Da Greenreport
"Christina Larson, una giornalista che si occupa di tematiche ambientali internazionali per The New York Times, The International Herald Tribune e The New Republic, scrive su "Yale Environment 360" che « Nella sua ricerca per trovare nuove fonti di energia, la Cina si rivolge sempre più alla ricerca di sue province occidentali. Ma la spinta della nazione a sviluppare fonti alternative ai combustibili fossili ha finora ignorato un fatto fondamentale: la Cina occidentale non ha semplicemente le risorse idriche necessarie per sostenere un nuovo importante sviluppo energetico». La Larson spiega: «Se si sorvolasse la grande distesa della Cina continentale durante la notte, si troverebbero ammassi di luci intorno alla costa orientale: città tentacolari e popolose come Pechino, Tianjin, Shanghai, Guangzhou e Shenzhen. Ma più lontano si viaggia verso ovest, meno si incontrano queste megalopoli illuminate»
La Cina ha grandi città anche all'interno, ma sono meno numerose e più piccole delle megalopoli costiere cresciute senza controllo e gonfiate dall'immigrazione, dove si concentrano gli affari, le industrie ed il fabbisogno energetico cinese. Ma le risorse energetiche della Cina, sia rinnovabili che quelle dei combustibili fossili, si trovano soprattutto nelle sue regioni periferiche (e spesso problematiche), come quella nord-occidentale del Gansu, poco popolata, ventosa e soleggiata, che è rapidamente diventata un hub dello sviluppo dell'energia eolica e solare. Mentre le miniere di carbone delle regioni orientali si stanno rapidamente esaurendo (o non sono più economicamente sfruttabili) le nuove frontiere del carbone cinese si sono spostate nelle regioni autonome della Mongolia e dello Xinjiang,Uigur e nelle province occidentali di Qinghai, Ningxia, Shanxi, Shaanxi e Gansu, tutte molto lontane da dove l'energia prodotta dal carbone verrà consumata, «E questo è un guaio - spiega la Larson - Il trasporto del carbone dalle miniere occidentali su lunghe distanze, via ferrovia o camion, o chiatte lungo il fiume Yangtze, è un'impresa costosa e fastidiosa». Le spese di trasporto possono arrivare ad oltre il 50% del costo finale del carbone e in condizioni meteorologiche avverse il trasporto diventa problematico. Nel 2008 una tempesta di neve nella Cina sud-orientale bloccò le principali linee ferroviarie e la mancanza di carbone provoco blackout in diverse città sud-orientali La grave siccità dell'estate 2011 ha impedito il transito delle chiatte di carbone sul basso corso dello Yangtze, e la più grande utilty elettrica di Shanghai annunciò blackout a rotazione nelle industrie della città più ricca e moderna della Cina. Il regime comunista è corso ai ripari e nell'ultimo piano quinquennale prevede un aumento della produzione di carbone e l'eliminazione dei "colli di bottiglia" per facilitare il suo trasporto dall'interno verso la costa. Ma prevede anche lo sviluppo e l'espansione di 14 grandi "coal-industry basis" in tutta la Cina occidentale dove chiudere il ciclo del carbone: estrazione, trasformazione e utilizzo nelle centrali termoelettriche, poi l'energia prodotta verrà convogliata da una nuova colossale rete di distribuzione verso le città orientali. «Ma gli impatti ambientali della realizzazione di tali piani non sono stati ancora pienamente considerati - sottolinea la Larson - In Cina oggi l'80% dell'elettricità totale è prodotta dal carbone. Sì, è vero che è in aumento anche il contributo da fonti rinnovabili, forse avete visto le foto di nuove scintillanti turbine eoliche nei deserti della Cina, ma l'energia verde non sta attualmente sostituendo le fonti fossili, le sta integrando. Entrambe sono in rapida crescita».
Secondo i dati del Dipartimento dell'energia Usa, tra il 2000 e il 2010, il consumo totale di carbone della Cina è triplicato, la dipendenza della Cina dal carbone quindi non finirà presto, come a volte sembra voler far credere il governo annunciando la chiusura di vecchie miniere e centrali, ma continuerà a lungo. Però la realizzazione dei complessi carbonifero-energetici nelle regioni occidentali sta affrontando un inaspettato quando insormontabile ostacolo: l'industria del carbone ha bisogno di enormi quantità d'acqua (più di un quinto del consumo di acqua della Cina deriva proprio dal complesso carbonifero-energetico), ma gran parte della Cina occidentale è già colpita dalla siccità e dalla desertificazione».
«La parte occidentale della Cina è un'area ecologicamente fragile - spiega Wang Xiujun, un climatologo dell'Istituto Xinjiang di ecologia e geografia e dell'università del Maryland - Non c'è molta acqua da sprecare» e Sun Qingwei, climate and energy campaigner di Greenpeace China, che prima lavorava per un centro di ricerca governativa nella provincia del Gansu, sottolinea: «Quando una nuova industria arriva in una città, l'acqua viene garantita da laghi e fiumi, dal pompaggio delle acque sotterranee e dalla costruzione di dighe per stoccare l'acqua piovana, il che devia il suo flusso normale e il riassorbimento nel terreno. Tutti e tre hanno conseguenze ambientali impreviste. Non c'è acqua a sufficienza per sostenere così tante attività e industrie del carbone nella Cina occidentale. Se le risorse idriche vengono sfruttate dall'industria del carbone, questo porterà al degrado del suolo e alla desertificazione e danneggerà il sostentamento delle comunità locali». Greenpeace China sta lavorando ad un rapporto e ad una mappatura della disponibilità di acqua nella Cina occidentale per ostacolare la realizzazione dei mega-impianti carboniferi.
Un pessimo esempio di quel che potrebbe succedere esiste già nella Mongolia Interna, dove le praterie si stanno trasformando in quella che i mongoli chiamano "una ciotola di polvere". Negli ultimi 10 anni, mentre venivano realizzate miniere di carbone, impianti petrolchimici e centrali elettriche, alimentati da pozzi, le falde idriche sprofondavano e grandi praterie, come quella di Xilingol, sono diventate improduttive e la zona umida di Wulagai si è completamente prosciugata. «L'industria del carbone ha cambiato l'ambiente in quanto utilizza l'acqua del sottosuolo - ha detto alla Larson il ricercatore Da lintai, che lavora all'Inner Mongolian University - Probabilmente anche il cambiamento climatico ha contribuito alla desertificazione nella Mongolia Interna. Il risultato è che è più difficile ora per i pastori trovare aree con risorse idriche sufficienti. E la mancanza di acqua influenza anche la crescita dell'erba per nutrire i loro animali».
Nel maggio 2011, vicino Xilinhot, nella Mongolia Interna, un pastore è stato ucciso da un camion che trasportava carbone, le violente proteste avvenute dopo l'incidente sono state presentate dalla stampa cinese come disordini etnici, perché il pastore apparteneva alla minoranza mongola e l'autista era un cinese han, ma la gente del posto dice che le divisioni etniche non c'entrano niente e di essere arrabbiata con gli autisti dei camion che trasportano il carbone perché rappresentano il simbolo di un'industria odiata, che con il suo arrivo ha distrutto i loro mezzi di sussistenza e il loro ambiente.
Il governo cerca di affrontare il problema con il risparmio dell'acqua: nella Ningxia è stata inaugurata nel 2010 una centrale a carbone raffreddata ad aria che utilizza un quinto dell'acqua necessaria nelle altre centrali, ma i costi di costruzione di questi nuovi impianti sono moto più elevati di quelli tradizionali e si stanno rivelando un ostacolo per una loro adozione diffusa. «Quel che sta gradualmente diventando evidente, in Cina come altrove, è che l'energia e l'acqua devono essere pianificate insieme» ha detto Jennifer Turner, direttrice del Woodrow Wilson Center's China Environment Forum, durante un recente meeting, ospitato dall'ufficio di Pechino di Nature Conservancy. La Turner ha definito la cosa «Nesso acqua-energia» ed ha concluso: «La necessità di salvaguardare l'acqua in Cina è oggi particolarmente urgente, perché, con il cambiamento climatico, la Cina sta già perdendo acqua ogni anno».e
Leggi tutto il post...
Non espandere il post...