No al carbone Alto Lazio

11 gennaio 2011

Riconversione a carbone di Porto Tolle, qualche retroscena

Da QualEnergia.it "L'avallo del Governo al carbone di Enel"
"L’Italia, in barba agli impegni sulle emissioni presi con il protocollo di Kyoto e a quelli di medio periodo, continua a puntare sul carbone, sotto la pressione di Enel e del ricatto occupazionale. La querelle sulla conversione a carbone della centrale di Porto Tolle, in provincia di Rovigo, arriva dopo alcuni anni al capolinea con l’autorizzazione del Ministro Paolo Romani, dopo il giudizio di compatibilità ambientale e dopo il via libera di luglio della Conferenza dei Servizi (contraria solo l’Emilia Romagna).

Già nel marzo 2010 la Regione Veneto e l’Enel avevano sottoscritto un accordo di programma per la sua riconversione a carbone che prevedeva anche una serie di finanziamenti per diversi milioni di euro per compensazioni ambientali, la costruzione di un osservatorio e il risarcimento dei disagi provenienti dalla costruzione e dal funzionamento della centrale. Qualche briciola rispetto a un progetto di conversione che richiederà da parte di Enel un investimento di circa 2 miliardi di euro e porterà ingenti profitti.

La centrale, che attualmente brucia olio combustibile, si trova all’interno del Parco Regionale Veneto del Delta del Po, un'area ad alto pregio naturalistico, che comprende alcune riserve naturali di rilievo internazionale (il sito è patrimonio dell’Umanità dell’Unesco, è Sito di Importanza Comunitaria all’interno dell’Unione europea, nonché zona umida protetta dalla convenzione internazionale di Ramsar). Il progetto potrebbe mettere sotto scacco ambientale un’intera area visto anche che l’approvvigionamento del combustibile e lo smistamento dei materiali avverrà principalmente per mare e per le vie fluviali, utilizzando un sistema di stoccaggio e movimentazione appoggiati su una nave “storage”, ancorata al largo del delta del Po.

La centrale, una volta ultimata la riconversione, funzionerà con tre sezioni alimentate a carbone e parzialmente a biomasse per una potenza elettrica lorda nominale complessiva pari a 1.980 MW. Attualmente è costituita da quattro sezioni da 660 MW elettrici ciascuna.
Si stima che la centrale a carbone, che potrebbe essere ultimata in 6 anni, produrrà annualmente circa 10,3 milioni di tonnellate di CO2, oltre ad altri inquinanti, come ossidi di azoto e zolfo, particolati, nichel, piombo, cromo, cloro, arsenico, mercurio, ecc. Nel 2005 la centrale aveva emesso 1,2 milioni di tonnellate di CO2. Insomma la messa in opera di questo grande impianto ci porterà sempre più lontani dai target climatici (Qualenergia.it, Il carbone nello stivale, un ritorno al passato).

Ai margini di questa, peraltro scontata, decisione del Ministro Romani, vanno ricordati due fatti.
Il primo riguarda la sentenza del TAR del Lazio che il 14 ottobre 2010 ha respinto il ricorso presentato da associazioni ambientaliste e di categoria di pescatori e operatori turistici. Una decisione che smentisce che la conversione a carbone della centrale, con tutte le infrastrutture necessarie a tale intervento, abbia conseguenze negative al territorio del delta e all’ambiente. Per i propugnatori del ricorso questa è una sentenza che risulterebbe impugnabile perché non risponde, sulla base di motivazioni omissive e illogiche, a quasi tutte le censure formulate.

Il secondo fatto riguarda due magistrati, il Pubblico Ministero Manuela Fasolato e il procuratore Dario Curtarello, che sono stati recentemente sottoposti a procedimento disciplinare in seguito alle indagini da loro condotte sulla centrale Enel di Porto Tolle. Già un anno fa ispettori ministeriali, guidati da Arcibaldo Miller (attualmente indagato per l’inchiesta sulla nuova P2), erano stati inviati dal Ministro della Giustizia Alfano per far luce su presunti rallentamenti all’iter della nuova centrale. I magistrati stavano indagando sui legami tra le emissioni della centrale e l’aumento dell’incidenza di malattie nei territori circostanti.
Secondo alcuni comitati di cittadini e sezioni locali di partiti politici questa ispezione, fortemente criticata, ma appoggiata dai lavoratori della centrale, nascerebbe da una richiesta pubblica di Luciano Violante del Partito Democratico, che in qualità di Presidente dell’Associazione “Italia Decide”, aveva proposto di avviare un’ispezione nella Procura di Rovigo per “capire se un’autorità giudiziaria può compiere un atto di questo genere, intimidendo sostanzialmente quelli che dovrebbero prendere la decisione”. Non è superfluo andarsi a vedere chi c’è tra i Soci fondatori di questa associazione. Già, proprio Enel SpA.

Il procedimento disciplinare ai due magistrati si basa su tre capi d’accusa che possono essere sintetizzati nell’ultimo: “l’aver impedito, mediante un’indebita ingerenza nelle attività degli apparati amministrativi, la commissione di reati, quando ancora non erano stati acquisiti sufficienti e concreti indizi della consumazione di fatti di rilievo penale, interferendo e condizionando in questo modo le attività degli organi amministrativi stessi, determinandone il rallentamento”.

Ma ci chiediamo: il vero atto intimidatorio è quello dei magistrati, come dice Violante, o piuttosto quello del Ministro della Giustizia? E’ ancora possibile in questo paese sottoporre a critica o a valutazioni tecnico-scientifiche le iniziative e gli interessi di Enel, e dell’industria in generale, senza che i rappresentati del Governo e dello Stato ne prendano sempre e incondizionatamente la difesa, il più delle volte a detrimento degli interessi dei cittadini e delle condizioni ambientali che invece dovrebbero tutelare?

Si sta scatenando in Italia un’assurda campagna denigratoria nei confronti di impianti a fonti rinnovabili che deturperebbero territori e ambiente, mentre passano troppo spesso sotto silenzio i gravissimi danni sanitari che impianti energetici e industriali causano alle popolazione e all’ambiente di vaste zone del paese, spesso in maniera irreversibile.

La forte lobby energetica italiana, a volte con l’appoggio compiacente di autorevoli personalità, prova a mistificare o a nasconde la diffusione di dati scientifici e medici su questi impianti. E quando qualcuno osa contestare queste asserzioni ne paga le conseguenze o viene tacciato di anti modernismo. Quando va bene, questa lobby ama bombardarci di spot molto green e politically correct o di spot sul nucleare ammantati di una fasulla equidistanza.

LB

10 gennaio 2011

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