Da Womenews
Colombiana proveniente dalla regione de La Guajira, attivista per i diritti umani delle popolazioni indigene, leader del popolo Wayuu e esponente dell’associazione “La forza delle donne Wayuu” Karmen giunge a Saline Joniche nel basso jonio reggino dal territorio della più grande miniere di carbone a cielo aperto, il Correjon.
“Sono molto felice di essere fra voi. E’ stata una grande avventura arrivare fin qui ma ringrazio madre terra per avermi aiutato”.
Indossa in costume tradizionale del popolo Wayuu Karmen, che brilla sotto i raggi del sole generoso dell’ultimo sabato di ottobre. Mentre parla dà le spalle al sito in cui dovrebbe sorgere la centrale a carbone di Saline Joniche, territorio già beffato e deturpato dalla logica dell’industria nel deserto. “In Colombia e in tutto il Sud America lo sfruttamento delle risorse naturali ha raggiunto livelli drammatici.
Il potere del profitto supporta le guerre. Sessanta anni di guerre, quattromila persone allontanate dai territori interessati allo sfruttamento delle risorse” spiega Karmen, “Non sappiamo con esattezza quante persone siano state uccise. Posso dire che, solo nella mia famiglia, si contano 27 morti. Per la mia cultura il rispetto del territorio rappresenta un valore molto importante.
Per questo mi trovo qui, per condividere questo messaggio: madre terra è in pericolo, madre terra è a rischio. Nel mio territorio esiste la più grande miniera a cielo aperto di carbone. Questo progetto sta violentando la donna madre terra, la più grande donna che ha dato vita a tutta l’umanità”.
Il consorzio formato da compagnie facenti capo alla BHP Billiton plc, Australia, all’Anglo American plc e Gran Bretagna e alla Glencore International AG., che ha venduto in un secondo tempo le sue partecipazioni alla compagnia svzzera, intendono raddoppiare l’attuale produzione di carbone portandola dai 22 ai 30 milioni di tonnellate a 60 milioni di tonnellate.
“La mia gente sarà costretta forzatamente a abbandonare i propri territori. I proprietari non vogliono parlare con la popolazione. Vi chiederete perché io sia qui: il carbone estratto nel mio territorio, con tutto quello che comporta in termini di malattie, morti, devastazione del territorio, guerre, verrà in parte utilizzato e venduto per fornire energia elettrica alla centrale a carbone di Saline.
Ve lo dico perché ne abbiate la consapevolezza: non potete supportare una campagna che sta facendo sparire il mio popolo. Costruire qui la centrale a carbone significa distruggere madre Terra.
Significa che diventerete malati, controllati, che andrete incontro a quello che sta passando la mia gente.
Per il popolo Wayuu la ricchezza non è l’oro, estratto per essere depositato nelle banche. Per il mio popolo la ricchezza è il vento, il mare, il sole, tutto quello che avete qui.
Per questo diciamo no al carbone: per dire sì alla vita, perché la vita è la cosa più importante.
Il carbone rappresenta la morte, l’inquinamento.
E’ nostra precisa responsabilità dire no al carbone. Siamo tutti figli della stessa madre terra e dobbiamo difenderla insieme”.
8 novembre 2011
Boscàn a Saline Joniche: "il no al carbone è per difendere la vita"
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