No al carbone Alto Lazio

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14 maggio 2011

IPCC - nuovo rapporto mostra l'enorme potenziale delle fonti rinnovabili

Da Ecoalfabeta

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"E' finalmente on line il nuovo rapporto IPCC sulle energie rinnovabili e i cambiamenti climatici.

Il rapporto, curato da una quarantina di scienziati da tutto il mondo (detto per inciso, tra questi non c'è neanche unitaliano) è piuttosto ottimista.

Come è possibile vedere dal grafico in alto ognuna delle diverse fonti rinnovabili potrebbe, da sola, soddisfare gli attuali consumi dell'umanità, sia elettrici che termici.

(1) A sinistra sono riportate le fonti utilizzabili per l'energia elettrica: geotermica, idroelettrica, mareale/ondosa, eolica: l'altezza della barra blu rappresenta l'incertezza sulla stima della potenzialità, mentre la linea rossa indica la domanda globale del 2008 (più o meno uguale a quella di oggi, a causa della crisi del 2009).

Sommando le potenzialità minime di queste quattro fonti, si ottiene un valore pari a 4,2 volte la domanda elettrica attuale (pari a 61 EJ, exajoule).

(2) Al centro il confronto è tra domanda termica e geotermico (altra tecnologia rispetto a quella di prima). La potenzialità potrebbe soddisfare da un minimo del 6% a un massimo del doppio della domanda.

(3) A destra infinie la domanda globale di energia (somma di elettrica, termica, trasporti ecc) di 492 EJ è confrontata con la potenzialità dell'energia solare diretta che potrebbe soddisfare da 3 a 100 volte i nostri consumi. L'IPCC ha messo nel grafico anche le biomasse, per le quali secondo me occorre molta prudenza, perchè, a causa delle storture di un mercato globalizzato e dominato dalla finanza, rappresentano una seria minaccia per l'agricoltura.

Allora cosa aspettiamo? Tutti gli investimenti dovrebbero essere in queste fonti, perchè il resto è roba del passato: basta trivellazioni nell'artico e nei mari, basta nuovo carbone, basta uranio.

Investendo massicciamente nel rinnovabile si possono ottenere migliori risultati che grattando il fondo del barile delle vecchie fonti esauribili. Ma vallo a spiegare a chi ha solo una trivella in mano e conosce solo il verbo trivellare...

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4 maggio 2011

CNR: investire in energia solare ci fa guadagnare

Fonte: ilSole24ore
"Il solare costa, ma dà anche benefici. Se si fanno due conti approfonditi si scopre che gli incentivi alle rinnovabili non sono solo un onere per la collettività. Sulla scorta di precedenti simulazioni della società di consulenza Poyry, ci ha provato su dati empirici un ricercatore del Cnr, Francesco Meneguzzo (che lavora all'Ibimet, l'istituto di biometereologia di Firenze). Sta lavorando (con un economista, Giuseppe Artizzu) sull'effettiva dinamica dei mercati elettrici in presenza di fonti rinnovabili, come l'eolico o il solare. E su fenomeni ormai conosciuti e rilevati da anni in Germania e Spagna.

In breve si tratta di questo: quando si alza il sole (o il vento) nella rete elettrica affluisce energia, rendendo superfluo il funzionamento di impianti convenzionali relativamente meno efficienti, particolarmente in alcune aree d'Italia con vincoli di connessione (come la Sicilia). Impianti che entrerebbero altrimenti in produzione,esigendo e spuntando prezzi di "picco" più elevati, facendo lievitare in quelle ore "calde" i costi dell'energia per tutti gli utenti.

Il fotovoltaico agisce durante il giorno e ha la sua capacità massima nei mesi estivi. Proprio quando c'è il picco di domanda di energia elettrica (condizionatori). E la stima di Meneguzzo, elaborata sui dati del mercato elettrico italiano dal 1 marzo al 14 aprile scorsi indica un suo effetto calmierante (taglio dei picchi di prezzo) tra 20 e 34 milioni di euro, pari al 20-32% degli incentivi pagati nello stesso periodo per il fotovoltaico.
Siamo però solo agli inizi. Meneguzzo e Artizzu contano di prolungare e precisare l'analisi per tutta l'estate, il periodo in cui (anche nelle esperienze estere) la limatura sui picchi di prezzo sarà più sensibile. E forse, a conti fatti, il risparmio complessivo sulla bolletta potrebbe assestarsi di più sull'estremo superiore del 30%.

Ma non è tutto. Meneguzzo stima che quest'anno verranno erogati circa 3,7 miliardi di incentivi alle energie rinnovabili. Ma l'industria corrispondente, ormai nell'ordine di oltre un punto di Pil, ha fatturato l'anno scorso (secondo il Solar Energy Report del Politecnico di Milano) tra gli 8 e i 21 miliardi di euro per il solo fotovoltaico (25-40 miliardi di euro comprendendovi l'eolico e tutta la filiera industriale connessa alle rinnovabili, secondo le stime dello stesso Meneguzzo). Questo significa che l'industria sta generando almeno 2 miliardi di euro di entrate fiscali per lo stato. Oltre a 500 milioni dai gestori di impianti (e circa 200 di contributi ai Comuni). E del restante miliardo netto di costo degli incentivi circa metà verrebbe annullato dall'effetto di calmierante sui prezzi elettrici. Quindi solo 500 milioni netti realmente pagati dall'Italia (nel suo complesso) per le rinnovabili.

Ha senso quest'analisi? Sul piano generale sì (al di là delle cifre magari da precisare meglio, oggi variabili a causa del passato decreto salva-Alcoa), ma di sicuro ha meno senso sul piano di chi ci guadagna e chi paga. I benefici e i costi sono infatti asimmetrici.

Vediamo. Ci guadagna di sicuro lo Stato via maggiori entrate fiscali derivanti dalla crescita rapida di un industria avanzata. Ci guadagnano gli occupati (circa 30mila, stima l'Aper) e gli effetti moltiplicativi a valle. Ci guadagnano i Comuni. Ma gli incentivi li pagano sulla bolletta (componente A3) le famiglie e le piccole e medie imprese, salvo ovviamente riprendersi almeno in parte l'esborso grazie al contenimento della componente energia. «Pagano molto meno, e perfino ci guadagnano le medie e grandi imprese energivore – osserva Meneguzzo – che dal taglio dei picchi di prezzo elettrico ottengono benefici consistenti,a fronte di esoneri dal pagamento della componente A3». In qualche caso i grandi energivori persino finiscono per guadagnarci.

Pagano, infine, i generatori tradizionali di elettricità. In termini di tassi di utilizzo le centrali a gas che vengono spiazzate dalle fonti rinnovabili, e in termini di margini le centrali idroelettriche e a carbone, che non possono avvantaggiarsi dei costosi picchi di domanda, fonte per loro di consistenti guadagni aggiuntivi. Indirettamente sono affetti anche i grossisti di gas, che vedono ridursi la domanda termoelettrica. In aprile, secondo i dati Snam Rete Gas, questa è in discesa di circa il 9% rispetto all'anno scorso: tale calo è causato per circa la metà dal boom del fotovoltaico e da maggiore produzione eolica. Vista la perdita delle importazioni dalla Libia, forse non guasta.

I più penalizzati però, in questo gioco in parte virtuoso, appaiono le piccole imprese energivore (per esempio i distretti conciari) che debbono pagare la tariffa elettrica piena senza agevolazioni. Forse, per mantenere questo gioco degli incentivi, gli inattesi vantaggi della produzione elettrica rinnovabile andrebbero destinati anche a loro. Che sostengono gli incentivi, secondo uno studio della Fondazione Leoni, per ben il 32%, contro il 26% dalle famiglie. (G.Ca.)

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9 aprile 2011

Se il carbone frena l'economia sostenibile

"Le rinnovabili crescono, ma il carbone pesa troppo: 47% della potenza elettrica installata dal 2000, dice il Clean Energy Progress Report della IEA. L'Agenzia propone la cattura della CO2, attualmente a zero, e nel suo 'scenario Blue', prevede stranamente per le fonti pulite tassi di crescita molto al di sotto di quelli attuali.

Continua su "L'ombra del carbone sulle rinnovabili"

NDR: le statistiche non comprendono gli ultimi due anni

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2 aprile 2011

Il carbone fa più morti del nucleare? Rinnovabili unica via

Un articolo tratto da ecologiae.com

Dopo tutto quello a cui stiamo assistendo in questi giorni proveniente dal Giappone, nessuno più si permette di dire (se non i più testardi) che il nucleare è sicuro. Ma per essere onesti, bisogna anche ammettere che il nucleare non è la forma energetica più pericolosa di tutte.

Bisogna partire da un assioma, e cioè che ogni centrale può esplodere, solo che quando accade ad una nucleare, i tassi di mortalità risultanti, per non considerare il terrore generato, sono di gran lunga superiori a tutte le altre fonti messe insieme. Ma se volessimo contare i morti che provoca ogni fonte energetica, considerando anche quando funziona normalmente, scopriremmo che il carbone è più pericoloso persino di una bomba atomica.
Tutti sembrano dimenticare che la combustione del carbone emette continuamente un flusso incontrollato di mercurio e radionuclidi. Ci sono infatti degli impatti diretti e indiretti sulle vie respiratorie dovuti al flusso costante di emissioni di particelle provenienti dal camino durante la combustione del carbone. Come spiega Phil McKenna su New Scientist: Le particelle fini delle centrali elettriche a carbone uccidono circa 13.200 persone ogni anno solo negli Stati Uniti, secondo il Boston Clean Air Task Force. Gli incidenti mortali provengono dall’estrazione e il trasporto di carbone, e altre forme di inquinamento connesse. Al contrario, l’Agenzia internazionale dell’energia atomica e le Nazioni Unite stimano che il tributo di morte per cancro dopo la catastrofe di Chernobyl del 1986 raggiungerà i circa 9000 morti.
I Governi nazionali e le organizzazioni scientifiche stanno cercando il modo per rendere sicuro il nucleare, ma dovrebbero rendersi conto che, se non passiamo alle rinnovabili, anche le altre forme che dovrebbero accompagnare l’atomo sono altrettanto o più pericolose. Perché non si fa lo stesso con il carbone? Questa fonte fornisce oggi al mondo più energia di quanta ne fornisca il nucleare, eppure a nessuno sembra importare delle vittime che fa.

Il discorso diventa ancora peggiore se si prende in considerazione l’altra forma energetica più diffusa al mondo dopo il carbone, e cioè il gas naturale. Anch’esso infatti contiene una certa quantità di mercurio che, una volta evaporato, diventa nocivo per gli esseri umani. Il mercurio è generalmente rimosso dal gas naturale che viene inviato ai nostri fornelli, ma rimane in molte delle centrali elettriche che lo utilizzano.

In definitiva, osservando i dati della IEA pubblicati sopra, viene da chiedersi se è così giusto concentrarsi solo sulla sicurezza del nucleare quando carbone e gas creano più morti con il funzionamento normale rispetto ad un evento eccezionale come l’esplosione di una centrale atomica. Discorso diverso per l’idroelettrico, considerato come secondo più pericoloso, ma sempre in relazione alla distruzione di una diga di enormi dimensioni, evento ancor più raro di un disastro nucleare. Ancora una volta il ricorso alle rinnovabili si dimostra la scelta più saggia.

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20 febbraio 2011

Carbone, punto di non ritorno. Gli interventi del convegno

Riportiamo un primo resoconto dal convegno tenutosi a Savona (vedi), da Savonanews.it



"Tutto esaurito al Chiabrera per l'incontro pubblico sul carbone organizzato con la collaborazione di Ubik e delle maggiori associazioni Savonesi e il patrocinio dell'Ordine dei Medici di Savona e del Comune. Arrivano il Tg3 e Striscia la Notizia. Cosa diranno adesso i comunicatori a noleggio del carbone "pulito" e dell'energia "sensibile"?

Diranno questo: "In merito alle accuse rivolte a Tirreno Power nell’incontro del 18/2 presso il Teatro Chiabrera da alcune associazioni ambientaliste locali, l'azienda precisa quanto segue: Tirreno Power è aperta al dialogo in modo particolare con tutti i soggetti istituzionali e conferma la piena volontà di trasparenza e collaborazione costruttiva per definire soluzioni che migliorino considerevolmente l’impatto ambientale e contribuiscano allo sviluppo economico."

Meno di così, non si poteva dire. Per questa azienda evidentemente i Cittadini che respirano i loro scarichi e le Libere Associazioni tra essi, hanno dignità inferiore ai "soggetti istituzionali", e così la misera replica, si commenta da sé.


Presenti tra gli altri l'assessore all'ambiente Jorg Costantino e il Sindaco di Quiliano. Non pervenuto quello di Savona, ma attendiamo smentite, come sul fatto che sia stato richiesto agli organizzatori di pagar le spese della Sala. Senza polemiche, buon senso avrebbe voluto un patrocinio del Comune e non una piccola onlus a provvedere, visti e sentiti gli argomenti.


ALCUNI DEGLI INTERVENTI:

Giangranco Gervino su sostanze tossiche rilevate alla foce del torrente Quiliano
http://www.youtube.com/watch?v=lSrcI3Yj65o


Gianfranco Gervino su Conferenza dei servizi - Roma
http://www.youtube.com/watch?v=P51erVPRC0w


Marco Stevanin, perito e consulente ambientale, estensore della perizia giurata sugli scenari ante e post operam dell'ampliamento a carbone della centrale Tirreno Power di Vado Ligure - Quiliano
http://www.youtube.com/watch?v=EXbfQDWcA_4


Rappresentanti Com. No Carbone Rossano Calabro
http://www.youtube.com/watch?v=94kzajpUV2w


Fabrizio Bianchi, dirigente epidemiologo CNR Pisa
http://www.youtube.com/watch?v=mpecnhuoskM


Rappresentanti Comitati No Carbone Civitavecchia - Tarquinia
http://www.youtube.com/watch?v=cs8FIf4hgeQ


Tratto fal TG3 Liguria: Intervista all'epidemiologo Valerio Gennaro
http://www.youtube.com/watch?v=8OBT8AZLqvs


Vale la pena di ascoltare bene, da Brindisi:
http://www.youtube.com/watch?v=vGF-QkCTtpw


a grande richiesta, un "sempre-nero":
http://www.youtube.com/watch?v=Kl2lKhZY37M


e un poco di attualità
http://www.youtube.com/watch?v=Z9HHa7LYboY 
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A questo indirizzo il ringraziamento agli intervenuti da parte del comitato promotore di Savona.

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19 febbraio 2011

Harvard, una ricerca mette in luce gli enormi costi nascosti dell'energia da carbone

Lo studio "Coal's hidden costs top $345 billion in U.S.-study" mostra come il costo dell'energia prodotta da carbone sia tre volte più alto di quanto normalmente si creda, a causa dei molteplici danni che provoca ad ambiente e salute, danni che pesano sulle tasche e sulla qualità di vita dei contribuenti.

Fonte: Reuters

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16 febbraio 2011

12.000 ettari distrutti per una miniera di carbone

Fonte: il Manifesto
"I bulldozer della compagnia britannica Global Coal Management Resources stanno per spianare 12mila ettari di terra nella regione di Phulbari, in Bangladesh, per realizzare una delle più grandi miniere di carbone a cielo aperto del Pianeta. Non solo andranno perduti terreni molto produttivi dal punto di vista agricolo, ma ben 40mila persone saranno costrette ad abbandonare subito le loro case. Tra questi almeno 2.200 indigeni, le cui famiglie hanno abitato nella zona per circa 5mila anni. Ma il conteggio dei soggetti da rilocare aumenta se si considerano anche i canali e i pozzi che saranno prosciugati a causa della miniera. In quel caso arriviamo a quasi un quarto di milione di persone residenti in un centinaio di villaggi, tra cui 50mila indigeni appartenenti a 23 differenti gruppi tribali, almeno stando alla ricerche eseguite dall'organizzazione Jatiya Adivasi Parishad.
La cittadinanza locale, come si può immaginare, non è rimasta indifferente e dal 2005 sta protestando contro il progetto. Nel 2006 è stato addirittura indetto uno sciopero nazionale della durata di quattro giorni, anche a seguito degli incidenti occorsi durante una manifestazione non violenta, quando tre attivisti morirono e centinaia rimasero feriti sotto il fuoco delle forze dell'ordine. A quel tempo la poderosa mobilitazione di piazza aveva fatto cambiare idea all'esecutivo del Bangladesh, che di lì a poco aveva dichiarato solennemente che nel Phulbari non si sarebbe sviluppata nessuna miniera a cielo aperto. Un proposito a cui il governo di Dhaka non ha tenuto fede, tanto che a breve renderà pubblica una nuova politica carbonifera molto «amichevole» nei confronti delle società straniere e che sconfesserà del tutto quanto disposto cinque anni fa.
La Global Coal Management Resources ha in programma di estrarre 570 milioni di tonnellate di carbone in un periodo della durata di 30 anni, costruire una centrale e divergere il corso di vari fiumi per permettere l'accesso alle navi che trasporteranno il carbone direttamente in mare, passando per varie foreste di mangrovie di gran pregio. La compagnia promette posti di lavoro, royalties al sei per cento e, alla fine del progetto, un bel lago al posto dell'immenso foro lasciato dalla miniera. La popolazione locale controbatte denunciando che la scomparsa di ettari coltivati a riso e ad altre sementi non costituirà un danno solo per la regione, ma per tutto il Bangladesh, dove la metà degli abitanti sono malnutriti.
L'elemento chiave di tutta questa storia sono proprio le compensazioni. Di terreni a disposizione dei soggetti rilocati non ce ne sono e i pagamenti in denaro, come dimostrano diversi studi, non risolvono il problema ma creano solo nuovi «rifugiati a causa delle politiche sviluppiste». Le tradizioni culturali e religiose delle comunità indigene sono anch'esse destinate a perire sull'altare delle attività estrattive. Alcuni esponenti dei gruppi tribali, però, hanno già fatto sapere che non intendono abbandonare i luoghi abitati da centinaia di anni dalle loro famiglie.
Ulteriore aspetto che non va sottovalutato sarà l'aumento di emissioni di gas serra legato al progetto. Oltre al danno, la beffa, visto che il Bangladesh è uno dei Paesi più soggetti a inondazioni e agli effetti nefasti dell'innalzamento del livello dei mari, provocato proprio dal surriscaldamento globale. E pensare che c'è chi, come il direttore del Goddard Space Institute della Nasa James Hansen, sostiene che cessando le emissioni derivanti dall'utilizzo del carbone rappresenterebbe l'80 per cento della ricetta per porre un freno ai cambiamenti climatici.

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12 febbraio 2011

Per la sopravvivenza della specie

Da Greenreport.it l'articolo: C'è futuro per l'umanità? Solo se sapremo coevolverci con la natura

"In questi giorni l'European environment agency ha diffuso una nota dal titolo "Analysing and managing urban growth" (vedasi sito www.eea.europa.eu ) nel quale ricorda come la copertura artificiale del suolo ha avuto in Europa, un incremento del 3.4% dal 2000 al 2006, di gran lunga l'incremento maggiore rispetto a tutte le categorie di uso del suolo. In base ai dati di un progetto europeo, il PLUREL del 2010, le aree peri urbane (discontinue) crescono in maniera quattro volte più rapide dell'aree urbane continue. Già nel 2006 l'EEA aveva pubblicato l'ottimo rapporto "Urban sprawl in Europe. The ignored challenge" dove si faceva il punto sulla rapida diffusione delle aree urbane nel nostro continente.

Dal 2009, secondo i dati della Population Division del Department of Economic and Social Affairs delle Nazioni Unite, oltre la metà della popolazione umana vive in aree urbane (il dato preciso registrato dall'ONU in quell'anno è stato di 3.42 miliardi nelle aree urbane rispetto a 3.41 miliardi presenti nelle aree rurali). Il numero di esseri umani che vivranno in tali aree tende inevitabilmente a crescere. L'ultimo rapporto delle Nazioni Unite disponibile in merito è il "World Urbanization Prospects. The 2009 Revision" che fa presente come la popolazione che vive in aree urbane passerà dai 3.4 miliardi del 2009 ai 6.3 miliardi del 2050.

Si tratta di una crescita di 2.9 miliardi, a fronte di una popolazione planetaria che nel 2009 era di 6.8 miliardi e che nel 2050 dovrebbe essere di 9.1 miliardi. Inoltre questa significativa crescita della popolazione urbana avrà luogo nelle città delle aree meno sviluppate del mondo. Nel 2009 il 75% degli abitanti delle aree più sviluppate del mondo vivevano in aree urbane rispetto al circa 45% degli abitanti delle aree meno sviluppate, proporzione che, nel 2050, dovrebbe essere rispettivamente dell'86% e del 66%.

Nel 2009 i 21 agglomerati urbani qualificati come "megacities", le megacittà, registravano non meno di 10 milioni di abitanti. La più grande megacity planetaria nel 2009 è Tokyo con 36.5 milioni di abitanti seguita da Delhi con 21.7, San Paolo in Brasile con 20 milioni, Mumbay in India con 19.7 e Città del Messico con 19.3 milioni.
Nel 2025 Tokyo dovrebbe mantenere il 1° posto con 37.1 milioni, seguita da Delhi con 28.6, Mumbay con 25.8, San Paolo con 21.7 e Dhaka in Bangladeh con 20.9.

Nel prossimo mese di marzo le Nazioni Unite dovrebbero produrre il loro rapporto biennale sulla popolazione mondiale "World Population Prospects: The 2010 Revision" e ovviamente ne daremo conto sulle pagine di questa rubrica. L'attenzione sui numerosi aspetti ambientali, sociali ed economici che il fenomeno dell'urbanizzazione presenta sta crescendo in tutti gli ambiti delle nostre conoscenze teoriche e delle pratiche gestionali e operative.

Ci attende un mondo sempre più urbano. L'impatto della crescita dell'urbanizzazione sui sistemi naturali va ben oltre la semplice trasformazione fisica delle stesse aree urbanizzate, come ci dimostra l'ultimo interessantissimo lavoro dell'ecologo Erle Ellis, dell'Università del Maryland, "Anthropogenic transformation of the terrestrial biosphere" apparso sul numero del 2 febbraio scorso della prestigiosa rivista "Philosophical Transactions of the Royal Society A" (vedasi il suo sito www.ecotope.org ) .

Sono anni che Ellis ed i suoi colleghi illustrano, con ricche e documentate ricerche la presenza, sulle terre emerse del nostro meraviglioso pianeta, di quelli che vengono ormai definiti biomi antropogenici; i biomi cioè dei sistemi naturali così profondamente trasformati dall'intervento umano tanto da richiedere una nuova classificazione e la definizione generale, appunto, di biomi antropogenici.

Come ha scritto lo storico John McNeill nel suo bellissimo volume "Qualcosa di nuovo sotto il sole" (Edizioni Einaudi, 2002): " Nel XX secolo il processo di urbanizzazione ha avuto ripercussioni enormi sull'intera vita dell'uomo ed ha rappresentato una frattura notevole rispetto ai secoli precedenti. In nessun altro luogo come in città l'uomo ha alterato l'ambiente: ma l'impatto delle città è andato ben al di là delle mura cittadine. L'espansione urbana è stata fonte primaria di cambiamento ambientale." Nel XX secolo le città sono diventate l'habitat più diffuso della specie umana riconfigurando anche il mondo rurale e convertendone una parte sempre più ampia alla soddisfazione delle esigenze della popolazione urbana. Questi fenomeni saranno sempre più accentuati in questo secolo. La scienza della sostenibilità si occupa di analizzare e studiare le relazione dei Social ecological systems, quindi le interazioni tra sistemi naturali e sistemi sociali, comprendendo quanto il metabolismo sociali intacchi, modifichi, stravolga i metabolismi naturali.
Dall'inizio dello scorso decennio il Sustainable Europe Research Institute (SERI), insieme ad altri prestigiosi istituti scientifici, ha contribuito notevolmente alle ricerche sui metabolismi urbani rendendo noto i dati sui flussi di materia a livello mondiale e per singoli stati, derivanti dalle più recenti ricerche (vedasi il sito http://www.materialflows.net ).

Il consumo mondiale di risorse naturali come il petrolio, il carbone, i metalli, i materiali da costruzione ed i prodotti dell'agricoltura e della selvicoltura è aumentato anno dopo anno. La quantità annuale di risorse estratte dagli ecosistemi del mondo è cresciuta dai 40 ai 60 miliardi di tonnellate annue dal 1980 al 2008.
Nello stesso tempo il progresso tecnologico ha consentito una maggiore efficienza della produzione. Rispetto al 1980 oggi, mediamente, si utilizza un 25% in meno di risorse naturali per produrre un' unità di valore economico.

Nonostante ciò, essendo l'economia mondiale cresciuta nello stesso periodo dell'82%, questo guadagno di efficienza viene, di fatto, sorpassato dalle dimensioni e dall'incremento complessivi della produzione e del consumo.
Gli scenari futuri dimostrano ulteriori preoccupanti livelli di crescita. Gli studiosi stimano un'estrazione di risorse di 80 miliardi di tonnellate per il 2020, e sembra superfluo ricordare che oggi, gli abitanti in Africa consumano almeno dieci volte di meno degli abitanti nei paesi industrializzati.

Questo flusso di energia e materie prime viene accelerato nei sistemi urbani.
Il grande ecologo Eugene Odum, scomparso nel 2002, nel suo bellissimo "Basi di ecologia" (edizioni Piccin, 1988 che deriva dal suo "Fondamenti di ecologia", sempre edito in italiano da Piccin e del quale nel 2006 è stata pubblicata la nuova edizione ) ha infatti definito la città come un incompleto sistema eterotrofo (gli eterotrofi sono gli esseri o i sistemi viventi che consumano i nutrienti ed i vari composti organici per mantenere il proprio sviluppo); è cioè un sistema dipendente da ampie aree limitrofe per l'ottenimento di energia, cibo, fibre, acqua e degli altri materiali.

Odum ricorda che la città differisce da un ecosistema eterotrofo naturale, come una comunità di ostriche, perché (1) ha un metabolismo molto più intenso per unità di area e richiede quindi un flusso molto maggiore di energia concentrata in entrata (attualmente costituito soprattutto da combustibili fossili), (2) ha una grande richiesta in entrata di materiali, come metalli per uso commerciale ed industriale, oltre le materie prime necessarie al sostentamento della vita ed (3) ha un'uscita molto elevata di sostanze di rifiuto pericolose, la maggior parte delle quali sono sostanze sintetiche molto più tossiche dei loro progenitori naturali.

Odum afferma : "La rapida urbanizzazione e sviluppo delle città, durante l'ultimo mezzo secolo, ha cambiato la faccia della terra probabilmente più di ogni altra attività umana nel corso della storia [...] Anche nelle zone economicamente povere, le città stanno crescendo molto più velocemente della popolazione in generale. Le città non occupano una grandissima area della Terra, ma solo una superficie dall'1 al 5%. Le città alterano la natura dei fiumi, delle foreste, delle praterie e delle terre coltivate, per non menzionare l'atmosfera e gli oceani, dato il loro impatto con estesi ambienti limitrofi. Una città può influenzare una foresta da lei distante, non solo direttamente per l'inquinamento dell'aria o per il consumo del legname, ma anche indirettamente alterando la gestione forestale....... La città moderna è un parassita dell'ambiente rurale dato che, con l'attuale gestione, la città produce poco o niente cibo o altri materiali organici, non purifica aria e ricicla poco o niente dell'acqua o dei materiali inorganici."

Abel Wolman in un noto articolo apparso su "Scientific American" nel 1965, intitolato proprio "The metabolism of cities" si occupò proprio del metabolismo urbano applicando quindi i meccanismi tipici del metabolismo di un sistema naturale ad un sistema altamente artificiale, prodotto dall'azione umana.

Wolman faceva presente che sono tanti i flussi che vengono canalizzati da un sistema urbano e tanti sono quelli che ne fuoriescono. In particolare individuava tre input e cioè acqua, cibo e combustibili e tre output e cioè acque reflue, rifiuti solidi ed inquinanti atmosferici.
Il bilancio dei flussi di materia ed energia che attraversano un sistema urbano sono certamente significativi, soprattutto in città con una presenza importante di popolazione e quindi con una maggiore richiesta di energia e materie prime.

Oltre all'incremento dei flussi di materia ed energia la crescita dei sistemi urbani provoca uno dei fenomeni più preoccupanti per la modificazione degli ambienti naturali e cioè la frammentazione ambientale , come dimostrano chiaramente tra i tanti, i lavori del citato Ellis.
Oggi in Europa almeno il 75% della popolazione vive in aree urbane. Più di un quarto del territorio dell'Unione Europea è direttamente coinvolta da un utilizzo urbano del suolo; al 2020 si stima che circa l'80% della popolazione europea vivrà in ambienti urbani mentre in sette paesi questa percentuale sarà del 90%.

Ormai assistiamo ad un paesaggio sempre più modificato a causa delle nuove tipologie abitative, dal turismo, dalla crescente urbanizzazione delle aree costiere; in questo paesaggio in continua modificazione assistiamo alla dispersione e diffusione delle città, alla formazione di vere e proprie "conurbazioni", una sorta di continuum urbano ampiamente esteso.

Storicamente la crescita delle città è stata sempre legata all'incremento della popolazione. Oggi in situazioni come quella europea, la crescita dei sistemi urbani non deriva direttamente dalla crescita della popolazione ma da diversi fattori come gli spostamenti di popolazione dal centro delle città in ambienti suburbani.

I fenomeni che agiscono sul cambiamento di utilizzo del suolo costituiscono un tema centrale per il nostro futuro. I sistemi urbani sono sempre più sistemi dissipativi di energia e risorse, producono sempre più scarti e rifiuti e trasformano sempre di più il suolo del nostro pianeta.
Questi problemi, correlati all'insieme interconnesso degli altri aspetti del nostro impatto sui sistemi naturali, ci indica la necessità di azioni urgenti che rimettano il futuro delle società umane in un ambito di vera e propria coevoluzione con la natura.
La sfida di questo secolo è proprio quella di avere la lungimiranza, la capacità di futuro, la capacità innovativa, necessarie a cambiare strada.
Ce la faremo ? La risposta la possiamo dare solo noi.

* direttore scientifico di Wwf Italia

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5 febbraio 2011

comprendere il problema energia

Un interessantissimo articolo da Greenreport
"Se un avatar di second life consuma più energia di un africano...

In varie occasione, nelle pagine di questa rubrica, ho semplificato le sfide dovute alla complessità delle relazioni tra specie umana e sistemi naturali, ricordando la famosa equazione dell'impatto che il grande ecologo Paul Ehrlich ed il noto esperto di questioni energetiche John Holdren, sintetizzarono agli inizi degli anni Settanta del secolo scorso, sulle pagine della prestigiosa rivista scientifica "Science" (e che furono oggetto di un interessante dibattito tra lo stesso Paul Ehrlich ed un altro grande studioso dei sistemi naturali, Barry Commoner sul valore da fornire ai diversi fattori considerati). L'equazione, come ricorderete, è I = P x A x T. I sta per impatto, P per popolazione, A per "affluence" cioè stile di vita e T per tecnologia, ciò vuol dire che l'impatto umano sui sistemi naturali è fondamentalmente rappresentato dal prodotto di questi tre fattori. Relativamente alle problematiche rappresentate per il nostro futuro dalle questioni energetiche, Paul and Anne Ehrlich scrivevano nel loro volume "Per salvare il pianeta. Come limitare l'impatto dell'uomo sull'ambiente" (Franco Muzzio editore, 1992) : «L'energia è al centro della nostra vita: se essa non viene continuamente fornita alle cellule del nostro corpo, moriamo. L'energia fa funzionare gli ecosistemi che sostentano la società. Essa è anche essenziale per la vita della civiltà; se la società industriale non consumasse una grande quantità di energia, collasserebbe. Non sorprende quindi che l'uso dell'energia sia tanto fondamentale nell'assalto che l'uomo porta all'ambiente da poter svolgere da surrogato nell'equazione I=PAT» . I coniugi Ehrlich in questo loro bel libro sottolineano la situazione energetica al 1990. Venti anni fa nei paesi ricchi vivevano circa 1,2 miliardi di persone, con una media di consumo pro capite di 7,5 kW-anno per un totale di 9 TW-anno (il terawatt, TW, è un miliardo di kW), mentre nei paesi in via di sviluppo vi erano circa 4,1 miliardi di abitanti con un consumo medio di energia di 1,0 kW-anno pro capite, per un totale di 4,1 TW-anno. Il consumo totale di energia nel mondo intorno al 1990 era quindi di13,1 TW- anno.

In un rapporto dello Stockholm Environment Institute (SEI) curato da Schippers e Meyers dal titolo "Energy Transitions" , John Holdren, allora all'University of California a Berkeley (oggi Holdren è capo scientifico della Casa Bianca) elaborò uno scenario energetico definito "ottimistico", dal titolo "The Transition of Costlier Energy" nel quale, partendo dalla situazione 1990, si prevedeva per il 2025, una situazione in cui i paesi poveri, con una popolazione stimata di 6,8 miliardi, raggiungessero un consumo di energia primaria di 2,0 kilowatt-anno, per un totale di 13,6 TW-anno, rispetto ad un abbassamento del consumo energetico dei paesi ricchi, con una popolazione di 1,4 miliardi, di 3,8 kilowatt-anno per un totale di 5,3 TW-anno, con un totale complessivo di 18,9 TW-anno. Nel resto di quello che, allora era ancora il nuovo secolo, cioè entro il 2100, lo scenario di Holdren prevedeva una convergenza tra paesi ricchi e paesi in via di sviluppo su di un consumo medio di energia primaria pro capite di 3 kW-anno, cioè, prevedendo per una popolazione non superiore ai 10 miliardi, un consumo totale di energia di 30 TW-anno. Lo scenario di Holdren assume che la consistenza numerica della popolazione possa essere limitata a 10 miliardi e che si possa ottenere un tenore di vita di buon livello, con un consumo di energia equivalente da un terzo ad un quarto di quello presente, negli Stati Uniti, ai primi anni Novanta del secolo scorso. Lo scenario BAU (Business As Usual) a fronte di quello previsto da Holdren, per il 2100 prevede consumi energetici addirittura di 75 TW-anno, ritenuti necessari per dare a 10 miliardi di abitanti uno stile di vita simile a quello dei ricchi degli anni Novanta; stili di vita alimentati da tecnologie degli anni Novanta che richiedono 7,5 kW-anno pro capite.

Proprio in questi giorni è stato pubblicato anche il bellissimo volume, "Energy for a Sustainable World. From the Oil Age to a Sun-Powered Future" , edito da Wiley-VCH, di due grandi studiosi italiani di chimica e di energetica, Nicola Armaroli dell'Istituto per la sintesi organica e la foto reattività del CNR e Vincenzo Balzani, professore di chimica all'Università di Bologna, uno dei nostri più autorevoli scienziati di fama internazionale, che da decenni si occupa di fotochimica sopramolecolare, nanotecnologia e fotosintesi artificiale. Armaroli e Balzani sono autori di altri due bei volumi sulle questioni energetiche, l'ultimo dei quali "Energia per l'astronave Terra" pubblicato da Zanichelli nel 2008 è stato più volte richiamato nelle pagine di questa rubrica e costituisce uno strumento assolutamente indispensabile per chiunque voglia comprendere bene questo complesso problema.

Nell'Appendice dell'ultimo volume, Armaroli e Balzani, ricordano alcuni dati fondamentali sul nostro consumo energetico. Ogni secondo l'umanità consuma attualmente circa 1000 barili di petrolio, 93000 metri cubici di gas naturale e 221 tonnellate di carbone. Se desiderassimo mantenere il trend dell'incremento del consumo energetico che abbiamo avuto nell'arco degli ultimi 60 anni , fino al 2050 vi sarebbe la necessità di costruire ogni giorno circa tre centrali a carbone, o due impianti nucleari o 10 chilometri quadrati di moduli fotovoltaici. Un Avatar di Second Life, quindi una persona digitale creata in un mondo virtuale al computer, consuma oggi più elettricità di una persona reale in un paese in via di sviluppo. Armaroli e Balzani ci ricordano che i 2,3 miliardi di persone che popolavano la Terra nel 1950 consumavano 2.85 TW, corrispondenti a 1.1 TW ogni miliardo di persone. Nel 2010 la popolazione mondiale di 6,8 miliardi di abitanti consumava 15 TW, cioè circa 2.2 TW per ogni miliardo di persone. Proseguendo su questo trend nel 2050, il tasso di consumo potrebbe essere oltre i 40 TW, con una popolazione di oltre 9 miliardi. Per affrontare un incremento di circa 24 TW tra il periodo attuale ed il 2050 dovremmo costruire l'equivalente di 48000 centrali a carbone (da 500 MW ciascuna) oppure 24.000 centrali nucleari (da 1 GW a testa) oppure 150000 chilometri quadrati di moduli fotovoltaici (che potrebbero coprire, in pratica, metà della superficie del nostro Bel Paese). E' evidente che scenari di questo tipo sono insensati perché, invece, dovremmo, nel frattempo, agire concretamente per ridurre in maniera drastica le emissioni di anidride carbonica, mentre non abbiamo ancora soluzioni al problema della sistemazione sicura delle scorie nucleari ed esistono ovvie ed evidenti limitazioni alla disponibilità di risorse, ambienti e territori. Armaroli e Balzani affermano chiaramente che la sola possibile risposta alla richiesta di espansione delle domande di energia non può più essere quella di prolungare l'incremento della produzione energetica, ma, piuttosto, la necessità di ridurre il consumo energetico.

I coniugi Ehrlich scrivono nel libro già citato: «Il modello dei consumi energetici in tutto il mondo è un modello di crescente dipendenza da risorse non rinnovabili, piuttosto che da quelle rinnovabili o, in termini economici, dalle scorte piuttosto che dai flussi [..] Il consumo di energia è chiaramente un settore primario in cui l'umanità sta vivendo sul capitale, non sul reddito».

Proprio ieri il WWF ha rilasciato un interessante rapporto dal titolo "The Energy Report. 100% Renewable Energy by 2050", frutto di due anni di lavoro con il noto gruppo di analisi energetica Ecofys e OMA (The Office of Metropolitan Architecture) . La grande sfida che si pone il rapporto è prevedere uno scenario con possibilità di riduzione della domanda, eliminazione degli sprechi e incremento dell'efficienza e del risparmio. D'altronde solo così, come abbiano sin qui visto, è possibile avviare un futuro energetico significativo. Il rapporto prova a documentare la possibilità realistica di soddisfare, entro il 2050, tutte le esigenze mondiali di energia alimentate in modo pulito,rinnovabile ed economico con gli investimenti bilanciati dai benefici, un risparmio di almeno 4.000 miliardi di euro l'anno entro il 2050( grazie ai risultati della maggiore efficienza energetica), con investimenti significativi nel comparto delle rinnovabili e con il risultato di una riduzione di emissioni di CO2 dell'80%. Secondo lo scenario WWF-Ecofys, nel 2050 la richiesta totale di energia viene valutata inferiore del 15% di quella del 2005, malgrado l'aumento della popolazione, della produzione industriale, del trasporto e delle comunicazioni - rendendola comunque disponibile anche a coloro che attualmente non ne hanno (il rapporto si apre proprio ricordando che ancora oggi 1,4 miliardi di persone non hanno accesso a forniture affidabili di elettricità).
In particolare, in armonia con molte delle questioni e delle proposte trattate nel volume di Armaroli e Balzani, il rapporto ricorda che l'energia solare può contribuire significativamente a questo scenario. Attualmente solo per lo 0,02% della nostra produzione totale di energia è basato sul solare, ma questa quota sta crescendo rapidamente.

Nello scenario Ecofys, entro il 2050 l' energia solare potrebbe fornire circa metà di tutta il nostro fabbisogno elettrico, metà del riscaldamento degli edifici e il 15 % del calore per il settore industriale. Per quanto riguarda il vento, oggi l'eolico soddisfa circa il 2% della domanda globale di elettricità', con una potenza più
che raddoppiata negli ultimi quattro anni. In Danimarca, l'energia eolica già rappresenta un quinto della produzione di elettricità a livello nazionale. L'eolico, secondo lo scenario proposto nel rapporto del WWF, potrebbe soddisfare un quarto del fabbisogno mondiale di elettricità entro il 2050, se saranno confermati gli attuali tassi di crescita, con l'installazione di ulteriori generatori di cui 1.000.000 sulla terraferma, in mare o vicino alla costa, e 100.000 in alto mare.
Per l'energia geotermica, la potenza installata sta crescendo al ritmo di circa il 5% l'anno e l'analisi di WWF-Ecofys indica che si potrebbe sperare di raddoppiare questo tasso di crescita, fino a raggiungere il 4% circa dell'intera produzione elettrica nel 2050. Minori performance sono invece previste, nel 2050, per l'energia idroelettrica che, secondo le proiezioni contenute nel rapporto, dovrebbe fornire il 12% della produzione totale di elettricità, rispetto al 15% odierno mentre dal fronte della bioenergia, il 60% dei combustibili e del calore necessari per l'industria potrebbe provenire dalle biomasse. Il 13% del calore necessario per gli edifici proverrà dalle biomasse, e le biomasse saranno ancora necessarie nell'ambito del mix per la produzione di elettricità (circa il 13%), ai fini del bilanciamento con altre tecnologie delle energie rinnovabili. Il rapporto è scaricabile dal sito del WWF Internazionale www.panda.org e da quello del WWF Italia www.wwf.it con una sintesi in italiano.

Le politiche energetiche dell'immediato futuro dovranno certamente cambiare rotta rispetto ai percorsi seguiti sino ad ora.

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1 febbraio 2011

"Se la situazione è davvero così grave, perché non ne parla nessuno?"

Da Savonaeponente.com
di VALERIA ROSSI, in rappresentanza dell’U.C. Savona – Qualche lettore, commentando articoli che su questo giornale accusano la centrale a carbone Tirreno Power di Vado Ligure di inquinare causando gravi danni alla salute, ogni tanto ci chiede: “Ma se la situazione fosse davvero così grave, perché non ne parlerebbe nessuno?”
Ecco: oggi ve lo spieghiamo, il perché.

25 gennaio 2011
L’Unione Cittadini e Comitati savonesi, dopo aver presentato esposto alla Procura di Savona, pensa sia necessario fare un ulteriore passo per spiegare
ai concittadini le proprie motivazioni, e cioè la reale situazione dell’aria che respiriamo, che viene spesso ignorata o addirittura travisata dai media.
I membri dell’U.C. quindi si autotassano per poter pubblicare, a pagamento, una serie di mezze pagine non aggressive, ma semplicemente informative, sulle domande che da troppi anni attendono risposte sul territorio e sulla consapevolezza scientifica che il carbone UCCIDE.

26 gennaio 2011
Contattiamo l’agenzia pubblicitaria de “La Stampa”: Publikompass.
Parliamo con una gentilissima agente, le spieghiamo esattamente di cosa si tratta, ci risponde che si può fare e concordiamo il prezzo.
La signora ci spiega che sarà necessaria l’approvazione dello staff redazionale che si occupa di verificare che le pagine a pagamento siano a norma di legge (ovvero che non contengano, ovviamente, offese, messaggi minatori o simili).
Poiché il nostro breve redazionale non contiene nulla di tutto ciò, inviamo sereni la nostra paginetta: e a distanza di un paio d’ore ci viene comunicato che l’autorizzazione è stata concessa, ma che è condizionata alla firma di una manleva.
Questa richiesta potrebbe anche apparire eccessiva in un Paese civile, visti i contenuti equilibrati e civili (oltre che scientificamente inattaccabili) del nostro messaggio: ma siamo in Italia e ne siamo tristemente consapevoli.
Quindi la portavoce firma e spedisce subito la manleva, sollevando così il giornale da qualsiasi responsabilità che potesse derivargli… dall’aver pubblicato la verità.

A questo punto… succede qualcosa.
Ovvero, parte una vera e propria operazione di CENSURA.
Infatti, tanto per cominciare, ci viene comunicato che il prezzo “per questo tipo di comunicazione” è il DOPPIO del prezzo concordato all’inizio.
QUALE “tipo di comunicazione”?, chiediamo stupefatti. E perché lo scopriamo solo a distanza di 3 ore dall’invio e dall’approvazione della bozza?
L’agente ci spiega, imbarazzatissima, che “i redazionali costano il doppio delle inserzioni commerciali”. E già il concetto in sé suona stranissimo, visto che un inserzionista commerciale acquista pagine per il proprio tornaconto, e noi no.
Come può una pubblicità costare meno di un redazionale pagato da persone che cercano di attirare l’attenzione dei loro concittadini su un problema di SALUTE PUBBLICA senza alcuno scopo di lucro, anzi autotassandosi?
Ci saremmo aspettati che questo tipo di spazio venisse offerto, semmai, a un prezzo inferiore, un po’ avviene per le “Pubblicità Progresso”: invece ci chiedono il DOPPIO…e sembrerebbe assurdo anche se non avessimo avvisato preventivamente del “tipo” di messaggio che volevamo mandare. Ma noi l’avevamo dichiarato SUBITO! Fin dal primo contatto.

Poiché la cosa comincia a somigliare a un vero e propro tentativo di boicottaggio, reagiamo con una certa indignazione: tanto che si schiera dalla nostra parte perfino l’agente con cui abbiamo parlato (e che sa bene che sta facendo una pessima figura, visto che è stata LEI a dirci il primo prezzo e a metterci la faccia).

Chiediamo di parlare con i suoi superiori, capendo il suo imbarazzo e la sua buona fede: ma è impossibile.
Si rifiutano proprio.
Non si abbassano a comunicare con la plebaglia (ovvero con i clienti meno abbienti, che possono permettersi solo qualche mezza paginetta: se telefonasse un grosso inserzionista, probabilmente salterebbero come grilli).
Ovviamente la scusa ufficiale è che “sono impegnati”.
Comunque dicono all’agente che “dev’essere lei a mantenere i rapporti con il cliente”: cosa che le riesce un po’ difficile, perché il cliente è MOLTO incavolato.
Alla fine questa signora, con un rarissimo esempio di correttezza, arriva a dirci che ci mantiene il prezzo promesso, e il resto ce lo mette lei di tasca sua.
La ringraziamo ed attendiamo fiduciosi la pubblicazione, che ormai non dovrebbe più trovare altri intoppi.

Invece li trova.
Ci richiama l’agente, ormai con una vocina tremante che sembra arrivare dall’oltretomba.
Dice che “le hanno comunicato che occorre un’ULTERIORE approvazione” da parte di non-si-sa-chi.
“Forse della Tirreno Power?” chiediamo: perché a questo punto la battuta sarcastica sale proprio spontanea alle labbra.
La mortificatissima agente non sa cosa dirci: balbetta qualcosa tipo “credo da parte dei legali, ma non lo so, non mi hanno dato spiegazioni”…e ci spiega che ormai l’uscita prevista per venerdì 27 (giorno che avevamo richiesto) è comunque saltata.
Se anche arrivasse questa approvazione se ne parlerebbe per il giorno successivo, e cioè sabato 28.
Rispondiamo che per noi va bene anche il sabato.

27 gennaio 2011
E’ venerdì…e naturalmente arriva la notizia definitiva che la pubblicazione NON è stata approvata.
Il tutto senza uno straccio di motivazione e senza che nessuno si disturbi a fare neppure una telefonata di scuse (esclusa quella della solita, disperatissima agente, che adesso deve anche “coprire un buco” nel giornale, in extremis, perché ci aveva tenuto lo spazio).
Non potendo sparare sulla croce rossa, non diciamo neanche una parola a quella signora, che più gentile e corretta di così non poteva essere. Inviamo invece un fax alla Publikompass con una richiesta di spiegazioni.
Il fax, fino a questo momento, non ha ottenuto alcuna risposta.

E adesso dobbiamo mostrarvi, almeno da queste pagine online, il terrificante messaggio che avevamo intenzione di far uscire:


Se faticaste a leggere il testo, visto che i caratteri appaiono molto piccoli, potete cliccare qui per scaricare il .pdf del formato originale.

Come crediamo sia evidente, non si trattava di insulti, né di incitamento alla violenza o di terrorismo: neppure di “terrorismo ambientalista” (termine tanto caro ai nostri potenti “avversari”).
Era solo un invito ai cittadini a non lasciarsi più prendere in giro, ad informarsi, a capire quello che sta succedendo nella nostra provincia (TUTTA, perché le ricadute delle emissioni interessano un raggio di 50 km e quindi interessano praticamente tutti i comuni da Albenga a Varazze, entroterra ampiamente compreso).
Era un tentativo di far sorgere gli stessi nostri dubbi e le stesse nostre domande in chi non se li è mai posti solo perché è stato tenuto all’oscuro del problema dai media (salvo poi dare, su tutti i giornali, immenso risalto ai risultati dello studio IST/ARPAL, che non ha MAI studiato la correlazione tra inquinamento e salute ma che è stato ingannevolmente spacciato come se li avesse a) esaminati, b) ritenuti soddisfacenti. QUELLO sì, che ha ottenuto i paginoni. E pure gratis).

Terrorismo? “Procurato allarme”? (perché ci hanno accusati pure pure di questo).
NO!
Semmai allarme vero, reale e concreto.
Un tentativo di informare migliaia di cittadini quotidianamente esposti ad emissioni venefiche a loro insaputa.

Certo, il “procurato allarme” è un reato e il “mancato allarme“, penalmente, no (o almeno, non per i giornali: per le istituzioni lo è): ma è sicuramente un vero e proprio “delitto” morale, etico, civile, sociale.
E’, che so, come vedere un principio di incendio e voltarsi dall’altra parte.
Come venire informati che sono state spedite mille lettere all’antrace rivolte a mille cittadini savonesi, e TACERE.
Il mancato allarme, di fronte a una vera e propria strage che si sta consumando quotidianamente sotto i nostri occhi, è una responsabilità terribile.

Possibile che a nessuno importi nulla, di questo?
Possibile che contino solo i soldi?

Evidentemente, in Italia, sì.
Ed avendolo già intuito, ci eravamo detti: PAGHIAMO anche noi, di tasca nostra, per poter esprimere la nostra opinione (che in realtà non è solo un “opinione”, essendo basata su fatti inconfutabili e dati scientifici certi).
Paghiamo di tasca nostra per diffondere – almeno a grandi linee, nel poco spazio che ci possiamo permettere – le informazioni in nostro possesso; ma anche per riuscire a spiegare, per esempio, ai lavoratori della Tirreno Power che NON abbiamo mai voluto la chiusura della fabbrica (come qualcuno vorrebbe far loro credere); che NON siamo i loro nemici, che vorremmo un dialogo con loro, per provare a cercare insieme soluzioni (che ESISTONO) capaci di salvare contemporaneamente lavoro e salute.

Ora abbiamo scoperto che NON SI PUO’ fare neanche questo, perché NON PAGHIAMO ABBASTANZA!
Perché la miliardaria Tirreno Power (ovvero Sorgenia, ovvero Gruppo CIR di De Benedetti) ha molti più soldi di un gruppo di normali cittadini e lavoratori.
E non importa che l’azienda ottenga regolarmente a pubblicazione di quello che noi riteniamo essere l’ESATTO CONTRARIO DELLA VERITA’, ovvero pagine e pagine di pubblicità che parlano di green economy e di energie rinnovabili come se fossero tra le loro priorità (poi vai a leggere il bilancio ufficiale pubblicato sul loro sito, e leggi: investimenti nell’anno 2009, euro ZERO) e di “carbone pulito” (la cui esistenza stessa è smentita dalla scienza ufficiale).
No, non importa.
Perché pecunia non olet.

Chi paga molto viene non solo pubblicato, ma anche sostenuto, appoggiato, addirittura osannato (perché se gli dici un solo “ba” contro, c’è il rischio che non paghi più…).
Chi paga poco viene censurato.

E non importa se oggi o domani (ma più probabilmente mai) la Publikompass ci darà una motivazione diversa da questa: visto come si sono svolti i fatti, non ci crederemo mai. E speriamo davvero che non ci creda nessun altro.

Speriamo che tutti vedano, invece, che tutto questo è incostituzionale, oltre che moralmente perverso.
Perché la Costituzione Italiana, all”art. 21, stabilisce che:

* Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
* La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.

E forse la seconda frase, volendosi arrampicare sugli specchi, si potrebbe intendere come riferita solo agli “organi” di stampa propriamente detti: quindi “non dovrebbero essere censurati” solo gli articoli dei giornalisti propriamente detti (cosa che peraltro succede in continuazione: ma viene raramente denunciata, con la scusa del “tengo famiglia”): ma la prima frase è cristallina, limpida, inequivocabile.
TUTTI hanno diritto di manifestare il proprio pensiero con “ogni mezzo di diffusione”. Ivi compresa, si presume, la pubblicazione a pagamento di notizie che non si riescono a far emergere semplicemente “comunicandole” a chi non vuole diffonderle.
O a chi riceve pressioni per non diffonderle e magari, con questo, si ritiene sollevato da ogni responsabilità.
Ma non è così, non sarà MAI così.
Anche se voi vi credete assolti, siete lo stesso coinvolti.


NOTA: Il presente articolo è di libera pubblicazione e diffusione: anzi, chiunque lo desideri è pregato di diffonderlo il più possibile, perché quello che è successo ieri a Savona succede continuamente in ogni parte d’Italia, a chiunque si sforzi di far conoscere i risultati della scienza su centrali a carbone, inceneritori e tutte le altre forme di inquinamento che stanno causando vere STRAGI un po’ ovunque.

NON SI PUO’ PIU’ SOGGIACERE ALLA CENSURA DEI POTERI FORTI SU CHI VUOLE SEMPLICEMENTE TUTELARE LA PROPRIA SALUTE E QUELLA DEI SUOI FIGLI.
CHIUNQUE POSSA FARLO, E IN QUALSIASI FORMA – ANCHE SOLTANTO CON LA DIFFUSIONE – PER FAVORE
CI AIUTI A COMBATTERE QUESTA PREVARICAZIONE.

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20 gennaio 2011

I veri costi del carbone.

Da Gaianews.it
"Converrà passare al 100% di energia da vento, sole e acqua entro il 2030

Uno dei fattori che più ostacolano la crescita delle energie rinnovabili è il loro costo. Attualmente, produrre energia con in vento o col sole costa molto di più che, ad esempio per l’Italia, acquistare elettricità prodotta dalle centrali nucleari della Francia. Ma questo ragionamento sembra fare acqua da tutte le parti, almeno secondo due ricercatori americani che hanno qualche giorno fa pubblicato la seconda parte di uno studio che chiarisce la distinzione tra il costo dell’energia eolica, per esempio, e quella delle fonti energetiche fossili tradizionali, come il carbone, che non contengono i costi sociali che pagheremo in futuro.

Nello studio di 21 pagine di Mark A. Delucchi, Professore di Studi sui Trasporti presso l’Università di California, Davis e Mark Z. Jacobson, professore di Ingegneria Civile e Ambientale presso la Stanford University, che non è stato finanziato da un gruppo di interesse, azienda o ente governativo, le conclusioni degli autori sono eloquenti: Quando i “costi esterni” del carbone (la salute umana e degli oneri ambientali della combustione di carbone a produrre elettricità) sono combinati con i costi di produzione del carbone (estrazione, trasporto, ecc.), ecco che il prezzo per l’energia ottenuta bruciando carbone nel 2005 variava da un minimo di 0,082 dollari per kilowatt-ora (kWh) ad un massimo di 0,290 $ per kWh. Guardando al 2030, il costo combinato di produzione di energia dal carbone e dei costi esterni sta nel range da 0,10 $ a oltre 0,30 $ per kWh. Questo negli Stati Uniti.

Questa è certamente un’informazione importante, considerando che il Dipartimento dell’Energia americano ha detto che a partire dal 2008, i parchi eolici in aree con risorse eoliche eccellenti (un bel po’ di sano vento) hanno avuto un costo in media di soli 0,059 $ per kWh, molto meno rispetto ai costi attuali e futuri dell’energia a base di carbone , documentata da Jacobson e Delucchi.

Inoltre, la ricerca di Delucchi e Jacobson mostra che “la produzione e i costi di trasmissione convenzionale” per l’energia eolica onshore (sulla terraferma) variano da 0,04 $ a 0,07 $ per kWh negli ultimi cinque anni. L’energia eolica offshore (in mare), mentre generalmente è più costosa rispetto all’energia eolica terrestre, è presentata nella relazione con un costo quasi simile al carbone, quando i costi esterni ( gli oneri sanitari e ambientali) del carbone sono incorporati. Ma è solo questione di tempo. Gli impianti eolici offshore, infatti, sono considerati dagli autori meno costosi rispetto al carbone dal 2020-2030.

Le conclusioni di Delucchi e Jacobson sono molto semplici: “La valutazione della fattibilità di fornire tutta l’energia di cui abbiamo bisogno, ovunque nel mondo, dal vento, dall’acqua e dal sole (Wind, Water, Solar, WWS), ossia una conversione del 100% della potenza da fonti di energia rinnovabili, ha ora soltanto scogli di tipo sociale e politico, non tecnologico e men che meno economico”.

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16 gennaio 2011

Il Movimento Nocoke Alto Lazio prepara una nuova battaglia legale per Civitavecchia

Comunicato stampa
"I comitati di Porto Tolle vincono la loro battaglia contro ENEL: condannati in cassazione gli ex amministratori delegati per i reati di emissioni moleste, danneggiamento all’ambiente, al patrimonio pubblico e privato e violazione della normativa in materia di inquinamento atmosferico provocati dalla centrale ad olio combustibile di Polesine Camerini.
Il Movimento Nocoke Alto Lazio prepara la battaglia legale per Civitavecchia.

E' una grandissima vittoria che premia il meticoloso lavoro compiuto dalla Procura di Rovigo a seguito delle numerose denuncie formulate da semplici cittadini che, consapevoli di non essere adeguatamente tutelati dagli Enti preposti a tale compito, si erano rivolti alla magistratura; un importante risultato che crea un precedente devastante per Enel che ora si troverà a rispondere, anche qui a Civitavecchia, dei danni che saranno provocati del carbone della centrale TVN.
La Cassazione ha, infatti, confermato la condanna per i vertici della centrale Enel di Porto Tolle tra cui gli allora A.D. Paolo Scaroni (oggi Eni - lo stesso che fece approvare la centrale di Torrevaldaliga Nord) e Franco Tatò nonché gli allora Direttori dell’impianto Zanatta e Busatto, riformando l'appello. Una sentenza resa possibile dalla dovizia di particolari contenuta nelle consulenze tecniche di cui si è avvalsa la Procura da parte di esperti come l'ingegner Paolo Rabitti, tra l'altro impegnato a provare altri disastri ambientali nei procedimenti penali di Porto Marghera o dello scandalo rifiuti di Napoli e della Campania, e che entra in stretta relazione con quanto sta accadendo a Rovigo dove il ministro Alfano ha, vergognosamente, inviato gli ispettori contro i pm Manuela Fasolato e Dario Curtarello che indagano sulla riconversione della stessa centrale Enel da olio combustibile a carbone.
Ci uniamo al comitato “Cittadini Liberi di Porto Tolle” nell’esprimere riconoscenza e gratitudine ai legali avv.ti Matteo Ceruti e Valerio Malaspina che hanno appoggiato sostenuto, in varie forme, l’azione di denuncia contro il funzionamento della centrale Enel di Polesine Camerini, sottolineando quanto le gravi inadempienze nella gestione della stessa fossero lesive della salute della popolazione residente nonché le gravi responsabilità dei vertici aziendali in tale contesto e che rende merito alla correttezza dell’impostazione accusatoria formulata dalla Procura della Repubblica di Rovigo e della posizione perseguita dalle parti civili rappresentate dai comitati, che sono stati gli unici soggetti a sostenere sino all'ultima fase processuale la tesi di un obbligo di controllo e di intervento sulla centrale di Porto Tolle, anche da parte dei massimi livelli societari.
Per Civitavecchia , attualmente una delle città tra le più compromesse dalle ricadute inquinanti a causa di 50 anni di servitù energetica imposta dallo Stato e dalle Amministrazioni ammaestrate dai fondi elargiti quali compensazioni, quello di Porto Tolle è l’esempio da imitare e che, nella convinzione che si sia compiuto un atto di GIUSTIZIA SOCIALE, sentiamo il dovere di chiedere anche per il nostro territorio.
Dopo anni di vessazione il Movimento Nocoke Alto Lazio ed il comitato dei Cittadini Liberi di Tarquinia inizieranno, con energia rinnovata, da questa vittoria, il percorso legale utile a denunciare il massiccio inquinamento, che ha reso tristemente noto il comprensorio per le statistiche di alta mortalità di patologie tumorali.

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28 dicembre 2010

Civitavecchia, Alto Lazio: bilancio di una situazione critica

Pubblichiamo l'articolo di S. Ricotti "Perchè non va alterato il sistema ambientale", dal numero di Dicembre 2010 della rivista FuturaMente.

Civitavecchia, poco più di 50.000 abitanti, 71 Km2 di territorio.

Due centrali termoelettriche (ma fino a pochi anni fa erano tre) per un totale di 3500 MW di potenza installata, 110 Km di elettrodotti, un porto tra i più grandi del Mediterraneo, un cementificio, una boa petrolifera posta al largo del porto, sei depositi costieri per oli minerali di cui quattro sottoposti a direttiva Seveso, un centro chimico militare per lo smaltimento delle armi chimiche della prima guerra mondiale (in particolare iprite) e al cui interno vi è lo stoccaggio dell’arsenico utilizzato per inertizzare quest’ultime; due discariche per RSU in fase di post mortem, una in fase di esaurimento, due discariche per rifiuti speciali e pericolosi ed infine, a pochi Km di distanza, la centrale di Montalto di Castro, in odore di riconversione nucleare.

Un territorio dove il mare non è balneabile, se non per piccoli tratti, l’acqua è in deroga per superamento dei parametri di arsenico, fluoruro, vanadio e selenio da oltre tre anni, dove le percentuali di mortalità e morbilità per neoplasie all’apparato respiratorio, per leucemie e linfomi e quant’altro sono al di sopra delle medie regionali e nazionali e dove, a fronte del ricatto occupazionale utilizzato per sponsorizzare questi impianti veleniferi, la disoccupazione supera il 20 %.

Sono sufficienti questi pochi dati per comprendere quali siano le conseguenze del vivere nel raggio di azione di una servitù energetica e, nel contempo, come questa comunità, succube del ricatto occupazionale e considerata variabile dipendente dei bilanci aziendali delle varie lobby agenti sul territorio, prima fra tutte l’ENEL, sia condannata a logorarsi al proprio interno.

Narrare di Civitavecchia significa narrare la storia di una colonizzazione lunga anni, la storia di un territorio artatamente e metodicamente preparato ad essere aggredito, privato della sua anima e del suo futuro, inquinato nelle coscienze prima ancora che nelle sue risorse naturali, significa narrare dell’inerzia, quando non subalternità, delle istituzioni, Comune in testa, ma anche dell’intero ceto politico del comprensorio, che ha consentito che ciò avvenisse, abbagliato dai milioni di euro per compensazioni ambientali riversati nelle casse dei comuni.

Come un leitmotiv si sente ripetere che la politica si deve misurare con la vita reale dei cittadini.

Ebbene le vite reali e materiali dei cittadini in questo territorio, come in tanti altri, costituiscono la concretezza di quelle percentuali di mortalità e morbilità per tumore bronchiale e pleurico, per asme ed allergie, per insufficienza renale cronica etc…, aspetti sui quali è palesemente e colpevolmente lacunosa la Valutazione di Impatto Ambientale come dichiarato dal Ministero dell’Ambiente e da quello della Salute.

Le vite materiali sono quelle dei lavoratori del cantiere, quasi tutti precari, che, dopo il becero ricatto occupazionale usato per far digerire il progetto, come hanno a più riprese denunciato i Sindacati, sono stati costretti a ritmi di lavoro serrati e ad operare nella sovrapposizione di operazioni lavorative di diverso genere, pagando con decine d’infortuni, come quelli che sono costati la vita a Michele Cozzolino, ad Ivan Cuffary e a Sergio Capitani, la totale latitanza dell’Enel che, in qualità di committente, avrebbe dovuto invece garantire l’andamento in sicurezza dei lavori.

Vite materiali su cui, la riconversione a carbone falsamente definito “pulito”, riverserà tonnellate di veleni: basti sapere che ogni ora la centrale emetterà 6.300.000 mc di emissioni, per 17 ore al giorno e 6500 ore l’anno, che significheranno l’immissione nell’atmosfera di 3450 t/a di ossidi di azoto, 2100 t/a di anidride solforosa, 260 t/a di polveri, 24 t/a di metalli pesanti quali mercurio, vanadio, nichel, cadmio, cromo, ammoniaca etc (dati ENEL).

Una riconversione, quella a carbone, che ha contrapposto lavoratori e popolazione contraria, ed ha costituto, negli anni scorsi, il nodo della grave lacerazione del tessuto sociale di Civitavecchia che si ritrova solo quando, unita nel dolore, quando piange i propri figli, morti sul lavoro o per neoplasie di vario tipo.

Un territorio che, però, rischia di rimanere rinchiuso nel suo dolore e nelle sue contraddizioni; di non trovare più l’orgoglio di pretendere rispetto nemmeno quando deve salvaguardare i propri figli, accettando silente che, ad esempio, dopo l’altisonante annuncio del sindaco Moscherini della chiusura per quindici giorni dell’impianto di Torrevaldaliga Nord, a seguito della infortunio costato la vita a Sergio Capitani, il cantiere venisse riaperto dopo poco più di 72 ore, tempo certo non sufficiente né a verificare a fondo, né tantomeno a ristabilire le condizioni di sicurezza.

Gli occhi dei lavoratori velati di lacrime al funerale di Sergio, offuscati da rabbia mista a rassegnazione, narravano della loro paura/certezza che tutto sarebbe tornato, come è tornato, a girare come prima, in quel cantiere della morte e che le loro vite sarebbero continuate ad essere, come lo sono, sacrificabili sull’altare della ricerca smodata di profitto.

Dubbi non certo infondati visto il silenzio assordante delle istituzioni, primo fra tutti proprio il Comune di Civitavecchia, sulle tante irregolarità rilevate in quella centrale.

Nulla sulle reiterate denunce dei sindacati e dei lavoratori che, a più riprese, e da svariato tempo, avevano espresso le proprie preoccupazioni riguardo la sicurezza, legate ai serrati ritmi lavorativi imposti e alla sovrapposizione di operazioni lavorative di diverso genere, oltre al non controllo di maestranze fortemente variabili e precarizzate, nella totale latitanza dell’Enel che, in qualità di committente, avrebbe dovuto garantire l’andamento in sicurezza del cantiere.

Nulla sulle inquietanti nubi, a volte rosse a volte bianche, che si alzano dalla centrale e che Enel, con arroganza offensiva, si affretta ad assicurare essere composta, a seconda dei casi, di ruggine o vapore acqueo e comunque confinata (sic!) nell’area di cantiere, come se, peraltro fosse normale che cittadini e lavoratori del cantiere siano costretti a respirare aria satura di ruggine!

Nulla sul rumore sordo e continuo che da tutte le parti della città stanno lamentando.

Nulla sui cumuli di rifiuti pericolosi accatastati e forse interrati in aree non autorizzate, né sulla gestione e stoccaggio delle ceneri a cielo aperto (ma che il progetto prevede debbano essere trattate in impianti sigillati e depressurizzati); fatti denunciati dal Movimento con video consegnatigli in forma anonima, che hanno condotto la Procura della Repubblica a sequestrare diverse aree del cantiere e a richiedere il rinvio a giudizio di ben undici persone.

Nulla sulle diverse deroghe ai limiti emissivi e alla gestione dei materiali pulverulenti richieste da ENEL al Ministero dell’ambiente; deroghe, che è bene specificarlo, non costituiscono solo un fatto teorico ma un’ulteriore immissione d’inquinanti nell’atmosfera con relative ricadute sulla salute.

Nulla sulla mancata ottemperanza di buona parte delle prescrizioni disposte dal decreto di Valutazione d’Impatto Ambientale.

Nulla, infine, sul fatto che l’impianto di Torrevaldaliga Nord sia in esercizio dal 24 dicembre 2008 in assenza di autorizzazione, motivo per il quale, a seguito della denuncia del Movimento, è stato avviato un procedimento che ha condotto il procuratore Capo Gianfranco Amendola a richiedere il sequestro dell’impianto successivamente rigettato dal Giudice per le Indagini Preliminari Giorgianni e che, dopo una prima richiesta di archiviazione ed una nostra opposizione alla stessa, è ancora in itinere.

Fatti che pongono in evidenza come la scelta del carbone a Civitavecchia, rappresenti l'eccellenza di scelte dissennate, irrispettose delle esigenze dei territori, dei cittadini che li abitano e della stessa legalità. Scelte antistoriche, il cui fallimento è immortalato nell’immagine di un pianeta sull’orlo del collasso ambientale ed energetico, incapaci, per loro stessa natura, di sostenere nuove strategie economiche che sappiano affrontare il nodo improcrastinabile della via d’uscita dalla produzione energetica da combustibili fossili.

Scelte che, al contrario, necessiterebbero di grande determinazione e forte radicalità politica, tale da superare le resistenze culturali di uno scientismo funzionale all'attuale sistema, i vincoli e i ritardi legislativi costruiti a difesa della filiera energetica da fonti fossili e la volontà tutta politica di garantire e perpetuare il modello di sviluppo.
Il vero partito del “No” non sono i territori che si contrappongono a scelte dissennate, ma il partito trasversale della “rinuncia”: la rinuncia a contrapporsi al pensiero dominante neoliberista e sviluppista, antidemocratico per definizione, vera causa della sofferenza di 4/5 dell’umanità e del processo galoppante di espulsione della nostra specie dal pianeta; quel partito che rinuncia a contrastare gli effetti dei cambiamenti climatici e l’avvelenamento della terra per garantire una speranza di futuro.
A Civitavecchia come altrove.


Simona Ricotti

Movimento No Coke Alto Lazio



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21 dicembre 2010

Sulle nuove centrali a carbone italiane

Da reteclima.it
Gli ultimi due progetti italiani di impianti a carbone si stanno per realizzare in Calabria: una nuova centrale a Saline Joniche (RC) a cui si aggiunge la riconversione a carbone dei gruppi a olio combustibile della centrale Enel di Rossano Calabro

Si tratta di due operazioni che comporteranno emissioni aggiuntive rispettivamente per 7,5 e 6,7 milioni di tonnellate di CO2 all'anno e che stanno incontrando forti resistenze sui territori dove andranno ad essere realizzate.

Ma a fianco di questo due esempi ci sono anche altri progetti italiani nel carbone: Civitavecchia (con riconversione ormai terminata, ed ora già attiva), Porto Tolle (sul delta del Po, in fase progettuale), Vado Ligure (SV), Fiume Santo di Sardegna (con iter autorizzativo da parte del Ministro dello Sviluppo Economico già terminato).

Secondo il report di Greenpeace sui grandi inquinatori recentemente diffuso, se alla centrale di Civitavecchia -riconvertita ed ora attiva- si affiancassero tutti questi nuovi gruppi o centrali proposti le emissioni di CO2 degli impianti a carbone raddoppierebbero in pochi anni passando dagli attuali 35,9 milioni di tonnellate a 74,8: un contributo di 38,9 MtCO2 che renderebbe impossibile il raggiungimento degli obiettivi nazionali al 2020.

Dal dossier di Greenpeace: "In Italia sono attive 12 centrali a carbone che nel 2009, a fronte di una produzione di solo il 13% di elettricità, hanno emesso addirittura il 30% dell’anidride carbonica prodotta complessivamente dal settore termoelettrico, con circa 36 milioni di tonnellate (Mt) di CO2 sul totale di circa 122" (quasi il 30%).

Secondo il report, tra tutte le attività coinvolte nel mercato europeo delle emissioni (EU-ETS) le centrali a carbone sono state le uniche ad emettere di più rispetto ai permessi gratuiti assegnati: mentre industria e settore termoelettrico nel complesso hanno visto ridurre significativamente le emissioni dal 2008 al 2009 e sono riusciti a rispettare gli obblighi di riduzione previsti dalla direttiva europea per il 2009 con ampi margini (rispettivamente 23 Mt e 3,5 Mt), gli impianti a carbone italiani hanno sforato di 3,6 milioni di tonnellate di CO2.

Il dossier di Greenpeace mostra come, oltre ad aggravare il problema emissioni, il carbone non serva all’Italia per risolvere i suoi problemi energetici ed anzi: "Peggiorerà la dipendenza energetica del nostro Paese dall’estero, visto che già oggi importiamo più del 99% del carbone utilizzato; non abbasserà la bolletta energetica del Paese, visto che dei potenziali risparmi nell’acquisto del combustibile beneficeranno soprattutto i bilanci delle aziende energetiche e faticheranno ad arrivare nelle bollette degli italiani; peserà alla fine sulle casse dello Stato visto che ci condannerà a pagare le multe di Kyoto e del 20-20-20.

Greenpeace constata come il carbone sia un combustibile a basso prezzo solo perché, oltre non vedere incluse nel prezzo esternalità negative come i danni ambientali e sanitari, è drogato dai sussidi statali: la Commissione europea ha stimato in circa 3 miliardi di euro all’anno i sussidi pubblici che hanno sostenuto la filiera europea del carbone tra il 2007 e il 2009 (2 dei quali in Germania).

A causa dei consumi sempre più importanti da parte dei paesi con economie emergenti, a partire da Cina e India, infine le riserve di carbone stanno diminuendo con tassi davvero inaspettati.

Per lo studio di Greenpeace: "Secondo le stime di Bp se 10 anni fa la disponibilità residua di carbone rapportata ai tassi di utilizzo era valutata in 240 anni, le ultime cifre aggiornate al 2010 sono scese addirittura a 119 anni. Continuando di questo passo tra 10 anni le riserve residue di carbone diventerebbero equivalenti a quelle di petrolio e gas, esauribili in 50-60 anni".

Si deve cambiare strada, per virtù o per necessità.

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13 dicembre 2010

"Tutto quadra" (purtroppo per noi)

L'analisi di Antonio Manunta

L'area coinvolta (litorale nord di Civitavecchia)

"E' impossibile non trarre le conclusioni che l'ostinazione del sindaco Moscherini a poter disporre delle zone alle spalle delle centrali elettriche e del porto, conduca oltre alla realizzazione del megaprogetto anche all'inceneritore presso la centrale Enel ed esattamente dove gli accordi prevedevano la piantumazione del bosco Enel di 40 ettari. E' la zona perfetta per la risoluzione ottimale dell'enorme problema dei rifiuti romani che essendo scarsamente differenziati sono della peggior specie sia per il presente conferimento in qualsiasi discarica che, ed è il nostro caso, per l'incenerimento. Ciò che rende più credibile ed attuabile questa soluzione è il passaggio della linea ferroviaria tirrenica esattamente lì, a ridosso delle grandi cupole deposito del carbone e al fianco dei bruciatori della centrale elettrica, con trasporto in carri ferroviari opportunamente predisposti da un punto di raccolta a Roma e convergenti con derivazioni ferroviarie e banchine in quell'enorme spazio dentro la centrale. Qualche malizioso potrebbe anche pensare che l'allarme su una megadiscarica nelle vicinanze del deposito NBCC di Santa Lucia sia un diversivo ad arte, per la sommatoria di problema trasporto, preparazione, gestione sito, impatto generale, ecc. a renderlo complicatissimo. Roma e Lazio conferiscono in discarica quasi 3 milioni di tonnellate annue, una quantità enorme di rifiuti contenenti tutta la materia fisica e chimica immaginabile, che tale rimane nonostante ripetuti proclami di aumento della differenziazione. Il trasporto è un pari problema per il numero e la circolazione di migliaia di camion sulle strade regionali e quindi il ragionamento ci porta dritti dritti e comodamente in treno, in bocca alla centrale Enel o meglio nelle caldaie dei bruciatori. Per Enel rappresenta combustibile, per Roma risparmio economico e per Civitavecchia introiti da servitù, con tutti gli attori soddisfatti ad esclusione di chi subirà il pesantissimo fattore ambientale dell'incenerimento massiccio dei rifiuti che si aggiunge a tutti gli altri inquinanti di terra, mare ed aria di cui Civitavecchia soffre. L' agire e il progettare per macrosistemi di Moscherini, con la sua convinzione che il resto si assesti da solo, a cascata, senza badare a chi e come si gestiscono i servizi aumenta questa convinzione. Egli probabilmente pensa che aumentando le entrate e i "fatturati" dell' "azienda Comune", comunque ed in qualsiasi modo avvengano, anziché ricercare un equilibrio gestionale, i problemi si auto-risolvono. La storia e l'analisi di città simili alla nostra dicono che problemi e disservizi aumentato in numero e in percentuale, e viene da chiedersi se tutte quelle persone che circondano Moscherini, quelle che lo approvano, lo adulano, lo sostengono, lo subiscono e che contrariamente a lui hanno intelligenze più terrene, con radici ed affetti in questo territorio, si fanno domande e riflettono su queste questioni.

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7 dicembre 2010

Disastro in Colombia: è questo il "carbone pulito" di ENEL, SEI & co.


Un bell'articolo di Stefania Summermatter, da swissinfo.ch
E' proprio questo: il "carbone pulito" di enel e della svizzera SEI

"Colombia, il lato oscuro delle miniere svizzere di carbone

In Colombia le attività minerarie hanno portato ricchezza, ma non per tutti. Se le multinazionali continuano a espandersi, il prezzo da pagare per le comunità locali è altissimo: villaggi evacuati, fiumi inquinati, sindacalisti messi a tacere. Violazioni che chiamano in causa pure un'impresa svizzera, che respinge però ogni accusa.

La Colombia è il quinto paese esportatore di carbone al mondo. Dalle miniere del nord, questa materia prima viene trasportata fino in Europa – soprattutto in Germania – e utilizzata per la produzione di energia elettrica. Le centrali a carbone tedesche riforniscono in parte anche le società svizzere, che negli ultimi anni hanno aumentato i loro investimenti nel carbone per coprire il fabbisogno di base.

In diversi paesi europei, l’utilizzo di questo combustibile fossile ha incontrato l’opposizione degli ecologisti per l’elevato tenore di emissioni di CO2 che diffonde nell’atmosfera. Le incognite legate al carbone non si limitano però alle sole centrali, ultimo anello di una catena produttiva, ma si spingono fino alle grandi miniere a cielo aperto che hanno ridisegnato il volto della cordigliera andina.

In paesi come la Colombia, l’estrazione del carbone è all’origine d’importanti violazioni dei diritti umani e del deterioramento dell’ecosistema. La denuncia non è nuova: da diversi anni infatti Amnesty International e il Gruppo di lavoro Svizzera Colombia si battono affinché le materie prime tornino a essere una risorsa per le comunità locali.

«La situazione nel nord della Colombia è particolarmente difficile. Per anni è stata teatro di scontri tra la guerriglia, le forze paramilitari e l'esercito statale», spiega Alfredo Tovar, sindacalista e operaio in una miniera del dipartimento del César. «E a farne le spese è soprattutto la popolazione locale: intere famiglie sono state allontanate o sono scomparse nel nulla. Lavoratori, rappresentanti comunali e dirigenti sindacali sono stati messi a tacere, o uccisi».

Alfredo Tovar è venuto fino in Svizzera per chiedere giustizia. Rivendica assicurazioni sociali per tutti gli operai, norme di sicurezza nelle miniere e un indennizzo alla popolazione per i danni subiti. «L’impatto ambientale dell’estrazione del carbone è enorme: i fiumi vengono contaminati e con essi anche la terra e il bestiame. Ciò significa che quei contadini che vivevano di agricoltura e pesca, ora non hanno più nulla da mangiare. Inoltre, dalle miniere si sprigiona una nube di polvere nera che è all’origine di gravi problemi respiratori».

Multinazionale svizzera nel mirino

In Colombia l'estrazione delle materie prime è, di fatto, monopolio di una manciata di multinazionali, alcune delle quali hanno sede in Svizzera. Alfredo Tovar lavora da anni alla miniera La Jagua, di proprietà della Glencore International AG tramite la società colombiana Prodeco.

Poco conosciuta dal grande pubblico, la Glencore International AG ha la sede principale nel canton Zugo e negli ultimi anni ha realizzato il fatturato più elevato della Svizzera (117 miliardi di franchi nel 2009), superando giganti come la Nestlé o la Novartis. In Colombia controlla due miniere di carbone a cielo aperto nel dipartimento del César e ha un accesso privilegiato al porto di Santa Marta (Magdalena).

Accompagnato da rappresentanti delle ONG svizzere, per conto del sindacato colombiano Sintramienergetica, Alfredo Tovar ha bussato alla porta della Glencore International AG, senza però ottenere risposta. La multinazionale è accusata di promuovere una politica poco trasparente, ostile ai sindacati e nociva all’ambiente.

«Non possiamo negare che la Glencore abbia portato lavoro in Colombia, ma questo non le conferisce il potere di violare i diritti dei lavoratori, di ostacolare la libertà sindacale, minacciando o licenziando gli operai che osano alzare la testa», denuncia Alfredo Tovar.

Nei dipartimenti del César e della Magdalena si concentra gran parte della ricchezza del paese, ma spesso i villaggi sono lasciati senza acqua potabile, elettricità e servizi sanitari. «La manodopera arriva soprattutto da altre regioni del paese e i profitti se ne vanno all’estero… mentre qui resta solo contaminazione e povertà. Come dipendente della Glencore chiedo un indennizzo alla regione per i danni causati e per il carbone che portano via, e chiedo il rispetto degli accordi sindacali che hanno firmato con noi lavoratori».

Non solo miniere

La Glencore International AG è rimasta sorda di fronte all’appello di Alfredo Tovar e delle ONG svizzere. Anche ai microfoni di swissinfo, l’azienda non ha voluto rilasciare dichiarazioni. Ha invece risposto con un comunicato stampa – firmato dalla società Prodeco – in cui afferma di avere un programma di responsabilità sociale e ambientale.

In sostanza, la multinazionale si presenta come il motore economico della regione: non solo ha messo a disposizione «oltre 5'000 impieghi (diretti o indiretti), di cui l’84% dei dipartimenti del César e della Magdalena)», ma ha anche cercato di «migliorare la qualità di vita delle comunità locali, attraverso la creazione di scuole e altre infrastrutture».

Alle accuse di violazione dei diritti sindacali, la società con sede a Zugo dice di agire «in conformità con le leggi colombiane che garantiscono libertà di associazione, vietano il lavoro forzato e assicurano condizioni di lavoro umane».

La Svizzera media, ma non interviene

La Glencore non è però nuova a questo tipo di denunce. Accusata di violazioni dei diritti umani e danni ambientali in diversi paesi in via di sviluppo, nel 2008 ha ricevuto il Public eye award di Davos, l’oscar della vergogna.

Di fronte alla gravità delle accuse, le ONG svizzere hanno chiesto a più riprese un intervento da parte delle autorità elvetiche. «La risposta è sempre la stessa», ci spiega Stephan Suhner dell’ONG Ask! (Gruppo di lavoro Svizzera-Colombia). «La Svizzera segue da vicino i dibattiti sull’industria estrattiva nei paesi del Sud, ma mantiene il massimo riserbo per non intromettersi in questioni di politica interna». Il Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) si limita così a «invitare le imprese ad attenersi ai principi volontari in materia di sicurezza e diritti umani», senza però intervenire.

Ai microfoni di swissinfo, il portavoce del DFAE Pierre-Alain Eltschinger ha precisato che «la Svizzera segue da vicino questo caso, in particolare per ciò che riguarda il rispetto dei diritti umani, ed è in contatto regolare con le imprese elvetiche coinvolte, la Glencore, i sindacati e le ONG colombiane». Inoltre, prosegue Eltschinger, «l'ambasciata svizzera in Colombia cerca di favorire il dialogo tra le multinazionali e le organizzazioni a difesa dei lavoratori» .

Alfredo Tovar è tornato in Colombia senza risposte. Ad attenderlo c'è una regione messa in ginocchio da anni di violenze e soprusi, la paura di ritorsioni e l'incertezza del domani. In Svizzera restano i profitti di un'attività ritenuta arbitraria e un monito che ha il sapore della lotta operaia: «L’acqua non è negoziabile. La vita non è negoziabile!».

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28 novembre 2010

Attività industriali e mutamenti climatici devasteranno il Pianeta

Le dichiarazioni dello scienziato statunitense James Hansen, docente alla Columbia University e direttore del Goddard Institute for Space Studies della NASA. Fonte.

"Tra qualche giorno, il prossimo lunedì per l’esattezza a Cancun inizieranno i lavori del Cop16, dove 196 paesi si confronteranno su cambiamenti climatici e riscaldamento globale. Dopo il Climategate cavalcato dai climanegazionisti e poi smentito, si torna a discutere di economia, ma dal punto di vista del global warming.
Ebbene James Hansen è proprio in questi giorni a Milano (il 2 dicembre alla Rotonda della Besana) e a Roma (il 4 dicembre alla Fiera della piccola editoria) per presentare il suo libro Tempeste (per i miei nipoti) ed. Ambiente, in cui fotografa l’attuale scenario, le conseguenze e presenta anche le soluzioni.
Precisa che a Cancun:

Nei prossimi negoziati si parlerà soprattutto di meccanismi di compensazione e di finanza climatica, si parlerà di CDM, REDD+, tutti sistemi per scambiare emissioni in cambio di soldi. Tutto questo è green-washing, un inganno dipinto di verde, un tentativo per aggirare la vera questione.
Hansen è docente alla Columbia University nonché direttore del Goddard Institute for Space Studies della NASA: insomma è uno scienziato e ha rilasciato a Terra una intervista dove spiega quali saranno le conseguenze delle attuali scelte politico-economiche basate sull’utilizzo dei carburanti fossili. Il titolo Tempeste si riferisce agli sconvolgimenti climatici, caratterizzati appunto a violente tempeste:
Il pianeta diventerà qualcosa di completamente diverso da come lo conosciamo. Non ci sarà più calotta artica, il livello del mare si innalzerà di 75 metri e gran parte delle specie saranno estinte. Quello che non sappiamo è quanto durerà questa caotica dinamica di transizione verso un pianeta desolato. Lo scioglimento dei ghiacci e il collasso degli ecosistemi sono problemi non lineari – ciò rende difficile dire quando il collasso inizierà. Ma se continuiamo come nulla fosse, questo caos occorrerà durante la vita dei miei nipoti.
Aggiunge che spetta solo a noi comprendere la strada che abbiamo preso e invertire, perciò la rotta:
Io credo che la gente debba svegliarsi e comprendere che possiamo seguire un modello energetico differente, lasciando gran parte del carbone e petrolio bituminoso nel suolo. La giustificazione che per il nostro benessere si deve consumare ogni goccia di combustibili fossili, detto francamente, è una stronzata. Se questo fosse vero che cosa succederebbe alla fine di questo secolo, quando i combustibili fossili finiranno: il mondo cadrà in miserabile povertà? Assurdo!
E propone come soluzione una carbon tax, una tassa sulle emissioni di CO2.
Se noi creiamo una tassa sulle emissioni di CO2 e distribuiamo il ricavato al pubblico, avremo un grande piano di stimolo che renderà le energie pulite competitive sul piano economico e darà forza a una trasformazione della società verso energie a zero emissioni. I discorsi sui green jobs non hanno senso senza una carbon tax, globale e costantemente in crescita.

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25 novembre 2010

Il picco del carbone non è lontano

Da BlogEko.it
Un saggio sulla prestigiosa rivista scientifica Nature conferma: il picco del carbone è dietro l’angolo, esattamente come quello del petrolio. Sarà dunque il caso di cominciare a prendere con cautela la diffusa convinzione che il carbone rimarrà abbondante ancora per molto tempo.

Se il petrolio è importante soprattutto per i trasporti (e pensate a quanto viaggia il cibo), per i concimi e per moltissimi oggetti della vita quotidiana, grazie al carbone si producono circa il 40% dell’elettricità e il 75% dell’acciaio utilizzati in tutto il pianeta.

Il picco è il momento in cui la produzione non aumenta più a causa delle limitate riserve possedute dal pianeta: la domanda invece continua a crescere, ed è facile intuire gli effetti.

Il saggio sul picco del carbone è stato pubblicato da Nature lo scorso 18 novembre. Porta la firma di Richard Heinberg e David Fridley del Post-Carbon Institute. Il testo completo è accessibile solo agli abbonati, ma i punti salientisono ripresi da Bloomberg.

il concetto di fondo è: le stime sulla consistenza dei giacimenti effettuate nei decenni passati stanno rivelandosi inesatte e troppo generose. Le riserve di carbone di buona qualità e facilmente accessibili sono ormai ridotte.

La domanda di carbone invece continua a crescere, trainata soprattutto dalla Cina, il maggior produttore e consumatore mondiale, che l’anno scorso ha raddoppiato le se importazioni.

Il picco della produzione di carbone, concludono i due, è imminente: forse si verificherà fra un anno soltanto.

La diminuzione della produzione combinata con l’aumento della domanda causerà un aumento dei prezzi: dunque le politiche energetiche basate sull’abbondante disponibilità di carbone a basso prezzo non hanno futuro.

Su Nature la fine del carbone a buon mercato. L’articolo completo è riservato agli abbonati.

Su Bloomberg il carbone sta finendo e i prezzi saliranno

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24 novembre 2010

Terra di Poeti e Coglioni. I sindacati Nazionali primi dipendenti dal carbone

Riportiamo un articolo a firma di V. Rossi, da SavonaePonente 

Tema: Tirreno Power.
Svolgimento: “Il progetto tecnicamente è a posto” (strano, a noi risultava -  come da perizia giurata – che ci fossero  dati  inesatti e che il prospettato miglioramento della qualità ambientale fosse stato basato addirittura su cifre inventate, ndr).
“Abbiamo ricevuto i dati sui monitoraggi” (quali? ndr).
“E’ partito il tavolo ambientale per il controllo pubblico delle emissioni” (ma davvero? Finora ci risulta che se ne sia soltanto parlato, ndr)”.
“Ora spetta alle istituzioni decidere sul futuro dell’ampliamento della centrale vadese. Il cuore della questione è portare avanti la trattativa industriale, tuttavia non posso far a meno di notare che gli enti pubblici ed in primis la Regione sembrano eludere il problema e c’è un continuo rinvio su una scelta che ormai hasolo un significato politico”.
Voto: 3- , almeno per chiunque conosca davvero l’argomento e si renda conto del cumulo di inesattezze riunite in queste poche frasi.
Invece no.  Ben pochi rispondono:  “Ma che stai a di’?”. Tutti gli altri tacciono in religioso silenzio.

Ipse dixit.
E chi è che dixit?  Francesco Rossello, segretario provinciale della CGIL.
Quella stessa CGIL  che in tempi non lontani fece clamorose battaglie per difendere i lavoratori dell’ACNA, che si ammalavano e morivano proprio come oggi si ammalano e muoiono gli abitanti di Vado Ligure, di Savona, di Spotorno, di Noli (e gli stessi lavoratori della Tirreno Power: siamo a conoscenza di almeno tre casi).
Ma come si fa ad ignorare l’impatto sulla salute che ha già OGGI questa centrale a carbone di città, impatto provato da decine, per non dire centinaia di studi scientifici?
Come si fa a dire “abbiamo ricevuto i dati sui monitoraggi“, quando non esistono altri monitoraggi se non quelli eseguiti dalla stessa Tirreno Power?
Come si fa a pensare che le amministrazioni “continuino a rinviare una scelta che è solo un fatto politico“, quando è palese che le amministrazioni, pur prese per il collo dalle pressioni economico-politiche, sembrano mostrare ancora  quel barlume di intelligenza sufficiente a  capire che pensando solo al fatto politico sarebbero responsabili di decine di ULTERIORI morti?
Certo, il signor  Rossello può pensare che sia “solo un fatto politico” (ma poi, in che senso? TUTTO è politico: anche prendersi cura della salute):  perché nessuno ricorda di aver visto il signor Rossello ad alcuna conferenza tenuta da medici che spiegavano il motivo per cui la centrale a carbone di Vado è già ritenuta una bomba innescata, mentre  il suo ampliamento equivarrebbe ad un’esplosione.
Nessuno ha mai visto ad alcun dibattito aperto (leggi: dotato di quel contraddittorio che sempre si invoca quando non serve a  un accidenti, ma MAI quando sarebbe davvero necessario) né il signor Rossello, né la signora Meneghini della CISL, né  nessuno degli altri sindacalisti che oggi sbavano dal desiderio di offrire ai savonesi questa trentina, o cinquantina che sia, di posti di lavoro, in cambio di venti morti all’anno e di un costo sociale di oltre 100 milioni di euro annui (come risulta dall’elaborazione dei dati Externe dell’Unione Europea).
E’ possibile che il signor Rossello & C. ignorino questi dati di fatto?
SI’.
E’ possibilissimo, anche se le relazioni dei medici sono state inviate praticamente a tutto il mondo: perché pochissime persone le hanno lette.
Leggere, studiare, capire è fatica: è molto più facile bollare i medici ambientalisti come “fanatici” ed evitare di prenderli in considerazione,  tanto si trova sempre qualche mediconzolo servo del potere disposto a dire qualche bel “ma vaaaaa ma va laaaaaaa”, ovviamente non motivato né supportato da alcuno studio scientifico (perché NON NE ESISTONO a favore del carbone), ma sufficiente a mettere a tacere le coscienze.
Quelle sporche, ovviamente.
Si dirà:  i rapporti medici sono difficili da capire, il linguaggio scientifico non è alla portata di tutti, magari hanno letto ma non hanno capito bene.
La scusa, però, è deboluccia: perché gli stessi dati sono stati riportati su  decine di siti, blog, giornali  (almeno quelli online), in forme comprensibili anche da un bambino di dieci anni. Senza contare che ci sono molte altre cose che un amministratore o un sindacalista può “non capire”, anche perché nessuno è  tenuto a capire tutto: la laurea in tuttologia non è poi così diffusa, ed è per questo che in mille campi diversi il politico – o il sindacalista – di turno  si affida ad esperti esterni,  li ascolta con il massimo interesse e prende per buone le sue parole.
Succede sicuramente nel campo dell’edilizia, per esempio: e gli esperti  che bazzicano Savona forse non sono poi così in gamba, visti i risultati… ma le loro parole vengono prese comunque per oro colato, tanto che a volte serve l’insurrezione popolare per evitare che si sprechino miliardi in mostruosità architettoniche. E altre volte non basta neanche quella, perché  sprechi e mostri vanno avanti ugualmente.

Sta di fatto che gli esperti vengono convocati, pagati, ascoltati e seguiti.

Invece, quando si parla di salute, gli esperti (che sono ovviamente i medici) vengono tenuti a distanza.
All’ormai celeberrimo (anzi, famigerato)  studio IST-ARPAL che avrebbe dovuto valutare l’impatto dell’inquinamento sulla salute dei cittadini (e che non l’ha fatto, anche se hanno cercato di farci credere di sì) NON HA PARTECIPATO NEPPURE UN MEDICO. C’erano matematici, biologici, statistici, perfino un architetto. Medici, ZERO.
Allora i medici, poveracci, si fanno avanti in proprio: d’altronde hanno giurato “di perseguire come scopi esclusivi la difesa della vita, la tutela della salute fisica e psichica dell’uomo”. Hanno un codice etico e deontologico che li obbliga ad occuparsi della salute pubblica:  se non lo facessero, non sarebbero medici degni di tale nome.
Per questo si fanno avanti e cercano di spiegare, di far capire.
Invece di essere pagati, come dovrebbero esserlo tutti i consulenti tecnici, PAGANO DI TASCA LORO, perlomeno in  termini di tempo ed energie che impiegano a scrivere relazioni, a farle avere a tutti gli interessati, a cercare, insomma,  di informare chi di dovere su quello che sta succedendo e quello che potrebbe succedere.
Risultato? Zero.
Nessun amministratore e nessun sindacalista noto sembra essere a conoscenza del contenuto di quegli studi, di quelle ricerche, di quelle relazioni.
Qualche sindacalista molto meno noto, in realtà,  dimostra di aver capito  (forse perché lui a qualche convegnoc’è andato)… ma quando gli si chiede di prendere pubblicamente posizione allarga le braccia: “Non posso farlo, per motivi politici”.
Gli stessi motivi che trattengono tante persone per bene, rappresentanti di questo o quel partito, che sarebbero anche convintissime delle ragioni ambientaliste ma che non possono sposarle (almeno non pubblicamente) perché sanno che il giorno dopo sarebbero tagliate fuori dai partiti, da ogni possibilità di raggiungere uno straccio di cadreghino ma anche, magari, da ogni possibilità di portare avanti altre battaglie a cui  tengono davvero e che non vogliono mollare.
Purtroppo di persone per bene di questo tipo ce ne sono a destra come a sinistra (come è logico che sia, perché la salute non può avere colore politico): ma non mettono fuori il naso, perché i pochi (pochissimi, a dire il vero) che ci hanno provato, il naso se lo son visti tagliare via.
Attenzione: noi siamo convinti che la battaglia in difesa della salute valga più di ogni altra, perché senza salute non può esserci istruzione, né lavoro, né pari opportunità, né null’altro. La  battaglia per la salute è come quella per l’acqua: la difesa di un bene primario, anzi “del” bene primario in assoluto.
Però possiamo capire che ognuno abbia le sue priorità; e possiamo capire che a qualcuno scocci sposare una battaglia che porta grande impopolarità. Abbiamo visto tutti chiaramente come in questa Provincia dichiararsi “ambientalisti ” significhi bruciarsi politicamente, perché i  grandi business di questa provincia sono carbone e cemento.
Chi non li vuole, automaticamente non viene più  “voluto”.
Purtroppo, se il cemento fa danni di altro tipo,  il carbone uccide.
Fa fuori una ventina di persone all’anno  (sono sempre dati scientifici, non “allarmismi fanatici”) e ne fa ammalare un quantitativo non ancora definito, ma sicuramente molto più elevato.
E allora, pur capendo chi ha paure di vario genere, continuiamo a sostenere che – business o non business -  il carbone vada assolutamente combattuto: anche perché le alternative ESISTONO.
Nessuno vuole mettere dei lavoratori in mezzo alla strada: si vorrebbero solo trovare soluzioni che permettano loro di lavorare senza rischiare la pelle e senza farla rischiare a chiunque abiti nel raggio di 50 chilometri.
Ma a fronte di tutto questo, chi parla di salute viene bellamente ignorato. Anzi, peggio:  un dirigente sindacale si permette di trattare l’argomento con  orripilante superficialità.
Il dirigente di  un sindacato, dannazione! Ovvero chi per primo,  forse prima ancora delle amministrazioni, la salute dei lavoratori dovrebbe tutelarla.
Uno di quegli stessi personaggi che poi sbraitano nei megafoni che vogliono “sicurezza sul lavoro”: ma le  morti sul lavoro non sono soltanto quelle dell’operaio schiacciato dalla pressa. Sono anche quelle dell’operaio che respira veleno ogni santo giorno.
Ai tempi dell’ACNA la CGIL (almeno lei) lo sapeva. Ora l’ha dimenticato.
O quantomeno l’ha dimenticato Rossello.
Cosa si può dire, di fronte ad atteggiamenti ottusi come questi?
Ci si pone sempre la stessa domanda che ci eravamo già posti in precedenza: c’è sotto della clamorosa malafede, o davvero questi signori non hanno ancora capito che stanno giocando con la pelle  dei lavoratori, oltre che con quella  dei cittadini?
Ma oltre a questo non si sa davvero cosa dire. Non ci sono  parole.
O meglio, ce ne sarebbe una: quella che un signore di una certa notorietà politica ha rivolto “agli italiani che voterebbero contro il proprio interesse” (nel caso non ve ne ricordaste, qui sotto trovate un  breve video-memorandum”).

“Coglioni”, già.
Termine che ormai è sicuramente divenuto di libero utilizzo (un po’ come “orcodio”), visto che nessuno ha denunciato il signore che l’ha affibbiato a metà del popolo italiano. Quindi  presumo che potremmo dirla anche noi, senza rischiare nessuna querela:  ma porca miseria, non  ci basta.
Rende, sì,  l’idea del misto di ignoranza, menefreghismo e superficialità dimostrata dai nostri sindacalisti nel caso Tirreno Power: ma non soddisfa del tutto… anche perché  proprio il fatto che l’abbia pronunciata il signore di cui sopra (uno che la sua ex moglie ha definito “uno che non sta bene”), la fa somigliare un po’ troppo al classico insulto che scappa di bocca a qualcuno che non ci sta più con la testa.
Invece i  difensori della salute, con la testa, ci stanno ancora.
Ma a volte hanno l’impressione di essere gli unici ad esserci… e anche questo, in fondo,  è un po’ tipico dei matti.
Dunque, vedete come è difficile?
Vedete come diventa arduo, quando si sa di avere ragione e di essere qui a lottare anche per la pellaccia altrui, trovare le parole giuste per rispondere a  quelli che invece vogliono fare business sulla nostra pelle, o  a quelli incapaci di capire cosa sta succedendo,  quelli che sbavano dietro a qualche posto di lavoro senza capirne il costo reale?
Se cerchi di spiegare civilmente le tue ragioni, vieni snobbato.
Se  insulti, passi da fanatico isterico.
Se urli, passi da matto.
E infatti così ci trattano quelli che rifiutano di ascoltare i comitati; quelli che i medici li convocano “giusto per”  (e cioé: perché  l’Ordine dei Medici è una figura di una certa rilevanza politica, che quindi non si può ignorare del tutto come si fa con dei semplici rappresentanti dei cittadini), ma non si scomodano neppure a riceverli personamente, e ad ascoltarli ci mandano una giovane signora che palesemente non sa di cosa si stia parlando; infine, ci trattano come matti quelli che, un tempo, erano tra le espressioni più forti e più incisive della volontà (oltre che dei diritti) dei lavoratori, degli operai, del popolo…e  che adesso non si sa più bene cosa siano:  se  ingranaggi di questo sistema marcio che sta portando alla rovina il Paese, o semplicemente portatori sani di ignoranza galattica.
Cosa rimane?
Rimane la gran voglia di urlare “COGLIONI! Come potete non capire quello che state facendo a tutti noi, compresi i vostri stessi figli?“; ma non per insultare, come fanno gli anziani signori fuori di testa. Solo per attirare l’attenzione.
Perché sentiamo la necessità, l’urgenza di  informare, di aprire gli occhi, di far capire la reale gravità di un problema che viene regolarmente sottostimato.
Noi continuiamo a provarci: ma ci rendiamo conto che spesso parliamo al vento. Che continuiamo ad urtare contro un muro di gomma fatto di una democrazia ridotta a burletta, di interessi di pochi che travalicano l’interesse di tutti, di poteri che corrompono e/o  minacciano, di media asserviti, di politici imbavagliati o silurati.
Così  succede che, alla fine, da coglioni passiamo noi.

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