Interessante articolo da Agoramagazine, su una sostanza inquinante per la cui immissione nell'ecosistema dobbiamo ringraziare in primis la combustione del carbone.
"Dodici dei 209 congeneri dei PCB, i cosiddetti coplanari, hanno caratteristiche chimico-fisiche e tossicologiche equiparabili alle diossine e ai furani, e vengono denominati PCB dioxin-like (simili alle diossine), riconoscibili con la sigla PCBdl. I PCB sono classificati come POP, ossia inquinanti organici persistenti (Persistent Organic Pollutants) perché sono tossici, si bioaccumulano e sono in grado di provocare gravi danni alla salute umana o all’ambiente, sia vicino che lontano dalla fonte di emissione.
Il bioaccumulo delle sostanze tossiche può avvenire o direttamente dall’ambiente, o attraverso l’ingestione lungo la catena alimentare. Si parla di biomagnificazione se la sostanza tossica viene ingerita con gli alimenti, diversamente si parla di bioconcentrazione. La tutela della salute e la salvaguardia ambientale, sul piano normativo, sono perseguite recependo direttive e raccomandazioni della UE, e sono state recepite nell’ordinamento giuridico italiano attraverso il DPR 206/88 e il D.Lgs. 209/99, inoltre vietano la commercializzazione e l’uso delle apparecchiature contenenti PCB.
Sul piano internazionale è di rilevante importanza la Convenzione di Stoccolma, adottata nel 2001 e in vigore dal 2004: si prefigge di ridurre o eliminare scarichi, emissioni e perdite di inquinanti organici persistenti. Il nostro Paese non ha ancora ratificato tale Convenzione, che si basa sul principio di precauzione. La Convenzione si pone l’obiettivo della messa al bando dei seguenti 12 POP (la sporca dozzina):
l’aldrin,
il clordano
il DDT
il dieldrin
l’endrin
l’eptacloro
il mirex
il toxafene
i PCB
l’HCB
le diossine
i furani.
Lo strumento normativo utilizzato per la gestione dei PCB è l’autorizzazione integrata ambientale (dlgs 59/2005), e per le emissioni in atmosfera , la parte V del decreto legislativo n. 152 del 3 aprile 2006. Con il DM 29 gennaio 2007 sono state emanate le linee guida per il trattamento dei PCB, degli apparati e dei rifiuti contenenti PCB e per gli impianti di stoccaggio.
Le linee guida, o in loro mancanza i Brefs Comunitari, riguardano le raffinerie di petrolio e di gas, la produzione e trasformazione di metalli ferrosi (che comprendono le cokerie, gli impianti di produzione di ghisa e acciaio, le fonderie, gli impianti di trasformazione dei metalli ferrosi, di produzione e trasformazione di metalli non ferrosi e in materia di fusione e lega di metalli non ferrosi , di impianti di decontaminazione degli apparecchi contenenti PCB e per gli impianti di stoccaggio).
Il primo inventario europeo dei PCB, per il 1990, elenca le seguenti fonti di emissione:
combustione del carbone
fusione dell’acciaio
sinterizzazione
incenerimento dei rifiuti
apparecchiature elettriche (condensatori e trasformatori.).
La serie storica 1990 – 2006, delle emissioni di PCB in Italia, evidenzia come le emissioni di PCB siano in aumento, e il contributo principale derivi dalla combustione per la produzione di energia, calore e industria di trasformazione, e in particolare dalla produzione di energia e dalla combustione non industriale, per poi passare al contributo della produzione industriale, in particolare le emissioni dalla produzione di acciaio, sia con forno ad ossigeno che con forno elettrico.
L’analisi della serie storica evidenzia come la riduzione delle emissioni dalla combustione industriale venga bilanciata dall’aumento delle emissioni da incenerimento rifiuti; le emissioni totali di PCB tendono comunque ad aumentare negli ultimi anni, soprattutto in considerazione del contributo delle emissioni dalla produzione dell’acciaio. Il 36% delle emissioni di PCB deriva dalle centrali elettriche a carbone, seguita da un 29% dalla produzione di acciaio in forni elettrici, dal 17% sempre dal settore processi con la produzione di acciaio da forni BOF, un 10% dalla combustione dei rifiuti.
Altre fonti di contaminazione, sono la concimazione dei terreni con fanghi provenienti dalla depurazione di acque di scarico, la combustione di oli usati, le riserve di PCB nei sedimenti marini, fluviali e nei fanghi di dragaggio dei porti. La direttiva 96/59/CE disciplina lo smaltimento dei policlorobifenili e dei policlorotrifenili, prescrivendo l’eliminazione dei PCB (31/12/2010). Una deroga alla scadenza del 2010 concerne gli apparecchi i cui fluidi contengano concentrazioni di PCB inferi a 50 ppm (0,005%), consentendone lo smaltimento al termine della loro vita operativa. La direttiva introduce il censimento obbligatorio degli apparecchi contenenti PCB in percentuale superiore allo 0,005%, e che abbiano un volume superiore ai 5 dm3; promozione della revisione e decontaminazione degli impianti e delle apparecchiature contenenti PCB, ancora in esercizio.
La direttiva è stata recepita in Italia attraverso il DLgs 209/1999, che fissa le scadenze per l’eliminazione dei PCB attraverso lo smaltimento e la decontaminazione. Lo stesso decreto impone a tutti i detentori di apparecchi contenenti PCB, per un volume superiore a 5 dm3 (ovvero contenenti più di 5 l di olio contaminato), di darne comunicazione di possesso alle Sezioni del Catasto Rifiuti delle Regioni. Lo strumento dell’AIA, il Catasto Rifiuti Regionale e gli strumenti di Pianificazione ambientale, come i Piani di Tutela e di Risanamento della Qualità dell’Aria e dell’Acqua, dovrebbero consentire di perseguire la tutela ambientale con lo sviluppo economico.
Relativamente alle prerogative che sono riconosciute all’ente locale, è sufficiente citare la grande forza normativa, che a esso deriva, dall’art 5 comma 11 del DLgs 59/2005, che disciplina l’AIA. Tale norma riconosce al Sindaco di fare acquisire in sede di Conferenza dei Servizi per la concessione dell’AIA le prescrizioni di cui all’art 216 e 217 del regio decreto 1265 /1934. L’art 216 del testo unico delle leggi sanitarie stabilisce particolari cautele per le difese dalle lavorazioni insalubri, e cioè per le “manifatture o fabbriche che producono vapori, gas o altre esalazioni insalubri o che possono riuscire in altro modo pericolose alla salute degli abitanti”.
Queste lavorazioni sono divise in due classi: nella prima sono comprese le attività che devono “esser isolate e tenute lontane dalle abitazioni”, a meno che il titolare non “provi che per l’introduzione di nuovi metodi o speciali cautele, il suo esercizio non reca nocumento alla salute del vicinato”. Il Regolamento generale sanitario, approvato con R.D. 45/10901 (tuttora vigente), prescrive che il Ministero della Salute ogni tre anni riveda l’elenco delle fabbriche che spandono esalazioni insalubri o che possono essere pericolose alla salute degli abitanti.
In base a tale elenco, la giunta comunale procede, su richiesta della ASL, alla classificazione degli stabilimenti esistenti sul territorio e determina se quelli “compresi nella prima classe siano sufficientemente isolati dalle campagne e lontani dalle abitazioni e se per gli altri siano adottate le cautele speciali necessarie ad evitare nocumento al vicinato”. Insomma, queste attività devono stare fuori da “qualsiasi nucleo urbano”. In proposito, il Ministero della Salute ha precisato che l’obbligo si intende adempiuto quando l’industria si trova a un a distanza tale da non far risentire i suoi effetti alle abitazioni limitrofe.
Per il TAR Veneto sono sufficienti 250 metri mentre per quello della Liguria 100 metri. L’art 217 statuisce invece che “quando vapori, gas o altre esalazioni …..provenienti da manifatture o fabbriche possano riuscire di pericolo o di danno per la salute pubblica , il sindaco prescrive le norme da applicare per prevenire o impedire il danno o il pericolo e si assicura della loro esecuzione ed efficacia “. Questo è un potere-dovere del Sindaco valido per ogni attività lavorativa . Il Consiglio di Stato con sentenza 532/1987 così si esprime “il potere di prescrivere le norme da applicare per prevenire o ridurre il danno o il pericolo per la salute pubblica derivante dall’attività di manifatture o fabbriche, attribuito all’autorità comunale dagli art 216 e 217 del T.U. leggi sanitarie, non è condizionato dall’onere di preventive diffide o contestazioni agli interessati…., ma comporta per il comune il potere-dovere di accertare in ogni singolo caso quali attività possano recare in concreto danno o pericolo alla salute pubblica, e di adottare in conseguenza i provvedimenti inibitori”.
L’art 8 invece del DLgs 59/2005 riconosce la necessità di valutare tutte le emissioni che riguardano un territorio e la possibilità di stabilire norme di emissioni più rigorose per il rispetto delle norme di qualità ambientale. Queste ultime Norme derivano dai richiamati Piani di Tutela della Qualità dell’Aria e dell’Acqua. Alla fine il potere delle istituzioni locali è a mio giudizio rilevante nel bilanciamento degli interessi in campo.
27 luglio 2011
Inquinamento da policlorobifenile e A.I.A.
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