Fonte: Repubblica.it
"Tredici persone sono morte in un'esplosione in una miniera di carbone nella provincia cinese di Henan. Secondo l'agenzia Xinhua, l'incidente e' avvenuto mentre sotto terra erano a lavoro 33 minatori. Di questi, solo 20 sono riusciti a salvarsi. Sono frequenti gli incidenti nelle miniere cinesi: secondo le autorita', solo l'anno scorso sono morti 2.631 minatori. Statistiche indipendenti parlano di un numero molto piu' alto di vittime."
Aggiornamento: le vittime accertate sono 20
8 dicembre 2010
Henan, 20 vittime in miniera
Celebrato il 6 dicembre l'anniversario della strage di Monongah
Venerdì 6 dicembre 1907, ore 10.30 del mattino. Nella miniera di carbone di Monongah (West Virginia) della Fairmont Coal Company, di proprietà della Consolidated Coal Mine of Baltimore, si verifica un'esplosione avvertita fino a 30 Km di distanza. E' il più grave disastro minerario che la storia degli USA ricordi, ma l'incidente rappresenta anche la più grave sciagura mineraria italiana: su circa 400 minatori morti, oltre la metà erano italiani, quasi tutti originari del Molise.
Inghilterra, sondaggio tra i giovani: il 94% vuole le rinnovabili
Fonte: Notizie.Virgilio.it
Scienza/ Energia,giovani Gb bocciano carbone e votano rinnovabili
Ricerca del Department of Energy and Climate Change (DECC)
I giovani britannici sposano le energie rinnovabili e bocciano il carbone. Lo dice una ricerca del britannico Department of Energy and Climate Change (DECC). Un gruppo di 299 ragazzi tra i 16 e i 25 anni è stato portato a visitare e conoscere vari impianti di produzione di energia: centrali elettriche, centrali nucleari e progetti che promuovono le fonti rinnovabili. Hanno potuto dialogare con gli esperti, fare domande ai rappresentanti dell'industria e incontrare i
gruppi di pressione. Il risultato non lascia dubbi: il 94% di questi ragazzi ha concluso che le migliori tecnologie energetiche sono l'eolico off-shore e l'energia solare. L'81% sostiene anche l'eolico a terra. Decisamente poco apprezzato il carbone, scelto solo dal 2,2% dei ragazzi. Lo studio fa parte della campagna del Regno Unito per assumere, nelle decisioni politiche sull'energia, anche il punto di vista di chi dovrà convivere con i risultati di quelle decisioni.
7 dicembre 2010
Disastro in Colombia: è questo il "carbone pulito" di ENEL, SEI & co.
Un bell'articolo di Stefania Summermatter, da swissinfo.ch
E' proprio questo: il "carbone pulito" di enel e della svizzera SEI
"Colombia, il lato oscuro delle miniere svizzere di carbone
In Colombia le attività minerarie hanno portato ricchezza, ma non per tutti. Se le multinazionali continuano a espandersi, il prezzo da pagare per le comunità locali è altissimo: villaggi evacuati, fiumi inquinati, sindacalisti messi a tacere. Violazioni che chiamano in causa pure un'impresa svizzera, che respinge però ogni accusa.
La Colombia è il quinto paese esportatore di carbone al mondo. Dalle miniere del nord, questa materia prima viene trasportata fino in Europa – soprattutto in Germania – e utilizzata per la produzione di energia elettrica. Le centrali a carbone tedesche riforniscono in parte anche le società svizzere, che negli ultimi anni hanno aumentato i loro investimenti nel carbone per coprire il fabbisogno di base.
In diversi paesi europei, l’utilizzo di questo combustibile fossile ha incontrato l’opposizione degli ecologisti per l’elevato tenore di emissioni di CO2 che diffonde nell’atmosfera. Le incognite legate al carbone non si limitano però alle sole centrali, ultimo anello di una catena produttiva, ma si spingono fino alle grandi miniere a cielo aperto che hanno ridisegnato il volto della cordigliera andina.
In paesi come la Colombia, l’estrazione del carbone è all’origine d’importanti violazioni dei diritti umani e del deterioramento dell’ecosistema. La denuncia non è nuova: da diversi anni infatti Amnesty International e il Gruppo di lavoro Svizzera Colombia si battono affinché le materie prime tornino a essere una risorsa per le comunità locali.
«La situazione nel nord della Colombia è particolarmente difficile. Per anni è stata teatro di scontri tra la guerriglia, le forze paramilitari e l'esercito statale», spiega Alfredo Tovar, sindacalista e operaio in una miniera del dipartimento del César. «E a farne le spese è soprattutto la popolazione locale: intere famiglie sono state allontanate o sono scomparse nel nulla. Lavoratori, rappresentanti comunali e dirigenti sindacali sono stati messi a tacere, o uccisi».
Alfredo Tovar è venuto fino in Svizzera per chiedere giustizia. Rivendica assicurazioni sociali per tutti gli operai, norme di sicurezza nelle miniere e un indennizzo alla popolazione per i danni subiti. «L’impatto ambientale dell’estrazione del carbone è enorme: i fiumi vengono contaminati e con essi anche la terra e il bestiame. Ciò significa che quei contadini che vivevano di agricoltura e pesca, ora non hanno più nulla da mangiare. Inoltre, dalle miniere si sprigiona una nube di polvere nera che è all’origine di gravi problemi respiratori».
Multinazionale svizzera nel mirino
In Colombia l'estrazione delle materie prime è, di fatto, monopolio di una manciata di multinazionali, alcune delle quali hanno sede in Svizzera. Alfredo Tovar lavora da anni alla miniera La Jagua, di proprietà della Glencore International AG tramite la società colombiana Prodeco.
Poco conosciuta dal grande pubblico, la Glencore International AG ha la sede principale nel canton Zugo e negli ultimi anni ha realizzato il fatturato più elevato della Svizzera (117 miliardi di franchi nel 2009), superando giganti come la Nestlé o la Novartis. In Colombia controlla due miniere di carbone a cielo aperto nel dipartimento del César e ha un accesso privilegiato al porto di Santa Marta (Magdalena).
Accompagnato da rappresentanti delle ONG svizzere, per conto del sindacato colombiano Sintramienergetica, Alfredo Tovar ha bussato alla porta della Glencore International AG, senza però ottenere risposta. La multinazionale è accusata di promuovere una politica poco trasparente, ostile ai sindacati e nociva all’ambiente.
«Non possiamo negare che la Glencore abbia portato lavoro in Colombia, ma questo non le conferisce il potere di violare i diritti dei lavoratori, di ostacolare la libertà sindacale, minacciando o licenziando gli operai che osano alzare la testa», denuncia Alfredo Tovar.
Nei dipartimenti del César e della Magdalena si concentra gran parte della ricchezza del paese, ma spesso i villaggi sono lasciati senza acqua potabile, elettricità e servizi sanitari. «La manodopera arriva soprattutto da altre regioni del paese e i profitti se ne vanno all’estero… mentre qui resta solo contaminazione e povertà. Come dipendente della Glencore chiedo un indennizzo alla regione per i danni causati e per il carbone che portano via, e chiedo il rispetto degli accordi sindacali che hanno firmato con noi lavoratori».
Non solo miniere
La Glencore International AG è rimasta sorda di fronte all’appello di Alfredo Tovar e delle ONG svizzere. Anche ai microfoni di swissinfo, l’azienda non ha voluto rilasciare dichiarazioni. Ha invece risposto con un comunicato stampa – firmato dalla società Prodeco – in cui afferma di avere un programma di responsabilità sociale e ambientale.
In sostanza, la multinazionale si presenta come il motore economico della regione: non solo ha messo a disposizione «oltre 5'000 impieghi (diretti o indiretti), di cui l’84% dei dipartimenti del César e della Magdalena)», ma ha anche cercato di «migliorare la qualità di vita delle comunità locali, attraverso la creazione di scuole e altre infrastrutture».
Alle accuse di violazione dei diritti sindacali, la società con sede a Zugo dice di agire «in conformità con le leggi colombiane che garantiscono libertà di associazione, vietano il lavoro forzato e assicurano condizioni di lavoro umane».
La Svizzera media, ma non interviene
La Glencore non è però nuova a questo tipo di denunce. Accusata di violazioni dei diritti umani e danni ambientali in diversi paesi in via di sviluppo, nel 2008 ha ricevuto il Public eye award di Davos, l’oscar della vergogna.
Di fronte alla gravità delle accuse, le ONG svizzere hanno chiesto a più riprese un intervento da parte delle autorità elvetiche. «La risposta è sempre la stessa», ci spiega Stephan Suhner dell’ONG Ask! (Gruppo di lavoro Svizzera-Colombia). «La Svizzera segue da vicino i dibattiti sull’industria estrattiva nei paesi del Sud, ma mantiene il massimo riserbo per non intromettersi in questioni di politica interna». Il Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) si limita così a «invitare le imprese ad attenersi ai principi volontari in materia di sicurezza e diritti umani», senza però intervenire.
Ai microfoni di swissinfo, il portavoce del DFAE Pierre-Alain Eltschinger ha precisato che «la Svizzera segue da vicino questo caso, in particolare per ciò che riguarda il rispetto dei diritti umani, ed è in contatto regolare con le imprese elvetiche coinvolte, la Glencore, i sindacati e le ONG colombiane». Inoltre, prosegue Eltschinger, «l'ambasciata svizzera in Colombia cerca di favorire il dialogo tra le multinazionali e le organizzazioni a difesa dei lavoratori» .
Alfredo Tovar è tornato in Colombia senza risposte. Ad attenderlo c'è una regione messa in ginocchio da anni di violenze e soprusi, la paura di ritorsioni e l'incertezza del domani. In Svizzera restano i profitti di un'attività ritenuta arbitraria e un monito che ha il sapore della lotta operaia: «L’acqua non è negoziabile. La vita non è negoziabile!».
5 dicembre 2010
"Perché tanta insistenza nel voler bruciare i rifiuti a TVN?"
Dai medici ISDE un contributo per aiutare a comprendere cosa ci sia dietro il dibattito sull'incenerimento dei rifiuti dentro TVN.
Cosa si nasconde dietro questa insistenza?
"La risposta non è difficile. Ogni anno TVN, secondo la VIA (pag. 4) produce 500.000 (cinquecentomila) tonnellate di ceneri e 5.000 (cinquemila) tonnellate di fanghi, entrambi estremamente tossici. Recentemente, infatti, numerosi studiosi hanno messo in evidenza il rischio causato dalle ceneri del carbone per il loro elevato contenuto di sostanze pericolose e per la radioattività dell’uranio e del torio. Tale pericolosità viene paragonata a quella delle scorie nucleari (Science of the Total Environment. 2009; 407: 2593–2602).
Il loro smaltimento, per l’elevata quantità prodotta rappresenta un problema enorme. Anche dopo la riutilizzazione di una parte, liberarsene sarebbe molto, troppo costoso.
Si potrebbe allora diffondere all’opinione pubblica per mezzo di chi ha il coraggio di farlo, che si potrebbero bruciare i rifiuti in un gruppo della centrale a carbone traendone un ritorno economico, utile per una città in difficoltà finanziarie, contemporaneamente si potrebbe ridurre la quantità delle ceneri e dei fanghi del carbone bruciandoli insieme ai rifiuti stessi.
L’idea sarebbe astuta se non fosse che le conseguenze per la salute degli operai (i più investiti dall’inquinamento) e della popolazione del comprensorio sarebbero orribili.
Uno studio molto importante pubblicato recentemente che ha utilizzato una metodologia di ricerca della Commissione Europea (Environmental impacts and costs of solid waste: a comparison of landfill and incineration. Waste Management & Research. 2008: 26: 147–162) ha messo in evidenza come gli inquinanti emessi dall’incenerimento di 200.000 tonnellate di rifiuti potrebbe comportare una spesa per i danni provocati alla salute ed all’ambiente di circa 4.240.000 euro. Dopo 20 anni di attività, pari alla combustione di 4.000.000 di tonnellate di rifiuti, i costi esterni potrebbero ammontare a circa 84.800.000 euro.
Immaginiamo quale sia il prezzo della combustione delle ceneri e dei fanghi del carbone per danni alla salute ed all’ambiente ma non osiamo scriverlo per non allarmare l’opinione pubblica.
Inoltre, in questo comprensorio nessuno può negare che ci siano varie cause di inquinamento. Tuttavia, per fortuna, nella VIA (Fase Istruttoria) è già presente un censimento delle fonti inquinanti presenti, sappiamo quindi con precisione la diversa responsabilità di inquinamento dei vari soggetti. A pag. 38 la Commissione così si esprime: “ Sulla base di dati statistici e di utilizzo di fattori di emissione consolidati (CORINAIR e EPA), sono state calcolate le emissioni imputabili al traffico navale, auto veicolare e da riscaldamento domestico nell’area urbana di Civitavecchia, in termini di flusso di massa annuo. Tali dati sono riepilogati nella tabella seguente e sono di rilevantissimo interesse nel valutare le emissioni della centrale in relazione alle emissioni complessive del territorio.
PM10
TV Nord 842 ton/a
Montalto di Castro 50 ton/a
traffico navale 100 ton/a
traffico veicolare 50 ton/a
emissioni da riscaldamento 56 ton/a
Società Internazionale dei Medici per l’Ambiente – Alto Lazio
Tidei a Polverini: "un inceneritore nella centrale a carbone TVN?"
Da BigNotizie.it
"La possibile realizzazione di un termovalorizzatore nel quarto gruppo della centrale Enel di Tvn continua a restare più di una semplice ipotesi. Nonostante dichiarazioni di intenti di rappresentanti istituzionali, ad oggi non risulta ancora un atto ufficiale che escluda in maniera categorica la combustione dei rifiuti a Tvn".
A sottolinearlo è l'onorevole Pietro Tidei che propone la creazione di una delegazione di sindaci e esponenti istutizionali del territorio per chiedere alla presidente Polverini rassicurazioni definitive in merito.
"Emergono semmai particolari e coincidenze sempre più inquietanti ad avvalorare questo progetto, come la perdurante mancata realizzazione del bosco di 40 ettari che l'Enel si era impegnata a realizzare a ridosso dell'area di Tvn quale opera di compensazione ambientale per la riconversione a carbone della centrale, così come la vicinanza all'impianto elettrico della linea ferroviaria tirrenica che rappresenterebbe un vettore di trasporto ottimale per i rifiuti da bruciare. Superfluo e ormai anche ripetitivo ricordare quali pesanti danni ambientali abbia prodotto in tanti anni la servitù energetica nel nostro territorio, quale il prezzo che le popolazioni stanno pagando in termini di salute, quale la svalutazione del nostro patrimonio culturale, storico e archeologico di cui, da Cerveteri a Montalto di Castro, l'Alto Lazio è così straordinariamente ricco, quale la compromissione di quel grande potenziale turistico che tuttavia, nei nostri territori, non riesce ancora a decollare.
E' evidente che in un momento di grave crisi come quello che attualmente stiamo vivendo, anche l'incertezza sul futuro ambientale del territorio può scoraggiare possibili investimenti nel settore turistico, culturale e terziario, producendo un ulteriore danno al tessuto economico dei nostri Comuni.
Nel merito il Piano regionale dei rifiuti di recente approvazione non esclude con termini perentori la possibilità di realizzare un inceneritore nell'impianto di Tvn, laddove non indica soluzioni, rimandando a successive decisioni, per lo smaltimento dei rifiuti della Capitale dopo la chiusura della discarica di Malagrotta. Resta quindi ancora plausibile, carte alla mano, l'individuazione dell'area dello Spizzicatore, sui Monti della Tolfa, quale sito della nuova discarica capitolina. Ritengo allora che tale situazione di ambiguità e incertezza su progetti drasticamente inquinamenti per l'Alto Lazio, come l'inceneritore a Tvn e la discarica ad Allumiere, debbano trovare immediatamente fine, attraverso un pronunciamento ufficiale della Regione Lazio che non può continuare ad ignorare le richieste di chiarezza delle nostre popolazioni. Abbiamo bisogno dal Governatore Polverini di un atto formale. La mia proposta, pertanto, è quella di una delegazione istituzionale del territorio che, dai Sindaci ai Consiglieri provinciali, dai Consiglieri regionali ai Deputati di riferimento, di ogni appartenenza politica, chieda audizione al Presidente per avere finalmente un suo pronunciamento chiaro, definitivo e inequivocabile circa l'impossibilità di realizzare alcun inceneritore e alcuna discarica nel territorio dell'Alto Lazio e dell'Etruria. Ulteriori tentennamenti rischiano di generare sempre più preoccupazione tra le popolazioni e di indebolire maggiormente le istituzioni locali, oltre che le possibilità di sviluppo del nostro territorio. E questo è un rischio che oggi non possiamo assolutamente correre
Le radici delle mafie affondano nel Lazio
Da DazebaoNews.it (leggi anche il comunicato di Legambiente)
Apre uno scenario davvero inquietante il dibattito organizzato quest'oggi dalla Federazione della Sinistra Lazio dal titolo eloquente: "E poi dicono che la mafia nel Lazio non c'è".
Di criminalità organizzata, infatti, pochi ne parlano e questo evento assume un'importanza assoluta, perchè troppo spesso di fronte a questo fenomeno ci si abitua a chiudere gli occhi, quasi la mafia fosse distante anni luce.
Ma non è così. All’incontro hanno partecipato esponenti della società civile impegnata contro la criminalità organizzata come Libera, l’associazione Caponnetto, il centro Peppino Impastato, Action, Legambiente, SOSimpresa Confesercenti, rappresentanti del sindacato edili e funzione pubblica della CGIL, il segretario del sindacato di polizia SILP, gli ex consiglieri regionali Fontana e Laurelli ed il membro della commissione parlamentare antimafia Russo Spena.
Dopo la proiezione del film inchiesta di Antimo Torri "La quinta Mafia", che introduce il tema della criminalità organizzata, Fabio Alberti, responsabile legalità del gruppo consiliare FdS parla di un panorama inquietante. Insomma una condizione d'illegalità che affligge tutta la regione. E non parliamo di boss con tanto di coppola in testa e lupara alle spalle, ma sempre più spesso anche di insospettabili personaggi che svolgono ruoli importanti nelle istituzioni. Come nel caso di Romolo Del Balzo, l'attuale presidente della Commissione Lavori Pubblici della Regione Lazio, in carcere dallo scorso 26 ottobre con l'accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso e che paradossalmente è ancora investito da questo ruolo, tanto che Alberti ne ha chiesto le immediate dimissioni. Una situazione davvero anomala e che ci fa comprendere quanto l'infiltrazione mafiosa si sia spinta oltre e sia così ben radicata, insinuandosi attraverso connivenze compiacenti all'interno della vita politica e delle istituzioni del paese.
Basta ricordare - come ribadisce Alberti - il maxi processo Damasco 2 che riguarda la mafia il mercato ortofrutticolo (Mof) più grande d'Europa, quello di Fondi, dove la Regione Lazio capitanata dalla Giunta Polverini ha tergiversato parecchio tempo prima di costituirsi parte civile contro il clan Tripodo e quando si è decisa lo ha fatto dimenticandosi di essere anche il socio che detiene una partecipazione di maggioranza all'interno del Mof.
D'altra parte la governatrice proprio durante la recente campagna elettorale si era recata a Fondi e rivolgendosi ai suoi potenziali elettori disse che "la città è sana e le infiltrazioni mafiose sono un'invenzione della politica", come riporta il quotidiano Latina Oggi il 21 ottobre. Coincidenze?
Non sembra, visto che proprio in regione si attente da 9 mesi l'istituzione del regolamento dell’Abecol sul fondo contro l'usura che è stato dimezzato, ma al momento di questo strumento importante non c'è traccia, come ribadisce Fabio Nobile consigliere dell'Fds. E poi, perchè proprio sulla vicenda di Fondi, si domanda Elvio Di Cesare dell'Associazione Caponnetto le indagini sono state affidate al comando Provinciale dei carabinieri di Latina e non alla Dia? Un vero mistero, perchè - come puntualizza Di Cesare - non stiamo parlando di un fenomeno di ordine pubblico, ma di vera e propria criminalità organizzata.
Ma sono ancora più inquietanti le rivelazioni dell'esponente della Caponnetto quando ricorda l'indagine Formia Connection sui voti di scambio. Risultato: indagine archiviata. Insomma nel Lazio quando si parla di mafia sembra andare contro un muro di gomma. Almeno così fa intendere Di Cesare quando parla di una "zona grigia", rappresentata a volte da una parte della società collusa, che di fatto favorisce il problema affinchè non venga aggredito con quella incisività necessaria per combattere il fenomeno mafioso. Tutte le categorie della società civile rappresentano un rischio reale, quando si prostrano di fronte alle organizzazioni criminali - precisa Di cesare - e per questo motivo rientrano proprio in questa zona grigia.
Il giudice Giovanni Falcone, diceva "segui i soldi e troverai la mafia". Ma le indagini patrimoniali su quei territori a rischio che potrebbero portare alla luce gli spostamenti di ingenti capitali non sono così diffuse. Lo scorso anno a Frosinone - racconta Di cesare - ce ne sono state ben 140, mentre in una città a rischio come Latina solo 3. E non finisce qui. La zona costiera di Latina definita "La lavatrice del denaro sporco" non è da meno. Un territorio - come ha raccontato Marco Omizzolo del coordinamento legambiente della provincia di Latina - da sempre nel mirino della criminalità organizzata. Dal parco di San Felice al Circeo con i suoi 2,200 metri cubi di cemento abusivi, al lago di Sabaudia, un'area ad alto valore naturalistico che le mafie colluse con esponenti delle istituzioni hanno cercato di rendere addirittura edificabili con progetti alquanto redditizi, come la realizzazione di un porto. E qui si registrano 2 abusi edilizi ogni ettaro di terreno. Una media davvero impressionante. E ancora il business dei raccolti ortofrutticoli. Un fenomeno che Omizzolo conosce bene, visto che è riuscito ad infiltrarsi come bracciante ed ha conosciuto la realtà dei caporali al servizio della mafia e che racconterà nel suo libro di prossima uscita.
Anche nel settore sanitario le cose non vanno meglio, come ricorda Lorenzo Mazzoli. segretario della Funzione Pubblica Cgil. La criminalità s'impossessa della cultura sociale - ha precisato - s'insinua nelle struttura sanitarie attraverso appalti, subappalti, ed entra così nel grande business della salute. E se la legalità è sinonimo di buon funzionamento dei servizi allora la sanità del Lazio, visto la situazione in cui versa, non naviga in acque felici.
Arriva poi una testimonianza importante da Civitavecchia che fa addirittura accapponare la pelle. Ne ha parlato Simona Ricotti, dell'Associazione Caponnetto, che durante il suo intervento riporta un ritornello, ahimè, ripetuto dalla maggior parte dei cittadini: "Qui a Civitacecchia, la mafia non esiste" . Purtroppo è questo il luogo comune di chi convive con questa cittadina che oltre a registrare il 23% di disoccupazione ospita il più grande porto Europeo, terzo per quanto riguarda il traffico della droga e degli scambi illeciti della mafia cinese.
"Eppure la gente sa - precisa Ricotti - ma ormai questo rientra in una sorta di normalità sociale." La chiamano "mafia bianca", l'assurda manifestazione dove si fa finta di credere che tutto vada bene. Anche le le richieste di spiegazioni fatte pervenire al Comune producono dei risultati discutibili. L'amministrazione comunale, infatti, fa sapere di essere in prima linea contro la criminalità. Addirittura viene costituito un osservatorio apposito, ma poi un cronista del mensile Le voci delle voci con l'aiuto proprio dell'associazione Caponnetto svela dei retroscena inquietanti che gettano ombre anche sul primo cittadino Giovanni Moscherini. Come il grande affare del "marina yatchting, un progetto per l' uso di natanti di lusso, affidato senza gara a una delle ammiraglie di casa Caltagirone, la Porto del Tirreno spa a cui è affisata la gestione per ben 99 anni e che fa capo a Francesco Bellavista Caltagirone e alla neo compagna Beatrice Parodi, figlia di uno dei piu' grossi armatori liguri, Piergiorgio Parodi, ottimo amico dell'ex ministro per le Attivita' produttive Claudio Scajola. Notizie fantasiose secondo il sindaco che ha commentato: “Che gli prenda un colpo a quelli della Caponnetto”. Una frase che gli è costata una querela da parte dell'associazione che si batte da sempre contro l'illegalità. Ma non è tutto, perchè come spiega Simona Ricotti a Civitavecchia è in corso anche un processo per schiavitù ai danni di operai extracomunitari che lavoravano nelle imprese in subappalto per la costruzione della centrale a carbone dell'Enel. Morale della favola: l'inchiesta è in corso, gli operai sono andati a casa, ma l'impresa continua ad essere operativa. Anche questa è una coincidenza del caso?
In conclusione Ivano Peduzzi, capogruppo della FdS Lazio propone di costituire un gruppo di lavoro, aperto a tutte le forze di opposizione regionale e con la partecipazione della società civile, per redigere una o più proposte di legge antimafia raccogliendo le proposte emerse nel dibattito. “Centrale unica appaltante, abolizione del massimo ribasso, tracciabilità dei capitali, norme anticorruzione, contrasto del lavoro nero, sono le prime cose da fare", precisa Peduzzi."Occorre avviare un percorso che porti in campo le istituzioni al fianco della magistratura e della società civile. Questa va maggiormente sostenuta, ad esempio, con l'affidamento di una forte campagna per la legalità da portare in tutte le scuole della regione”.
Insomma l'incontro si è rivelato veramente produttivo almeno sull'aspetto divulgativo della questione. Ora c'è la necessità di passare dal dire al fare e per farlo c'è bisogno che la società civile non resti più indifferente davanti a questo fenomeno dilagante.
CCS grimaldello degli affaristi sporchi
Lo ripetiamo da tempo e non ci stancheremo di farlo: parlare di CCS significa dare respiro agli affaristi dei business più sporchi e distruttivi per il nostro ambiente di vita. Anche se irrealizzabile per i rischi, l'inaffidabilità della tenuta dei bacini di stoccaggio e i costi enormi, lo stoccaggio dell'anidride carbonica diventa facile argomento di greenwashing da bar, chiacchiera subdola per continuare su un binario che mira dritto verso l'autodistruzione. un esempio
Tarquinia, sabato Italia Nostra con i cittadini a difendere il territorio
Comunicato
Un forte “legame” d'inutilità unisce l'autostrada Devasta-Maremma e il porto turistico progettato alla foce del Marta. Il concessionario della A12 non riesce a trovare i “piccioli” per costruirla. I pochi pedaggi previsti non bastano alle banche a garanzia del debito e lo stato soldi non ne ha. Le banche in più sanno che l'Alto Lazio smaschera sempre i ladri di salute, i distruttori di terre fertili, i deturpatori di paesaggi.
Emblematiche le vicende dell'Osservatorio Ambientale, del cementificio, delle centrale di Torre Sud e le tante denunce contro la centrale di Torre Nord, che non rispetta i limiti fissati dall'Europa e ci inquina.
All'autostrada vi è un' unica vera alternativa: la messa in sicurezza dell'Aurelia, da vent'anni lasciata a due corsie a sud di Tarquinia e a Capalbio, in tutto una ventina di chilometri, trappola a volte mortale per gli automobilisti.
Riassumendo: le banche non rischiano e l'autostrada alla fine non si farà, come ormai è quasi certo, ma intanto l'Aurelia resta pericolosa. E qui c'è l'analogia con il porto turistico alla foce del Marta, progettato per un sito reso pericolosissimo dai nuovi argini del fiume, che l'hanno chiuso in una buca, dove scorre un fiume maldestro, con un bacino imbrifero di 1100 kmq. capace di generare esondazioni devastanti.
Nessun tecnico regionale potrebbe avallare un porto destinato a soccombere sotto il fango perché, senza interventi che modifichino l'attuale assetto idraulico del corso d'acqua, non potrebbe resistere ad un evento eccezionale (in gergo tecnico “un tempo di ritorno di 200 anni”) qualora il mare impedisse il deflusso della piena.
Dal sito dei promoter del porto sembra di capire che un qualche assenso c'è. Allora occorre capire con un accesso agli atti che cosa è successo alla regione Lazio.
Resta il fatto che la cosa sconvolgente non è il tentativo del proprietario di aumentare il valore dei propri terreni di almeno 15-20 volte, quanto l'intensa e fervida attività amministrativa di maggioranze e opposizioni, che perdono tempo ad occuparsi delle opere inutili destinate a naufragare miseramente e non hanno poi il tempo di occuparsi dei veri problemi del territorio, dell'agricoltura e del turismo soprattutto.
Quasi tutti si dichiarano sviluppisti ma in effetti sono facilitatori d'affari, che ogni volta che devono crearsi un alibi, per aver alzato la mano e detto si alla distruzione di un altro prezioso fondo agricolo, ripetono stancamente che porterà lavoro e occupazione ma ormai tutti sanno che non è vero.
Per quale pro non si sa, sta il fatto che di coraggio i più ne dimostrano ben poco.
Tornando al porto giova ricordare che la regione Lazio, una decina d'anni fa, valutò in autonomia quale tipo di struttura fosse adatta per Tarquinia e si pronunciò per un “approdo”. La differenza fondamentale è che un porto è profondo 4 metri ed è pensato per grandi barche mentre un approdo è profondo 2 metri ed è quello che servirebbe per le barche da diporto che riempiono i rimessaggi di Tarquinia ma a nessuno stanno a cuore i diportisti di Tarquinia, a cui queste cose non vengono spiegate.
Il fiume Marta in tutto questo viene maltrattato, ridotto a fogna e canale, cementificato e snaturalizzato.
Di tutto questo si è parlato sabato 4 dicembre nel Convegno “Paesaggi Sensibili” presso la Sala Conferenze del Monastero delle Benedettine a Tarquinia, per iniziativa di Italia Nostra Lazio-Toscana.
Movimento No Coke Alto Lazio
4 dicembre 2010
I sonetti di Giancarlo Peris: "Il vento degli dei"
Decimo appuntamento settimanale coi sonetti dialettali dell'inossidabile Prof. Peris. L'ironia sferzante mette a nudo fatti duri a digerirsi, evidenze che pure gli abitanti del comprensorio sembrano aver metabolizzato nei loro organismi come masse estranee (nella speranza che non degenerino), mediante quotidiani cortocircuiti della coscienza.
Il seguente è uno tra i componimenti più recenti sulla vicenda del carbone. Buona lettura
"Il vento degli dei" 15 giugno 2008
Fra poco, e nun c’è stato da fa’ gnente,
Annrà in funzione ar mejo la centrale
Che cor carbone ce farà un presente
Pe’ un futuro energetico e ambientale.
E io ce credo, perché adè pulito
Er carbone ch’è un novo ritrovato
Che ci hanno rigalato ne ‘sto sito
Pe’ via che se lo semo meritato.
E poi, si putacaso fosse un cesso
Er fume ch’uscirà da quel accrocco,
Gnente paura, qui nessuno è fesso,
Ché si tira libeccio, ostro o scirocco,
Er fumo a dopopranzo, a mane, a sera
Annrà a Torfa, a Corneto e a La Lumiera.
Cresce il cumulo di cadaveri di minatori del carbone
Altri sette minatori morti nelle miniere cinesi.
Da tgCom:
"Sono morti i sette minatori intrappolati da martedì in una miniera allagata nella provincia cinese dello Hunan. Quando i soccorritori hanno raggiunto i minatori intrappolati li hanno trovati tutti morti a una profondità di 90 metri nella miniera di carbone. I sette, tutti nel fondo, sono stati trascinati li dall'acqua che ha allagato martedì sera la miniera Yide Coal Mine a Xiangtan, nell'omonima contea."