No al carbone Alto Lazio

12 dicembre 2010

Professor Balle Nucleari

Dal blog di Greenpeace.it, a firma di G. Onufrio

Umberto Veronesi continua a deliziarci con le sue sparate a favore del nucleare. Dice per esempio che potrebbe dormire avendo in camera da letto scorie nucleari: “non esce neanche la minima quantità di radiazioni” (AGI, La Repubblica, 30 novembre). Se un’affermazione di questo tipo la facesse come Presidente dell’Agenzia di sicurezza nucleare in qualche documento ufficiale, Veronesi andrebbe denunciato per falso ideologico. E se continuasse a promuovere il nucleare più che a controllarlo violerebbe nella sostanza la Direttiva UE 71/2009, che separa nettamente le due funzioni.

Anche a beneficio del prof. Veronesi, diamo qualche dato. A seconda del tipo di contenitore, la radioattività delle scorie vetrificate a un metro di distanza è di 40, 100 o 200 microSievert all’ora (World Nuclear Transport Institute, luglio 2006). Supponendo che il professor Veronesi dorma 6 ore a notte (è un tipo iperattivo, pare…), ci passerebbe 2.190 ore all’anno, assumendo quindi da 87 a 438 milliSievert (mSv) all’anno (radiazioni gamma e neutroni). La dose massima consentita per un individuo della popolazione è di 1 mSv all’anno. I lavoratori addetti sono, invece, autorizzati a prenderne 20 all’anno. Altro che sonni tranquilli: Veronesi si beccherebbe una dose di radioattività che, grosso modo, è da 80 a 430 volte oltre quella consentita.

Forse il Prof. spera di diventare fosforescente e risparmiare sull’abat jour? Purtroppo così al massimo si fa le lastre ai raggi gamma…

Se invece il professore preferisse tenere in camera da letto materiali nucleari non irraggiati, allora se la passerebbe molto meglio: in questo caso, infatti, si beccherebbe da 1 a 6 microSv all’ora con una dose annuale tra 2 e 12 mSv: dal doppio a 12 volte la dose massima.
Quali le conseguenze? Se, per assurdo, tutti i cittadini italiani seguissero il prof. Veronesi nell’esperimento in questione, avremmo oltre 250 mila casi di tumore fatali all’anno (le stime si riferiscono al tasso di esposizione di cui sopra: non sono di Greenpeace ma dell’ICRP la Commissione Internazionale per la protezione dalla radiazioni). Dubitiamo che basti il Prof. Veronesi a curarli tutti, e sarebbe meglio se il Prof. si facesse almeno un corso rapido sul tema per evitare di dire castronerie del genere.

Il problema è che queste balle non sono le sole di questo suo “battesimo nucleare”. Un’altra riguarda il deposito delle scorie. Il Prof. ci rassicura: questo problema non esiste perché secondo lui le potremo mandare in Spagna dove “c’è una vera e propria gara” dei comuni per accaparrarsi il deposito temporaneo per le scorie nucleari (alla faccia di quei cattivoni di Scanzano Jonico che proprio non ne vollero sapere). In effetti, sugli 8.000 comuni spagnoli, solo 8 comuni (di 5 regioni) hanno dichiarato la loro disponibilità a ospitare le scorie. La gara va male anche perché tutte e cinque le regioni coinvolte si sono un po’ alterate e i parlamenti regionali si stanno opponendo con forza.

Ma qualcuno ha avvisato il governo spagnolo delle intenzioni del nostro futuro Presidente dell’Agenzia di sicurezza nucleare?

Un’altra notizia bislacca (veronesica, potremmo dire) è che in Svizzera sono state “ordinate” tre nuove centrali. Di sicuro ce ne sono tre che devono chiudere e le aziende elettriche le vorrebbero sostituire. La Camera dei Cantoni su iniziativa del Cantone di Basilea, quello più fortemente antinucleare, ha deciso di continuare la procedura decisionale sulle tre centrali che avrà termine con un referendum nel 2013. Mentre da noi i referendum zoppicano, in Svizzera vanno forte: di recente ce ne sono stati due (a carattere locale) che hanno sancito la fuoriuscita dal nucleare di Berna e St Gallen, che si aggiungono alle decisioni antinucleari già prese dalle città di Zurigo, Basilea e Ginevra.

Conclusione: Veronesi straparla del nucleare e vorrebbe essere quello che ci “proteggerà” dalle centrali di Berlusconi e ENEL. Ma chi proteggerà Veronesi da sé stesso? E chi proteggerà noi dalle balle di Veronesi?


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Leggi anche: http://www.terranews.it/news/2010/12/dietro-lo-scenario-spunta-il-bluff-nucleare

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Dopo il "Cancun Act", tutto come prima?

Dopo il falso successo del vertice di Cancun, qualche news dal mondo sulle nuove politiche. Nell'ordine:

  • A Cancun raggiunto un accordo "di mediazione" sul clima.
  • Congresso di Cancun: la svolta della Cina? Un errore di traduzione
  • India favorevole a standard vincolanti per emissioni Co2


A Cancun raggiunto un accordo "di mediazione" sul clima. Sarà la base per la Conferenza di Durban del 2011 (Greenme)
Dopo due settimane di negoziati, dalla 16ma Conferenza ONU sul clima di Cancun che si è conclusa ieri notte (stamattina se consideriamo l'orario italiano), i 194 rappresentanti dei governi di tutto il mondo tornano a casa con la consapevolezza di aver gettato le basi per giungere ad un accordo vincolante contro i cambiamenti climatici. Le 32 pagine, composte da sette capitoli, firmate dai grandi della Terra, infatti, fissano gli obiettivi a lungo termine tra cui un fondo verde e il riconoscimento della scienza per fermare il riscaldamento a 2 gradi.

L'accordo, per niente scontato anche se non vincolante, già è stato ribattezzato dai media “pacchetto di Cancun” o "Cancun Act" e, rispetto a quello uscito dal vertice di Copenhagen dello scorso anno, ha intorno a sé un aurea di speranza in quanto rappresenta un punto di partenza concreto per gli ulteriori negoziati del prossimo anno che si svolgeranno in occasione della Conferenza di Durban in Sudafrica (Cop17).

“Dopo Copenhagen i governi sono venuti a Cancun con le ossa rotte ed esposti alla pressione pubblica per l’avvio di iniziative sui cambiamenti climatici – ha commentato Mariagrazia Midulla responsabile clima WWF Italia - Si sperava che Cancun avrebbe potuto stabilire una piattaforma per garantire dei progressi e ora i paesi stanno lasciando la conferenza con un rinnovato senso di buona volontà e obiettivi più concreti.”

Rispetto a Copenhagen, infatti, l'accordo messicano che è stato rifiutato solamente dal capo negoziatore boliviano Pablo Solon, ma approvato comunque dalla presidente Espinosa appellandosi alla clausola che “basta il consenso, non l'unanimità”, è un “pacchetto bilanciato” dove viene ribadita la necessità di far continuare il Protocollo di Kyoto anche dopo la sua scadenza naturale fissata al 2012, ma anche stabilito che i paesi aderenti dovranno impegnarsi a tagliare le loro emissioni di CO2 da un minimo del 25 ad un massimo del 40%. Inoltre nel pacchetto di decisioni è previsto anche il finanziamento a breve termine di 30 miliardi di dollari – 410 milioni messi sul tavolo dall'Italia – per i Paesi in via di sviluppo nel periodo 2010-2013 oltre che ribadito il fondo di 100 miliardi di dollari l'anno (Green climate fund) per far decollare la green economy nel mondo gestito per tre anni dalla Banca mondiale e da 40 Paesi membri (25 emergenti e 15 industrializzati).

"Questo pacchetto di decisioni contiene notevoli passi in avanti di cui abbiamo bisogno – ha commentato a caldo Wendel Trio, direttore di Greenpeace International Climate Policy - anche se non è perfetto. In particolare va apprezzato l'istituzione del fondo per il clima, i progressi in materia di trasparenza, e la conferma che i paesi sviluppati come gli Stati Uniti devono ridurre le loro emissioni".

“Pur non essendo riusciti a decidere per una seconda fase del Protocollo di Kyoto, è stato avviato un processo che consentirà di farlo l’anno prossimo a Durban. - continua Midulla - Tuttavia permangono difficoltà gravi con i paesi contrari e cioè Giappone e Russia, che ora saranno esposti a pressioni crescenti perché si uniscano alla comunità globale nel rinnovo del Protocollo di Kyoto. I paesi firmatari del Protocollo di Kyoto hanno riconosciuto in modo più fermo la necessità di ridurre le emissioni in misura compresa tra il 25 e il 40% entro il 2020 e hanno riconosciuto che i loro impegni per la riduzione delle emissioni rappresentano solo un inizio ed è necessario fare molto di più per raggiungere l’obiettivo condiviso della limitazione dell’aumento della temperatura a 2°C. Nel corso del prossimo anno dovranno tirarsi su le maniche e prepararsi a lavorare in modo duro e creativo per colmare questo divario.”

Molta parte nel trovare l'accordo è stata fatta sicuramente dalla Presidente messicana Espinoza, che è proprio il caso di dire, è riuscita a gestire e disbrogliare le questioni più “spinose”, aiutando ad avvicinare i governi. Come riporta anche il Corriere della Sera, “E’ stata Patricia Espinosa che si è andata a prendere ad uno ad uno i dissenzienti di Kyoto, a cominciare dal Giappone. E’ stata lei a convincere anche la Russia ed il Canada. Lei che si è presa le lodi, pubbliche e sperticate, di un paese affatto docile, come l’India, per bocca del suo ministro Ramesh”. “La Presidenza ha saputo creare un’atmosfera improntata all’inclusione e all’efficienza che ha aiutato in modo diretto i paesi a ritrovare fiducia nel processo UNFCCC”, commenta il WWF che rispetto alle azioni decise dal Cancun Act continua:

“I governi hanno sostenuto la creazione di un nuovo “fondo verde” globale, ma ora hanno bisogno di identificare fonti di finanziamento innovative, come un sistema di prelievi imposti al settore internazionale dei trasporti aerei e marittimi, attualmente non regolamentato, che sarebbe rivolto all’8% delle emissioni globali e simultaneamente sarebbe in grado di garantire miliardi di dollari di finanziamenti di lungo termine".“La decisione riguardante le emissioni derivanti dalla deforestazione (REDD+) non ha incluso tutto ciò che avremmo desiderato, ma garantisce una solida base per far avanzare un processo REDD credibile e per creareun’agenda per il lavoro futuro.”

Dello stesso parere anche Greenpeace: " il meccanismo REDD sarebbe un passo importante per le foreste, ma è un po 'un passo ubriaco, in quanto i paesi hanno preferito l'ambiguità alla chiarezza. Tuttavia passi in avanti sono stati fatti e questa potrebbe essere la base per una decisione tanto più forte in futuro".

“E’ ancora presto per essere ottimisti ma i risultati del vertice di Cancun sono sicuramente incoraggianti soprattutto rispetto a quelli del precedente summit di Copenaghen. - dichiara anche il presidente di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza - L’accordo sul trasferimento di tecnologie ai Paesi in Via di Sviluppo e sulla protezione delle Foreste rappresentano positivi passi avanti così come aver riconosciuto la necessità di un obiettivo di riduzione delle emissioni al 2020 tra il 25 e il 40%. Restano tuttavia dei grossi nodi da sciogliere, come la questione della ripartizione delle quote e i sistemi di verifica. Ci aspettiamo ora che l’Europa mantenga la linea tenuta fino ad oggi e che l’Italia la segua senza ulteriori indugi. Chiediamo al governo, alle imprese e ai sindaci d’intervenire con incisività nella riduzione delle emissioni. Il primo passo è rinunciare all’utilizzo del carbone per la produzione di energia elettrica”.

Insomma, volendo tirare le somme, si tratta di un accordo che potremmo definire “di mediazione”, in fondo non così diverso da quello raggiunto a Copenhagen che però, anche a sentire le associazioni, sembra un successo date le poche aspettative che ruotavano intorno a questa conferenza, al contrario del clima di speranze che ha accompagnato la Cop15 dello scorso anno, circondata da un'attenzione mediatica ben diversa da quella che ha caratterizzato il vertice messicano, passato praticamente nell'indifferenza di quotidiani e televisioni. Questioni di aspettative dunque? Calcolando che già da ora sono tante quelle che si stanno riversando sulla prossima conferenza di Durban in Sud Africa, tra un anno speriamo proprio di non dover scrivere la parola fallimento perché in tal caso il mondo potrebbe davvero non sopportare le conseguenze. Anche perché, poi, non si potrà più procrastinare: il Protocollo di Kyoto scadrà e il 2012 è una data troppo vicina alla parola “fine”.


Congresso di Cancun: la svolta della Cina? Un errore di traduzione (Ecologiae)
Le speranze che il congresso di Cancun potessero essere un successo sono durate appena un paio di giorni, il tempo che i delegati cinesi correggessero il tiro. La cosiddetta “svolta verde della Cina” che qualche giorno fa sembrava dover portare al prolungamento del Protocollo di Kyoto e all’impegno da parte dei Paesi in via di sviluppo a ridurre le emissioni è stato solo un errore di traduzione.

E’ bastato che l’addetta alla traduzione dal cinese all’inglese prendesse lucciole per lanterne che immediatamente si è scatenato un polverone. Todd Stern, capo negoziatore degli Usa, aveva immediatamente capito cosa stava accadendo, ma quando cercava di spiegarlo ai giornalisti, questi erano convinti che fosse solo una tattica per prendere tempo perché la dichiarazione cinese aveva colto tutti di sorpresa, Stati Uniti compresi. Ieri purtroppo siamo tornati con i piedi per terra.

Il capo delegazione Xie Zhenua ha preso la parola e, nonostante non abbia detto apertamente che la traduzione fosse sbagliata, ha però spiegato, stavolta in inglese in modo che tutti potessero capire, la posizione del suo Paese: sì agli investimenti sulle rinnovabili, sì alla riduzione “generica” della CO2, ma nessun impegno vincolante sui numeri né limiti allo sviluppo industriale. Come in un gioco dell’oca, siamo tornati al punto di partenza.

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India favorevole a standard vincolanti per emissioni Co2 (Reuters)

L'India ha fornito il suo contributo ai tormentati colloqui Onu sul clima dando oggi la disponibilità ad accettare eventuali standard vincolanti per quanto riguarda le emissioni. Lo riportano alcuni quotidiani nazionali, sottolineando come il governo abbia radicalmente cambiato opinione su questo tema.

L'India, infatti, è al terzo posto nel mondo per quanto riguarda le emissioni di gas serra dopo Stati Uniti e Cina, e la rapida crescita economica, con il relativo innalzamento dei consumi, sta provocando anche un aumento della produzione di diossido di carbonio provocato dalle centrali elettriche a carbone, dai trasporti e dalle industrie.

Ma il governo aveva a lungo rifiutato di sottoporsi a standard legalmente vincolanti per quanto riguarda le emissioni, ritenendo questo tipo di accordo un danno per la crescita economica del paese.

Ma il ministro dell'Ambiente Jairam Ramesh, parlando a margine dei colloqui Onu sul clima a Cancun, ha detto che era giunto il momento per l'India di cambiare posizione accettando gli standard vincolanti all'interno di un nuovo patto sul clima.

"Dobbiamo accettare che la realtà globale sta cambiando. Il G77 sta invocando un accordo vincolante", ha detto Ramesh in un'intervista all'Hindustan TImes, facendo riferimento ai 131 stati membri del gruppo delle nazioni in via di sviluppo, di cui l'India fa parte.

"Io ho solo detto che tutti i paesi dovrebbero mirare ad obiettivi che siano vincolanti, all'interno di un'intesa appropriata", ha spiegato il ministro.

I colloqui sul clima dello scorso anno a Copenaghen si chiusero con un accordo non vincolante invece di un nuovo patto che prendesse il posto del Protocollo di Kyoto dal 2013.

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8 dicembre 2010

Henan, 20 vittime in miniera

Fonte: Repubblica.it

"Tredici persone sono morte in un'esplosione in una miniera di carbone nella provincia cinese di Henan. Secondo l'agenzia Xinhua, l'incidente e' avvenuto mentre sotto terra erano a lavoro 33 minatori. Di questi, solo 20 sono riusciti a salvarsi. Sono frequenti gli incidenti nelle miniere cinesi: secondo le autorita', solo l'anno scorso sono morti 2.631 minatori. Statistiche indipendenti parlano di un numero molto piu' alto di vittime."

Aggiornamento: le vittime accertate sono 20

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Celebrato il 6 dicembre l'anniversario della strage di Monongah

Venerdì 6 dicembre 1907, ore 10.30 del mattino. Nella miniera di carbone di Monongah (West Virginia) della Fairmont Coal Company, di proprietà della Consolidated Coal Mine of Baltimore, si verifica un'esplosione avvertita fino a 30 Km di distanza. E' il più grave disastro minerario che la storia degli USA ricordi, ma l'incidente rappresenta anche la più grave sciagura mineraria italiana: su circa 400 minatori morti, oltre la metà erano italiani, quasi tutti originari del Molise.

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Inghilterra, sondaggio tra i giovani: il 94% vuole le rinnovabili

Fonte: Notizie.Virgilio.it
Scienza/ Energia,giovani Gb bocciano carbone e votano rinnovabili
Ricerca del Department of Energy and Climate Change (DECC)

I giovani britannici sposano le energie rinnovabili e bocciano il carbone. Lo dice una ricerca del britannico Department of Energy and Climate Change (DECC). Un gruppo di 299 ragazzi tra i 16 e i 25 anni è stato portato a visitare e conoscere vari impianti di produzione di energia: centrali elettriche, centrali nucleari e progetti che promuovono le fonti rinnovabili. Hanno potuto dialogare con gli esperti, fare domande ai rappresentanti dell'industria e incontrare i
gruppi di pressione. Il risultato non lascia dubbi: il 94% di questi ragazzi ha concluso che le migliori tecnologie energetiche sono l'eolico off-shore e l'energia solare. L'81% sostiene anche l'eolico a terra. Decisamente poco apprezzato il carbone, scelto solo dal 2,2% dei ragazzi. Lo studio fa parte della campagna del Regno Unito per assumere, nelle decisioni politiche sull'energia, anche il punto di vista di chi dovrà convivere con i risultati di quelle decisioni.

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7 dicembre 2010

Disastro in Colombia: è questo il "carbone pulito" di ENEL, SEI & co.


Un bell'articolo di Stefania Summermatter, da swissinfo.ch
E' proprio questo: il "carbone pulito" di enel e della svizzera SEI

"Colombia, il lato oscuro delle miniere svizzere di carbone

In Colombia le attività minerarie hanno portato ricchezza, ma non per tutti. Se le multinazionali continuano a espandersi, il prezzo da pagare per le comunità locali è altissimo: villaggi evacuati, fiumi inquinati, sindacalisti messi a tacere. Violazioni che chiamano in causa pure un'impresa svizzera, che respinge però ogni accusa.

La Colombia è il quinto paese esportatore di carbone al mondo. Dalle miniere del nord, questa materia prima viene trasportata fino in Europa – soprattutto in Germania – e utilizzata per la produzione di energia elettrica. Le centrali a carbone tedesche riforniscono in parte anche le società svizzere, che negli ultimi anni hanno aumentato i loro investimenti nel carbone per coprire il fabbisogno di base.

In diversi paesi europei, l’utilizzo di questo combustibile fossile ha incontrato l’opposizione degli ecologisti per l’elevato tenore di emissioni di CO2 che diffonde nell’atmosfera. Le incognite legate al carbone non si limitano però alle sole centrali, ultimo anello di una catena produttiva, ma si spingono fino alle grandi miniere a cielo aperto che hanno ridisegnato il volto della cordigliera andina.

In paesi come la Colombia, l’estrazione del carbone è all’origine d’importanti violazioni dei diritti umani e del deterioramento dell’ecosistema. La denuncia non è nuova: da diversi anni infatti Amnesty International e il Gruppo di lavoro Svizzera Colombia si battono affinché le materie prime tornino a essere una risorsa per le comunità locali.

«La situazione nel nord della Colombia è particolarmente difficile. Per anni è stata teatro di scontri tra la guerriglia, le forze paramilitari e l'esercito statale», spiega Alfredo Tovar, sindacalista e operaio in una miniera del dipartimento del César. «E a farne le spese è soprattutto la popolazione locale: intere famiglie sono state allontanate o sono scomparse nel nulla. Lavoratori, rappresentanti comunali e dirigenti sindacali sono stati messi a tacere, o uccisi».

Alfredo Tovar è venuto fino in Svizzera per chiedere giustizia. Rivendica assicurazioni sociali per tutti gli operai, norme di sicurezza nelle miniere e un indennizzo alla popolazione per i danni subiti. «L’impatto ambientale dell’estrazione del carbone è enorme: i fiumi vengono contaminati e con essi anche la terra e il bestiame. Ciò significa che quei contadini che vivevano di agricoltura e pesca, ora non hanno più nulla da mangiare. Inoltre, dalle miniere si sprigiona una nube di polvere nera che è all’origine di gravi problemi respiratori».

Multinazionale svizzera nel mirino

In Colombia l'estrazione delle materie prime è, di fatto, monopolio di una manciata di multinazionali, alcune delle quali hanno sede in Svizzera. Alfredo Tovar lavora da anni alla miniera La Jagua, di proprietà della Glencore International AG tramite la società colombiana Prodeco.

Poco conosciuta dal grande pubblico, la Glencore International AG ha la sede principale nel canton Zugo e negli ultimi anni ha realizzato il fatturato più elevato della Svizzera (117 miliardi di franchi nel 2009), superando giganti come la Nestlé o la Novartis. In Colombia controlla due miniere di carbone a cielo aperto nel dipartimento del César e ha un accesso privilegiato al porto di Santa Marta (Magdalena).

Accompagnato da rappresentanti delle ONG svizzere, per conto del sindacato colombiano Sintramienergetica, Alfredo Tovar ha bussato alla porta della Glencore International AG, senza però ottenere risposta. La multinazionale è accusata di promuovere una politica poco trasparente, ostile ai sindacati e nociva all’ambiente.

«Non possiamo negare che la Glencore abbia portato lavoro in Colombia, ma questo non le conferisce il potere di violare i diritti dei lavoratori, di ostacolare la libertà sindacale, minacciando o licenziando gli operai che osano alzare la testa», denuncia Alfredo Tovar.

Nei dipartimenti del César e della Magdalena si concentra gran parte della ricchezza del paese, ma spesso i villaggi sono lasciati senza acqua potabile, elettricità e servizi sanitari. «La manodopera arriva soprattutto da altre regioni del paese e i profitti se ne vanno all’estero… mentre qui resta solo contaminazione e povertà. Come dipendente della Glencore chiedo un indennizzo alla regione per i danni causati e per il carbone che portano via, e chiedo il rispetto degli accordi sindacali che hanno firmato con noi lavoratori».

Non solo miniere

La Glencore International AG è rimasta sorda di fronte all’appello di Alfredo Tovar e delle ONG svizzere. Anche ai microfoni di swissinfo, l’azienda non ha voluto rilasciare dichiarazioni. Ha invece risposto con un comunicato stampa – firmato dalla società Prodeco – in cui afferma di avere un programma di responsabilità sociale e ambientale.

In sostanza, la multinazionale si presenta come il motore economico della regione: non solo ha messo a disposizione «oltre 5'000 impieghi (diretti o indiretti), di cui l’84% dei dipartimenti del César e della Magdalena)», ma ha anche cercato di «migliorare la qualità di vita delle comunità locali, attraverso la creazione di scuole e altre infrastrutture».

Alle accuse di violazione dei diritti sindacali, la società con sede a Zugo dice di agire «in conformità con le leggi colombiane che garantiscono libertà di associazione, vietano il lavoro forzato e assicurano condizioni di lavoro umane».

La Svizzera media, ma non interviene

La Glencore non è però nuova a questo tipo di denunce. Accusata di violazioni dei diritti umani e danni ambientali in diversi paesi in via di sviluppo, nel 2008 ha ricevuto il Public eye award di Davos, l’oscar della vergogna.

Di fronte alla gravità delle accuse, le ONG svizzere hanno chiesto a più riprese un intervento da parte delle autorità elvetiche. «La risposta è sempre la stessa», ci spiega Stephan Suhner dell’ONG Ask! (Gruppo di lavoro Svizzera-Colombia). «La Svizzera segue da vicino i dibattiti sull’industria estrattiva nei paesi del Sud, ma mantiene il massimo riserbo per non intromettersi in questioni di politica interna». Il Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) si limita così a «invitare le imprese ad attenersi ai principi volontari in materia di sicurezza e diritti umani», senza però intervenire.

Ai microfoni di swissinfo, il portavoce del DFAE Pierre-Alain Eltschinger ha precisato che «la Svizzera segue da vicino questo caso, in particolare per ciò che riguarda il rispetto dei diritti umani, ed è in contatto regolare con le imprese elvetiche coinvolte, la Glencore, i sindacati e le ONG colombiane». Inoltre, prosegue Eltschinger, «l'ambasciata svizzera in Colombia cerca di favorire il dialogo tra le multinazionali e le organizzazioni a difesa dei lavoratori» .

Alfredo Tovar è tornato in Colombia senza risposte. Ad attenderlo c'è una regione messa in ginocchio da anni di violenze e soprusi, la paura di ritorsioni e l'incertezza del domani. In Svizzera restano i profitti di un'attività ritenuta arbitraria e un monito che ha il sapore della lotta operaia: «L’acqua non è negoziabile. La vita non è negoziabile!».

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5 dicembre 2010

"Perché tanta insistenza nel voler bruciare i rifiuti a TVN?"

Dai medici ISDE un contributo per aiutare a comprendere cosa ci sia dietro il dibattito sull'incenerimento dei rifiuti dentro TVN.

Cosa si nasconde dietro questa insistenza?

"La risposta non è difficile. Ogni anno TVN, secondo la VIA (pag. 4) produce 500.000 (cinquecentomila) tonnellate di ceneri e 5.000 (cinquemila) tonnellate di fanghi, entrambi estremamente tossici. Recentemente, infatti, numerosi studiosi hanno messo in evidenza il rischio causato dalle ceneri del carbone per il loro elevato contenuto di sostanze pericolose e per la radioattività dell’uranio e del torio. Tale pericolosità viene paragonata a quella delle scorie nucleari (Science of the Total Environment. 2009; 407: 2593–2602).

Il loro smaltimento, per l’elevata quantità prodotta rappresenta un problema enorme. Anche dopo la riutilizzazione di una parte, liberarsene sarebbe molto, troppo costoso.
Si potrebbe allora diffondere all’opinione pubblica per mezzo di chi ha il coraggio di farlo, che si potrebbero bruciare i rifiuti in un gruppo della centrale a carbone traendone un ritorno economico, utile per una città in difficoltà finanziarie, contemporaneamente si potrebbe ridurre la quantità delle ceneri e dei fanghi del carbone bruciandoli insieme ai rifiuti stessi.
L’idea sarebbe astuta se non fosse che le conseguenze per la salute degli operai (i più investiti dall’inquinamento) e della popolazione del comprensorio sarebbero orribili.

Uno studio molto importante pubblicato recentemente che ha utilizzato una metodologia di ricerca della Commissione Europea (Environmental impacts and costs of solid waste: a comparison of landfill and incineration. Waste Management & Research. 2008: 26: 147–162) ha messo in evidenza come gli inquinanti emessi dall’incenerimento di 200.000 tonnellate di rifiuti potrebbe comportare una spesa per i danni provocati alla salute ed all’ambiente di circa 4.240.000 euro. Dopo 20 anni di attività, pari alla combustione di 4.000.000 di tonnellate di rifiuti, i costi esterni potrebbero ammontare a circa 84.800.000 euro.
Immaginiamo quale sia il prezzo della combustione delle ceneri e dei fanghi del carbone per danni alla salute ed all’ambiente ma non osiamo scriverlo per non allarmare l’opinione pubblica.
Inoltre, in questo comprensorio nessuno può negare che ci siano varie cause di inquinamento. Tuttavia, per fortuna, nella VIA (Fase Istruttoria) è già presente un censimento delle fonti inquinanti presenti, sappiamo quindi con precisione la diversa responsabilità di inquinamento dei vari soggetti. A pag. 38 la Commissione così si esprime: “ Sulla base di dati statistici e di utilizzo di fattori di emissione consolidati (CORINAIR e EPA), sono state calcolate le emissioni imputabili al traffico navale, auto veicolare e da riscaldamento domestico nell’area urbana di Civitavecchia, in termini di flusso di massa annuo. Tali dati sono riepilogati nella tabella seguente e sono di rilevantissimo interesse nel valutare le emissioni della centrale in relazione alle emissioni complessive del territorio.

PM10
TV Nord 842 ton/a
Montalto di Castro 50 ton/a
traffico navale 100 ton/a
traffico veicolare 50 ton/a
emissioni da riscaldamento 56 ton/a


Società Internazionale dei Medici per l’Ambiente – Alto Lazio

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Tidei a Polverini: "un inceneritore nella centrale a carbone TVN?"

Da BigNotizie.it
"La possibile realizzazione di un termovalorizzatore nel quarto gruppo della centrale Enel di Tvn continua a restare più di una semplice ipotesi. Nonostante dichiarazioni di intenti di rappresentanti istituzionali, ad oggi non risulta ancora un atto ufficiale che escluda in maniera categorica la combustione dei rifiuti a Tvn".
A sottolinearlo è l'onorevole Pietro Tidei che propone la creazione di una delegazione di sindaci e esponenti istutizionali del territorio per chiedere alla presidente Polverini rassicurazioni definitive in merito.
"Emergono semmai particolari e coincidenze sempre più inquietanti ad avvalorare questo progetto, come la perdurante mancata realizzazione del bosco di 40 ettari che l'Enel si era impegnata a realizzare a ridosso dell'area di Tvn quale opera di compensazione ambientale per la riconversione a carbone della centrale, così come la vicinanza all'impianto elettrico della linea ferroviaria tirrenica che rappresenterebbe un vettore di trasporto ottimale per i rifiuti da bruciare. Superfluo e ormai anche ripetitivo ricordare quali pesanti danni ambientali abbia prodotto in tanti anni la servitù energetica nel nostro territorio, quale il prezzo che le popolazioni stanno pagando in termini di salute, quale la svalutazione del nostro patrimonio culturale, storico e archeologico di cui, da Cerveteri a Montalto di Castro, l'Alto Lazio è così straordinariamente ricco, quale la compromissione di quel grande potenziale turistico che tuttavia, nei nostri territori, non riesce ancora a decollare.
E' evidente che in un momento di grave crisi come quello che attualmente stiamo vivendo, anche l'incertezza sul futuro ambientale del territorio può scoraggiare possibili investimenti nel settore turistico, culturale e terziario, producendo un ulteriore danno al tessuto economico dei nostri Comuni.
Nel merito il Piano regionale dei rifiuti di recente approvazione non esclude con termini perentori la possibilità di realizzare un inceneritore nell'impianto di Tvn, laddove non indica soluzioni, rimandando a successive decisioni, per lo smaltimento dei rifiuti della Capitale dopo la chiusura della discarica di Malagrotta. Resta quindi ancora plausibile, carte alla mano, l'individuazione dell'area dello Spizzicatore, sui Monti della Tolfa, quale sito della nuova discarica capitolina. Ritengo allora che tale situazione di ambiguità e incertezza su progetti drasticamente inquinamenti per l'Alto Lazio, come l'inceneritore a Tvn e la discarica ad Allumiere, debbano trovare immediatamente fine, attraverso un pronunciamento ufficiale della Regione Lazio che non può continuare ad ignorare le richieste di chiarezza delle nostre popolazioni. Abbiamo bisogno dal Governatore Polverini di un atto formale. La mia proposta, pertanto, è quella di una delegazione istituzionale del territorio che, dai Sindaci ai Consiglieri provinciali, dai Consiglieri regionali ai Deputati di riferimento, di ogni appartenenza politica, chieda audizione al Presidente per avere finalmente un suo pronunciamento chiaro, definitivo e inequivocabile circa l'impossibilità di realizzare alcun inceneritore e alcuna discarica nel territorio dell'Alto Lazio e dell'Etruria. Ulteriori tentennamenti rischiano di generare sempre più preoccupazione tra le popolazioni e di indebolire maggiormente le istituzioni locali, oltre che le possibilità di sviluppo del nostro territorio. E questo è un rischio che oggi non possiamo assolutamente correre

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Le radici delle mafie affondano nel Lazio

Da DazebaoNews.it (leggi anche il comunicato di Legambiente)
Apre uno scenario davvero inquietante il dibattito organizzato quest'oggi dalla Federazione della Sinistra Lazio dal titolo eloquente: "E poi dicono che la mafia nel Lazio non c'è".
Di criminalità organizzata, infatti, pochi ne parlano e questo evento assume un'importanza assoluta, perchè troppo spesso di fronte a questo fenomeno ci si abitua a chiudere gli occhi, quasi la mafia fosse distante anni luce.
Ma non è così. All’incontro hanno partecipato esponenti della società civile impegnata contro la criminalità organizzata come Libera, l’associazione Caponnetto, il centro Peppino Impastato, Action, Legambiente, SOSimpresa Confesercenti, rappresentanti del sindacato edili e funzione pubblica della CGIL, il segretario del sindacato di polizia SILP, gli ex consiglieri regionali Fontana e Laurelli ed il membro della commissione parlamentare antimafia Russo Spena.

Dopo la proiezione del film inchiesta di Antimo Torri "La quinta Mafia", che introduce il tema della criminalità organizzata, Fabio Alberti, responsabile legalità del gruppo consiliare FdS parla di un panorama inquietante. Insomma una condizione d'illegalità che affligge tutta la regione. E non parliamo di boss con tanto di coppola in testa e lupara alle spalle, ma sempre più spesso anche di insospettabili personaggi che svolgono ruoli importanti nelle istituzioni. Come nel caso di Romolo Del Balzo, l'attuale presidente della Commissione Lavori Pubblici della Regione Lazio, in carcere dallo scorso 26 ottobre con l'accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso e che paradossalmente è ancora investito da questo ruolo, tanto che Alberti ne ha chiesto le immediate dimissioni. Una situazione davvero anomala e che ci fa comprendere quanto l'infiltrazione mafiosa si sia spinta oltre e sia così ben radicata, insinuandosi attraverso connivenze compiacenti all'interno della vita politica e delle istituzioni del paese.

Basta ricordare - come ribadisce Alberti - il maxi processo Damasco 2 che riguarda la mafia il mercato ortofrutticolo (Mof) più grande d'Europa, quello di Fondi, dove la Regione Lazio capitanata dalla Giunta Polverini ha tergiversato parecchio tempo prima di costituirsi parte civile contro il clan Tripodo e quando si è decisa lo ha fatto dimenticandosi di essere anche il socio che detiene una partecipazione di maggioranza all'interno del Mof.
D'altra parte la governatrice proprio durante la recente campagna elettorale si era recata a Fondi e rivolgendosi ai suoi potenziali elettori disse che "la città è sana e le infiltrazioni mafiose sono un'invenzione della politica", come riporta il quotidiano Latina Oggi il 21 ottobre. Coincidenze?

Non sembra, visto che proprio in regione si attente da 9 mesi l'istituzione del regolamento dell’Abecol sul fondo contro l'usura che è stato dimezzato, ma al momento di questo strumento importante non c'è traccia, come ribadisce Fabio Nobile consigliere dell'Fds. E poi, perchè proprio sulla vicenda di Fondi, si domanda Elvio Di Cesare dell'Associazione Caponnetto le indagini sono state affidate al comando Provinciale dei carabinieri di Latina e non alla Dia? Un vero mistero, perchè - come puntualizza Di Cesare - non stiamo parlando di un fenomeno di ordine pubblico, ma di vera e propria criminalità organizzata.

Ma sono ancora più inquietanti le rivelazioni dell'esponente della Caponnetto quando ricorda l'indagine Formia Connection sui voti di scambio. Risultato: indagine archiviata. Insomma nel Lazio quando si parla di mafia sembra andare contro un muro di gomma. Almeno così fa intendere Di Cesare quando parla di una "zona grigia", rappresentata a volte da una parte della società collusa, che di fatto favorisce il problema affinchè non venga aggredito con quella incisività necessaria per combattere il fenomeno mafioso. Tutte le categorie della società civile rappresentano un rischio reale, quando si prostrano di fronte alle organizzazioni criminali - precisa Di cesare - e per questo motivo rientrano proprio in questa zona grigia.

Il giudice Giovanni Falcone, diceva "segui i soldi e troverai la mafia". Ma le indagini patrimoniali su quei territori a rischio che potrebbero portare alla luce gli spostamenti di ingenti capitali non sono così diffuse. Lo scorso anno a Frosinone - racconta Di cesare - ce ne sono state ben 140, mentre in una città a rischio come Latina solo 3. E non finisce qui. La zona costiera di Latina definita "La lavatrice del denaro sporco" non è da meno. Un territorio - come ha raccontato Marco Omizzolo del coordinamento legambiente della provincia di Latina - da sempre nel mirino della criminalità organizzata. Dal parco di San Felice al Circeo con i suoi 2,200 metri cubi di cemento abusivi, al lago di Sabaudia, un'area ad alto valore naturalistico che le mafie colluse con esponenti delle istituzioni hanno cercato di rendere addirittura edificabili con progetti alquanto redditizi, come la realizzazione di un porto. E qui si registrano 2 abusi edilizi ogni ettaro di terreno. Una media davvero impressionante. E ancora il business dei raccolti ortofrutticoli. Un fenomeno che Omizzolo conosce bene, visto che è riuscito ad infiltrarsi come bracciante ed ha conosciuto la realtà dei caporali al servizio della mafia e che racconterà nel suo libro di prossima uscita.

Anche nel settore sanitario le cose non vanno meglio, come ricorda Lorenzo Mazzoli. segretario della Funzione Pubblica Cgil. La criminalità s'impossessa della cultura sociale - ha precisato - s'insinua nelle struttura sanitarie attraverso appalti, subappalti, ed entra così nel grande business della salute. E se la legalità è sinonimo di buon funzionamento dei servizi allora la sanità del Lazio, visto la situazione in cui versa, non naviga in acque felici.
Arriva poi una testimonianza importante da Civitavecchia che fa addirittura accapponare la pelle. Ne ha parlato Simona Ricotti, dell'Associazione Caponnetto, che durante il suo intervento riporta un ritornello, ahimè, ripetuto dalla maggior parte dei cittadini: "Qui a Civitacecchia, la mafia non esiste" . Purtroppo è questo il luogo comune di chi convive con questa cittadina che oltre a registrare il 23% di disoccupazione ospita il più grande porto Europeo, terzo per quanto riguarda il traffico della droga e degli scambi illeciti della mafia cinese.

"Eppure la gente sa - precisa Ricotti - ma ormai questo rientra in una sorta di normalità sociale." La chiamano "mafia bianca", l'assurda manifestazione dove si fa finta di credere che tutto vada bene. Anche le le richieste di spiegazioni fatte pervenire al Comune producono dei risultati discutibili. L'amministrazione comunale, infatti, fa sapere di essere in prima linea contro la criminalità. Addirittura viene costituito un osservatorio apposito, ma poi un cronista del mensile Le voci delle voci con l'aiuto proprio dell'associazione Caponnetto svela dei retroscena inquietanti che gettano ombre anche sul primo cittadino Giovanni Moscherini. Come il grande affare del "marina yatchting, un progetto per l' uso di natanti di lusso, affidato senza gara a una delle ammiraglie di casa Caltagirone, la Porto del Tirreno spa a cui è affisata la gestione per ben 99 anni e che fa capo a Francesco Bellavista Caltagirone e alla neo compagna Beatrice Parodi, figlia di uno dei piu' grossi armatori liguri, Piergiorgio Parodi, ottimo amico dell'ex ministro per le Attivita' produttive Claudio Scajola. Notizie fantasiose secondo il sindaco che ha commentato: “Che gli prenda un colpo a quelli della Caponnetto”. Una frase che gli è costata una querela da parte dell'associazione che si batte da sempre contro l'illegalità. Ma non è tutto, perchè come spiega Simona Ricotti a Civitavecchia è in corso anche un processo per schiavitù ai danni di operai extracomunitari che lavoravano nelle imprese in subappalto per la costruzione della centrale a carbone dell'Enel. Morale della favola: l'inchiesta è in corso, gli operai sono andati a casa, ma l'impresa continua ad essere operativa. Anche questa è una coincidenza del caso?

In conclusione Ivano Peduzzi, capogruppo della FdS Lazio propone di costituire un gruppo di lavoro, aperto a tutte le forze di opposizione regionale e con la partecipazione della società civile, per redigere una o più proposte di legge antimafia raccogliendo le proposte emerse nel dibattito. “Centrale unica appaltante, abolizione del massimo ribasso, tracciabilità dei capitali, norme anticorruzione, contrasto del lavoro nero, sono le prime cose da fare", precisa Peduzzi."Occorre avviare un percorso che porti in campo le istituzioni al fianco della magistratura e della società civile. Questa va maggiormente sostenuta, ad esempio, con l'affidamento di una forte campagna per la legalità da portare in tutte le scuole della regione”.
Insomma l'incontro si è rivelato veramente produttivo almeno sull'aspetto divulgativo della questione. Ora c'è la necessità di passare dal dire al fare e per farlo c'è bisogno che la società civile non resti più indifferente davanti a questo fenomeno dilagante.

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CCS grimaldello degli affaristi sporchi

Lo ripetiamo da tempo e non ci stancheremo di farlo: parlare di CCS significa dare respiro agli affaristi dei business più sporchi e distruttivi per il nostro ambiente di vita. Anche se irrealizzabile per i rischi, l'inaffidabilità della tenuta dei bacini di stoccaggio e i costi enormi, lo stoccaggio dell'anidride carbonica diventa facile argomento di greenwashing da bar, chiacchiera subdola per continuare su un binario che mira dritto verso l'autodistruzione. un esempio

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Tarquinia, sabato Italia Nostra con i cittadini a difendere il territorio

Comunicato
Un forte “legame” d'inutilità unisce l'autostrada Devasta-Maremma e il porto turistico progettato alla foce del Marta. Il concessionario della A12 non riesce a trovare i “piccioli” per costruirla. I pochi pedaggi previsti non bastano alle banche a garanzia del debito e lo stato soldi non ne ha. Le banche in più sanno che l'Alto Lazio smaschera sempre i ladri di salute, i distruttori di terre fertili, i deturpatori di paesaggi.
Emblematiche le vicende dell'Osservatorio Ambientale, del cementificio, delle centrale di Torre Sud e le tante denunce contro la centrale di Torre Nord, che non rispetta i limiti fissati dall'Europa e ci inquina.
All'autostrada vi è un' unica vera alternativa: la messa in sicurezza dell'Aurelia, da vent'anni lasciata a due corsie a sud di Tarquinia e a Capalbio, in tutto una ventina di chilometri, trappola a volte mortale per gli automobilisti.
Riassumendo: le banche non rischiano e l'autostrada alla fine non si farà, come ormai è quasi certo, ma intanto l'Aurelia resta pericolosa. E qui c'è l'analogia con il porto turistico alla foce del Marta, progettato per un sito reso pericolosissimo dai nuovi argini del fiume, che l'hanno chiuso in una buca, dove scorre un fiume maldestro, con un bacino imbrifero di 1100 kmq. capace di generare esondazioni devastanti.
Nessun tecnico regionale potrebbe avallare un porto destinato a soccombere sotto il fango perché, senza interventi che modifichino l'attuale assetto idraulico del corso d'acqua, non potrebbe resistere ad un evento eccezionale (in gergo tecnico “un tempo di ritorno di 200 anni”) qualora il mare impedisse il deflusso della piena.
Dal sito dei promoter del porto sembra di capire che un qualche assenso c'è. Allora occorre capire con un accesso agli atti che cosa è successo alla regione Lazio.
Resta il fatto che la cosa sconvolgente non è il tentativo del proprietario di aumentare il valore dei propri terreni di almeno 15-20 volte, quanto l'intensa e fervida attività amministrativa di maggioranze e opposizioni, che perdono tempo ad occuparsi delle opere inutili destinate a naufragare miseramente e non hanno poi il tempo di occuparsi dei veri problemi del territorio, dell'agricoltura e del turismo soprattutto.
Quasi tutti si dichiarano sviluppisti ma in effetti sono facilitatori d'affari, che ogni volta che devono crearsi un alibi, per aver alzato la mano e detto si alla distruzione di un altro prezioso fondo agricolo, ripetono stancamente che porterà lavoro e occupazione ma ormai tutti sanno che non è vero.
Per quale pro non si sa, sta il fatto che di coraggio i più ne dimostrano ben poco.
Tornando al porto giova ricordare che la regione Lazio, una decina d'anni fa, valutò in autonomia quale tipo di struttura fosse adatta per Tarquinia e si pronunciò per un “approdo”. La differenza fondamentale è che un porto è profondo 4 metri ed è pensato per grandi barche mentre un approdo è profondo 2 metri ed è quello che servirebbe per le barche da diporto che riempiono i rimessaggi di Tarquinia ma a nessuno stanno a cuore i diportisti di Tarquinia, a cui queste cose non vengono spiegate.
Il fiume Marta in tutto questo viene maltrattato, ridotto a fogna e canale, cementificato e snaturalizzato.

Di tutto questo si è parlato sabato 4 dicembre nel Convegno “Paesaggi Sensibili” presso la Sala Conferenze del Monastero delle Benedettine a Tarquinia, per iniziativa di Italia Nostra Lazio-Toscana.

Movimento No Coke Alto Lazio

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4 dicembre 2010

I sonetti di Giancarlo Peris: "Il vento degli dei"

Decimo appuntamento settimanale coi sonetti dialettali dell'inossidabile Prof. Peris. L'ironia sferzante mette a nudo fatti duri a digerirsi, evidenze che pure gli abitanti del comprensorio sembrano aver metabolizzato nei loro organismi come masse estranee (nella speranza che non degenerino), mediante quotidiani cortocircuiti della coscienza.
Il seguente è uno tra i componimenti più recenti sulla vicenda del carbone. Buona lettura

"Il vento degli dei" 15 giugno 2008


Fra poco, e nun c’è stato da fa’ gnente,
Annrà in funzione ar mejo la centrale
Che cor carbone ce farà un presente
Pe’ un futuro energetico e ambientale.


E io ce credo, perché adè pulito
Er carbone ch’è un novo ritrovato
Che ci hanno rigalato ne ‘sto sito
Pe’ via che se lo semo meritato.


E poi, si putacaso fosse un cesso
Er fume ch’uscirà da quel accrocco,
Gnente paura, qui nessuno è fesso,
Ché si tira libeccio, ostro o scirocco,


Er fumo a dopopranzo, a mane, a sera
Annrà a Torfa, a Corneto e a La Lumiera.

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Cresce il cumulo di cadaveri di minatori del carbone

Altri sette minatori morti nelle miniere cinesi.

Da tgCom:
"Sono morti i sette minatori intrappolati da martedì in una miniera allagata nella provincia cinese dello Hunan. Quando i soccorritori hanno raggiunto i minatori intrappolati li hanno trovati tutti morti a una profondità di 90 metri nella miniera di carbone. I sette, tutti nel fondo, sono stati trascinati li dall'acqua che ha allagato martedì sera la miniera Yide Coal Mine a Xiangtan, nell'omonima contea."

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enel riconfermato peggior inquinatore in Italia

Riportiamo da Greenpeace.it  
Chi uccide il clima in Italia?

Abbiamo lanciato la classifica dei grandi "inquinatori" dell'anno e il primo classificato è sempre lo stesso: il gigante Enel. Per il quarto anno consecutivo il colosso dell'energia si conferma al primo posto nella lista dei cattivi, seguito da Edison e il Gruppo Saras.

Scarica qui la "classifica dei grandi inquinatori italiani"

Sono 13 milioni le tonnellate (Mt) di CO2 emesse nel 2009 dalla centrale Enel a carbone "Brindisi sud". A seguire la Centrale Edison di Taranto con 5,9 Mt di CO2 e la raffineria Saras di Sarroch con 5,2 Mt di CO2.

Anche se le cifre rimangono alte, complici la crisi economica e l'effetto degli interventi di efficientamento energetico, la CO2 nel 2009 è calata. Da 538,6 milioni di tonnellate del 2008 siamo passati a quota 502 milioni. Ma non basta.

Rispetto al 1990, infatti, la diminuzione è stata del 3%, meno della metà dell'obiettivo fissato dal Protocollo di Kyoto. Non solo, le emissioni della centrale Enel a carbone "Brindisi sud" registrate nel 2009, hanno superato ampiamente le quote e i limiti di 10,4 Mt di CO2 imposti dalla Direttiva europea sulle emissioni (Emission Trading Scheme).

I dati degli ultimi cinque anni dimostrano una riduzione costante delle emissioni del settore termoelettrico, passate dalle 147 Mt del 2005 alle 122,2 del 2009. Il merito è anche della massiccia diffusione delle fonti rinnovabili, il cui contributo sulla produzione totale di energia elettrica ha oramai superato il 20%. Esiste un ampio margine per aumentare questa quota di energie verdi, ma si continua a puntare sul carbone e, in un futuro più lontano, sul nucleare.

Le centrali a carbone autorizzate o in corso di autorizzazione prevedono un totale di circa 40 nuovi Mt di CO2. Se realizzate, impediranno all'Italia di raggiungere i suoi obiettivi di riduzione delle emissioni al 2020 e potranno gravare sui contribuenti per centinaia di milioni di euro. In particolare, il piano di investimenti di Enel comporterebbe quasi il raddoppio delle sue emissioni di CO2. Vogliamo veramente che la politica ambientale del maggior gruppo elettrico italiano sia proprio questa?

È il momento giusto per orientare il nostro sistema economico produttivo verso soluzioni innovative, basate sulle fonti rinnovabili e l'efficienza energetica, capaci di generare occupazione sostenibile e durevole, migliorare la qualità dell'ambiente e della vita delle persone.

Nei giorni scorsi il Governo ha presentato una proposta di Decreto legislativo in attuazione della Direttiva rinnovabili. Nonostante alcuni aspetti innovativi, la proposta assesta un colpo mortale allo sviluppo dell'energia eolica e colpisce il comparto fotovoltaico, riducendo il meccanismo degli incentivi in maniera disordinata. Chiediamo al Governo una revisione della proposta, anche alla luce dei dati della nostra classifica."

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3 dicembre 2010

Cina: pena di morte contro il manager dela miniera di carbone

(ANSA) - SHANGHAI, 2 DIC - Un tribunale cinese ha confermato in appello la condanna a morte con due anni di sospensione per due alti responsabili di una miniera nella quale, l'anno scorso, uno scoppio provoco' la morte di 76 minatori.La corte provinciale dell'Henan ha rigettato l'appelllo dell'ex responsabile della miniera di carbone n. 4 di Pingdingshan,nel distretto di Xinhua.La corte ha confermato la pena capitale anche al suo vice.Rigettato l'appello di altri tre manager, condannati a 13, 15 anni e all'ergastolo.

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Amianto a Civitaveccia: Pedrini attacca Petrelli

Sul problema dell'amianto a Civitavecchia, comunicato di G. Pedrini (Fiamma Roma nord-Civitavecchia) "...E qualcuno finalmente usci' dal letargo"

"Apprendiamo dalla stampa locale che finalmente il Comune , nelle vesti dell’augusto Assessore all’Ambiente , si é casualmente imbattuto in una montagna di amianto , sotto forma di Eternit , che allieta il panorama comprensoriale ormai da lustri : un rigurgito di coscienza civica o l’effetto sinergico di tutti i comunicati che lo scrivente ha diffuso in merito ? Forse qualcuno temendo l’approssimarsi di un “ dies irae” popolare ha deciso di abbandonare la politica della “ammuina” di borbonica memoria per intraprendere un’embrionale forma di concretezza , oppure , consapevole del proprio sostanziale apporto alla “ politica di sostenibilità ambientale”, estrinsecatosi attraverso il voto favorevole alla conversione a carbone della famigerata e micidiale TVN , per farsi perdonare dai contribuenti ha deciso di iniziare la “campagna dell’amianto” in nome della salvaguardia della salute pubblica. I maligni hanno già decretato che l’augusto Assessore é alla ricerca della “verginità” politicamente perduta con il voto favorevole al carbone….che malelingue ! Però qualcuno mi sembra che abbia affermato da qualche parte che : “ …..malignare é peccato , anche se malignando non si va mai troppo lontano dalla verità !”. Peraltro , tra tutti questi novelli difensori dell’ambiente e della pubblica salute , mi chiedo come mai il Sig. Petrelli “paladino ecosostenibile” Vittorio non si sia mai ricordato del problema “amianto” e non abbia mai sporto denuncia , per il reato di “attentato alla salute pubblica” , contro tutti i sederi che si sono accomodati sulla poltrona dell’Assessorato all’Ambiente o non abbia fatto del problema il tema di una delle sue sesquipedali cartoline della serie: “Salute da Civitavecchia”….e sì che il “paladino” Vittorio non perde m,ai occasione per dar fiato alla sua ormai asfittica trombetta mod. “vuvuzelas”…ma il prode “paladino” Vittorio “carbonaro” pentito é un altro di quei patetici personaggi appartenenti alla tipologia de “facite ammutina!” sempre ed ovunque se ne presenti l’occasione ……ovvero di tutti coloro che volentieri fanno di un misero sasso una montagna pur di impressionare , con il loro scomposto agitarsi e blaterare , una pubblica opinione sempre più distratta e più attenta , purtroppo , a dover far quadrare un bilancio famigliare sempre più magro : quante attività di “acquisto e rivendita di oro usato” oggi sono presenti in città? Forse il giovin Assessore Maruccio Avv. Alessandro se non fosse “ …in altre faccende affaccendato..” si sarebbe posto questa sostanziale domanda , come avrebbero dovuto porsela altri rappresentanti della Pubblica Amministrazione per capire chi o cosa si celi dietro questo fenomeno che non esito a definire di “ sciacallaggio sociale”. Comunque plaudiamo tutti alla “solerzia” di quei pubblici amministratori che solo dopo qualche decennio e circa una decina di comunicati in merito si sono “casualmente” resi conto che in giro per il comprensorio esiste solo una qualche tonnellata di amianto abbandonato al degrado atmosferico…..meglio tardi che mai! Popolo di Civitavecchia godi : ora elimineranno l’amianto ed il carbone per regalarti un po’ di salubre CDR! Ma il ricorso alle fonti energetiche rinnovabili appartiene ad un mondo fantastico?

IL Segretario Federale
Gabriele Pedrini

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enel e altre brutte storie

Da centumcellae.it: "Enel, l’energia che ti ascolta… e ti denuncia"

“Enel, l’energia che ti ascolta…”, mica tanto! Sicuramente non i cinque nuclei famigliari vittime dell’emergenza abitativa che nei mesi scorsi avevano occupato alcuni appartamenti di proprietà dell’ente energetico. A loro l’azienda ha chiesto un risarcimento di 14.000,00 euro in sede civile ed ha sporto inoltre denuncia penale per “invasione arbitraria di immobile (art. 633 Cp)”. Un atteggiamento incontestabile sotto l’aspetto puramente formale e giuridico, certamente esecrabile sotto quello della comprensione umana per un ente che a più riprese si è dichiarato “amico della città” e “vicino ai cittadini". Se si può comprendere la richiesta di risarcimento, che considerata la situazione economica delle famiglie poteva comunque essere di minore entità, davvero forzata e poco “umana” appare invece la denuncia penale nei loro confronti.
E infatti non tardano ad arrivare i commenti tesi a stigmatizzare le azioni intraprese dall’Enel. Tra questi dell’ambientalista Simona Ricotti. “Non che fidassimo in una particolare sensibilità sociale da parte di Enel – il suo commento – ma certo ci saremmo aspettati, per semplice buon senso, che una società che così tanto ha preso da questo territorio in termini di risorse ambientali, e finanche di vite, e tanto ha avuto in termini di profitto, cercasse almeno di concertare, per il tramite dell’Amministrazione Comunale, soluzioni maggiormente indolori per quanti sono stati costretti dallo stato di necessità a ricorrere alla soluzione dell’occupazione per fornire un tetto alla propria famiglia e ai propri figli. Certo perché ciò accadesse servirebbe un’Amministrazione Comunale degna di tale nome, consapevole del proprio ruolo di governo e gestione delle esigenze della collettività amministrata, a partire dai bisogni primari di ogni singolo cittadino in cui il diritto ad avere una casa rientra a pieno titolo. Invece, sebbene diversi amministratori con le più svariate deleghe, dai servizi sociali, alla casa alle politiche abitative, fino ad arrivare al Sindaco Moscherini, siano stati resi edotti di quanto sta avvenendo, essi hanno preferito lavarsene le mani, non attivando alcuna trattativa con l’ente energetico né, tantomeno, prospettando ed attivandosi per soluzioni di alcun genere”.
Tutto ciò, ricorda la Ricotti, nonostante nell’“Accordo disciplinante i reciproci rapporti tra l’Amministrazione Comunale di Civitavecchia ed Enel produzione spa” stipulato in data 14 aprile 2008, sia riportato testualmente che “Enel si impegna inoltre a cedere in comodato d’uso al comune per esigenze abitative sette appartamenti di sua proprietà, siti in Civitavecchia per un periodo di dieci anni”. “Clausola, questa, che – commenta ancora l’ambientalista – avrebbe consentito, e consentirebbe tuttora, di gestire in maniera indolore il contenzioso in atto. Non riusciamo, inoltre, a comprendere la richiesta di risarcimento, né tantomeno l’esosità della stessa, visto che l’azione di risarcimento danni da occupazione abusiva di immobile discende dalla perdita della disponibilità del bene e dall’impossibilità di conseguire l’utilità ricavabile dal bene medesimo in relazione alla natura normalmente fruttifera di esso; natura fruttifera che l’aver concesso gli appartamenti in comodato, seppure non perfezionato, al Comune, rende non realizzabile”.
“Una prova di arroganza da parte di Enel – conclude la Ricotti – ed un venire meno al proprio compito istituzionale da parte dell’Amministrazione Comunale, non altrimenti si può contestualizzare questa vicenda che ha dell’incredibile e sulla quale vogliamo auspicare un, seppur tardivo, immediato intervento degli amministratori competenti”.

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Incidente a TVN, commenti dei sindacati

Le sigle dei sindacati nazionali sull'ennesimo incidente occorso il 30/11 ai danni di un operaio nel cantiere di TVN.
Da trcGiornale.it
"Nello specifico dell'incidente odierno, occorso ad un operaio straniero che ha avuto alcuni punti di sutura a un piede, per i sindacati dei metalmeccanici quello che ha presentato enormi difficoltà, gravissime se cause e dinamiche fossero state diverse, è stato l'impegno per trasportare il lavoratore da quota 50 metri a terra, data la poca agibilità dei passaggi e delle scale strette, non adatte al trasporto di un ferito e che hanno determinato una perdita di tempo che in occasioni più gravi poteva rivelarsi fatale. Fiom, Fim e Uil sostengono poi che i "desox" di tutti e tre i gruppi sono dotati di ascensori che non hanno mai funzionato in quanto mai collaudati."

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Quelli che "il cdr nella centrale a carbone" tornano sempre alla carica

Di Gennaro, Cerrone e Vinaccia (Consiglieri Comunali UDC) si chiedono il perché qualcuno torni a insistere nonostante tutto sulla sciagurata ipotesi di bruciare cdr nella centrale a carbone TVN. Da trcGiornale.it

"Si inasprisce il dibattito politico sull'ipotesi avanzata dal Polo Civico di bruciare cdr a Torrevaldaliga Nord al posto del carbone. L'Udc in una nota ricorda il parere negativo espresso dall'Europa, dal consiglio comunale, dal sindaco e dai medici, ed avanza il sospetto che dietro l'insistenza di questa proposta ci siano pressioni e lobbies. Leggi la nota.

"L'Europa ha detto NO, il Consiglio Comunale ha detto NO, IL Sindaco ha detto NO, i medici hanno detto NO, la città non ne può più di veleni e qualcuno ancora insiste nel voler bruciare CDR a TVN a posto del carbone. La si definisce solo una proposta ma, nonostante sia stata universalmente rifiutata, si continua a riproporla. Con ingiustificabile leggerezza si ipotizzano per chi è contrario al CDR eventuali condizionamenti da parte di " lobby del settore" quando la stessa insistenza della proposta di bruciare CDR a TVN fa nascere il sospetto che proprio dietro di essa ci siano pressioni e lobbies. Quale condizionamento c'è nel supportare la raccolta differenziata? Come può parlare di ipocrisia e di ricerca del consenso elettorale chi è disposto, per soldi, a barattare l'ambiente e la salute dei suoi concittadini? Non è per paura che la gente guarda con sospetto simili proposte, ma per la consapevolezza degli incalcolabili danni che simili proposte hanno già causato e continueranno a causare. Tutti ormai conoscono i tristi primati in tema di malattie che il nostro territorio detiene ed è immorale sostenere iniziative che, in qualsivoglia maniera, possano contribuire ad incrementare questo triste primato come farebbe il bruciare 200.000 tonnellate di CDR a TVN (a tanto corrisponde il "rassicurante "5% di 4 milioni di tonnellate di carbone). Non è vero sviluppo quello che non rispetta l'ambiente e la salute ma qualcuno, dentro e fuori Civitavecchia, non lo ha ancora capito od ha interesse a non capirlo. Dobbiamo, perciò, alzare la soglia dell'attenzione per contrastare qualsiasi ipotesi di ulteriore scempio del nostro territorio e per tale motivo l'UDC si farà promotore di un tavolo di permanente mobilitazione sulle tematiche ambientali e sanitarie con tutte le forze politiche e sociali interessate".

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30 novembre 2010

Le Mafie nella terra degli Etruschi

Da UnoNotizie.it

"Il sindaco di Tarquinia ha minacciato di denunciare il coordinatore del Comitato dei Cittadini Liberi, se avesse fatto delle riprese durante il suo intervento alla conferenza stampa di presentazione del Registro Tumori a Viterbo. L'intimidazione non ha funzionato e il sindaco è stato ripreso. Poi una copia della registrazione è stata data agli agricoltori di Tarquinia perché potessero ascoltare quell'intervento, incentrato sulla responsabilità del comparto agricolo nell'insorgenza delle patologie tumorali. Solo alla fine del suo intervento il sindaco ha menzionato la centrale a carbone ma, mentre ha dato quasi per scontata la responsabilità degli agricoltori, riferendosi al carbone ha detto che il registro servirà a capire se ci sarà incremento di morti e malati rispetto alla vecchia centrale a olio combustibile. Insomma i cittadini si devono tenere, e zitti, le ciminiere avute in regalo tanti anni fa.

Non una parola sul cementificio, sull'autostrada tra le case (che anche grazie alle battaglie dei cittadini per ora non si farà), sulla centrale a bio-massa alla Roccaccia (che per legge potrà bruciare rifiuti), sullo stoccaggio a cielo aperto del pet-coke. Mazzola venerdì 26 novembre ha chiesto e ottenuto dal Consiglio Comunale di Tarquinia di mettere un altro tassello nel processo d'industrializzazione del territorio, rendendolo un po' meno adatto all'agricoltura e un po' più adatto alle mire di cinesi buoni e cattivi e alle porcherie dei colossi dell'energia. Grandi appetiti, grandi nomi.

Ecco due elenchi, alla Fazio, di gente con le mani in pasta a Civitavecchia e dintorni, di cui qualche giornalista coraggioso ha scritto di recente. Uno è quello dei nomi che fanno tremare ovunque si pronuncino: Di Lauro, Pulvirenti, Rinzivillo, Gallo-Cavalieri, Barone, Di Sarno, Panati, Ragosta, Bosone, Canale, Speziale. L'altro è di gente più o meno vicina alla cricca, a volte già pratica d'inchieste, delle patrie galere o iscritta a bande fuori legge (come la P2 e la P3). Spicca subito il nome di un potente molto potente: Giancarlo Elia Valori, che sarebbe iscritto alla P2 con il n° 283, che ogni tanto porta i cinesi a Tarquinia.

L'elenco prosegue poi con Anemone, De Santis, Incalza, Carducci, Caltagirone, Parodi, Scajola, Valente, Lombardi, Bitetto eccetera, eccetera. “In questo contesto” la zona industriale di Tarquinia fa gola a molti. Per ora sopra c'è un deposito a cielo aperto di pet-coke (carbone ricavato dal greggio) e i proprietari stanno cercando di ottenerne l'ampliamento da 50.000 a 100.000 t, sempre rigorosamente a cielo aperto.

I Di Sarno, nome che compare nel primo elenco, sono legati alla movimentazione del pet-coke in vari porti italiani. Vicino al carbonile del pet-coke doveva sorgere il mega-cementificio ma i cittadini hanno scoperto e denunciato il tentativo di farlo approvare con documenti fasulli; la denuncia pubblica ha salvato i consiglieri comunali, a cui è stato anche reso noto che dietro il proponente ufficiale figura la Cordusio SpA, una società di Milano studiata per mantenere l'anonimato dei soggetti interessati. I cittadini stanno ancora incalzando il sindaco di Tarquinia per sapere chi si nasconda dietro quell'anonimato. Nell'ultimo consiglio comunale i consiglieri, tutti eccetto uno, hanno votato a favore della Ubi Leasing che vuole “sviluppare” un altro pezzo di zona industriale. I consiglieri sanno per caso chi c'è dietro la Ubi Leasing?

Gli stessi consiglieri comunali, ancora una volta tutti tranne uno, nello stesso consiglio hanno approvato un'estesa lottizzazione a Marina Velca, per continuare a cementificare le migliori terre agricole di Tarquinia. Tanti anni fa quella lottizzazione fu bloccata dalla scoperta di un' importante necropoli etrusca. Agricoltura e beni culturali, tutto è d'inciampo per chi vuole appropriarsi dei beni comuni. E non si dica che le seconde case servono per il comparto turistico: la cementificazione del paesaggio è la rovina del turismo. Il comparto edile invece, per avere un futuro, avrebbe bisogno di essere proiettato verso la manutenzione del patrimonio esistente e il turismo promosso curando l'aria, l'acqua, l'agricoltura e il paesaggio. Alcune contraddizioni sono inspiegabili: se la crisi economica in corso fa crollare il valore delle seconde case, per chi si costruirà a Marina Velca?

A Tarquinia, poi, il massacro di un altro gran pezzo di fertile terra agricola, da distruggere per realizzare un enorme, inutile e dannoso porto turistico nella pianura alluvionale di Tarquinia, vera iattura per l'economia balneare della città etrusca. Alla sozzura del fiume Marta, che d'estate è una fogna a cielo aperto, s'aggiungerà quella del porto, che contribuirà a sporcare l'acqua di balneazione con un apporto di acqua torbida, proveniente dal bacino portuale, resa iridescente da piccole dosi di idrocarburi.

Tarquinia offre su un piatto d'argento le pietanze più gradite ai capitali inconfessabili.

Comitato dei Cittadini Liberi

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Sabato 4 dicembre convegno sulle Mafie nel Lazio

Da Unonotizie.it
"Sabato 4 dicembre, ore 9.30/14.00, presso la Regione Lazio, sala Tirreno, in Via Rosa Raimondi Garibaldi 7, a Roma, si svolge l'incontro pubblico “E poi dicono che la mafia nel Lazio non c’è…”, organizzato dal Gruppo consiliare della Federazione della Sinistra Lazio.
Questi i numeri dell'inquietante e minacciosa presenza della mafia nella regione Lazio:
61 cosche insediate
2ª regione per ecomafie
2ª regione per reati di usura
4ª regione per beni confiscati
4ª regione per reati di estorsione

L'incontro si apre alle 9,30 e prevede la presentazione di documentazione inedita, interventi autorevoli e dibattito finale.

PROGRAMMA DETTAGLIATO

Ore 9.30
Anteprima del documentario “La Quinta Mafia”
di Antimo Lello Turri, prodotto da Libera-Lazio
Presentazione di Fabio Alberti (FdS Regione Lazio)

Ore 10/12
Per non far finta di non vedere
Introduce Fabio Nobile, consigliere FdS Regione Lazio
Elvio Di Cesare, Associazione Antonino Caponnetto Lazio
L’insediamento delle cosche nel Lazio e le responsabilità della politica e delle istituzioni
Lorenzo Mazzoli, Segr. Gen. Funzione Pubblica Cgil Lazio
La sanità a rischio
Mario Catania, Osservatorio Peppino Impastato Frosinone
Mafia in salsa ciociara
Simona Ricotti, Associazione Caponnetto Civitavecchia
Fronte del porto
Dario Gargiulo, Prc Latina-Minturno
Le mani sui rifiuti
Marco Omizzolo, Coord. Legambiente prov. Latina-Sabaudia
Il Litorale nel mirino
Serena Tarabini, Action Roma
Criminalità e rendita immobiliare

Ore 12/14
Per una legislazione regionale antimafia
Tavola rotonda coordinata da Anna Scalfati, giornalista Tg3
Intervengono
Antonio Turri, responsabile Libera Lazio, Marco Carletti, segr. Fillea-Cgil Roma e Lazio, Bianca La Rocca, SOS Impresa, Cosimo Bianchini, segretario generale SILP Lazio, Luisa Laurelli, già presidente della Commissione Sicurezza Regione Lazio, Enrico Fontana, Equorete, Giovanni Russo Spena, già membro della Commissione Parlamentare antimafia
Conclude
Ivano Peduzzi, capogruppo FdS Regione Lazio

Alla conclusione del convegno sarà offerto un buffet con i prodotti di Libera Terra coltivati sulle terre sequestrate alla criminalità.

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28 novembre 2010

Attività industriali e mutamenti climatici devasteranno il Pianeta

Le dichiarazioni dello scienziato statunitense James Hansen, docente alla Columbia University e direttore del Goddard Institute for Space Studies della NASA. Fonte.

"Tra qualche giorno, il prossimo lunedì per l’esattezza a Cancun inizieranno i lavori del Cop16, dove 196 paesi si confronteranno su cambiamenti climatici e riscaldamento globale. Dopo il Climategate cavalcato dai climanegazionisti e poi smentito, si torna a discutere di economia, ma dal punto di vista del global warming.
Ebbene James Hansen è proprio in questi giorni a Milano (il 2 dicembre alla Rotonda della Besana) e a Roma (il 4 dicembre alla Fiera della piccola editoria) per presentare il suo libro Tempeste (per i miei nipoti) ed. Ambiente, in cui fotografa l’attuale scenario, le conseguenze e presenta anche le soluzioni.
Precisa che a Cancun:

Nei prossimi negoziati si parlerà soprattutto di meccanismi di compensazione e di finanza climatica, si parlerà di CDM, REDD+, tutti sistemi per scambiare emissioni in cambio di soldi. Tutto questo è green-washing, un inganno dipinto di verde, un tentativo per aggirare la vera questione.
Hansen è docente alla Columbia University nonché direttore del Goddard Institute for Space Studies della NASA: insomma è uno scienziato e ha rilasciato a Terra una intervista dove spiega quali saranno le conseguenze delle attuali scelte politico-economiche basate sull’utilizzo dei carburanti fossili. Il titolo Tempeste si riferisce agli sconvolgimenti climatici, caratterizzati appunto a violente tempeste:
Il pianeta diventerà qualcosa di completamente diverso da come lo conosciamo. Non ci sarà più calotta artica, il livello del mare si innalzerà di 75 metri e gran parte delle specie saranno estinte. Quello che non sappiamo è quanto durerà questa caotica dinamica di transizione verso un pianeta desolato. Lo scioglimento dei ghiacci e il collasso degli ecosistemi sono problemi non lineari – ciò rende difficile dire quando il collasso inizierà. Ma se continuiamo come nulla fosse, questo caos occorrerà durante la vita dei miei nipoti.
Aggiunge che spetta solo a noi comprendere la strada che abbiamo preso e invertire, perciò la rotta:
Io credo che la gente debba svegliarsi e comprendere che possiamo seguire un modello energetico differente, lasciando gran parte del carbone e petrolio bituminoso nel suolo. La giustificazione che per il nostro benessere si deve consumare ogni goccia di combustibili fossili, detto francamente, è una stronzata. Se questo fosse vero che cosa succederebbe alla fine di questo secolo, quando i combustibili fossili finiranno: il mondo cadrà in miserabile povertà? Assurdo!
E propone come soluzione una carbon tax, una tassa sulle emissioni di CO2.
Se noi creiamo una tassa sulle emissioni di CO2 e distribuiamo il ricavato al pubblico, avremo un grande piano di stimolo che renderà le energie pulite competitive sul piano economico e darà forza a una trasformazione della società verso energie a zero emissioni. I discorsi sui green jobs non hanno senso senza una carbon tax, globale e costantemente in crescita.

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27 novembre 2010

Gli U2 omaggiano i minatori morti in Nuova Zelanda

Da Tg24.Sky.it
"Omaggio degli U2 ai minatori rimasti intrappolati in una miniera della Nuova Zelanda. La rock band irlandese, nella tappa ndi Auckland del suo tour mondiale '360 gradi', ha voluto ricordare i 29 uomini rimasti bloccati da una violenta esplosione nella miniera di Pike River e dati per morti.

"Le persone hanno diverse maniere di affrontare il lutto. In Irlanda noi cantiamo", ha detto il leader Bono durante il concerto, prima di lanciare l'esecuzione di I Still Haven't Found What I'm Looking For e di One Tree Hill, mentre sui maxischermi scorrevano i nomi dei minatori.

In precedenza anche il rapper Jay-Z, in tour con la sua band, aveva ricordato i minatori scomparsi, dedicando Forever Young (Sempre giovane). "Saranno sempre nei nostri cuori e resteranno sempre giovani", ha detto.

Il tour mondiale degli U2, iniziato a metà del 2009 a Barcellona, ha raggiunto la Nuova Zelanda dopo la tappa di Roma in ottobre. Dopo l'Australia proseguirà nel 2011 in Sudafrica e in Nordamerica fino a fine luglio.

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26 novembre 2010

I sonetti di Giancarlo Peris. "Le lagne"

Con grande piacere anche questa settimana abbiamo la possibilità di pubblicare un nuovo sonetto del prof. Giancarlo Peris sui problemi ambientali che affliggono le terre dell'alto Lazio. La verve critica del nostro Tedoforo non manca di colpire la scellerata riconversione a carbone della centrale enel di Torrevaldaliga Nord. Buona lettura.
*"Grillo" è l'ex Monsignore noto per aver fatto piangere sangue alla celebre "Madonnina" di Civitavecchia, NdR

Le lagne (7 febbraio 2001)

Nessuno ride più ne 'sto paese:
Nun ride chi se sveja a ben bon’ora,
Nun ride chi è già adurto e nun lavora,
Nun ride chi ‘n ci ha i sordi pe’ fa’ spese;

Nun ride er sindaco, sempre a le prese
Co' Garufetta che je ruga ancora,
Nun ride Grillo che allancato implora
d’ave’ dar cielo du’ portenti ar mese.

Nun ride chi respira e chi va ar mare
Che guarda esterrefatto a le magagne
De chi che cor carbone fa l’affare;

Anzi, tanto de casa so' le lagne
Che pure la Madonna a l'antri appare,
A noi s'abbotta e ce se mette a piagne.

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Dietro la maschera di enel

Pregevole articolo di Vincenzo Comito, sbilanciamoci.info:

"Enel, la finanza e l'atomo"
Profitti rosei dalle bollette, presagi grigi dalla gestione finanziaria, look verde molto patinato. Questi i colori del colosso dell’energia, nazionalizzato nel ‘62 e privatizzato nel 1992. Alla vigilia dell’avventura nucleare, in cui Enel è immerso fino al collo.
L’Enel nasce nel 1962 con la nazionalizzazione dell’industria elettrica, azione che rappresentava un punto programmatico fondamentale della nuova alleanza di centro-sinistra varata allora nel nostro paese con l’ingresso del partito socialista nel governo. Il nuovo ente metteva insieme le attività sino ad allora esercitate da un rilevante numero di imprese private che fornivano l’energia agli utenti su di una base territoriale più o meno ristretta. Il sistema era inefficiente, offriva un servizio di cattiva qualità a costi molto alti, ottenendo invece profitti in media molto elevati. Il nuovo ente nasceva con molte speranze e con obiettivi ambiziosi, ma darà risultati non certamente all’altezza di tali aspettative iniziali. Inoltre, i soldi ottenuti dalle società private come indennizzi per le nazionalizzazione verranno in gran parte sprecati in iniziative imprenditoriali molto discutibili. Comunque, ancora oggi i prezzi dell’energia in Italia sono molto superiori a quelli medi europei e il servizio vi appare tra i più scadenti.
Tra le altre date da ricordare per quanto riguarda la società va sottolineato il successivo processo di privatizzazione varato nel 1992, che lascerà peraltro in mano all’operatore pubblico il 30% circa del capitale, secondo una formula che sarà comune ad altre società privatizzate, quali l’Eni e la Finmeccanica.
Nel 1999 viene costituita in seno all’Enel, su disposizione del potere politico, la società Terna, cui viene conferita la rete di trasmissione ad alta tensione; successivamente, tale società verrà quotata in borsa mentre l’operatore pubblico manterrà di nuovo circa il 30% del capitale nelle sue mani.
Sempre nel 1999 viene decretata la fine del monopolio Enel e la liberalizzazione del mercato elettrico. A tale scopo, tra l’altro, la società viene obbligata a cedere ai concorrenti una parte delle centrali di sua proprietà.
Nel 2007 l’impresa acquisisce il 92% del capitale di Endesa, la principale società elettrica spagnola. Si tratta del più importante atto di un processo di internazionalizzazione più vasto già intrapreso prima di tale data, processo che vede l’Enel diventare un protagonista del settore in numerosi paesi, europei e non. Da qualche anno la società si è anche inserita nel settore del gas naturale; essa è diventata oggi il secondo operatore del comparto in Italia dopo l’Eni, con una quota di mercato pari a circa il 10%.
Dati recenti
L’Enel è diventata una delle principali società del settore energetico a livello mondiale. Considerando i dati relativi al 2009, al primo posto si collocava la francese GDF Suez, con 84 miliardi di euro di fatturato, seguita dalla tedesca E.ON, con 82 miliardi, poi dall’altra francese EDF, con 66 e subito dopo da Enel con 64 (Nora, 2010).
La società italiana possiede la leadership di mercato, oltre che in Italia e in Spagna, anche in alcuni paesi dell’Europa dell’Est e dell’America Latina.
Su di un totale di 95,7 MG di capacità installata a livello mondiale, 40,6 sono collocati in Italia, 23,6 in Spagna, 17,1 nelle Americhe, 13,5 nell’Europa dell’Est. Per quanto riguarda le modalità di produzione dell’energia, 31 MG derivano da centrali idroelettriche, 26 da centrali a petrolio e gas, 12 da centrali con turbine a gas a ciclo combinato, 18 da unità a carbone, 5,3 da unità nucleari, mentre infine 3,3 MG provengono da fonti rinnovabili, compresa la geotermia.
La società occupava 81.200 persone a fine 2009, con un incremento di 5.200 unità rispetto all’anno precedente, incremento dovuto peraltro prevalentemente all’assorbimento di altre imprese nel perimetro del gruppo. Del totale degli occupati, circa 43.100 lavoravano all’estero e 38.100 in Italia, secondo un trend che vede la quota nazionale diminuire nel tempo in misura rilevante.
L’Enel, così come del resto la Terna, nata a suo tempo da una costola della società, presenta una redditività sostenuta. Nel 2006 gli utili netti erano di circa 3,0 miliardi di euro; essi erano saliti a circa 4,0 nel 2007, mentre nel 2008 essi sono stati pari a circa 5,3 miliardi e a 5,4 miliardi nel 2009; in quest’ultimo anno la società presenta il livello di profitti più elevato in assoluto tra tutte le società italiane, complice peraltro il forte calo di redditività nello stesso anno dell’Eni, in relazione alle difficoltà del settore petrolifero.
La diversificazione internazionale sembra aiutare in qualche modo tali margini di redditività. Ma i profitti sono da collegare, nel caso dell’Enel e anche della Terna, come delle altre principali società elettriche operanti nel nostro paese, non a presunte capacità manageriali dei gruppi dirigenti delle varie imprese, ma al fatto che nel settore vigono delle tariffe amministrate controllate dai governi, con i quali di solito ci si può intendere facilmente. L’apertura del mercato, che si è verificata in seguito alla liberalizzazione del settore, non ha modificato se non in misura modesta tale quadro.
Una visione meno rosea della situazione si ricava considerando invece gli aspetti finanziari della gestione. Il debito finanziario netto a livello di gruppo era pari a 12,3 miliardi di euro nel 2006 e a 11,7 miliardi nel 2006; nel 2007 esso era aumentato all’elevatissimo importo di 55,8 miliardi e al 30 giugno 2010 esso si collocava ancora intorno ai 53,9 miliardi di euro. La società italiana è una delle più indebitate di tutto il continente europeo. Il costo medio del debito si aggirava, tra il 2007 e il 2010, tra il 5% e il 5,5% annuo, generando, tra l’altro, oneri finanziari molto elevati. La ragione fondamentale di tale salto nel 2007 è da attribuire all’acquisizione, avvenuta nello stesso anno, della quota di controllo della spagnola Endesa, costata circa 40 miliardi di euro.
Va considerato, tra l’altro, a questo proposito, che la francese EDF, che nel 2009 presentava un fatturato complessivo leggermente superiore a quello di Enel -66 contro 64 miliardi di euro – , appare da tempo preoccupata per l’entità del proprio debito che, per la verità, è pari a meno della metà di quello della società italiana, collocandosi a fine 2009 intorno ai 25 miliardi di euro (Thomas, 2009), con un rapporto quindi tra debito e fatturato nello stesso anno pari al 37,8% per la società francese, contro il 79,5% dell’Enel.
La società ha come obiettivo dichiarato quello di riportare il livello dell’indebitamento a 39 miliardi nel 2014 – valore che rimarrebbe comunque molto alto-; questo risultato sarebbe ottenuto attraverso la generazione interna di flussi di cassa, una importante politica di dismissioni, tra cui la cessione sul mercato di una quota dell’Enel Green Power, nonché una rilevante riduzione degli investimenti e dei dividendi.
Ma tale programma è soggetto a molte incertezze, tra le quali un possibile abbassamento del rating da parte delle agenzie internazionali, che farebbe aumentare gli esborsi per interessi passivi, nonché un possibile andamento della redditività meno brillante delle previsioni. Va anche considerato che gli investimenti per il nucleare –se realmente portati avanti- potrebbero, in ogni caso, spingere di nuovo verso l’alto, dopo il 2014, il livello degli stessi debiti. Si stima –stima che potrebbe anche rilevarsi molto inferiore alla realtà-, che i programmi nucleari cui parteciperà l’Enel richiederebbero investimenti per circa 32 miliardi di euro, di cui 25 in Italia (Thomas, 2010).
L’Enel, la politica energetica italiana e i costi del nucleare
Nel febbraio del 2009, sulla base di una chiara scelta da parte del governo italiano per un ritorno al nucleare e in relazione anche ad accordi politici tra il nostro governo e quello francese, Enel e EDF hanno firmato un accordo che pone le basi per un nuovo sviluppo congiunto dell’energia nucleare nel nostro paese. Le due società si impegnano a varare almeno quattro centrali con tecnologia ERP. Secondo i programmi concordati la prima centrale dovrebbe entrare in esercizio nel 2020. E’ prevista una partecipazione di maggioranza dell’Enel nella proprietà e nell’esercizio degli impianti. L’accordo è aperto alla partecipazione di terzi. Sembrerebbe interessata alla partita, tra l’altro, la Edison.
Sulla base di un altro accordo con EDF, l’Enel parteciperà contemporaneamente, in posizione di minoranza, alla realizzazione in Francia di altri cinque reattori a tecnologia EPR.
A livello di imprese che dovrebbero collaborare alla costruzione delle centrali si parla di Ansaldo-gruppo Finmeccanica e Techint per la parte italiana e ovviamente per la parte francese di Areva, il leader mondiale dell’industria nucleare, operante nel settore della progettazione e costruzione di centrali nucleari e servizi collegati –si tratta anche della società titolare della tecnologia EPR.
Bisogna ora considerare che le centrali ad energia nucleare sono molto costose da costruire; si parla di 5 miliardi di euro per un impianto da 1600 MW, costo pari a circa 8 volte quello di una centrale a gas della stessa potenza (Greenpeace, 2009). Vanno poi ricordati gli enormi costi di decommissioning, anche essi se sono protratti molto in là nel tempo. Comunque il ritorno economico sugli investimenti è molto lento, anche se i costi di gestione durante la vita delle centrali sono ridotti.
Il reattore finlandese in costruzione da qualche anno sotto la guida di Areva e le cui tecnologie sono molto simili a quelle che dovrebbero essere utilizzate in Italia, ha più di tre anni di ritardo sui tempi programmati – i lavori dovevano essere terminati nel 2009, mentre invece si arriverà, come minimo, alla fine del 2012- , mentre il costo dell’investimento è nel frattempo lievitato dai 3,0 miliardi di euro iniziali ad almeno 5,5-6,0 miliardi e mentre sono emersi anche rilevanti problemi di sicurezza. Bisogna anche ricordare le passate esperienze dell’Enel nel settore in Italia, con impianti inaffidabili e con costi e tempi di realizzazione che hanno ecceduto di gran lunga le previsioni (Greenpeace, 2009).
Per molti, più in generale, l’elettricità derivata dal nucleare non è economica, oltre che fonte di rischi rilevanti. Secondo studi recenti (Silvestrini, 2010) essa è più costosa del carbone, del gas, del petrolio e dell’eolico. Molto dipende peraltro dai sussidi e da altre agevolazioni pubbliche; non si ha in effetti notizia di centrali atomiche costruite e gestite nel mondo senza un qualche importante apporto statale. Senza tale intervento è molto difficile che delle imprese si decidano di rischiare dei capitali in proprio.
In occasione del convegno annuale dello studio Ambrosetti a Cernobbio, nel settembre del 2010 i responsabili dell’Enel hanno affermato che con la costruzione delle centrali nucleari i prezzi dell’elettricità in Italia si sarebbero abbassati del 25-30%. Si tratta di cifre senza alcun fondamento (Silvestrini, 2010), che fanno parte di una campagna volta a dimostrare all’opinione pubblica che il nucleare è poco costoso e sicuro. In realtà, con la costruzione di tali centrali appare più probabile che i prezzi aumentino.
La costruzione degli impianti atomici in Italia, visti gli eventuali tempi lunghi di costruzione delle centrali, non potrebbe peraltro avere alcun ruolo nella corsa alla riduzione dei gas serra entro il 2020, riduzione in merito alla quale peraltro l’Italia non sembra stia facendo molto.
La politica energetica italiana, volta più in generale ad un ritorno al nucleare e al carbone, le due fonti più pericolose e sporche, nonché caratterizzata da una scarsa attenzione alle energie rinnovabili e ai programmi di aumento dell’efficienza energetica, rischia di relegare la penisola alla condizione di paese energeticamente sottosviluppato (Greenpeace, 2009). In effetti, oltre all’iniziativa sul nucleare, l’Enel sta anche portando avanti l’apertura di nuove centrali a carbone e la conversione a carbone di centrali già funzionanti da tempo con altre tecnologie. Va sottolineato che il tale combustibile è quello con le più alte emissioni di gas serra. Bisogna anche considerare che, in ogni caso, appare sostanzialmente impossibile che i tempi dichiarati ufficialmente per il programma nucleare vengano rispettati e ci sono anche delle speranze che tali progetti non verranno mai realizzati o che comunque essi saranno almeno ridimensionati.
Le presunte credenziali verdi dell’Enel
L’Enel ha costituito nel 2008 la “Enel Green Power”, mettendo insieme le sue attività nel settore delle energie rinnovabili. La nuova società sarà introdotta in Borsa nell’ottobre del 2010, con l’offerta al mercato di circa il 30% del suo capitale. L’operazione ha fruttato a consuntivo circa 2,6 miliardi di euro di denaro fresco per la capogruppo –abbastanza meno di quanto il gruppo dirigente dell’azienda sperava-, che con tale iniziativa cerca di accreditarsi contemporaneamente, almeno nelle intenzioni, come fortemente sensibile ai temi ecologici.
Ma gli scettici riguardo a tale operazione sono molti; essi sottolineano, tra l’altro, come in realtà l’amministratore delegato della società, Fulvio Conti, sia uno dei nemici più convinti delle tematiche ambientaliste, avendo tra l’altro dichiarato la sua contrarietà alle conclusioni del gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sul tema, gruppo che valutava come molto probabilmente l’aumento delle temperature globali sia causato dalle emissioni umane (Dinmore, 2010). Un consulente del settore, A. Consoli, giudica Conti come un campione della vecchia scuola dell’energia, che combatte i movimenti verdi e porta avanti delle cattive politiche accompagnate da campagne pubblicitarie devianti (Dinmore, 2010). La società, ancora recentemente, ha inoltre manifestato la sua opposizione alle norme più restrittive progettate dai ministri dell’Unione Europea in tema di permessi alle emissioni di gas serra (Dinmore, Crooks, 2010). L’Enel è, tra l’altro, il più grande emettitore di tali gas del nostro paese e non sembra voler fare nulla per ridurli in maniera significativa.
Greenpeace ricorda peraltro come nella nuova entità avviata dall’Enel, escludendo gli impianti idroelettrici e geotermici presenti in Italia da moltissimi decenni, le altre energie rinnovabili pesino meno dell’1% della produzione di energia di Enel in Italia (Greenpeace, 2010).
D’altro canto, cedendo una parte delle azioni della società Enel Green Power, l’Enel rinuncia anche ad una parte degli utili; bisogna ricordare, a tale proposito, come quello delle energie rinnovabili sia il settore più redditivo presente all’interno del gruppo.
Per quanto riguarda l’azionista pubblico, va sottolineato che, ridimensionando l’Enel in maniera molto importante i dividendi per diminuire nei prossimi anni il livello dell’indebitamento, si riducono contemporaneamente le entrate dello stato italiano per circa 1,25 miliardi di euro all’anno, mentre i contribuenti hanno già versato 2,5 miliardi per l’aumento di capitale effettuato nel 2009 (Thomas, 2009). Questo significa che una parte consistente del peso finanziario del processo di internazionalizzazione della società verrà pagato da noi, come molto probabilmente ricadrà sui contribuenti una parte importante degli investimenti nelle centrali nucleari, se mai si faranno.

Testi citati nell’articolo
-Dinmore G., Crooks E., Enel sounds alarm over tight emission rules, www.ft.com, 17 marzo 2010
-Dinmore G., Enel’s green credentials challenged ahead of IPO, www.ft.com, 21 giugno 2010
-Nora P. (a cura di), A nous, le vaste monde, Le Nouvel Observateur, 19-25 agosto 2010
-Greenpeace, Stop carbone! Efficienza energetica adesso, Documenti e rapporti, Greenpeace Italia, Roma, 2009

-Silvestrini G., Disinformazione nucleare, www.qualenergia.it, 8 settembre 2010
-Thomas S., Enel. Prospettive e rischi degli investimenti in energia nucleare, rapporto per Greenpeace Italia, Documenti e rapporti, Greenpeace Italia, Roma, 2009
(Vincenzo Comito, sbilanciamoci.info)

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Pietra Ligure delibera un netto "no" al carbone

Fonte: ivg.it
"Il Comune di Pietra Ligure dice no all’ampliamento della centrale a carbone di Tirreno Power. Nel corso dell’ultima seduta del Consiglio comunale è stato infatti approvato un ordine del giorno presentato dalla maggioranza con la richiesta di formalizzare la contrarietà dell’amministrazione pietrese al progetto previsto per la centrale vadese.

Il documento approvato dal parlamentino pietrese si inserisce in uno studio riguardante l’incidenza delle polveri e dei fattori inquinanti della centrale fino ad oltre 50 km dal sito vadese. L’ordine del giorno ha chiesto inoltre di avviare un processo di ambientalizzazione dei gruppi a carbone esistenti e la riconversione della centrale, oltre ad un effettivo controllo pubblico delle emissioni inquinanti e dei loro effetti sul territorio savonese.

E’ stato invece respinto dal Consiglio comunale un emendamento presentato dalla minoranza consiliare che prevedeva un “ni” all’ampliamento a carbone della centrale ma lasciava aperto il tavolo di discussione con l’azienda, in primis sul tavolo ambientale"

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25 novembre 2010

Il picco del carbone non è lontano

Da BlogEko.it
Un saggio sulla prestigiosa rivista scientifica Nature conferma: il picco del carbone è dietro l’angolo, esattamente come quello del petrolio. Sarà dunque il caso di cominciare a prendere con cautela la diffusa convinzione che il carbone rimarrà abbondante ancora per molto tempo.

Se il petrolio è importante soprattutto per i trasporti (e pensate a quanto viaggia il cibo), per i concimi e per moltissimi oggetti della vita quotidiana, grazie al carbone si producono circa il 40% dell’elettricità e il 75% dell’acciaio utilizzati in tutto il pianeta.

Il picco è il momento in cui la produzione non aumenta più a causa delle limitate riserve possedute dal pianeta: la domanda invece continua a crescere, ed è facile intuire gli effetti.

Il saggio sul picco del carbone è stato pubblicato da Nature lo scorso 18 novembre. Porta la firma di Richard Heinberg e David Fridley del Post-Carbon Institute. Il testo completo è accessibile solo agli abbonati, ma i punti salientisono ripresi da Bloomberg.

il concetto di fondo è: le stime sulla consistenza dei giacimenti effettuate nei decenni passati stanno rivelandosi inesatte e troppo generose. Le riserve di carbone di buona qualità e facilmente accessibili sono ormai ridotte.

La domanda di carbone invece continua a crescere, trainata soprattutto dalla Cina, il maggior produttore e consumatore mondiale, che l’anno scorso ha raddoppiato le se importazioni.

Il picco della produzione di carbone, concludono i due, è imminente: forse si verificherà fra un anno soltanto.

La diminuzione della produzione combinata con l’aumento della domanda causerà un aumento dei prezzi: dunque le politiche energetiche basate sull’abbondante disponibilità di carbone a basso prezzo non hanno futuro.

Su Nature la fine del carbone a buon mercato. L’articolo completo è riservato agli abbonati.

Su Bloomberg il carbone sta finendo e i prezzi saliranno

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