No al carbone Alto Lazio

20 luglio 2011

Carbon tax in Australia

Qualcosa si muove, ma è davvero poca roba. Fonte
"L'Australia ha scelto la via più diretta (e ardua) per combattere l'inquinamento e puntare alle fonti rinnovabili: la tanto annunciata e altrettanto osteggiata carbon tax è ora un progetto di legge. Come ha dichiarato il premier Julia Gillard, che è riuscita a coalizzare tutta la sua esile maggioranza su questo provvedimento, le 500 imprese più inquinanti del Paese dovranno pagare 23 dollari australiani (circa 17 euro) per ogni tonnellata di CO2 emessa, da metà 2012 al 2015, con incrementi annuali della tassa pari al 2,5 per cento. Nel 2015 si passerà invece a un sistema di mercato “cap and trade” sulla scia di quello europeo, con la possibilità di vendere e acquistare i crediti di emissione a prezzi variabili e fissando dei tetti annuali alla quantità massima di emissioni per ogni settore industriale.

È una vera rivoluzione per un Paese che produce l'80% dell'energia elettrica nazionale con le centrali a carbone, tanto da essere ai primi posti nel mondo per emissioni pro capite di CO2. Con la carbon tax, il governo pensa di ridurre del 5% le emissioni inquinanti nel 2020, rispetto ai livelli del 2000 (159 milioni di tonnellate di CO2 in meno). Anche se arriverà l'approvazione dai due rami del Parlamento, l'esecutivo Gillard dovrà fronteggiare una crescente opposizione alle sue misure ambientaliste; sul piede di guerra, infatti, ci sono non soltanto le industrie minerarie, siderurgiche e le compagnie aeree, ma anche i cittadini che temono l'impennata delle bollette elettriche. Il Governo, però, ha dichiarato che stanzierà circa tre miliardi di dollari per compensare l'introduzione della tassa, con riduzioni fiscali alle famiglie e finanziamenti per le rinnovabili e l'efficienza energetica.

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Fiato sul collo a Zaia


Agisci, con l'iniziativa di Greenpeace:

Pericolo carbone in Italia, ferma la centrale di Porto Tolle. Chiedi subito al governatore della Regione Veneto di fermare questo scempio nella zona protetta del Delta del Po. Scrivi subito a Zaia!

Luca Zaia, il governatore leghista della Regione Veneto, vuole fare un regalo a Enel: cambiare la legge di un parco già fragilissimo – quello del Delta del Po – per consentire la riconversione a carbone della centrale di Porto Tolle. C’è poco tempo per fermarlo: in Consiglio regionale stanno discutendo la legge proprio in queste ore.

Questa centrale avrebbe un impatto su un’area estremamente estesa della Pianura Padana, e produrebbe 10 milioni di tonnellate l’anno di CO2, cioè oltre 4 volte le emissioni annuali di una città come Milano.

Chiedi subito al governatore della Regione Veneto di fermare questo scempio nella zona protetta del Delta del Po. Scrivi subito a Zaia!

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19 luglio 2011

Il boschetto a Torrevaldaliga si farà?

Sui media locali la notizia: secondo indiscrezioni, enel pare intenzionata a rispettare la prescrizione che impone la realizzazione di un bosco di 40 ettari a ridosso della centrale di Torrevaldaliga Nord, come previsto dal relativo decreto autorizzativo. Tale decisione -a lungo attesa dai cittadini e imposta dalla legge- si porrebbe in contrasto coi piani del sindaco Moscherini di trasformare quell'area in una gigantesca distesa di cemento e zone franche per i traffici mercantili, piano già conosciuto anche come "Terminal Cina" e attorno a cui si raccolgono gli appetiti di costruttori, speculatori e malaffare.

Vedi Civonline.it 

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16 luglio 2011

Mario Tozzi, il carbone è scelta che più miope non si può

"Dalla padella alla brace", su LaStampa Mario Tozzi spiega come l'alternativa al nucleare non può essere il carbone. Parole abbastanza chiare, anche se restano fuori dall'articolo numerosi problemi non citati, connessi con l'uso del carbone a fini energetici

"Chi si era chiesto come avrebbe fatto l’Europa a procedere senza più energia nucleare ha avuto la sua risposta.

Soprattutto accendendo nuove centrali a carbone e non spegnendo le vecchie. Non avete voluto il nucleare? Allora beccatevi il carbone, una logica che più miope non si può. La scelta viene giustificata dalle nuove tecnologie (il carbone pulito) e
dal bisogno sempre più pressante di energia, fattori che si faranno risentire anche sul nostro Paese, che dipende solo per l’11% dal carbone, ma che vede diffusi tentativi di riconversione verso questo combustibile fossile.

Chiunque abbia preso mai in mano un pezzo di carbone sa che il carbone pulito non può esistere, esistono semmai tecnologie più pulite (clean coal technologies) per il suo sfruttamento. Come quelle che consentono di ricavare combustibili liquidi attraverso la sua liquefazione.

Polveri e ceneri volatili vengono limitate nelle nuove centrali a carbone attraverso l’impiego di dispositivi a ciclone, precipitatori elettrostatici, sistemi di lavaggio a umido e filtri di vario genere. Il problema micidiale delle emissioni di anidride solforosa (cioè delle piogge acide) viene risolto (il termine meritava le virgolette, ndr) soprattutto separandola dagli altri gas combusti o desolforando direttamente il carbone. Gli ossidi d’azoto possono essere significativamente limitati (denitrificazione) agendo sul processo di combustione o rimuovendoli dai gas combusti.

Non c’è niente da fare, però: il carbone inquina, comunque aumenta l’effetto-serra, produce ceneri e, alla fine, è destinato a esaurirsi. Ma sul ritorno al carbone giocano anche altre questioni strategiche industriali. Prima di tutto il fatto che ci sarebbe carbone sufficiente per altri 230 anni circa (altre stime parlano di 150 anni), molto di più di qualsiasi altro combustibile fossile si possa usare. Però, come per il petrolio, l’ultima tonnellata di carbone si estrae più difficilmente e costa molto di più da estrarre della prima: l’importante non è quando finisce, ma quando comincia a costare troppo, cioè circa a metà delle riserve sfruttate.

Il secondo dato favorevole è che la distribuzione geografica del carbone è molto diversa rispetto a quella del petrolio, non interessando Paesi con gravi problemi di instabilità politica. Questo dovrebbe garantire maggiore tranquillità nell’approvvigionamento e maggiore stabilità nei prezzi. Così il carbone consentirebbe di superare l’attuale fase di transizione energetica arrivando senza traumi al suo esaurimento, prima che ci si trovi in emergenza per aver esaurito definitivamente petrolio e gas naturale.

Ma i problemi connessi con l’uso del carbone sono gravissimi a partire dall’estrazione. Le miniere di carbone sono generalmente a cielo aperto e il loro scavo altera gravemente il paesaggio, sollevando polveri e altri inquinanti. In ogni caso si tratta di scavi giganteschi che comportano lo stravolgimento di una regione.

Le ceneri generate dalla combustione del carbone ammontano a una percentuale in peso maggiore di quella del petrolio e, ovviamente, del gas naturale (che non ne produce). Comportano quindi gravi problemi di inertizzazione e smaltimento, aggravati dalla presenza costante di impurità metalliche, spesso tossiche o comunque nocive, che vanno trattate a parte.

Bruciare carbone, poi, non libera dalla schiavitù dell’anidride carbonica, anzi, per questa via se ne produce di più che con qualsiasi altro combustibile fossile, con i relativi problemi in termini di surriscaldamento dell’atmosfera che già conosciamo bene per il petrolio (e, in misura minore, anche per il gas). Nessuna politica di opposizione al cambiamento climatico ha senso se non si rinuncia al carbone. Senza contare la sgradevole sensazione di essere finiti dalla padella nella brace.

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Le rinnovabili più forti della crisi

Da Qualenergia
"Le fonti rinnovabili continuano a dispetto della crisi la loro crescita a livello globale. Nessun crollo nel 2009 e nel 2010 arrivano a coprire il 16% dei consumi finali mondiali. La stima è nel recente rapporto Renewable Energy Network (REN21) che sottolinea inoltre come circa la metà dell’intera potenza elettrica (cioè pari 194 GW) installata nell’anno appena trascorso sia da fonte rinnovabile. Anche nella prima parte del 2011 l’andamento è su questo trend. Nel 2010 le fonti rinnovabili hanno fornito quasi il 20% dell’intera offerta di energia elettrica mondiale (vedi anche Qualenergia.it, Il film dell'energia degli ultimi quarant’anni).

Il report REN21 ha evidenziato come gli investimenti in fonti rinnovabili sia balzati a 211 miliardi di dollari nel 2010 (forse 226 mld di $ includendo gli investimento non registrati in solare termico), rispetto ai 160 del 2009 e senza contare 40-45 miliardi di $ relativi a grandi impianti idroelettrici. Rispetto al 2004 la crescita negli investimenti in rinnovabili nel mondo è cresciuta di 5 volte.

Secondo Greenpeace International l’attuale crescita delle rinnovabili è dietro appena del 7% rispetto a quanto preventivato dallo studio dell’associazione, Energy [R]evolution. I dati molto significati riportati dal documento non possono comunque far abbassare la guardia, spiega Greenpeace, visto che nella battaglia contro i cambiamenti climatici ci troviamo ancora nella fase più acuta e tanta strada è ancora da percorrere, in particolare nella riduzione dei sussidi alle fonti inquinanti e agli inquinatori.

Alcuni dati di REN21 sono molto interessanti. Uno di questi riguarda il fatto che tra i 5 paesi leader in potenza installata da rinnovabili ad esclusione dell’idroelettrico vi siano Stati Uniti, Cina, Germania, Spagna e India (vedi tabella qui sotto).

Negli Stati Uniti, ad esempio, le rinnovabili coprono il 10,9% della domanda di energia primaria nazionale (il nucleare per l’11,3%), con una crescita del 5,6% rispetto al 2009. La Cina è in testa nell’installazione dell’eolico e nei sistemi solari termici. In totale il paese asiatico ha incrementato la sua potenza elettrica collegata alla rete di 29 GW da fonti rinnovabili, per raggiungere un totale di 252 GW. L’aumento sul 2009 è stato del 13%. Significativo è il dato globale che riguarda la Cina: circa il 26% della potenza elettrica installata nel 2010 è di origine rinnovabile, il 18% se guardiamo alla produzione e per quanto concerne l’offerta globale di energia la Cina è al 9%.

Anche i dati per l’Unione Europea sono rilevanti, se consideriamo che tutti gli obiettivi previsti al 2010 per eolico, fotovoltaico, solare termodinamico e pompe di calore cono stati superati. Per quanto concerne i paesi cosiddetti in via di sviluppo, il report dimostra come oltre la metà di tutta potenza da fonte rinnovabile mondiale è installata in queste nazioni.

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A Savona va in scena il voltafaccia di Burlando

"Nonostante le dichiarazioni fermamente contrarie al potenziamento espresse prima delle elezioni regionali, la Giunta regionale ha portato in conferenza dei servizi quello che di fatto è un potenziamento a carbone. Ne siamo dispiaciuti, amareggiati e preoccupati!

Comunicato di Uniti Per la Salute ONLUS

Abbiamo appreso le notizie dell’esito della conferenza dei servizi svoltasi oggi a Roma sul potenziamento della centrale.

Attendiamo di leggere il documento nella sua interezza, tuttavia da quello che si è appreso dai primi lanci dei media possiamo solo fare alcune brevi considerazioni.

Nonostante le dichiarazioni fermamente contrarie al potenziamento espresse prima delle elezioni regionali, la Giunta regionale ha portato in conferenza dei servizi quello che di fatto è un potenziamento a carbone. Ne siamo dispiaciuti, amareggiati e preoccupati!

I cittadini devono sapere che questo è avvenuto:
- Nonostante la posizione chiaramente espressa da tutto un territorio anche con le delibere contrarie di 18 comuni

- Nonostante la richiesta avanzata dai sindaci per una seria valutazione di impatto sanitario prima di ogni altra decisione,

- Nonostante la chiara posizione dell'ordine dei medici a tutela della salute dei cittadini,

- Nonostante la già problematica situazione ambientale in aria e in acqua,

- Nonostante ancora oggi si attenda documentazione ufficiale che garantisca fuor d’ogni dubbio l’ottemperanza alle prescrizioni dovute per il gruppo a turbogas entrato in funzione da ben quattro anni,

- Nonostante che lostesso Presidente regionale abbia recentemente affermato “perché forzare una popolazione a ospitare un’opera che non vuole?”

Non vengano poi a parlarci di investimenti e posti di lavoro: investimenti e posti di lavoro sarebbero senz'altro garantiti dalla metanizzazione, come richiesto anche dall'Ordine dei Medici (ricordiamo per l’ennesima voltache Ansaldo ci risulta essere leader nella costruzione di turbine a gas.)

E allora, qual è il vero obbiettivo: SALVAGUARDARE I POSTI DI LAVORO O MANTENERE (AUMENTARE!) IL CARBONE?
I cittadini e le numerose associazioni e partiti che si riconoscono sui principi della tutela del territorio e della salute non rimarranno inerti, ma adotteranno tutte le iniziative legalmente consentite per difendere strenuamente il loro territorio e il loro futuro.

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Investimenti in fonti fossili, una bolla finanziaria piena di Co2

Secondo Carbon Tracker gli investimenti in fonti fossili di energia sono eccessivi rispetto alle quantità effettivamente estraibili e utilizzabili nel prossimo futuro.
Fonte: Qualenergia
Gli investimenti nelle fonti fossili potrebbero esser i nuovi subprimes. C'è un rischio sistemico profondo, ma trascurato nel mercato finanziario mondiale, che potrebbe portare danni peggiori di quelli dell'ultima crisi economica e finanziaria. Una quantità enorme di denaro è infatti impegnata in carbone, petrolio e gas che in futuro probabilmente non potranno essere estratti. Investimenti spesso a medio e lungo termine nelle fonti fossili compiuti anche da grandi fondi pensione e Stati, senza guardare al quadro macro della situazione: con le politiche necessarie a limitare il riscaldamento globale, circa l'80% delle riserve su cui si è finora investito non potrà essere sfruttato.

E' questo il sunto estremo di un interessante studio appena pubblicato da Carbon Tracker Initiative (vedi allegato). Se nel mondo crescono gli investimenti in tecnologie pulite (si veda l'ultimo report REN 21 su Qualenergia.it, Le fonti
rinnovabili, il primo driver della crescita mondiale), l'economia mondiale continua a puntare ancora molto su carbone, gas, petrolio e altri settori ad alta intensità di CO2: si pensi ad esempio al piano da 100 miliardi di dollari di Shell per aumentare l'output a 3,7 milioni di barili al giorno entro il 2014. Ma gli investitori – denuncia il report – non stanno tenendo conto dei limiti alla quantità CO2 che si potrà emettere. Quanta parte di quelle riserve su cui si sta investendo dovrà essere lasciata sottoterra?

Sono calcoli che invece il report riporta chiaramente, riprendendo quelli del Potsdam Insitute. Per ridurre fino al 20% la possibilità che la febbre del pianeta superi la soglia dei 2°C di aumento della temperatura globale, da qui al 2050 si potranno emettere 'solo' 565 miliardi di tonnellate (Gt) di CO2. Le riserve conosciute di fonti fossili se bruciate ne produrrebbero 2.795, il 65% dal carbone, il 22% dal petrolio e il 13% dal gas (vedi grafico in alto). Potremmo allora usarne solo il 20%. Le riserve in possesso delle 100 più grandi compagnie quotate nel carbone e delle 100 del petrolio ammontano ad un equivalente in CO2 di 745 Gt: 180 in più di quello che potremo bruciare fino al 2050. In aggiunta ci sono anche le riserve di proprietà degli Stati: ne emerge che, per stare sotto ai 2°C, di tutte le riserve controllate dalle grandi compagnie quotate, si potranno usare solo gas, carbone e petrolio per l'equivalente di 149 Gt CO2.

"Questo significa - denuncia lo studio – che governi e mercati globali stanno trattando come assets riserve che sono 5 volte il budget che si potrà usare nei prossimi 40 anni. Le conseguenze di poter usare solo il 20% di queste riserve non sono ancora state considerate”. Gli investitori sono esposti al rischio di possedere asset di “carbonio che non si può bruciare” che potrebbero subire una pesante svalutazione. Dato che la capitalizzazione legata alle risorse fossili su varie Borse ha un ruolo molto importante (20-30% in Borse come quella australiana, Londra, Mosca, Toronto e San Paolo), le conseguenze a catena per l'economia mondiale potrebbero anche essere catastrofiche.

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Emilia Romagna, la Regione contro il carbone a Porto Tolle

...Con il contributo determinante del Movimento 5 Stelle (leggi comunicato)

Fonte: estense.com
"L’assemblea legislativa della Regione Emilia-Romagna ha approvato (favorevoli: Pd, Idv, Fds, Sel-Verdi, Mov5stelle; astenuti Pdl e Udc) una risoluzione, firmata da Giovanni Favia (Mov5Stelle), Liana Barbati (Idv), Marco Monari (Pd), Gian Guido Naldi e Gabriella Meo (Sel-Verdi) e Roberto Sconciaforni (Fds), che impegna la giunta ad opporsi alle decisioni della Regione Veneto, che si prepara a modificare la propria legge regionale istitutiva del Parco del Delta del Po, aprendo la strada alla riconversione a carbone della centrale Enel di Porto Tolle-Polesine Camerini; e proporre un piano alternativo per lo sviluppo economico della zona, rilanciando turismo, agricoltura e pesca, preservando l’ecosistema del Po e la qualità dell’aria nella pianura padana, puntando a una produzione energetica esclusivamente effettuata tramite fonti rinnovabili, non combustibili e soprattutto non fossili.

Per il gruppo del Partito Democratico ha preso la parola il consigliere ferrarese Roberto Montanari, che tra l’altro ha detto: “In tutti questi anni la Regione ha sempre espresso contrarietà al progetto di riconversione in centrale a carbone dello stabilimento di Porto Tolle e allo stesso tempo ha proposto alternative, rappresentando le istanze dei Comuni, delle Province di Ferrara e Ravenna e delle popolazioni”.

“Da diverse generazioni e da molti anni ci battiamo per questi obiettivi, anche recandoci sugli argini del Po per sostenere la battaglia degli abitanti di quei luoghi e impedire la riconversione a carbone, non importa da quale tecnologia sorretta e oggi ribadiamo il nostro no convinto”.

Concludendo Montanari ha chiesto “sostegno alle politiche di sostenibilità ambientale e di sviluppo del territorio del Delta del Po”.

In particolare la risoluzione del Movimento 5 Stelle sottoscritta anche dalla maggioranza di centrosinistra chiede di “esprimere la netta contrarietà della Regione Emilia-Romagna al progetto di riconversione a carbone della centrale di Porto Tolle, attivandosi in tal senso in ogni sede competente a proporre un piano alternativo per lo sviluppo economico della zona, rilanciando turismo, agricoltura e pesca, cercando quindi di preservare l’ecosistema del Fiume Po e la qualità dell’aria senza danneggiare, e anzi favorendo, le attività economiche”. Si chiede inoltre di “investire esclusivamente, nell’area del Parco del Delta del Po, sulla produzione energetica da fonti rinnovabili non combustibili e soprattutto non fossili”.

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Nella Finanziaria la norma per imporre dall'alto le centrali a carbone

Fonte: ANSA
"Ancora una volta questo governo di centrodestra, leghista ed antimeridionalista, si prende gioco della Calabria e mostra in maniera chiara ed inequivocabile di considerare questa parte del Paese non una risorsa ma una grande pattumiera''. E' quanto denuncia il Consigliere regionale della Calabria, del Pd, Carlo Guccione.

''Il Governo Berlusconi, infatti - prosegue - ha introdotto nel collegato alla manovra finanziaria, una 'norma-vergogna', che espropria i calabresi e le istituzioni locali del diritto di poter decidere liberamente e autonomamente del destino dei propri territori''.''Per effetto di questa norma'', aggiunge, ''le Centrali Enel di Rossano e Saline Joniche, per le quali l'intera Calabria, i Comuni della zona jonica cosentina e reggina, le Province di Cosenza e Reggio Calabria e il Consiglio regionale nella sua unanimita' - dice Guccione - hanno detto no alla riconversione a carbone, potrebbero ora essere riconvertite''.

Secondo il consigliere, si tratta dell'''ennesimo tentativo di esautorare i poteri che in materia ambientale hanno proprio le Regioni e gli enti locali''.

Sullo stesso argomento anche Dima (Pdl)

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Procura di Rovigo, indagine sulla centrale di Polesine Camerini

Dal Resto del Carlino di Rovigo: dieci amministratori enel coinvolti nell'indagine della Procura. Clicca qui per leggere o scaricare l'articolo

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8 luglio 2011

Carbone a Porto Tolle, dove si spinge il lobbismo velenoso

Un contributo di Vanni Destro sulla scandalosa vicenda del carbone a Porto Tolle. Sul medesimo argomento anche Greenpeace e M. Scalia

"Niente da dire, il progetto di riconversione a carbone deve essere proprio buono. Talmente buono da richiedere l'impegno della Giunta, del Consiglio regionale del Veneto e addirittura del Governo in sede di Finanziaria per farlo procedere. E tutto ciò a fronte di un'indagine della magistratura a carico dei vertici Enel e di alcuni componenti delle commissioni VIA regionale veneta e nazionale per l’ipotesi di abuso d’ufficio per le procedure e i documenti che avevano permesso alle medesime di dare l’ok al
progetto di riconversione e di una sentenza del Consiglio di Stato che boccia la stessa.

Si, perché, oltre all'inutile, ai fini della riconversione, modifica dell'art. 30 della legge 36/97 istitutiva del Parco del Delta del Po, su cui si stanno avvitando in Regione Veneto perché pressati da sindacati, amministratori, politici vari e imprenditori privi di lungimiranza, ora spunta un emendamento in Finanziaria.

Riprendendo l'articolo del decreto incentivi 2010 che apriva, considerando sufficiente l'abbattimento del 50% delle emissioni rispetto alla centrale preesistente (a oliaccio combustibile, funzionante per 25 anni senza autorizzazione,dal 1980 a 2005, quando
fu posta in "riserva energetica", anche questa piena di condanne e pendenze), la strada al carbone, richiusa dal Consiglio di Stato che richiamava all'obbligo delle comparazioni con altri combustibili per definirne l'impatto, tale emendamento esonererebbe dall'obbligo
comparativo.

Non ci si dica che ciò viene proposto per i posti di lavoro, visto che nella stessa Finanziaria erano previsti tagli, fortemente voluti dal Ministro della semplificazione Calderoli, deli incentivi alle fonti rinnovabili con una perdita di 250000 posti di lavoro da qui al 2020 e
la distruzione dell'unico settore che "tira" economicamente con un giro d'affari corrispondente a quel punto di PIL che è pure la crescita prevista a livello nazionale per l'anno corrente.

Non ci si racconti che è per abbassare il costo dell'energia elettrica visto che l'Autorità per l'energia elettrica e il gas ha appena comunicato che in Italia, a fronte di un costo superiore in bolletta rispetto al resto d'Europa (per l'industria iil 26% in più, ad
esempio), se depurato dalle tasse, il costo di produzione è in linea con la media europea.

Non è più semplice dire: li si usa il carbone perché così piace a noi e le leggi ce le tagliamo e cuciamo come vogliamo, chiaro? Anche certe leggi comunque sono impugnabili e chissà che in Regione Emilia Romagna, dove di carbone non ne vogliono sapere, qualcuno non ci stia già pensando...

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