No al carbone Alto Lazio

15 aprile 2012

Ministro Clini: coi veleni costruiremo scuole

Inaccettabile, se ci si rende conto delle conseguenze implicate.

"Il ministro Corrado Clini presenta una legge che consente di usare rifiuti nei cementifici, anche se poco tempo fa una casa a Treviso, costruita con cemento misto a rifiuti è stata abbattuta.

 Questo l'intervento del ministro al convegno Aitec Nomisma "Vareremo entro fine mese un decreto che prevede l’impiego di combustibili solidi secondari nei processi industriali, in particolare nel settore del cemento, che aiuterà anche molte regioni ad uscire dallo stato di emergenza".
 La strada da seguire, secondo Clini, è l'uso come come combustibile, dei rifiuti, e non specifica quali, in centrali, cementifici e anche termovalorizzatori. Obiettivo? Risolvere il problema dello smaltimento dei rifiuti, e contrastare un settore nelle mani del crimine organizzato.

Grande pensata, combattere le mafia facendole concorrenza. Si legalizza una pratica monopolizzata dalle varie, Cosa Nostra, Camorra e 'Ndrangheta, usando la monnezza e bruciandola nei cemetifici, rifiuti speciali stipati nelle ecoballe accatastate ovunque in Campania. In pratica via libera al riciclaggio di Stato." Fonte

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8 aprile 2012

Lettera aperta: adesione a "Roma verso rifiuti zero"

Da www.diamocidafare.com, con piacere diffondiamo:

"Lo scorso 6 marzo abbiamo depositato in Campidoglio il testo della delibera di iniziativa popolare “Roma verso rifiuti zero”. Ci sono ancora poco più di due mesi per centrare l’obiettivo delle 5.000 firme al giorno per Roma.
 Noi però vorremmo dare alla città un segnale più forte del “minimo legale”, un segnale che serva soprattutto a scuotere i romani dal pernicioso torpore nel quale sono sprofondati in relazione al problema dei rifiuti, nella consapevolezza che solo una mobilitazione del civismo cittadino possa imprimere al dibattito pubblico quella svolta senza la quale le cose sono destinate a peggiorare drammaticamente.

La delibera nasce da una proposta della rete Zero Waste Lazio e si inserisce nell’ambito del movimento internazionale che trae la sua origine dalle teorie di studiosi come il prof. Paul Connett, teorie che sono state applicate con successo in grandi città come San Francisco. In Italia già molti comuni hanno ufficialmente adottato la strategia di Rifiuti Zero, primo tra tutti il comune di Capannori (http://www.rifiutizerocapannori.it/comuni-rifiuti-zero.html).
Tanti cittadini romani, riuniti in comitati, associazioni, coordinamenti di zona o a titolo individuale, hanno aderito a questa iniziativa e hanno dato il loro contributo alla stesura della delibera popolare, con i necessari adattamenti imposti dalla complessità della situazione romana, che condiziona pesantemente le sorti di altri territori nella regione.


La delibera, quindi, non è un esercizio di utopia, ma contiene proposte concrete e argomentate per cercare, anzitutto, di riportare al centro del dibattito pubblico il problema – troppo a lungo rimosso – di una corretta gestione dei rifiuti nella nostra città e chiedere che si cominci da cose semplici: rispettare la legge, fare la raccolta differenziata, salvare l’ambiente in cui viviamo.


Il percorso della delibera è appena cominciato e vi chiediamo di unirvi a noi: nella raccolta delle firme, ma soprattutto nella discussione critica dei suoi contenuti e poi nell’impegno che dovrà seguire a partire dal 6 giugno per chiedere che venga discussa e approvata dall’Assemblea capitolina. Riteniamo che la politica abbia responsabilità immense, storiche e contingenti, per non aver saputo risolvere il problema dei rifiuti e averci portato sull’orlo del baratro.
Dal dibattito politico, purtroppo, non emergono segnali di novità. Si ripropongono invece le stesse soluzioni che ci hanno portato nell’emergenza: discariche e inceneritori.


Bisogna cambiare strada: se la politica non sa darsi un’agenda ambientale, dobbiamo imporla noi cittadini! La delibera, quindi, è innanzitutto una proposta rivolta ai romani, che pure hanno grandi responsabilità per essersi disinteressati troppo a lungo dei rifiuti che producono ogni giorno, che ammontano a ben 5.000 tonnellate. Vi chiamiamo a impegnarvi con noi in questo esercizio di democrazia che consiste nel raccogliere le firme, ma soprattutto nel discutere la delibera in ogni occasione possibile, nel criticarla, nel sollevare dubbi, perplessità e proposte moltiplicando le occasioni di dibattito e confronto.


PER IL COMITATO PROMOTORE
Marcello Paolozza


Informazioni su iniziativa e delibera : www.diamocidafare.com.
Per contatti e per sapere dove firmare e come collaborare : diamocidafareroma@gmail.com

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Coal Rush

Da Repubblica l'intervista ai registi Lorena Luciano e Filippo Piscopo, autori del lungometraggio "Coal Rush", di cui segue il trailer
"Un film sull'America remota e poco setacciata dai media, una storia di monopolio dell'industria carbonifera nel cuore degli Appalachi, dove gli uomini e i luoghi diventano immensi come le montagne che li circondano". Per raccontare il loro documentario, Coal Rush, i registi Lorena Luciano e Filippo Piscopo partono dalla Green America, la terra del "progresso verde" contaminata dalla speculazione e dal malaffare delle grandi corporation, come la compagnia Massey Energy, accusata di aver inquinato le acque della Virginia Occidentale.

Tutto è cominciato da una notizia al telegiornale: tredici minatori rimasti intrappolati in una miniera della West Virginia, a Sago. E' il primo gennaio 2006. Lorena si trova in Italia a trascorrere le feste natalizie; suo padre è all'ultimo stadio di una malattia che non lascia scampo (la SLA, sclerosi laterale amiotrofica). "In un momento di stasi, mi sono collegata ad Internet per approfondire la notizia dei minatori e ho recuperato una serie di articoli pubblicati dalla stampa americana", spiega Lorena, affascinata dai rituali e dalla fede delle famiglie: in quelle occasioni, c'è chi si raccoglie in superficie, fuori dalla miniera, chi prepara dei tavoli, i compagni di lavoro e le mogli portano dei viveri e delle candele. Si prega, aspettando di conoscere la sorte dei minatori sottoterra. "Inevitabilmente, il parallelo con la malattia di mio padre è molto forte, anche lui intrappolato nel suo corpo, aspettando che finisca l'ossigeno". 
Appena tornati a New York, i due filmmaker cominciano a fare ricerca sulle miniere negli Stati Uniti. Prendono atto che gli USA dispongono dei più grossi giacimenti di carbone al mondo (secondo posto Russia, terzo Cina) e che quasi il 50% dell'energia americana dipende dal carbone. Adesso la percentuale si è abbassata al 42%, grazie anche alla nuova amministrazione Obama che incentiva le energie rinnovabili. "Una volta arrivati in West Virginia, abbiamo capito subito che il film che avremmo girato doveva raccontare lo stridere di questi luoghi incantati, in contrasto con la barbarie perpetrata dall'industria carbonifera". Il viaggio nei meandri del capitalismo sfocia nel crudo, e poco garantito, diritto alla salute.

Ma "Coal Rush", che il 29 marzo sarà proiettato in anteprima al Landmark Midtown Art Cinema di Atlanta, è anche un ritratto dei vizi di certe corazzate Lorena Luciano: "La realizzazione di questo film ci ha permesso di avvicinarci ad una realtà sociale di cui spesso nemmeno il cittadino medio americano è a conoscenza. Più che di diritto alla salute qui si tratta di un diritto umano fondamentale, quello all'acqua potabile, negato a un'intera comunità per decenni. Questa tragedia ambientale e umana poteva essere evitata con l'assunzione delle debite misure di smaltimento dei rifiuti tossici da parte di una compagnia che invece ha messo i profitti davanti a tutto. In America, come in Italia, le grandi compagnie rappresentano un grosso introito per le casse dello stato, che spesso chiude un occhio sui costi ambientali della grande industria. Inutile citare la diossina a Marghera o l'amianto di Casale Monferrato".


Il cinema si trasforma per raccontare la realtà: la vostra esperienza con il cine-documentario indipendente da dove ha origine e cosa vi ha portato ad attraversare? Filippo Piscopo: "All'origine della nostra carriera c'è un documentario su Dario Fo (Venezia, 1998) su cui avevamo cominciato a lavorare prima del Nobel, e poi l'avventura americana con "Urbanscapes", che racconta la trasformazione feroce delle citta americane. Il cinema indipendente è una grande opportunità per scoprire e approfondire delle storie spesso solo sfiorate dai grandi media. Il documentarista diventa un esploratore, un antropologo, una lente di ingrandimento su territori geografici e umani".

Perché, tra le tante storie a sfondo ambientalista, avete scelto questa? Qual è la sua particolarità?
Lorena Luciano: "Abbiamo impiegato circa due anni per trovare la storia giusta. Siamo andati in West Virginia a più riprese, ammaliati sia dalla bellezza dei luoghi che dalla cattività rurale. Cercavamo una storia fatta di tanti piccoli eroi che potessero raccontare la complessità dell'America in modo corale. Tutti i personaggi di "Coal Rush" sono piccoli eroi del quotidiano: il pastore Larry Brown che manda avanti la sua chiesa da solo, Donetta che è sopravvissuta a mille malattie causate dall'acqua contaminata e non si stanca di dare sostegno ad altre persone, l'avvocato Kevin Thompson e tutta la sua squadra che si è battuta contro la compagnia carbonifera, ma anche i minatori che vanno in miniera tutti i giorni e sono fieri di avere un lavoro e mantenere le loro famiglie in modo dignitoso. Seppur "Coal Rush" è a suo modo una storia estrema, la sento molto più vicina alla vita reale di un generico reality show".

Quanto è costato il progetto e chi lo ha sostenuto? Filippo: "Il budget complessivo del film è di 200.000 dollari. Non è stato facile raccogliere i fondi perché i cosiddetti documentari di denuncia non fanno grande mercato e quindi non sono facili da sovvenzionare. Co-finanziatori del progetto sono stati, tra gli altri, il New York State Council for the Arts, l'ente pubblico newyorchese che per eccellenza si occupa di finanziare le arti, e la Ben Jerry Foundation, esempio di società illuminata che reinveste parte dei suoi profitti a sfondo filantropico e in particolare su progetti a salvaguardia delle risorse idriche nazionali".

Che cosa vorreste lasciare, con 'Coal Rush', agli europei, e in particolare agli italiani?
Lorena: "L'immagine di un'America più fragile e umana di quello che si pensi".

Lo stile di "Coal Rush" ha modelli ispiratori? Filippo: "Vittorio De Seta è stato senz'altro un maestro, oltre che un caro amico a cui eravamo molto affezionati. Quando gli abbiamo parlato di "Coal Rush", ne era molto entusiasta, ci ha incoraggiato a perseverare nonostante le difficoltà a trovare i finanziamenti. Ci aveva addirittura suggerito di contattare Brad Pitt per coinvolgerlo nella promozione. I suoi film, da "Banditi a Orgosolo" a "Diario di un Maestro", sino ai cortometraggi sui minatori e pescatori, sono dei modelli ineguagliabili di cinéma vérité. Sul fronte americano, Barbara Kopple è un riferimento importante per la sua capacità di penetrare in modo intimo la realtà dei suoi personaggi: "Harlan County USA" rimane uno dei suoi film più belli. Per non parlare di Werner Herzog e della sua affascinante commistione tra documentario e fiction".

La vicenda avrà un nuovo inizio con "Coal Rush"? Filippo: "Dal punto di vista legale, no, perché le parti hanno raggiunto un accordo extra-giudiziale, quindi il caso é chiuso. Dal punto di vista umano, questo film ha un grande significato emotivo per i nostri personaggi che hanno lottato sette anni contro un gigante dell’energia. Ci vuole forza, audacia e una grande perseveranza per non farsi intimorire, e questo film è la testimonianza del loro coraggio".

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4 aprile 2012

Carbone business macabro a norma di legge

L'articolo originale è della CNN, "A power plant, cancer and a small town's fears", qui raccontato da petrolio.blogosfere.it:
"L'impianto a carbone di Juliette, in Georgia (USA) è il più grande impianto degli States, con due ciminiere da 300 metri ciascuna. Secondo l'Environmental Protection Agency è il più grande produttore di gas serra del Paese.
I cittadini di Juliette, che vivono attorno alla centrale, si ammalano e muoiono. Il sintomo più diffuso è svegliarsi nel cuore della notte sputando sangue. I medici interpellati, regolarmente, chedono:"Lei è un alcolista?" A madri di famiglia, vecchietti, "Lei è un alcolista?". Ovviamente non lo sono mai, e altrettanto ovviamente in seguito ad analisi ed esami l'origine del male rimane misteriosa. Come "misteriosa" rimane l'origine di tutti i casi di cancro che colpiscono ogni famiglia. La Georgia Power, compagnia elettrica, nega ogni responsabilità. Anche quando nelle analisi dei capelli svolte di propria iniziativa dai cittadini si trovano 68 parti per milione di uranio, sottoprodotto delle ceneri del carbone, la compagnia nega. "E' tutto sotto controllo, è tutto a norma di legge". E' a norma di legge anche comprare case e proprietà. E infatti la Georgia Power lo sta facendo: quando una casa resta vuota perché gli abitanti sono alfine morti, la compagnia compra. Compra, rade al suolo nottetempo, pianta un boschetto di pini e sigilla il pozzo. Ultimamente vengono fatte offerte di acquisto per case ancora abitate, quelle abitate da gente malata. Anche lì poi, case rase al suolo e pozzi sigillati. Gli attivisti locali sostengono che questo silenzioso chiudere i pozzi rappresenta un allarme rosso. L'acqua è inquinata, ed è l'acqua che i cittadini bevono. Ma è tutto sotto controllo e a norma di legge. Le compagnie mentono spudoratamente, ma i cittadini sono obbligati a crederci e la stampa a far finta di crederci. Funziona così ovunque, anche qui, chiedetelo ai tarantini."

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1 aprile 2012

Contro Malagrotta-bis ad Allumiere, nuova mobilitazione generale.

Resoconto della mobilitazione da Civonline.it "È partita questa mattina da Allumiere la delegazione di collinari che sta partecipando alla manifestazione a Roma presso la Prefettura insieme a tutti comitati del Lazio contro le megadiscariche e contro gli inceneritori «cancro valorizzatori». Critico Bessio (presidente dei Verdi) verso la Regione Lazio e il commissario Pecoraro: «E’ assurdo che Polverini e il commissario governativo Pecoraro si oppongano al piano di Clini. Condividiamo la posizione del Ministro Clini per quanto riguarda la differenziata e la bocciatura dello studio sui siti della regione, che è pieno di fattori escludenti; chiediamo quindi a Polverini e Pecoraro di allinearsi». Aggueriti i rappresentanti della delegazione collinare: «Tutti insieme abbiamo detto di no a discariche e termovalorizzatori. L’unica via di scampo - spiegano dal Comitato No alla mega discarica Emiliano Stefanini e Giuseppe Gori e il consigliere comunale di Allumiere, Umberto Di Pietrantonio - rimane il vincolo Zps e la distanza da Roma, ma lo studio a suo tempo sponsorizzato da Panzironi dell’Ama, la presenza dell’Aurelia, dell’Autostrada e della vecchia ferrovia Civitavecchia-Orte eliminerebbero tale ostacolo logistico oggi rassegnato dai tecnici del Ministero». A rappresentare l’amministrazione comunale di Allumiere il consigliere Di Pietrantonio con la fascia tricolore e delega scritta ufficiale. «Non potevo essere a Roma per impegni istituzionali ma io e la mia amministrazione comunale siamo a braccetto con i cittadini e con il Comitato – spiega il sindaco di Allumiere, Augusto Battilocchio – in questa lotta contro la realizzazione della megadiscarica nel nostro territorio. Continueremo con ogni mezzo a lottare cercando di far valere i diritti di questo territorio. Continuo a invocare a tutti i comuni del comprensorio alla mobilitazione e a camminare insieme». Durante la manifestazione si sono registrati tre interventi di rappresentanti di Allumiere: Emiliano Stefanini e Giuseppe Gori del Movimento ‘‘No alla mega discarica’’ e quello del consigliere comunale di Allumiere Umberto Di Pietrantonio, che hanno messo in evidenza le paure dei cittadini di questo territorio e spiegato le motivazioni che spingono il territorio a dire no alla realizzazione della discarica. Per Civitavecchia hanno presenziato l’onorevole Pietro Tidei (PD), Enrico Luciani e Ismaele De Crescenzo (Sel) e Patrizio Ghirga e il sindaco di Civitavecchia Gianni Moscherini. «La manifestazione è andata molto bene - ha spiegato Di Crescenzo (Sel) - abbiamo messo in evidenza la grave incidenza che potrebbe avere la discarica sulla salute di tutti noi cittadini di questo territorio già troppo martoriato. Noi di Sel per primi abbiamo denunciato questo pericolo. Combattendo insieme riusciremo a mettere un freno a quest’ondata speculativa che sta distruggendo il nostro territorio». Per il Comune di Cerveteri c’era Ciogli e per Tarquinia c’era invece Loretta De Simoni. «Noi c’eravamo - spiega Enrico Luciani - e siamo orgogliosi di aver partecipato e aver detto la nostra. Eravamo in tanti a dire no alla logica di risolvere il problema rifiuti creando discariche e termovalorizzatori. E’ ora che Roma e tutta la Regione Lazio dia il vita in maniera massiccia alla raccolta differenziata spinta. Su Civitavecchia e il comprensorio incombe un pericolo gravissimo». Sulla stessa linea l’onorevole Pietro Tidei: «Ho partecipato alla manifestazione per dire no al tentavo di realizzare una mega discarica nei boschi di Santa Lucia. Ero l’unico parlamentare presente. E’ altissimo il rischio che Civitavecchia e il suo comprensorio si ritrovino ad essere la pattumiera di Roma. Noi del centrosinistra siamo orientati verso uno sviluppo sostenibile che vede l’ambiente come una risorsa e come un luogo dell’identità culturale dei civitavecchiesi. Dobbiamo mantenere alta la guardia contro la possibile discarica nel comprensorio militare di Santa Lucia. Faccio perciò appello ai movimenti ambientalisti a unirsi con il centrosinistra per battere questo ennesimo scempio di un territorio già pesantemente inquinato dagli scarichi delle navi nel porto e dalle centrali a carbone. Lo dobbiamo a noi stessi, ai cittadini e alle future generazioni». Presente al sit in di protesta a Roma per dire no alla megadiscarica ad Allumiere anche il sindaco di Civitavecchia Gianni Moscherini: «Ho aderito alla manifestazione di piazza SS. Apostoli - ha spiegato il sindaco Moscherini - per ribadire a chiare lettere la contrarietà di Civitavecchia a questo progetto. Rimaniamo della convinzione che ogni comune dovrebbe occuparsi dei rifiuti di casa propria, evitando di progettare megadiscariche nelle aree limitrofe. Quella contro il sito ad Allumiere è una battaglia trasversale, che non ha colori politici ed è per questo che tutti i sindaci del comprensorio, in maniera unitaria si sono recati a Roma per far sentire la propria voce. Prima del 12 aprile, bisogna mobilitarsi, non solo nelle piazze, per impedire che Allumiere diventi uno dei siti indicati per il post- Malagrotta». Sempre questa mattina invece il Coordinamento Rifiuti Zero per il Lazio, insieme a molti comitati, ha partecipato alla manifestazione a Torrimpietra per opporsi alla costruzione dell’inceneritore e/o discarica a Pizzo del Prete, uno dei siti indicati dal Ministro Clini come compatibile. Alla manifestazione hanno partecipato circa mille persone che hanno gridato in modo deciso la loro opposizione al progetto. Esploreremo tutte le strade per fermare questa operazione e sollecitiamo il Ministro Clini ad imporre a Roma la raccolta al 65% di differenziata secondo ciò che è previsto dalla legge europea. Questa percentuale renderebbe inutile qualsiasi inceneritore nella regione Lazio. Non faremo un passo indietro: no discariche, no inceneritori, sì alla raccolta differenziata».

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31 marzo 2012

Enel primo inquinatore in Italia, nei suoi piani ancora carbone



Direttamente da Greenpeace, un'iniziativa degna di nota e partecipazione. Leggi, partecipa, diffondi:


"Questo video contiene le immagini della prima operazione dei R.I.C., il Reparto Investigazioni Climatiche di Greenpeace, che ha iscritto Enel al registro degli indagati. Ieri mentre i R.I.C. consegnavano l’ “avviso di garanzia” presso la sede dell’azienda a Roma, più di 8 mila investigatori online lo mandavano via mail ai suoi dirigenti. Dobbiamo continuare a fare pressione.
Enel sta uccidendo il clima con i suoi piani di investimento nel carbone ed è il principale ostacolo alla rivoluzione energetica di cui l’Italia ha bisogno. La centrale Enel di Brindisi, che produce danni ambientali e sanitari stimati fino a 700 milioni di euro l’anno (fonte AEA), è solo una delle otto centrali a carbone che il colosso dell’energia possiede in Italia. Non è tutto. Vuole realizzarne altre due.
Secondo l’ultimo dato presentato dall’azienda stessa, nel 2011 la sua produzione da carbone in Italia è salita dal 34,1% al 41%. Le nuove rinnovabili sono salite, invece, da un misero 7,1% a un poco meno misero 7,8%.
Con le sue pubblicità Enel fa di tutto per mostrarsi un’azienda che investe in energia pulita e, invece, è solo greenwashing: il modo con cui Enel produce energia è un’eredità dei nostri nonni.
Dobbiamo convincerla a cambiare. E lo faremo raccogliendo indizi e reclutando nuovi investigatori nel R.I.C. Dobbiamo essere migliaia per riuscire a fermare gli sporchi piani di Enel. Tu sei già nella nostra squadra? Compila il form alla tua destra e fai sapere a Enel che anche tu sei sulle sue tracce" 

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28 marzo 2012

Centrali termoelettriche e ospedalizzazione per malattie respiratorie

Dall'ARPAT Toscana: "Rapporto tra la vicinanza alle centrali termoelettriche e tasso di ospedalizzazione per malattie respiratorie

"Pubblicati i risultati di uno studio condotto negli Stati Uniti.
Lo studio è partito dall’assunto secondo cui l'inquinamento atmosferico può provocare malattie respiratorie. Diversamente dalle fonti dei veicoli a motore, le centrali termoelettriche sono stazionarie: utilizzando i dati di ospedalizzazione lo studio ha esaminato quindi il rapporto tra la vicinanza ad una centrale termoelettrica e l’aumento della probabilità di ospedalizzazione a causa di malattie respiratorie. Sono stati stimati i tassi di ospedalizzazione per asma, infezioni respiratorie e broncopneumopatia cronica ostruttiva sulla base dei dati di ospedalizzazione tra il 1993 e il 2008 nello Stato di New York, in relazione alla vicinanza dalle centrali termoelettriche e/o da siti di rifiuti pericolosi. A partire da variazioni per età, sesso, razza, reddito medio familiare e territorio di residenza, sono stati rilevati incrementi significativi pari a 11%, 15% e 17% nei tassi stimati di ospedalizzazione per – rispettivamente - asma, infezioni respiratorie e broncopneumopatia cronica ostruttiva, negli individui di età superiore a 10 anni che vivono in prossimità di una centrale termo elettrica rispetto ad uno che non ha centrale elettrica. Vivere in prossimità di una centrale termo elettrica invece non modifica in modo significativo i tassi di con l’ospedalizzazione per asma o infezioni respiratorie nei bambini con meno di 10 anni di età. Il dato di vicinanza ad una discarica di rifiuti pericolosi è stato associato ai dati di ospedalizzazione per tutti i casi in entrambi i gruppi di età e sono stati stimati gli effetti comuni. I risultati dello studio concordano con l'ipotesi che l'esposizione all’inquinamento dovuto alle centrali termoelettriche e ai composti volatili provenienti dalle discariche di rifiuti pericolosi aumenta il rischio di ospedalizzazione per malattie respiratorie. Clicca qui per il documento integrale

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25 marzo 2012

"Uomo carbone", 200Kg di combustibile per una vita

Una rappresentazione teatrale per non dimenticare

Fonte
"Dal 1946 al 1956 il numero dei lavoratori, provenienti dall'Italia, morti nelle miniere belghe e in altri incidenti sul lavoro è di oltre seicento. A causa di un errore umano, l'8 agosto 1956 il Belgio venne scosso da una tragedia senza precedenti; un incendio, scoppiato in uno dei pozzi della miniera di carbon fossile del Bois du Cazier, causò la morte di 262 persone di dodici diverse nazionalità; fu una tragedia agghiacciante; i minatori rimasero senza via di scampo, soffocati dalle esalazioni di gas.
Le operazioni di salvataggio furono disperate fino al 23 agosto quando uno dei soccorritori pronunciò in italiano: "Tutti cadaveri!"
Fra i 136 italiani vi erano 61 minatori abruzzesi, provenienti in gran parte da Manoppello, San Valentino, Lettomanoppello e altri piccoli centri limitrofi.
La tragedia di Marcinelle, il peggiore disastro mai accaduto nelle miniere belghe, fu considerata anche il frutto di un accordo, detto “Uomo carbone”, con cui l’Italia si era impegnata nel 1946 a spingere in Belgio mille minatori a settimana ricevendo in cambio 200 chili di carbone al giorno per ogni emigrato.
Italiani che, secondo lo stesso accordo, dovevano avere un’età ancor giovane (35 anni al massimo) e un buono stato di salute; per loro, un contratto di 12 mesi.
La storia di questa tragedia sarà rievocata in una rappresentazione teatrale, organizzata dall'aquilano Federico Fiorenza e rientrante nell’ambito di interesse delle attività della Comunità Europea, domenica 18 marzo, alle ore 18.30, presso la Casa del Teatro, in P.zza Arti di Via Ficara a L'Aquila.
Dopo quasi due anni di repliche, promosse con entusiasmo da pubblico e critica e ad un anno e mezzo di distanza dal debutto pescarese, la produzione di maggior successo del Teatro Sociale di Pescara, approda nel Capoluogo abruzzese.
Durante tale percorso, sceneggiatura, personaggi ed intenzioni recitative sono stati notevolmente sviluppati, acquisendo una maturazione artistica ed una solidità che fanno di quest'ultima versione della pièce quasi il riadattamento di se stessa.
La versatilità, la dinamicità e la forte carica emozionale, sono stati certamente tra i massimi fattori di riuscita di questo spettacolo.

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24 marzo 2012

5 vittime, 17 intrappolati nella miniera

Fonte: AGI China
"Individuati dai soccorritori i 17 minatori rimasti intrappolati. L'incidente e' avvenuto giovedi', quando un'esplosione di gas ha colpito la miniera di carbone Dahuang No. 2, a Liaoyang, nella provincia del Liaoning: dei 23 operai al lavoro al momento dell'accaduto, uno e' riuscito a fuggire, cinque almeno i morti. I soccorritori ritengono che i 17 minatori intrappolati si siano radunati in una piattaforma di lavoro posta a 169 metri di profondita'.
I corpi delle cinque delle vittime sono stati recuperati dal condotto venerdi', ha affermato Liang Yongli, portavoce del quartier generale locale per i soccorsi. La polizia e' alla ricerca del proprietario della miniera, fuggito dopo l'esplosione; le autorita' locali per la sicurezza hanno affermato che i lavori nella miniera avrebbero dovuto essere sospesi in attesa di un controllo di sicurezza, ma il proprietario li aveva illegalmente fatti riprendere."

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Wangari Maathai: Simona Ricotti insignita del "Premio fuoco"

Wangari Maathai, Nobel per la pace nel 2004: a lei è dedicato il Premio omonimo, quest'anno alla sua prima edizione.

L'iniziativa, celebrata nello scorso 6 marzo, è promossa dall'associazione "A Sud" con il sostegno della Commissione delle Elette del Comune di Roma, e ha l'obiettivo di testimoniare, nell'ambito delle celebrazioni dell'8 marzo, l'impegno civile delle donne nelle battaglie in difesa della pace, dei diritti di genere e dell'ambiente.

Tra le quattro premiate, con orgoglio c'è la nostra Simona Ricotti, insignita del "Premio fuoco". Dal sito dell'Associazione:

Da sempre impegnata nella difesa dell’ambiente, nella tutela dei diritti delle donne, nell’affermazione di una cultura della pace e attivista del comitato No Coke, si è battuta lungo gli anni contro la conversione a carbone della Centrale di Civitavecchia. Simona ha dedicato il premio "alle mamme di Civitavecchia che si battono istancabilmente per il futuro dei loro figli e delle generazioni future".

La notizia ripresa dai media italiani

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Coltre nera di menzogne

Passano gli anni, ma la realtà resta invariata. Come documentammo nel nostro "Alto Lazio come Brindisi"
Da Repubblica del 5 marzo 2012
"Polvere di carbone sui campi di Cerano. Polvere nera sulle mani, nelle case, sui panni stesi ad asciugare. Polvere nera sui campi fertili, coltivati un tempo a vite, carciofi, ulivi, che una volta davano da mangiare ai contadini e ai loro padri. Carbone forse anche nel sangue. Negli oltre quattrocento ettari di terre all'ombra della centrale Federico II di Cerano non si può più coltivare ormai da cinque anni per effetto di una ordinanza che ha intimato la distruzione dei frutti dei quali è disposto il divieto assoluto di commercializzazione. Ma anche l'esilio coatto degli oltre sessanta agricoltori che su quei campi non possono lavorare più di 180 giorni all'anno, pena il rischio di contaminazione da arsenico, berillio, vanadio, metalli pesanti dall'alto potenziale tossico rilevati in quantità superiori alle soglie considerate non pericolose per la salute. Come se per tenere in vita la terra bastassero cure a intermittenza.

Da un lustro i contadini di Cerano chiedono di sapere cosa abbia avvelenato i campi e forse loro stessi. Lo hanno chiesto tramite un esposto indirizzato alla procura di Brindisi dalla quale è scaturita una inchiesta che solo oggi giunge al capolinea. Il pubblico ministero Giuseppe De Nozza ha notificato di recente l'avviso di conclusione delle indagini a carico dei quindici indagati, fra dirigenti Enel e imprenditori addetti al trasporto del carbone che alimenta la centrale, accusati di getto pericoloso di cose, danneggiamento delle colture e insudiciamento delle abitazioni. Sono le accuse che gravano tra gli altri sul direttore della centrale, i responsabili dell'area Ambiente e dell'impianto trasportatore. L'azienda, contattata da Repubblica, non rilascia dichiarazioni, ma in una nota si dice fiduciosa: "In merito alla decisione della Procura di Brindisi, Enel - si legge - nella piena convinzione di aver sempre operato nel rispetto delle leggi e nell'interesse della collettività, attende con fiducia i successivi sviluppi".

Le conclusioni del pubblico ministero poggiano su quelle del perito al quale è stato chiesto di verificare se è vero oppure no che quella polvere nera sia polvere di carbone. Nessun dubbio per il consulente tecnico della procura Claudio Minoia, direttore del laboratorio di misure ambientali e tossicologiche della Fondazione Maugeri di Pavia, nonché responsabile della scuola di specializzazione in Medicina del Lavoro dell'ateneo pavese: la fonte di contaminazione di terreni, colture, falda acquifera e atmosfera è la centrale termoelettrica, non i camini delle villette come pure qualcuno ha sostenuto, né il traffico automobilistico. E' il vento che solleva il pulviscolo dal deposito (scoperto) del combustibile, ammantando le colture: "Il consulente tecnico ritiene - scrive Minoia - che in aree prospicienti la centrale Federico II ubicata a Cerano si siano determinate, anche se non con carattere di continuità ma piuttosto come diretta conseguenza di fenomeni eolici, dispersioni significative di polveri di carbone dal deposito carbonile. Questa ha sicuramente rappresentato la principale via di contaminazione delle aree prospicienti".

E' esattamente quello che aveva sostenuto la Asl di Brindisi nel 2007, in una nota propedeutica al divieto di coltivazione emanato dal sindaco, avvertendo dei pericoli per la salute se ortaggi, frutta e polveri fossero arrivati dai campi alle tavole dei brindisini: "...è più che ragionevole sospettare la possibilità che le sostanze chimiche riscontrate possono entrare nel ciclo biologico di produzione sia vegetale che animale e, conseguentemente, passare nella catena alimentare con grave rischio per la salute dei consumatori".

Le stesse conclusioni a cui giunge l'equipe di ricercatori ai quali nel 2009 il Comune di Brindisi aveva commissioanto un'analisi di rischio, effettuata dall'Università del Salento e Arpa Puglia. Le analisi su prelievi e campionamenti rilevano la presenza di metalli pesanti nell'area, stigmatizzando come pericolosa per la salute dei coltivatori l'esposizione superiore ai sei mesi all'anno. Lo studio conclude individuando come "fonte potenziale più probabile" delle emissioni "la centrale Enel Federico II, con particolare riferimento alla gestione del carbonile". Nello stesso anno, un dossier divulgato da Medicina democratica avverte: "L'emissione di anidride carbonica è quindici volte superiore alla soglia nella centrale di Cerano. L'arsenico, il cadmio, il cromo, gli idrocarburi policiclici aromatici e il benzene, tutti cancerogeni in grado di provocare diversi tipi di tumori, superano abbondantemente la soglia".

A tutt'altre deduzioni giunge invece uno studio commissionato da Enel all'istituto di ricerca Erm (Environmental resources management spa, ndr), sempre nel 2009, secondo cui "le concentrazioni rilevate sono di origine naturale". "Lo studio ha dimostrato - scrivono i ricercatori Erm - che la concentrazione dei metalli nei terreni non è riconducibile ad alcuna sorgente puntuale e/o specifica attiva, nel presente e/o nel passato, sull'area di interesse. Tale concentrazione è invece riconducibile a quanto viene universalmente riconosciuto, anche da Apat, come valore di fondo o fondo naturale". Nessuna relazione, dunque, fra la mole della centrale elettrica, il deposito-carbonile scoperto e la dispersione di polveri di carbone su carciofeti e vigneti andati distrutti. Le conclusioni di Erm vengono supportate e avvalorate da tre docenti di altrettanti atenei italiani, Giacomo Lorenzini dell'Università di Pisa, Pierluigi Giacomello dell'Università di Roma e Luigi De Bellis, a capo del dipartimento di scienze e tecnologie biologiche e ambientali dell'Università del Salento.

Strano caso: l'università del Salento giunge dunque sul tema a esiti del tutto in antitesi. Anzi, è dalla stessa cattedra di Fisiologia vegetale dell'ateneo leccese che arrivano conclusioni opposte. Nello studio Erm-Enel il professore titolare del corso, Luigi De Bellis, dice che no, il livello di contaminazione da arsenico è del tutto nella norma. Nell'analisi di rischio condotta insieme ad Arpa, la stessa cattedra (sulla carta, altro ricercatore) dice che la quantità di arsenico è al limite del livello di guardia e che prudente per la salute dei lavoratori agricoli sarebbe non esporsi più di sei mesi all'anno. Una delle incognite alle quali dovrà rispondere il processo che verrà.

Quel che è certo è che, nel frattempo, al danno si è aggiunta la beffa. Nel giugno del 2009 Enel ricorre al Tar, per scongiurare la pioggia di richieste risarcitorie provenienti dagli agricoltori, sostenendo la illegittimità della ordinanza, fondata su termini "possibilistici ed eventuali" di nessuna evidenza scientifica. La magistratura amministrativa dà ragione al colosso energetico per una ragione su tutte: l'analisi di rischio commissionata ad Arpa e Università del Salento è stata condotta in ritardo, due anni dopo l'emanazione della ordinanza sindacale, il percorso avrebbe dovuto essere esattamente contrario. Potenzialmente insomma, nei terreni di Cerano oggi si potrebbe coltivare, ma se lo fai la Asl ti trascina in tribunale, come è successo a uno degli agricoltori. Uno di quelli che si sono rifiutati di accettare soldi dal colosso energetico in cambio della rinuncia all'azione penale.

Il punto resta un altro. I prodotti della terra maledetta non li vuole più nessuno, e i contadini stessi su quei campi hanno paura di lavorare, per timore di morire avvelenati dal cancro. Psicosi. Forse.

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