Porto di Civitavecchia 2011 - il suo contributo all'inquinamento della città |
Sperando di non fare torto all'autore, pubblicchiamo qui una riflessione di M. Aprile (Pastore protestante di Civitavecchia) pubblicata sul suo profilo Facebook. Ringraziamo Aprile per un nuovo contributo di passione civile. Con l'augurio che la cittadinanza torni a sentire su di sé piena responsabilità per ciò che lascia accadere attorno a sé, per la pigrizia che ne rallenta il cammino verso una migliore condizione. I grassetti sono i nostri.
“O Dio, che dici di essere buono, perché hai lasciato che mio figlio di cinque anni si ammalasse di leucemia?”.
Ecco un esempio, vero, di preghiera difficile, molto difficile.
In essa si esprime il problema dei problemi: la sofferenza ingiustificata dell’ innocente.
Non si tratta, comunque, di materia per mere esercitazioni intellettuali di studenti di teologia. Qui c’è la protesta dell’anima. Questa preghiera è attacco frontale alla fede, specie a quella cristiana, che si fonda proprio sulla misericordia divina.
Ritornano in mente le dure parole di Ivan ad Alioscia ne’ “I Fratelli Karamazov” che a proposito della sofferenza dei bambini innocenti conclude: Se
questo è il prezzo da pagare per l’armonia allora “mi affretto a restituire il biglietto d’entrata. E se sono un uomo onesto, sono tenuto a farlo al più presto. Non che non accetti Dio, Alioscia, gli sto solo restituendo, con la massima deferenza, il suo biglietto”.
Ogni volta che noi pastori (e qui come pastori mi riferisco a tutti, sacerdoti e pastori evangelici, catechisti e monitori di Scuola Domenicale, cappellani e persone che a vario titolo di fede offrono “cura d’anima”) ascoltiamo preghiere del genere, anche se solo sussurrate e spezzate dal pianto, ci tremano le vene ai polsi.
Ci sentiamo messi all’angolo.
Parlare significa rischiare di arruolarsi nella schiera degli amici molesti di cui Giobbe fece triste esperienza; tacere può essere ammissione della sconfitta del Dio-di-misericordia. E allora la tentazione più grande è quella di non fare né l’una, né l’altra cosa, ma di fuggire. Fuggire lontano da domande come queste che sono come un fuoco in grado di divorare ogni cosa.
Nella mia esperienza pastorale ho imparato che non c’è via d’uscita. In questi casi dobbiamo accettare di sbagliare. Parlerò, se proprio sentirò di avere una parola da Dio. Starò zitto se non ne sarò capace. Una volta farò una cosa e una volta l’altra. Nell’uno e nell’altro caso, non mi dirò certo di aver fatto la cosa giusta. L’unica opzione che non mi è data, comunque, è quella della fuga, della diserzione intellettuale e spirituale dal quesito.
Ma tutto questo è solo una premessa. Perché trovandomi, almeno per questa volta, soltanto davanti ad un caso “ipotetico”, voglio cercare di articolare una riflessione, non una risposta beninteso, che possa essere utile almeno in parte. E lo faccio partendo dal contesto in cui vivo.
Ecco una foto di oggi, di due bellissime navi da crociera, nel porto della mia città, Civitavecchia.
(Benché non sia la “mia” città, forse perché le assomiglia molto (sono di Napoli), forse per il carattere della gente, espansivo e cordiale, o chissà per quale altra ragione, la sento proprio come fosse la mia.)
Provate a immaginare la quantità di smog, di aria assolutamente irrespirabile che queste fumarole producono: ogni giorno, diverse ore al giorno, diverse navi di questa stazza;
Considerate gli sbuffi velenosi che più spesso nottetempo escono dalle ciminiere delle centrali elettriche, quella della Tirreno Power e quella a carbone dell’Enel;
Considerate lo smog prodotto da uso ed abuso di automobili, e dalle altre mille forme di inquinamento dell’aria a cui è esposta la città.
Aggiungete a tutto questo anche decisioni che sembrano grottesche, come quella presa dalla Giunta Comunale, in questi giorni agostani, di privatizzare i parchi pubblici;
Considerate questa incuria, e forse anche un grado di silenziosa complicità, in nome del business e dello “sviluppo”, e condite il tutto, se volete, con la leggera e allegra partecipazione di molti di noi alle feste di piazza sponsorizzate dagli stessi che arrecano danno (il tabellone estivo dell’Enel è davvero impressionante se si considera la crisi in cui siamo).
Ecco, considerate tutto questo e poi, tornate a quella difficile preghiera iniziale.
La ripeto: “O Dio, che dici di essere buono, perché hai lasciato che mio figlio di cinque anni si ammalasse di leucemia?”.
Effettivamente ci sono dei casi in cui proprio non sappiamo darci spiegazione. Effettivamente ci sono dei casi in cui dire una parola è poco e dirne due è troppo. Effettivamente sulle labbra di un padre o di una madre, una frase del genere è sempre struggente e va accolta con rispetto.
Ma non vi pare che noi adulti dovremmo interrogarci anche un po’ prima? Non vi pare che bisognerebbe non disertare dai compiti di più attiva cittadinanza per cercare di tutelare l’acqua che beviamo e l’aria che respiriamo? Non vi pare che prima di inquisire Dio sul suo mancato agire, dovremmo interrogarci sul nostro agire “dissennato”?
Credo che ogni volta che vediamo immagini come queste, dovremmo pensare ad una persona, magari molto giovane, della quale conosciamo il nome, che si è ammalata ed ha grandemente patito per una malattia che può essere dovuta al cumulo di tali eventi.
Lo so, non è facile stabilire una semplice correlazione tra causa ed effetto. Eppure la relazione c’è.
Infine, per quello che ho capito del Dio di Gesù, non credo che Lui sia indifferente a casi del genere. E’ solo che ha scelto di farlo “incarnandosi”. Egli vuole tutelare la vita per mezzo mio e tuo. La sofferenza dell’innocente non può e non deve essere, neppure per un momento, alibi del nostro disimpegno. Questa sì sarebbe con certezza una bestemmia.
Pastori di ogni religione, credenti di ogni cristianesimo, devoti di ogni santo, padri e madri tutte, meditate.
La domanda non è semplicemente perché Dio tarda a soccorrere l’innocente, ma perché non lo facciamo noi, che diciamo di credere in un Dio misericordioso.
Soltanto quando ci saremo battuti con tutta la nostra forza e intelligenza, per immaginare e preparare un mondo migliore, la parola “resurrezione” affiorerà sulle nostre labbra e sarà non semplicemente consolatoria, ma parola di vera speranza.
“Kyrie eleison”.