Dal Wall Street Journal del 30 maggio un articolo a firma Henry Sokolsky (Fonte)
Il Governo italiano, il cui debito pubblico, con i suoi 1.624 miliardi di euro, è già il terzo più grande del mondo, sembra desideroso di veder crescere ancora questa voragine. La scorsa settimana, l’appena rieletto Silvio Berlusconi ha dichiarato di voler rimettere l’Italia sulla strada dell’energia nucleare.
Sembrerebbe la cosa giusta da dire a un paese che vede il costo della benzina crescere ogni giorno ed è costretto ad aumentare le sue importazioni energetiche dalla Francia, eccetto per un piccolo dettaglio: è molto improbabile che le centrali atomiche promesse da Berlusconi saranno mai costruite.
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Il motivo? Costi di costruzione vertiginosi, tempi che si proiettano verso i due decenni e difficoltà nell’individuare aree di costruzione in cui i cittadini non facciano opposizione.
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Queste cupe previsioni anti-nucleari vengono dagli ambientalisti? Tutt’altro. Le ultime valutazioni industriali rese note da E.On, il gigante energetico tedesco che sta costruendo una centrale atomica in Finlandia, collocano il costo di un singolo impianto a 6 miliardi di euro. La Florida Power and Light, una delle maggiori imprese energetiche americane, fornisce gli stessi numeri. Si tratta di dieci volte il costo di una moderna centrale a gas con la stessa capacità energetica. Questi costi, va aggiunto, coprono solo la costruzione della centrale e non comprendo lo smaltimento delle scorie e le spese operative.
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Quando Berlusconi fu al governo, dal 2001 al 2006, investì molte risorse in opere pubbliche ma fallì ripetutamente nel rispettare i vincoli di bilancio della Ue. Oggi Berlusconi promette un una gestione più prudente delle finanze nazionali.
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Ciò non di meno i vertici dell’Enel, la società energetica a controllo pubblico che dovrebbe costruire e gestire questi nuovi reattori, la scorsa settimana hanno cripticamente fatto sapere che se si vuole procedere su questa strada, l’Enel ha bisogno di “nuove regole e forte consenso nel paese sulle nuove centrali”. Leggi: garanzie del governo, crediti e sussidi.
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Si potrebbe ritenere che un po’ di “deficit spending” potrebbe anche convenire all’Italia. Ma nel caso delle installazioni nucleari le probabilità sono davvero scarse. Perché? Perché serviranno decenni per capire se la scelta è stata giusta o meno. L’Italia non ha costruito o gestito centrali nucleari da quando le chiuse tutte dopo l’incidente di Chernobyl nel 1987. Questo non è di grande augurio per ripartire da zero rapidamente e senza incidenti.
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Gli atomo-entusiasti glissano su questo. La settimana scorsa, il ministro per lo sviluppo economico, Claudio Scajola ha detto alla Confidustria che il governo intende posare la prima pietra di una centrale di nuova generazione entro 5 anni. Tutto ciò suona bene. Ma i funzionari dell’Enel sembrano più cauti. Questi sostengono che ci vorranno “dai sette ai dieci anni” prima di mettere un reattore in pista. Il principale concorrente, Edison Spa, è stato anche più prudente: “la prima centrale avrebbe difficoltà a diventare operativa prima del 2020”.
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Infine i critici del nucleare sono ancora più scettici. Il reattore di 4° generazione a cui il governo sembra pensare, non è stato neppure interamente progettato e completarlo potrebbe richiedere dai 20 ai 25 anni.
Al fondo c’è però un’altra questione: le centrali nucleari saranno difficilmente una risposta adeguata alle esigenze energetiche che l’Italia si troverà ad affrontare nei prossimi 10 anni o più. Quale sarà la domanda e l’offerta energetica tra 10 o 20 anni e quanto questa energia costerà è la domanda che tutti si pongono. Di certo Berlusconi e il suo governo saranno finiti da un pezzo per allora, mentre gli alti costi e l’opposizione politica e pubblica per ogni singola centrale da costruire sono prezzi da pagare da subito.
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Perché allora Berlusconi ha fatto il suo annuncio nucleare proprio ora. Come la riduzione delle tasse su benzina e diesel – che il governo ha annunciato la settimana scorsa – anche questo serve a dare la sensazione che si sta facendo qualcosa contro l’aumento dei prezzi delle materie prime.
Gli esperti però sospettano qualcosa di più sinistro. L’annuncio potrebbe essere parte di un impegno di lungo termine delle maggiori imprese energetiche europee per mettere fuori gioco i concorrenti minori grazie ai massicci finanziamenti e sostegni pubblici per i programmi nucleari. Gli italiani e gli europei possono solo sperare che queste speculazioni si rivelino infondate.
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L’Unione Europea dovrebbe incoraggiare la competizione e l’eliminazione dei sussidi governativi nel settore energetico. Ma non ha mai avuto molta fortuna in questo campo. La Francia sostiene pesantemente i suoi programmi nucleari. I sussidi tedeschi sul carbone sono altrettanto noti. Gli aiuti di Francia e Germania al progetto del reattore finlandese che AREVA e Siemens stanno costruendo, sono stati ammessi dalla Commissione Europea contro numerose denuncie.
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La preoccupazione è che la Ue possa finire con il reprimere la competizione nel settore energetico proprio nel momento in cui l’Europa ne avrebbe più bisogno. Infondo l’Ue si dice impegnata nel ridurre le emissioni di anidride carbonica. La strada per questo è l’aumento dell’efficienza energetica al fine di ridurre la domanda complessiva e insieme promuovere le tecnologie col miglior rapporto costi-benefici.
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Non esiste sforzo di pianificazione che possa determinare come ottenere questo risultato riducendo le emissioni nel modo più rapido ed economico. Invece è certamente il rispetto dei meccanismi del mercato la migliore speranza dell’Europa per attraversare il groviglio di decisioni da prendere: scegliere tra sistemi di distribuzione elettrica centralizzati o diffusi, nuove tecnologie contro vecchie, quali differenti fonti di gas naturale e molto altro…
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E’ possibile che la competizione possa favorire il nucleare in futuro. Comunque, visto che la Ue prevede di chiudere ben 145 reattori nei prossimi 17 anni, la crescita netta della capacità nucleare europea, nella migliore delle ipotesi, dovrebbe collocarsi tra molti decenni a venire. Nel frattempo l’Italia e l’Europa farebbero cosa saggia nello stare lontane da investimenti energetici che nessuna banca privata farebbe senza il sostegno dei governi. Per il momento questi includono gli investimenti nucleari.
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Henry Sokolsky è il direttore del Nonproliferation Policy Center di Washington
Sul medesimo argomento vedi anche qui
2 giugno 2008
Wall Street Journal: perché il nucleare in Italia è una scelta sbagliata e non conveniente
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