Fonte: ivg
Una quarantina di pagine. Sono racchiuse tutte lì le motivazioni del provvedimento di sequestro preventivo per la centrale a carbone di Vado Ligure firmata dal gip Fiorenza Giorgi. Nell’ordinanza, che è stata eseguita questa mattina dai carabinieri del Noe di Genova insieme ai colleghi di Savona, il giudice ha disposto la chiusura dei due gruppi a carbone combinato ad olio, ma non quella del terzo gruppo presente nell’impianto vadese, ovvero quello a metano.
Alla base della richiesta di sequestro avanzata da parte del Procuratore Francantonio Granero e del sostituto Chiara Maria Paolucci ci sono ovviamente i risultati delle due consulenze, quella epidemiologica e quella ambientale, ma anche una serie di violazioni dell’Aia che la Procura avrebbe rilevato. A rafforzare la tesi dell’accusa sarebbe arrivata poi anche l’ispezione dell’Ispra ed il conseguente verbale, con il quale sono state notificate all’azienda irregolarità per quanto riguardo il sistema di monitoraggio in continuo delle emissioni in atmosfera (SME).
Osservazioni che sarebbero tutte presenti anche nel provvedimento del gip Giorgi. Nell’ordinanza si fa riferimento alle consulenze, secondo cui la centrale ha procurato un grave danno ambientale, ma si cita anche la “rarefazione dei licheni” rilevata nell’area intorno allo stabilimento di produzione di energia (accertata anche da uno studio commissionato dall’azienda stessa), un elemento che doveva costituire un importante “campanello d’allarme” per l’ambiente. Sempre in riferimento agli studi degli esperti nominati dalla Procura, nel provvedimento si prendono in considerazione le ricadute su “morbilità” e “mortalità”, calcolate escludendo dalla ricerca i comuni della Valbormida e prendendo in esame fattori inquinanti (come il mercurio e il cadmio) prodotti esclusivamente dalla centrale.
Il giudice prende poi in esame le presunte irregolarità relative alle prescrizioni dell’Aia, che non sarebbero state rispettate anche grazie alla “quasi assoluta neghittosità” di chi aveva il controllo sulla centrale (parte delle verifiche inoltre era a carattere autorefernziale). Un sistema che avrebbe permesso a Tirreno Power di gestire lo stabilimento in maniera “disinvolta”. Per quanto concerne l’autorizzazione integrata ambientale d’esercizio, nel caso di Vado, sarebbe stata rilasciata in tempi più lunghi rispetto al previsto (un periodo nel quale, secondo l’accusa, lo stabilimento avrebbe funzionato di fatto senza alcun controllo). Una delle violazioni più gravi rispetto all’Aia che sarebbe stata rilevata è quella relativa allo SME a camino, il sistema con cui si sarebbero dovute monitorare le emissioni, che l’azienda avrebbe dovuto installare entro nove mesi a partire dal 14 dicembre 2012, ma che invece non sarebbe stato montato nei termini. Lo SME, tra l’altro, non solo sarebbe stato installato in ritardo, ma sarebbe anche stato posizionato alla base della ciminiera anziché alla cima. Secondo quanto rilevato durante l’ispezione dell’Ispra non sarebbe nemmeno stato tarato correttamente e, di conseguenza, avrebbe fornito dati falsati.
Tra le “colpe” contestate a Tirreno Power ci sarebbe poi quella di non aver realizzato la copertura del parco carbone, di aver usato per l’accensione dei gruppi un olio più pesante rispetto a quanto previsto dalla normativa (contenente una percentuale di zolfo tra lo 0,3 e l’1% quando il valore avrebbe dovuto essere inferiore allo 0,3 %) e infine di non aver smaltito separatamente le ceneri combuste dell’olio e del carbone: le prime sono un rifiuto pericoloso, mentre le secondo no e possono essere impiegate nella produzione del cemento.
Secondo i magistrati ad aggravare la posizione della centrale ci sarebbero poi tutte le rilevazioni sulle emissioni, dati che non sarebbero da considerare attendibili. La conclusione della Procura quindi è che, oltre che violare sistematicamente le prescrizioni, Tirreno Power non abbia fatto nulla per attenuare e limitare il danno alla salute ed all’ambiente (secondo i consulenti potevano essere adottati degli accorgimenti per ridurre l’impatto ambientale della centrale, ma non è stato fatto). Visto che l’inquinamento ambientale, sempre secondo gli inquirenti, sarebbe stato tuttora in corso è scattata quindi la richiesta di sequestro. Il reato contestato rimane quello di disastro ambientale doloso, oltre ad una serie di violazioni specifiche che dal punto di vista penale sono classificabili come “contravvenzioni”, ma che dal punto di vista sociale avrebbero un impatto ben più rilevante.
L’ordinanza di sequestro si chiude lasciando una sorta di “via d’uscita” a Tirreno Power: il giudice infatti precisa che il provvedimento sarà revocato se l’azienda si impegnerà (e dimostrerà) di far funzionare l’impianto con le “MTD”, le migliori tecniche disponibili (in inglese “BAT- Best Available Tecnique”), che sono definite nella “Direttiva IPPC” e sono le tecniche piu efficaci per ottenere un elevato livello di protezione dell’ambiente nel suo complesso.
Nel provvedimento quindi è previsto che, se Tirreno Power si impegnerà ad impiegarle, il sequestro dell’impianto cesserà. Un passaggio che dovrebbe passare proprio dall’installazione dello SME secondo le prescrizioni e dal rispetto dei limiti delle emissioni.
La scelta di lasciare aperto uno spiraglio alla riapertura dell’impianto vadese è dettata anche dallo “stato di necessità”, che riconosce comunque l’importanza sociale del funzionamento della centrale, ma alla condizione che questa utilizzi le “MTD” e che quindi non danneggi la collettività.
12 marzo 2014
Chiusa la centrale a carbone di Vado Ligure: disastro ambientale doloso
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