No al carbone Alto Lazio

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31 marzo 2012

Enel primo inquinatore in Italia, nei suoi piani ancora carbone



Direttamente da Greenpeace, un'iniziativa degna di nota e partecipazione. Leggi, partecipa, diffondi:


"Questo video contiene le immagini della prima operazione dei R.I.C., il Reparto Investigazioni Climatiche di Greenpeace, che ha iscritto Enel al registro degli indagati. Ieri mentre i R.I.C. consegnavano l’ “avviso di garanzia” presso la sede dell’azienda a Roma, più di 8 mila investigatori online lo mandavano via mail ai suoi dirigenti. Dobbiamo continuare a fare pressione.
Enel sta uccidendo il clima con i suoi piani di investimento nel carbone ed è il principale ostacolo alla rivoluzione energetica di cui l’Italia ha bisogno. La centrale Enel di Brindisi, che produce danni ambientali e sanitari stimati fino a 700 milioni di euro l’anno (fonte AEA), è solo una delle otto centrali a carbone che il colosso dell’energia possiede in Italia. Non è tutto. Vuole realizzarne altre due.
Secondo l’ultimo dato presentato dall’azienda stessa, nel 2011 la sua produzione da carbone in Italia è salita dal 34,1% al 41%. Le nuove rinnovabili sono salite, invece, da un misero 7,1% a un poco meno misero 7,8%.
Con le sue pubblicità Enel fa di tutto per mostrarsi un’azienda che investe in energia pulita e, invece, è solo greenwashing: il modo con cui Enel produce energia è un’eredità dei nostri nonni.
Dobbiamo convincerla a cambiare. E lo faremo raccogliendo indizi e reclutando nuovi investigatori nel R.I.C. Dobbiamo essere migliaia per riuscire a fermare gli sporchi piani di Enel. Tu sei già nella nostra squadra? Compila il form alla tua destra e fai sapere a Enel che anche tu sei sulle sue tracce" 

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27 dicembre 2011

Facebook dichiara: tolgo l'amicizia al carbone

Da IlFattoQuotidiano
"Da oggi Greenpeace e Facebook sono alleati contro il carbone. Ci sono voluti venti mesi di campagna ambientalista ma alla fine ne è valsa la pena: il gigante dei social media si è schierato a fianco dell’associazione nella lotta alle fonti di energia fossile. Com’è stato possibile? Semplice, energia pulita altrimenti “ti tolgo l’amicizia”.

Il passo fatto da Facebook in questi giorni, con l’annuncio di alimentare i suoi data center con energia pulita e non con il carbone nonché di aiutare Greenpeace a promuovere le rinnovabili e a incoraggiare le grandi aziende che erogano energia a puntare sulle fonti pulite, è il risultato di un tam-tam di quasi due anni sul social media stesso, dove oltre 700mila utenti in tutto il mondo hanno aderito ad Unfriend Coal (Togli l’amicizia al carbone). Venti mesi di post, video e commenti per dire basta ad una delle fonti fossili più sporche al mondo.

Tutto inizia nel gennaio 2010, quando trapela la “notizia” che Facebook usa il carbone per alimentare il suo data center in Oregon, Stati Uniti. Il 19 febbraio sono già migliaia gli utenti del social media che si uniscono in gruppi inglesi (We want Facebook to run on 100% renewable energy) e spagnoli (Queremos que Facebook utilice 100% energía renovable) per chiedere a Facebook di convertirsi al 100 per cento alle rinnovabili. Ormai l’onda verde non si arresta più. Nel luglio 2010 Facebook annuncia di aver raggiunto 500 milioni di utenti. Ben 500mila di questi chiedono a gran voce alla compagnia di abbandonare il carbone, e scrivono direttamente a sua maestà Mark Zuckerberg. Da lì a poco le iniziative non si contano più, dall’adesione spontanea di testimonial internazionali (rigorosamente su Facebook) a competizioni fotografiche di artisti internazionali (come a Stoccolma). A metà 2011 Greenpeace pubblica un interessante rapporto (“How dirty is your data?”) su quanto inquinano i data center delle principali compagnie informatiche (Akamai, Amazon.com, Apple, Facebook, Google, HP, IBM, Microsoft, Twitter e Yahoo), e proprio Facebook risulta una delle più avvezze al carbone.

La decisione di fine ottobre di Facebook di costruire il suo primo centro dati europeo a Luleå in Svezia, vicino al circolo polare artico, apre la strada all’utilizzo di metodi di raffreddamento naturali e dell’energia idroelettrica prodotta nella zona Infine, qualche giorno fa, ecco il grande annuncio da parte di Tzeporah Berman, co-direttrice della campagna Energia e Clima di Greenpeace International: “Greenpeace e Facebook lavoreranno da oggi insieme per convincere i principali produttori di energia ad abbandonare il carbone e a investire sulle rinnovabili. Solo perseguendo la strada delle energie pulite sarà possibile lottare contro i cambiamenti climatici, rafforzare l’economia e tutelare la salute dei cittadini”. Insomma, alla fine Greenpeace, e i 700milautenti di Facebook, ce l’hanno fatta. “Facebook guarda lontano, a un giorno in cui le fonti energetiche primarie saranno pulite e rinnovabili, e stiamo lavorando con Greenpeace e con altri per far sì che quel giorno sia sempre più vicino”, ha detto Marcy Scott Lynn del Facebook’s sustainability program. “Da oggi, la nostra politica sulla localizzazione dei data center favorirà l’accesso alle fonti rinnovabili e con Greenpeace metteremo la forza del nostro network al servizio del pianeta”.

In attesa di capire se e quanto alle parole seguiranno i fatti, Facebook e Greenpeace rilanciano “la sfida alle altre aziende dell’IT e del cloud computing come Apple, IBM, Microsoft e Twitter”, dice Andrea Boraschi, responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace Italia. Insomma, bisogna solo decidere da chi iniziare.

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La via cinese al greenwashing?

Da Greenreport
Intervenendo a Pechino alla settima Conferenza nazionale sulla protezione dell'ambiente, il vice-primo ministro cinese Li Keqiang (Nella foto) ha detto che «Il governo si sforzerà di offrire al popolo un ambiente più vivibile, acqua pulita ed un cielo blu. Il governo deve mantenere l'equilibrio tra sviluppo economico e salvaguardia dell'ambiente».

Secondo quanto riferisce l'agenzia ufficiale Xinhua, Li ha spiegato che «un ambiente di buona qualità è un bene pubblico che il governo deve assicurare al suo popolo. Il governo deve lavorare maggiormente per controllare i livelli di PM2,5, particolato di un diametro uguale o inferiore a 2,5 micron presente nell'aria».

Il vice-premier cinese ha reso noti anche gli obiettivi del governo centrale: «durante il periodo del 12esimo Piano quinquennale (2011-2015), le città cinesi devono realizzare un tasso di trattamento delle acque reflue dell'85%. Rafforzare la protezione dell'ambiente contribuirà a promuovere la trasformazione del modello di crescita economica cinese ed alla cooperazione internazionale del Paese, dato che un numero crescente di barriere commerciali vengono erette in nome dell'ambiente».Ancora una volta il discorso del regime cinese sull'ambiente è prettamente economico e tende a fare dei nuovi vincoli occasioni: «Mentre la Cina migliora le sue industrie tradizionali e sviluppa nuovi settori ad alta tecnologia, è anche essenziale incoraggiare l'industria dei servizi, essendo quest'ultima in grado di fornire un numero di posti di lavoro emettendo meno inquinanti», ha detto Li, ricordando che «Il governo deve fornire l'aiuto necessario alle organizzazioni non governative ed ai volontari che lavorano nella protezione dell'ambiente, al fine di incoraggiare più persone a dedicarsi a questa causa».

Ieri il governo centrale cinese ha pubblicato un piano di lavoro per la protezione dell'ambiente durante il 12esimo Piano quinquennale che fissa un obiettivo di riduzione delle emissioni di diossido di zolfo (SO2)dell'8% entro il 2015.

Il Piano di lavoro si basa anche sugli impegni firmati dai capi dei governi di 31 province, municipalità e regioni autonome della Cina e dai dirigenti di 8 grandi imprese statali con il governo centrale e che riguardano gli obiettivi di riduzione delle emissioni inquinanti del Piano quinquennale 2011-2015.

Il ministro della protezione dell'ambiente, Zhou Shengxian, che ha firmato il documento a nome del governo durante la settima Conferenza nazionale sulla protezione dell'ambiente, ha spiegato che «Secondo gli accordi, questi governi ed imprese hanno promesso di condurre 5.561 progetti ambientali, rappresentando così una parte importante degli sforzi della Cina per raggiungere il suo obiettivo nazionale in questo settore».

I progetti riguarderanno numerosi settori: dagli impianti di depurazione delle acque reflue alle centrali elettriche, dalle cartiere alle tintorie, dalla siderurgia ai cementifici.

Entro il 2015 dovrebbero essere costruiti 1.184 depuratori per le acque reflue con una capacità di trattamento giornaliera di 45,7 milioni di tonnellate, intanto verranno realizzati impianti di desolforazione nei generatori di centrali termiche che producono in totale 400 milioni d KWh.

Il Consiglio degli affari di Stato «Verificherà e valuterà i progressi dei governi locali e delle imprese nei lavori ambientali. Quelli che non realizzeranno i loro obiettivi saranno sanzionati per i loro fallimenti in funzione delle regole in vigore».

Tutto da capire, comunque, come la Cina pensa di migliorare la qualità dell'aria del suo certamente sconfinato Paese quando - vedi quanto riporta oggi il Sole24Ore - la sua «fame di carbone» potrebbe «produrre a breve l'ennesima acquisizione nel settore in Australia, dove l'attività di M&A è sempre più effervescente, grazie alla forte discesa delle valutazioni delle minerarie. Obiettivo del takeover è Gloucester Coal, proprietaria di due miniere a cielo aperto, che producono attualmente 1,8 milioni di tonnellate di carbone l'anno, e di diverse licenze esplorative». leggi su http://24o.it/RnKig

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13 dicembre 2011

Durban fallisce (come previsto), Clini: servono rinnovabili e generazione distribuita

Durban: nulla di fatto, una Conferenza planetaria sul clima perfettamente inutile, che non porta risultati se non il prolungamento del trattato di Kyoto fino al 2020 e un rimandare di fatto ogni tipo di accordo. Non possiamo permettercelo.

Il nostro Ministro dell'ambiente Clini, nel commento post conferenza afferma:

"Non sono i target globali che salveranno il pianeta, ma le misure concrete prese dalle comunità locali
...
L’efficienza di una grande centrale alimentata con i combustibili fossili arriva nella migliore delle ipotesi al 50 per cento. Un altro 15 per cento va perso nella trasmissione sulle reti ad alta tensione. La generazione distribuita di energia con le fonti rinnovabili raggiunge invece livelli di efficienza almeno del 30 per cento più alti e quindi ha molto più senso dal punto di vista industriale. Il sistema dei grandi monopoli che hanno dominato il mondo dell’energia negli ultimi cinquant’anni non è più compatibile con la necessità di uno sviluppo sostenibile"

Una piccola, buona notizia, che va tradotta in politica fattiva in tempi brevi.

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9 dicembre 2011

Il clima cambia, la politica?

Da Greenpeace.it il resoconto di un'azione dimostrativa davanti a Palazzo Chigi

"Mentre il Ministro dell’Ambiente sta arrivando a Durban per la conferenza Onu sul clima, una cartolina dal caos climatico formato 14x5 metri è stata piazzata dai nostri climber davanti a Palazzo Chigi. Una tragica foto dell’alluvione di Genova accompagnata dalla scritta: "Il clima cambia. La politica deve cambiare".
zoom
In Piazza Colonna altri attivisti si sono arrampicati sui lampioni con il messaggio "A Durban salviamo il clima" e due attori hanno messo in scena la rappresentazione della politica che si rifiuta di cambiare. Vestiti e truccati come se fossero in un film in bianco e nero, hanno risposto alle domande dei giornalisti come se il problema del caos climatico non li riguardasse.

Quest’autunno una serie di tragiche alluvioni hanno martoriato l’Italia, da Nord a Sud. Genova, Roma e poi Messina. La morte di decine di persone e miliardi di euro di danni. Questi sono chiari segnali che i cambiamenti climatici stanno avendo un effetto sempre più grave anche a casa nostra.

L’azione di stamattina davanti alla sede del Governo rilancia quella che abbiamo promosso la settimana scorsa sul nostro sito: “Manda a Clini una cartolina dal caos climatico”. Più di 15 mila persone hanno già chiesto al Ministro dell’Ambiente di assumere a Durban una posizione forte e ambiziosa per la salvaguardia del clima e per il rinnovo del protocollo di Kyoto. Il Ministro darà ascolto ai cittadini o alle multinazionali dell’inquinamento?

Il governo precedente ha guidato l'Italia verso posizioni, a livello internazionale, sempre più di retroguardia nella lotta alle emissioni dei gas serra. Il Senato, in questa legislatura, ha addirittura approvato un atto che nega l'esistenza dei cambiamenti climatici e prende le distanze dalle politiche comunitarie a difesa del clima.

Da Piazza Colonna chiediamo al Ministro Clini e al nuovo Governo di cambiare la politica climatica del Paese. Con due mosse. La prima: impegno forte a Durban per ridurre le emissioni di gas serra. La seconda: difesa degli incentivi alle rinnovabili, un investimento per il futuro occupazionale e ambientale del Paese."

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In seguito all'azione dimostrativa non violenta, Salvatore Barbera, Responsabile della Campagna Clima ed Energia di Greenpeace, è stato espulso dal Comune di Roma per due anni

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Polvere di carbone fin sul Tetto del mondo

Fonte: Adnkronos
"Se l'inquinamento riesce ad arrivare a oltre 5.000 metri di altitudine, allora c'è davvero di che preoccuparsi. Secondo i dati contenuti nel progetto "Share" (Stations at high altitude for research on the environment), frutto di cinque anni di lavoro del comitato Ev-K2-Cnr e presentati a Durban, dal 2006 al 2010 nella regione dell'Everest si sono registrati oltre 150 giorni caratterizzati da picchi di inquinamento.

Coordinato da Paolo Bonasoni dell'Istituto di Scienze dell'atmosfera e del clima del Consiglio nazionale delle ricerche (Isac-Cnr), il progetto "Share" ha costantemente monitorato la presenza di composti inquinanti e clima-alteranti presso la stazione globale Gaw-Wmo ''Nepal Climate Observatory - Pyramid'', a 5.079 metri di quota in Nepal, alle pendici del Monte Everest.
Il risultato è che tra marzo 2006 e dicembre 2010 ci sono stati oltre 164 giorni di inquinamento acuto, pari al 9% del totale del periodo analizzato, per lo più localizzati durante la stagione pre-monsonica (primaverile) quando si verifica il 56% dei giorni caratterizzati da picchi di inquinamento. Rispetto alla normalità, in questi giorni le concentrazioni dell'ozono aumentano del 29%, quelle del black carbon del 352%.
L'ozono troposferico è uno dei gas serra più pericolosi, mentre le particelle di ''carbone nero'' sono in grado di accelerare lo scioglimento dei ghiacciai. A portarli sul tetto del mondo sono stati i monsoni, che trasportano nubi inquinate e gas che provengono dalle aree industriali dei paesi dell'Asia del sud.
Il risultato? Gli abitanti di Dhe, di Sam Dzong e di altri villaggi d'alta quota hanno visto le sorgenti inaridirsi e hanno dovuto abbandonare una parte dei loro campi. I pascoli sono diventati rapidamente più aridi. In alcune zone le fonti di acqua per irrigare e dissetarsi si sono ridotte del 70-80%.
Le popolazioni locali della regione del Mustang, in Nepal, hanno chiesto lo status di rifugiati ambientali a causa delle mutate condizioni che stanno distruggendo la loro economia locale. Sulla questione è stato realizzato nella regione nepalese di Mustang il documentario "Mustang: il cambiamento climatico su tetto del mondo", di Stefano Ardito, prodotto da Ev-K2-Cnr.

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26 novembre 2011

Conferenza sui cambiamenti climatici a Durban, un altro fallimento annunciato

"Dal 28 novembre 2011 al 9 dicembre 2011 si terrà la conferenza sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite. Questa conferenza annuale, la 17° sul clima in sede Onu, segue ai precedenti vertici di Copenaghen (2009) e Cancun, Messico (2010) entrambi conclusosi mettendo in evidenza la mancanza di volontà politica dei governi di farsi carico della principale minaccia che l'umanità sta affrontando: i cambiamenti climatici.
Anche Durban, al di là di ogni ragionevole dubbio, sarà un fallimento annunciato. Mentre le piccole isole-stato sprofondano a causa dei cambiamenti climatici, i paesi industrializzati continuano a eludere il raggiungimento di un accordo vincolante. Stati Uniti e Cina, i due paesi più inquinanti a livello mondiale, negano le loro responsabilità.
Già a Cancun un anno fa è stato rafforzato l'impianto che vuole trattare la crisi ecologica e climatica attraverso un processo di ulteriore mercificazione della natura, rafforzando i mercati del carbonio, costituendo un paradossale diritto ad inquinare da parte dei paesi ricchi e creando, a garanzia di questi, un fondo gestito dalla Banca Mondiale. Presente con una folta delegazione alle mobilitazioni e al forum alternativo di discussione che hanno accompagnato i lavori del vertice ufficiale, RIGAS ha denunciato la firma di un accordo non vincolante che ha il solo fine di tutelare il sistema capitalistico e condurre alla finanziarizzazione delle risorse naturali."

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8 novembre 2011

CO2 da combustibili fossili: record nel 2010

dal Corriere.it


"Mai le attività umane avevano emesso in un anno nell'atmosfera una quantità simile di anidride carbonica. Il 2010 ha battuto ogni record, secondo i dati premilinari del Centro di informazione e analisi del diossido di carbonio (CDIAC) del dipartimento dell'Energia statunitense: sono stati immessi nell'atmosfera 33,5 miliardi di tonnellate di CO2, con un aumento del 5,9% rispetto al 2009 e del 4,5% rispetto al record del 2008. Il livello complessivo raggiunto lo scorso anno, sottolineano gli esperti, è più alto di quello usato dall'Ipcc, l'organismo Onu sui cambiamenti climatici, per descrivere lo scenario peggiore dal punto di vista dei cambiamenti climatici.

IMPUTATI - I principali imputati sono sempre gli stessi due: Stati Uniti e Cina, che da soli sono responsabili per la metà dell'anidride carbonica emessa sul pianeta. Per quanto riguarda gli Usa, le emissioni sono cresciute del 4% ma, grazie alla crisi economica, sono rimaste in termini assoluti sotto il record registrato nel 2007. La singola fonte energetica che ha fornito il maggiore contributo è il carbone, che ha fatto registrara una crescita delle emissioni dell'8%.

LIMITE - La concentrazione di anidride carbonica misurata nel 2010 nell'atmosfera è di circa 390 ppm (parti per milione), con una crescita di circa 2,2 ppm all'anno. Stime attendibili della concentrazione nel 1850 fanno ritenere che la concentrazione si aggirasse intorno a 290 ppm. Alla conferenza sul clima di Cancun 2010 si era raggiunto un accordo - non vincolante - per limitare a 2 gradi il riscaldamento globale e per raggiungere questo obiettivo diminuire le emissioni di CO2 per non superare i 450 ppm, ma solo l'Unione europea ha approvato direttive stringenti sull'argomento.

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Quanti schiavi lavorano per alimentare il business del carbone?

Interessante lettura da Blogeko (vedi anche: SLAVERY FOOTPRINT)
"Negli ultimi giorni un giochetto di autocoscienza (non so come altrimenti chiamarlo) è molto in voga sul web. Si tratta di calcolare quanti schiavi ciascuno di noi “possiede”: il numero di persone sfruttate in modo disumano in qualche parte del mondo per produrre i beni che ci sono in casa e che usiamo ogni giorno.

L’esercizio, sebbene meritorio, non è esaustivo. Non dal punto di vista ecologico, almeno. C’è un ulteriore esercito di schiavi (ma stavolta virtuali) al servizio di ciascuno di noi.

Le “braccia” di questi schiavi virtuali sono contenute nell’energia che consumiamo. Energia perlopiù non rinnovabile, energia perlopiù fossile estratta dalle viscere del pianeta – cioè dalle risorse naturali – e destinata prima o poi ad esaurirsi. Anzi, già in esaurimento. Allora, vogliamo completare il giochetto di autocoscienza?

Il calcolo degli schiavi umani che permettono a ciascuno di noi di mantenere il proprio tenore di vita si fa sul sito internet Slavery Footprint.

Per “schiavi” in questo caso si intendono persone (bambini compresi) che lavorano in condizioni estreme e che non sono in condizione di dire di no. Il loro numero viene dedotto incrociando un questionario sulle abitudini individuali con un dabatase relativo alle modalità con cui vengono prodotti circa 400 beni di uso quotidiano.

In media cento schiavi per ogni consumatore, sintetizza Repubblica. Però le braccia in carne ed ossa e il lavoro umano non bastano per produrre le cose che ci circondano. Ci vuole anche l’energia che serve per estrarre e raffinare materie prime, per azionare le fabbriche, far viaggiare le merci e gli uomini, recapitarci a domicilio i beni.

Il petrolio è la pietra di paragone convenzionale dei consumi energetici. Si calcola che l’energia contenuta in un barile di petrolio compia il lavoro di 12 uomini in 24 ore. Il consumo di energia in Italia nel 2010 è stato pari a 177,7 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio (tep). Un barile di petrolio corrisponde a 159 litri. Il peso specifico del petrolio è pari a circa 0,8. In Italia ci sono 60,7 milioni di persone.

Mi fermo qui, perchè San Pitagora, protettore della matematica, non mi ha mai guardato con occhio particolarmente benevolo. Solo il 20% circa dell’energia consumata in Italia è rinnovabile (l’idroelettrico fa la parte del leone): per il resto, le invisibili braccia degli schiavi virtuali che si muovono per riscaldarci, illuminarci, azionare macchinari eccetera sono essenzialmente il sangue dei dinosauri. I combustibili fossili.

E’ come se nell’infinita lunghezza delle ere geologiche che ci hanno preceduti la Terra si fosse impregnata di energia, risucchiandola dai corpi degli esseri viventi. Da un paio di secoli a questa parte, con la Rivoluzione industriale, abbiamo cominciato ad estrarla, a rimetterla in moto.

Non ce ne sarà per sempre (il picco del petrolio, il picco del carbone), però è come se adesso – per adesso – oltre ai 100 schiavi umani che producono i nostri beni sfruttassimo anche il lavoro di 12 schiavi virtuali ogni volta che un barile di petrolio (o il suo equivalente) se ne va in fumo.

Nella Roma del grande impertore Traiano, si calcola, c’erano 1.200.000 abitanti di cui 400.000 schiavi: uno ogni tre persone. Appena.

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ONU: fermare l'inquinamento da mercurio con un trattato globale

Fonte
"E' stato catalogato dall'Organizzazione Mondiale della Sanità come uno degli elementi chimici più pericolosi per la salute perché può causare danni al sistema nervoso e disordini comportamentali. Quando immesso nell'ambiente, inquina acqua, aria, sedimenti e suolo, entrando comodamente nella catena alimentare di uomo e animali. Eppure continua a circolare indiscriminatamente.

L'elemento incriminato è il mercurio, fino a qualche tempo fa presente in quasi tutte le case europee all'interno dei termometri.

La sua pericolosità è tanta da aver spinto l'Agenzia delle Nazioni Unite per l'Ambiente (UNEP) a radunare per una settimana a Nairobi i rappresentanti di 120 Paesi per elaborare un trattato globale che lo tenga sotto controllo e ne limiti l'uso.

La maggior parte delle discussioni, si legge in una nota dell'UNEP, si sono focalizzate sulle miniere d'oro artigianali e su piccola scala, visto che sono proprio loro la principale fonte di domanda globale del mercurio.

Si stima che nel 2011 queste attività, praticate in circa 70 paesi, quasi la metà dei quali si trova in Africa, avranno utilizzato 1300 tonnellate di prodotto.

Praticamente tutto il mercurio utilizzato nell'estrazione dell'oro su piccola scala viene rilasciato nell'ambiente, con grandi rischi nel lungo termine per i minatori e le comunità che vivono a valle o vicino alle miniere.

Altra priorità è quella di ridurre le emissioni di mercurio delle centrali a carbone e quelle provenienti dalla combustione di petrolio e gas, con uno sguardo attento anche alla presenza del temibile elemento chimico nei cosmetici, negli strumenti medici, nelle batterie e nelle lampade fluorescenti.

I modi per evitare una catastrofe ambientale ci sono, basta raggiungere un accordo globale. L'UNEP spera di dare la buona notizia entro il 2013.

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7 ottobre 2011

Quanto costa il carbone alla collettività: le nuove stime dagli USA

Da Qualenergia.it
"Ogni dollaro speso in carbone ne causa 2 di danni e, senza contare l'impatto sul clima e le relative conseguenze, le centrali a carbone Usa costano all'ambiente e alla salute degli statunitensi circa 53 miliardi all'anno.

Il carbone è una fonte di elettricità economica solo perché i danni che provoca all'ambiente, al clima e alla salute umana vengono scaricati sulla collettività. A sostegno di questo concetto sono stati pubblicati diversi studi che cercano di quantificare economicamente le esternalità negative di questa fonte.

L'ultimo, intitolato “Environmental Accounting for Pollution in the United States Economy”, arriva appunto dagli Usa ed è stato pubblicato sull'American Economic Review di agosto. Le conclusioni del report (che prendiamo sintetizzate da Think Progress e da Legal Planet, blog di politiche ambientali curato dalle facoltà di legge di Berkley e dalla Ucla) mostrano appunto che i danni per ogni chilowattora prodotto bruciando carbone costano economicamente il doppio rispetto al prezzo di mercato di quello stesso chilowattora.

In totale, è l'impressionante conto fatto nello studio, le centrali a carbone Usa pesano per un quarto del GED del paese (ossia delle gross external damages, quantificazione del complesso delle esternalità negative). Un danno causato soprattutto dall'aumento di mortalità legato al biossido di zolfo e, in maniera minore, agli ossidi di azoto e al particolato fine.

Secondo lo studio il conto dei danni ambientali e sanitari delle centrali a carbone Usa per il sistema paese è di 53 miliardi di dollari all'anno. Una cifra impressionante specie se si ricorda che il calcolo si limita a considerare le emissioni di alcuni inquinanti per via aerea e non comprende altre esternalità, come ad esempio quelle legate all'estrazione del minerale, ma sopratutto non tiene conto dell'impatto delle emissioni di CO2 sul clima e delle relative conseguenze, enormi ma difficili da quantificare.

Se si aggiungesse al conto una stima conservativa dei danni legati alle emissioni di CO2, si spiega nello studio, il conto delle esternalità negative salirebbe del 30-40%. Ipotizzando che ogni tonnellata di CO2 emessa causi danni per 65 $ (ma secondo altri studiosi il conto sarebbe molto più salato) ogni chilowattora prodottoda carbone costerebbe al paese 0, 21 dollari.

Il carbone è responsabile di circa il 41% delle emissioni mondiali di gas serra e del 72% di quelle per la produzione di elettricità (dati riferiti al 2007). L'ultimo studio che ha tentato una quantificazione economica delle esternalità negative di questa fonte è "The true cost of coal" di Greenpeace. Tra malattie respiratorie, incidenti nelle miniere, piogge acide, inquinamento di acque e suoli, perdita di produttività di terreni agricoli e cambiamenti climatici, aveva calcolato l'associazione, nel 2007 il carbone a livello mondiale aveva fatto danni per 356 miliardi di euro. In Cina dove si fa ricorso al carbone per i due terzi del fabbisogno energetico nazionale - aveva segnalato un precedente rapporto, sempre realizzato da Greenpeace in collaborazione con alcuni economisti cinesi - i costi esterni del carbone sono pari a 7 punti di prodotto interno lordo.

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29 settembre 2011

Consultazione EU sulla qualità dell'aria, partecipa anche tu

E’ on-line la procedura di consultazione della Commissione europea finalizzata alla revisione delle policy sulla qualità dell’aria nei Paesi membri "Consultation on EU air quality legislation – Questionnaire 1 for interested citizens".

Tutti i cittadini interessati possono partecipare all’iniziativa, compilando, entro il 30 settembre, il questionario che trovate qui (clic)

Grazie a Vanni Destro per la segnalazione

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OMS: due milioni di morti all'anno per inquinamento

Fonte "Ogni anno oltre due milioni di persone nel mondo muoiono a causa dell’inalazione di particelle fini che inquinano l’aria. Questa la cifra allarmante, diffusa dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, delle vittime dell’inquinamento: la maggioranza, secondo le ultime stime dell’Oms, nelle zone urbane dove il numero di decessi prematuri daattribuire all’inquinamento è stimato a 1,34 milioni (dati del 2008). Di questi più di un milione potrebbero essere evitati se i valori delle linee guida dell’Oms fossero rispettati, ma in media solo poche città hanno valori conformi alle raccomandazioni ed il numero di decessi riferibili all’inquinamento atmosferico in città è in aumento.
L’Oms ha fissato la soglia a 20 microgrammi per metro cubo, ma in alcune città la concentrazione puo’ raggiungere circa 300 microgrammi. La Mongolia registra una concentrazione media annuale molto alta (279), come il Botswana (216) e il Pakistan (198). In Italia è di 37, meglio della Grecia (44) ma meno bene della Francia (27) o degli Stati Uniti (18).
Le particelle fini che inquinano l’aria provengono spesso da fonti di combustione quali le centrali elettriche a carbone ed i veicoli a motore, spiega l’Oms che per la prima volta ha raccolto dati sull’inquinamento atmosferico di 1.100 città di 91 Paesi, misurando la presenza di particelle PM10, di dimensioni pari o inferiori a 10 micrometri. Le particelle PM10 – spiega l’Oms – possono penetrare nei polmoni, entrare nella circolazione del sangue e provocare cardiopatie, tumori ai polmoni, casi d’asma e infezioni delle vie respiratorie inferiori.

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25 settembre 2011

Riscaldamento globale, il problema è sempre più grave.

Da ipsnotizie.it "Gli scienziati tedeschi hanno scoperto un’altra “arma letale” che conferma i cambiamenti climatici: l'estensione del ghiaccio marino dell'Artico ha raggiunto un nuovo minimo storico.

Questo fenomeno sta accelerando la velocità del cambiamento climatico al di là dell’azione umana con ogni barile di petrolio, tonnellata di carbone o metro cubo di gas bruciato.

Secondo alcuni ricercatori dell'Università di Brema in Germania, lo scioglimento del ghiaccio artico avrebbe superato il livello minimo storico del 2007, mentre altri centri di ricerca che fanno uso di diversi satelliti e strumenti di analisi ritengono che l’eccezionale riduzione del ghiaccio del 2007 non sia ancora stata superata nel 2011.

"Noi crediamo che arriverà poco al di sotto dei livelli del 2007 - ma non è importante", ha detto Mark Serreze, direttore del Centro Nazionale dati della Neve e del Ghiaccio con sede nella città americana di Boulder, Colorado.

"L’elemento straordinario è che quest'anno non c'è stato un andamento climatico atipico tale da creare le condizioni per il record di scioglimento del 2007", ha detto Serreze.

Quest'anno il clima in estate è stato normale, eppure il ghiaccio è scomparso nelle stesse quantità del 2007.

"Questo ci fa capire che adesso il ghiaccio marino è troppo sottile per resistere anche alle normali condizioni meteorologiche".

Sia il Passaggio a Nord Ovest, sia la rotta del Mare del Nord che attraversano l'Artico, sono di nuovo aperti, come accade quasi ogni anno dal 2007. Una petroliera ha recentemente attraversato l'Oceano Artico nel tempo record di otto giorni, viaggiando da Houston, in Texas a Map Ta Phut, Thailandia.

Lo scioglimento estivo dei ghiacci è raddoppiato rispetto a quello di 30 o 40 anni fa. Un bambino nato con l'avvento dell'era satellitare, quando l'uomo ha potuto contemplare per la prima volta l'immensità ghiacciata, oggi avrebbe 32 anni; e quest’estate constaterebbe che più di tre milioni di chilometri quadrati di ghiaccio - la superficie dell'India - sono scomparsi rispetto all’estate in cui è nato.

Oggi è ormai quasi accertato che il ghiaccio dell’Artico in estate sarà scomparso quando un bambino nato nel 1979 avrà 50 anni. È un rapido cambiamento su scala planetaria con conseguenze di vasta portata che gli scienziati hanno appena cominciato a capire.

Una delle conseguenze è l'accelerazione del riscaldamento globale, mentre l'Artico passa dal bianco al blu scuro, e l'oceano assorbe enormi quantità di calore nelle 24 ore di sole estive. Si prevede che a questo cambiamento si aggiungerà una quantità supplementare di energia termica di circa 0,3 watt per metro quadrato sulle terre emerse e sull’intera superficie d'acqua del pianeta, afferma Stephen Hudson dell'Istituto Polare Norvegese.

È una quantità di energia sufficiente ad accendere una luce notturna Led per ogni metro quadrato dei 510 milioni di metri quadrati che compongono la superficie terrestre. Questo aumenterà le temperature globali di circa 0,25 gradi centigradi, ha detto a IPS John Abraham dell'Università di St. Thomas in Minnesota.

Naturalmente, la maggior parte di quell'enorme quantità di calore si concentrerà prima nell'Artico, dove le temperature sono già in media superiori di 3-5° C a quelle di 30 o 40 anni fa. Lo scorso inverno, alcune parti dell'Artico sono state per un mese di 21° C al di sopra della media.

Tutta questo calore supplementare minaccia di accendere la miccia della più grande "bomba al carbonio" del mondo, la vasta regione del permafrost che si estende per 13 milioni di chilometri quadrati tra Alaska, Canada, Siberia e alcune aree del Nord Europa.

Il permafrost contiene almeno il doppio del carbonio che è attualmente presente nell'atmosfera. Se solo una piccola percentuale verrà rilasciata, le conseguenze per il cambiamento climatico saranno catastrofiche, dicono gli esperti. Il permafrost si è lentamente sciolto negli ultimi vent'anni e la velocità del disgelo sta accelerando con l'aumento delle temperature, ha detto l' esperto mondiale di permafrost Vladimir Romanovsky dell'Università dell'Alaska a Fairbanks.

Questo avrà un profondo impatto sull'intera popolazione mondiale. Secondo i dati della Global Governance Project, entro il 2050 nel mondo ci saranno 200 milioni di profughi ambientali, la maggior parte dei quali provenienti dalle basse aree costiere, a causa dell'innalzamento dei livelli dei mari.

Mentre la tragedia climatica si aggrava, gli Stati Uniti e la maggior parte del mondo industrializzato sono distratti dalla minaccia relativamente trascurabile del terrorismo e spendono miliardi di dollari nella sicurezza e nelle guerre in Afghanistan e in Iraq.

Gli Stati Uniti potrebbero generare il 100 per cento della propria elettricità dall'eolico, dal solare, delle maree e dalla geotermia spendendo meno di quanto investito nella sicurezza e nelle guerre negli ultimi dieci anni, ha detto Richard Heinberg, esperto di energia e alto funzionario del Post Carbon Institute in California.

Tuttavia, l'economia americana è in uno stato talmente drammatico, ha detto Heinberg, autore del nuovo libro "La fine della crescita", che il paese non è più finanziariamente in grado di assumersi questi costi, né può permettersi di continuare a bruciare combustibili fossili.

" Prima o poi saremo costretti a utilizzare una quantità notevolmente minore di energia". @ IPS (FINE/2011)

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23 settembre 2011

Dalla UE proposte per un approccio globale alle emissioni antropiche

Riportiamo da Ecodallecitta.it

"Il Parlamento europeo ha varato un nuovo provvedimento che va nella direzione della lotta contro i cambiamenti climatici. Strasburgo ha infatti approvato una risoluzione che chiede alla Commissione Ue di adoperarsi per la riduzione delle emissioni dei gas serra diversi dalla Co2, a cominciare dai cosiddetti gas fluorurati (Hfc) e dal protossido di azoto. Si tratta di sostanze ancora in parte utilizzate in frigoriferi, impianti di condizionamento, frigoriferi, apparecchiature mediche, schiume isolanti e bombolette. Introdotti negli anni '90 per sostituire alcune sostanze responsabili del buco dell'ozono, questi gas hanno in realtà mostrato un impatto sul clima molto pericoloso, e dal momento che resistono in atmosfera molto a lungo, sono di fatto dei gas serra molto più potenti della famigerata anidride carbonica. Di qui la decisione di metterli progressivamente al bando da varie applicazioni, ma ora l'Europarlamento chiede uno sforzo politico ancora maggiore.

La risoluzione, approvata con 578 voti a favore, 51 contrari e 22 astensioni, sottolinea infatti i limiti del regolamento sugli Hfc attualmente in vigore e chiede alla Commissione di adottare misure più rigide contro l'uso di questi composti. L'obiettivo, secondo i deputati di Strasburgo, è quello di ottenere risultati relativamente veloci sugli equilibri climatici, con un investimento economico tutto sommato contenuto. Il costo pubblico previsto per la riduzione degli idrofluorocarburi, infatti, è compreso tra i 5 e i 10 centesimi per tonnellata, al contrario dei 13 euro a tonnellata necessari per ridurre l'uso del carbone. «Il potenziale di riscaldamento globale dei gas diversi dalla Co2 è superiore a quello dell'anidride carbonica - ha commentato il greco Theodoros Skylakakis co-autore della risoluzione – È molto importante ridurre questi gas perché essi rappresenteranno il 20% del totale delle emissioni globali entro il 2050».

Il provvedimento, in sostanza, sottolinea che il Protocollo di Kyoto trascura in qualche modo gas climalteranti come il monossido di carbonio (Co), gli ossidi di azoto (Nox) e altri composti organici volatili responsabili della produzione di ozono negli strati più bassi dell'atmosfera. Per questo il Parlamento chiede alla Commissione di elaborare una revisione della normativa vigente sui gas fluorurati e di formulare proposte per ridurne immediatamente la produzione e il consumo. L'utilizzo di idroclorofluorocarburi (Hcfc), invece, dovrebbe essere definitivamente interrotto, e si dovrebbe estendere, su scala globale, l'impiego delle tecnologie già disponibili per ridurre le emissioni di monossido di carbonio e ossidi di azoto. «La riduzione delle emissioni dei gas non Co2 deve fare parte della politica europea sul cambiamento climatico – ha dichiarato l'eurodeputato austriaco Richard Seeber, l'altro autore della risoluzione - Oggi possiamo intervenire in maniera efficace, in tempi ragionevoli e con le risorse già esistenti».

Il testo approvato a Strasburgo, infine, sottolinea l'urgenza di ridurre le emissioni legate al cosiddetto “black carbon”, il particolato carbonioso prodotto da motori diesel, stufe a legna, incendi boschivi e altri tipi di combustione. Quest'ultimo risultato, in particolare, potrebbe essere raggiunto introducendo controlli più severi sulle emissioni degli autoveicoli. A questo punto non resta che aspettare di capire se la Commissione accetterà le richieste dei parlamentari.

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14 agosto 2011

"Come frullatori di pesce": centrali a carbone fanno strage di fauna ittica

Fonte: greenreport
Il nuovo rapporto "Giant Fish Blenders: How Power Plants Kill Fish & Damage Our Waterways (And What Can Be Done to Stop Them)" di Sierra Club, la più grande e diffusa associazione ambientalista americana, denuncia che «miliardi di pesci ed altri organismi acquatici vengono uccisi ogni anno dai sistemi delle prese d'acqua delle centrali elettriche obsolete, tra le quali le centrali elettriche a carbone». Il rapporto, molto dettagliato, prende in esame gli impianti di raffreddamento delle centrali elettriche presenti nel Golfo del Messico, lungo i fiumi Mississippi ed Hudson, nella baia di New York e a Long Island Sound, sulla costa della California, nei Grandi Laghi ed a Chesapeake Bay.

La Environmental protection agency (Epa) federale degli Usa ha proposto nuovi standard per i sistemi di raffreddamento delle centrali elettriche, e attualmente sta raccogliendo le osservazioni pubbliche su questo progetto di standard: la scadenza è il 18 agosto. Ma secondo Sierra Club le proposte dell'Epa «purtroppo sono ben lontane da quel che è necessario per proteggere la pesca ed i corsi d'acqua».

Le coste ed i fiumi degli Stati Uniti sono punteggiati da impianti antiquati che utilizzano sistemi di aspirazione dell'acqua per raffreddare le centrali elettriche a carbone e nucleari, impianti che Sierra Club ha ribattezzato "Giant fish blender", frullatori giganti di pesce. Per illustrare i risultati di questo procedimento Sierra Club ha anche realizzato un cartoon con il fumettista premio Pulitzer Mark Fiore, e sottolinea che «l'Epa ha il compito di applicare la Section 316 (b) del Clean Water Act, che richiede l'utilizzo delle migliori tecnologie disponibili per minimizzare il danno ambientale delle centrali. La Closed-cycle cooling" è la migliore tecnologia disponibile per ridurre le minacce dei sistemi di raffreddamento ad acqua, ed è sia conveniente che già in uso in tutto il Paese.

Il raffreddamento a ciclo chiuso riduce le prese d'acqua di circa il 95%, riducendo drasticamente la quantità di acqua necessaria per le operazioni in una centrale elettrica e con la conseguente corrispondente riduzione dei danni per i pesci e all'ecosistema circostante. Tuttavia, l'Epa ha proposto nuovi federal cooling water standards che non richiedono alle utilities di utilizzare questi sistemi aggiornati.

Le centrali elettriche utilizzano più acqua di qualsiasi altro settore negli Stati Uniti: il 49% dell'acqua dolce, più dell'agricoltura e dell'utilizzo potabile messi insieme, con un prelievo di oltre 200 miliardi di galloni di acqua ogni giorno. Quasi tutta quest'acqua viene utilizzata per lo "once-through cooling", un antiquato sistema di raffreddamento che prevede l'aspirazione di acqua, succhiando milioni di litri da fiumi, laghi e mari per il raffreddamento e trasformando ogni centrale in un gigantesco trituratore di pesci, crostacei, anfibi ed altri animali, compresi i mammiferi marini.

Sierra Club è convinta che l'Epa, «sotto le forti pressioni degli interessi della potente industria, ha scelto di non richiedere requisiti tecnologici significativi, che avrebbero protetto gli ecosistemi. Invece, la proposta dell'Epa offre pochi o nessun miglioramento per le tecnologie necessarie per proteggere i pesci e la fauna selvatica, lasciando le decisioni a organismi statali già sovraccarichi».

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Carbone e carburante in mare a Mumbai

Fonte: ANSA - 06 AGO - E' allarme ecologico al largo delle coste di Mumbai in India dopo l'affondamento di un mercantile con a bordo oltre 60 mila tonnellate di carbone e 340 tonnellate di carburante e lubrificanti. La nave Mv Rak, battente bandiera panamense, si era inabissata due giorni fa. Una larga chiazza di olio lubrificante e' comparsa intorno al relitto e sta minacciando la costa gia' danneggiata in passato da diverse maree nere. Sul posto sono state inviate delle speciali unita' anti inquinamento.

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28 luglio 2011

ONU: allo studio una forza per contrastare il riscaldamento globale

Da LaStampa

L’emergenza climatica non è più solo un fatto ambientalistico, e neppure economico: si sta trasformando in problema di sicurezza. L’innalzamento dei mari minaccia di far sparire interi Paesi, e già riduce i terreni agricoli e quindi le risorse alimentari. I fiumi che si asciugano, le siccità come quella esplosa in Somalia, provocano nuovi conflitti o inaspriscono quelli già in corso. La diminuzione di risorse essenziali come l’acqua e il cibo, poi, favorisce l’emigrazione, creando una nuova categoria: i rifugiati del riscaldamento globale.

Dopo i caschi blu, arrivano anche i caschi verdi dell’Onu? Per ora l’idea di una forza incaricata di proteggere l’ambiente, per frenare il riscaldamento globale ed evitare le sue ricadute sulla sicurezza internazionale, è ancora uno slogan più che un progetto. Però il Palazzo di Vetro ci sta pensando, se non altro come strumento per richiamare tutti i Paesi membri alla responsabilità di affrontare l’emergenza.
L’occasione per parlarne è stata mercoledì sera, quando il Consiglio di Sicurezza si è riunito per discutere l’impatto del riscaldamento globale sulla sicurezza. Il dibattito era stato chiesto dall’ambasciatore tedesco Peter Wittig, che presentando l’iniziativa aveva scritto: «Ridipingere di verde i caschi blu darebbe un segnale forte, ma affrontare le conseguenze dei cambiamenti climatici nelle regioni più precarie sarebbe poi tanto diverso dai compiti che già svolgono oggi?». Ragionamento lineare.

L’emergenza climatica non è più solo un fatto ambientalistico, e neppure economico: si sta trasformando in problema di sicurezza. L’innalzamento dei mari minaccia di far sparire interi Paesi, e già riduce i terreni agricoli e quindi le risorse alimentari. I fiumi che si asciugano, le siccità come quella esplosa in Somalia, provocano nuovi conflitti o inaspriscono quelli già in corso. La diminuzione di risorse essenziali come l’acqua e il cibo, poi, favorisce l’emigrazione, creando una nuova categoria: i rifugiati del riscaldamento globale. Sono tutti problemi che minacciano la sicurezza e quindi rientrano nelle competenze del massimo organismo Onu.

La Germania sperava di far votare una risoluzione che impegnasse il Consiglio di Sicurezza, se non avviando la creazione dei caschi verdi da mandare a chiudere le miniere di carbone o le fabbriche inquinanti, quanto meno stabilendo il principio che presto saranno necessari interventi di peacekeeping per prevenire o fermare conflitti provocati dall’emergenza ambientale.

L’Italia condivide queste posizioni, aggiungendo una tradizionale attenzione politica per i piccoli Paesi insulari e per la sicurezza del cibo. Anche gli Stati Uniti, che rispetto agli anni di Bush hanno invertito la politica verso l’Onu e verso il riscaldamento globale, sono favorevoli, così come il segretario generale Ban Ki-moon, che ne fa soprattutto una questione di sviluppo sostenibile. In Consiglio però si sono scontrati con la Russia, la Cina, e un folto gruppo di Paesi emergenti come India e Brasile, che temono di essere costretti a frenare il loro sviluppo per combattere il riscaldamento globale.

Dopo un dibattito molto duro, in cui l’ambasciatrice americana Susan Rice non ha esitato a definire «patetica» la posizione degli scettici, il Consiglio ha approvato una dichiarazione presidenziale che quanto meno riconosce il problema. Un primo passo, come ha spiegato il portavoce dell’Onu Martin Nesirky, per aprire il discorso: «C’è molto lavoro da fare, ma il segretario generale è deciso ad andare avanti».

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27 luglio 2011

Bloomberg dona 50 milioni di dollari alla lotta contro il carbone

Secondo il multimilionario statunitense Michael Bloomberg
il carbone, è un rischio per la salute pubblica, poiché inquina l’aria e acqua ed è responsabile dei cambiamenti climatici

Per questo Bloomberg ha donato 50 milioni di dollari a sostegno dell'iniziativas del Sierra Club denominata "Beyond Coal" (Oltre il carbone) che propone di sostituire le centrali a carbone con impianti ad energie pulite, come quella eolica e quella solare.

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16 luglio 2011

Investimenti in fonti fossili, una bolla finanziaria piena di Co2

Secondo Carbon Tracker gli investimenti in fonti fossili di energia sono eccessivi rispetto alle quantità effettivamente estraibili e utilizzabili nel prossimo futuro.
Fonte: Qualenergia
Gli investimenti nelle fonti fossili potrebbero esser i nuovi subprimes. C'è un rischio sistemico profondo, ma trascurato nel mercato finanziario mondiale, che potrebbe portare danni peggiori di quelli dell'ultima crisi economica e finanziaria. Una quantità enorme di denaro è infatti impegnata in carbone, petrolio e gas che in futuro probabilmente non potranno essere estratti. Investimenti spesso a medio e lungo termine nelle fonti fossili compiuti anche da grandi fondi pensione e Stati, senza guardare al quadro macro della situazione: con le politiche necessarie a limitare il riscaldamento globale, circa l'80% delle riserve su cui si è finora investito non potrà essere sfruttato.

E' questo il sunto estremo di un interessante studio appena pubblicato da Carbon Tracker Initiative (vedi allegato). Se nel mondo crescono gli investimenti in tecnologie pulite (si veda l'ultimo report REN 21 su Qualenergia.it, Le fonti
rinnovabili, il primo driver della crescita mondiale), l'economia mondiale continua a puntare ancora molto su carbone, gas, petrolio e altri settori ad alta intensità di CO2: si pensi ad esempio al piano da 100 miliardi di dollari di Shell per aumentare l'output a 3,7 milioni di barili al giorno entro il 2014. Ma gli investitori – denuncia il report – non stanno tenendo conto dei limiti alla quantità CO2 che si potrà emettere. Quanta parte di quelle riserve su cui si sta investendo dovrà essere lasciata sottoterra?

Sono calcoli che invece il report riporta chiaramente, riprendendo quelli del Potsdam Insitute. Per ridurre fino al 20% la possibilità che la febbre del pianeta superi la soglia dei 2°C di aumento della temperatura globale, da qui al 2050 si potranno emettere 'solo' 565 miliardi di tonnellate (Gt) di CO2. Le riserve conosciute di fonti fossili se bruciate ne produrrebbero 2.795, il 65% dal carbone, il 22% dal petrolio e il 13% dal gas (vedi grafico in alto). Potremmo allora usarne solo il 20%. Le riserve in possesso delle 100 più grandi compagnie quotate nel carbone e delle 100 del petrolio ammontano ad un equivalente in CO2 di 745 Gt: 180 in più di quello che potremo bruciare fino al 2050. In aggiunta ci sono anche le riserve di proprietà degli Stati: ne emerge che, per stare sotto ai 2°C, di tutte le riserve controllate dalle grandi compagnie quotate, si potranno usare solo gas, carbone e petrolio per l'equivalente di 149 Gt CO2.

"Questo significa - denuncia lo studio – che governi e mercati globali stanno trattando come assets riserve che sono 5 volte il budget che si potrà usare nei prossimi 40 anni. Le conseguenze di poter usare solo il 20% di queste riserve non sono ancora state considerate”. Gli investitori sono esposti al rischio di possedere asset di “carbonio che non si può bruciare” che potrebbero subire una pesante svalutazione. Dato che la capitalizzazione legata alle risorse fossili su varie Borse ha un ruolo molto importante (20-30% in Borse come quella australiana, Londra, Mosca, Toronto e San Paolo), le conseguenze a catena per l'economia mondiale potrebbero anche essere catastrofiche.

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