esponente dell’associazione “La forza delle donne Wayuu” Karmen giunge a Saline Joniche nel basso jonio reggino dal territorio della più grande miniere di carbone a cielo aperto, il Correjon.

“Sono molto felice di essere fra voi. E’ stata una grande avventura arrivare fin qui ma ringrazio madre terra per avermi aiutato”.
Indossa in costume tradizionale del popolo Wayuu Karmen, che brilla sotto i raggi del sole generoso dell’ultimo sabato di ottobre. Mentre parla dà le spalle al sito in cui dovrebbe sorgere la centrale a carbone di Saline Joniche, territorio già beffato e deturpato dalla logica dell’industria nel deserto. “In Colombia e in tutto il Sud America lo sfruttamento delle risorse naturali ha raggiunto livelli drammatici.

Il potere del profitto supporta le guerre. Sessanta anni di guerre, quattromila persone allontanate dai territori interessati allo sfruttamento delle risorse” spiega Karmen, “Non sappiamo con esattezza quante persone siano state uccise. Posso dire che, solo nella mia famiglia, si contano 27 morti. Per la mia cultura il rispetto del territorio rappresenta un valore molto importante.
Per questo mi trovo qui, per condividere questo messaggio: madre terra è in pericolo, madre terra è a rischio. Nel mio territorio esiste la più grande miniera a cielo aperto di carbone. Questo progetto sta violentando la donna madre terra, la più grande donna che ha dato vita a tutta l’umanità”.

Il consorzio formato da compagnie facenti capo alla BHP Billiton plc, Australia, all’Anglo American plc e Gran Bretagna e alla Glencore International AG., che ha venduto in un secondo tempo le sue partecipazioni alla compagnia svzzera, intendono raddoppiare l’attuale produzione di carbone portandola dai 22 ai 30 milioni di tonnellate a 60 milioni di tonnellate.

“La mia gente sarà costretta forzatamente a abbandonare i propri territori. I proprietari non vogliono parlare con la popolazione. Vi chiederete perché io sia qui: il carbone estratto nel mio territorio, con tutto quello che comporta in termini di malattie, morti, devastazione del territorio, guerre, verrà in parte utilizzato e venduto per fornire energia elettrica alla centrale a carbone di Saline.
Ve lo dico perché ne abbiate la consapevolezza: non potete supportare una campagna che sta facendo sparire il mio popolo. Costruire qui la centrale a carbone significa distruggere madre Terra.
Significa che diventerete malati, controllati, che andrete incontro a quello che sta passando la mia gente.

Per il popolo Wayuu la ricchezza non è l’oro, estratto per essere depositato nelle banche. Per il mio popolo la ricchezza è il vento, il mare, il sole, tutto quello che avete qui.
Per questo diciamo no al carbone: per dire sì alla vita, perché la vita è la cosa più importante.
Il carbone rappresenta la morte, l’inquinamento.
E’ nostra precisa responsabilità dire no al carbone. Siamo tutti figli della stessa madre terra e dobbiamo difenderla insieme”.

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29 ottobre 2011

Mobilitazione nazionale contro il carbone: diretta streaming

La diretta delle mobilitazioni contro il carbone sul territorio italiano sarà oggi disponibile in streaming presso il sito Global Project.info a partire dalle ore 15.00. Anche libera.tv ospiterà la trasmissione.

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26 ottobre 2011

"Sì all'energia pulita senza carbone": consegnate le firme

Svizzera, cantone dei Grigioni. Consegnata oggi alla Cancellaria di Stato l'iniziativa cantonale "Sì all'energia pulita senza carbone" - da RSI.ch

"Nei Grigioni è formalmente riuscita l'inizativa popolare cantonale "Sì all'energia pulita senza carbone". I promotori hanno consegnato questa mattina presso la Cancelleria di Stato grigionese le 4'427 firme raccolte negli ultimi otto mesi dagli ambienti progressisti e ambientalisti. Intanto, proprio oggi, il Consiglio di Stato retico ha chiesto alla società con sede a Poschiavo di fare chiarezza in merito alle critiche che le sono state rivolte.

Contestati due progetti di Repower

Nel testo dell'iniziativa i promotori sostengono che le centrali a carbone pianificate da Repower a Brunsbüttel, nella Germania settentrionale, e a Saline Joniche, in Calabria, genererebbero circa il 40% di tutte le emissioni di CO2 della Svizzera, pari a quattordici volte le emissioni del cantone dei Grigioni. Alla fine di settembre, sollecitata dai giornalisti della trasmissione Rundschau di SF, l'azienda aveva ammesso di aver sostenuto finanziariamente la trasferta a Coira dei promotori italiani della centrale di Saline Joniche

Gli obiettivi dell'iniziativa ce li spiega Tania Schmid dell'associazione "Futuro al posto del carbone", al microfono di Nicola Zala

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27 luglio 2011

Bloomberg dona 50 milioni di dollari alla lotta contro il carbone

Secondo il multimilionario statunitense Michael Bloomberg
il carbone, è un rischio per la salute pubblica, poiché inquina l’aria e acqua ed è responsabile dei cambiamenti climatici

Per questo Bloomberg ha donato 50 milioni di dollari a sostegno dell'iniziativas del Sierra Club denominata "Beyond Coal" (Oltre il carbone) che propone di sostituire le centrali a carbone con impianti ad energie pulite, come quella eolica e quella solare.

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