No al carbone Alto Lazio

20 luglio 2007

VIA il carbone da Civitavecchia

riceviamo e pubblichiamo:
CIVITAVECCHIA - Perché il carbone a Porto Tolle è stato bocciato ed a Civitavecchia no? Questa è la domanda che sorge spontanea di fronte alla bocciatura da parte della commissione Via del progetto di riconversione a carbone della centrale di Porto Tolle definito dall’Enel il più all’avanguardia del mondo, quindi, anche più di quello di Civitavecchia, vecchio prima di nascere.
Non so quale ruolo possa aver svolto l’intervento della magistratura riportato dai media, anche se ritengo che una voce libera, in un contesto di forti pressioni, possa essere stata molto importante così come lo sarebbe stata a Civitavecchia se la competenza sulla valutazione dei danni ambientali legati al carbone non fosse stata, grazie ad una leggina ad hoc, trasferita ad altra sede.
Una spiegazione oggettivamente valida ed intrinsecamente inquietante è quella riportata nel recente documento di sintesi sulla riconversione a carbone di TVN del Ministero della Salute. In esso si afferma che la Valutazione di impatto ambientale della riconversione a carbone è stata condotta seguendo procedure di urgenza e, pertanto, sotto il profilo sanitario non può essere considerata esaustiva.
Come medico, ancor prima che come cittadino, ritengo questa affermazione gravissima. Con essa, infatti, siamo stati tutti trasformati in cavie tanto più che lo stesso documento riconosce, nel nostro territorio, un eccesso di patologie riconducibili ad esposizioni di natura professionale ed ambientale. Le stesse raccomandazioni degli esperti dell’Enel i coltivare fiori e non verdure destinate all’alimentazione una volta in funzione la centrale a carbone la dicono lunga sui danni che possono derivare alla salute tanto che, a Brindisi, il sindaco ha vietato le colture agricole intorno al sito della centrale.
Tutto ciò in aperta contraddizione con il principio di precauzione che non consente di svolgere attività rischiose quando vi sono ragionevoli motivi di temere che i potenziali pericoli ad esse legati potrebbero avere effetti negativi sull’ambiente o sulla salute degli esseri umani, degli animali e delle piante.
Se lo stato di diritto a cui allude Bersani è quello nel quale la salute e l’ambiente si possono sacrificare ad interessi economici con patetici alibi, allora abbiamo una differente valutazione del concetto e della scala dei diritti. La monetizzazione del rischio legato ad attività nocive è una ipocrisia degna del cinismo più disumano. Non c’è prezzo per il lutto, la sofferenza ed il dolore. Non si può conciliare l’inconciliabile, soprattutto quando esiste una valida alternativa che potrebbe coniugare mbiente e sviluppo.

Dott. Marco Di Gennaro

Nessun commento: