Da Newz.it: Legambiente, il referendum contro la centrale di Gioia serva da monito per Saline
"Sono trascorsi 25 anni e quella straordinaria giornata è ormai diventata una bella pagina di storia, un ricordo ma anche un monito e una lezione tornati ad essere, alla luce di recenti avvenimenti di Rossano e di Saline, fortemente attuali". Con queste parole Nuccio Barillà, dirigente nazionale di Legambiente, ha aperto l’Assemblea dei Soci del “Cigno Verde” che si è svolta ieri, mercoledì, presso la sede di via Tripepi dedicata alle riflessioni sull’impegno ambientalista a 25 anni del referendum popolare contro la centrale a carbone di Gioia Tauro. Un’occasione scelta dagli ambientalisti non solo per celebrare una data significativa, ma anche per rilanciare la battaglia contro la centrale e per lo sviluppo pulito di Saline Ioniche, diventato, suo malgrado, nuovo avamposto e simbolo della difesa del territorio. L’Assemblea, oltre alla relazione di Barillà, è stata arricchita dagli interventi di Lidia Liotta, Mariacaterina Gattuso, Marinella Arria, Paola Nasti, Antonella Politi, Mario e Carmelo De Grazia, Nicoletta Palladino. In un documento definito a conclusione dell’Assemblea, viene evidenziata l’attualità di una tappa storica e le molte analogie tra la vicenda della centrale di Gioia Tauro e quella di Saline Ioniche. Alla base della localizzazione assurda dell’impianto termoelettrico , è stato ricordato, vi fu la ghiotta opportunità fornita dal Porto, ma soprattutto la convinzione che la Calabria, costretta da una disperata condizione economica, da una fortissima emergenza occupazionale, dalla permeabilità di una classe politica ritenuta “elemosiniera” e dalla presunta fragilità e disorganizzazione della società civile, non avrebbe opposto alcuna resistenza e avrebbe ingoiato l’impianto sputa-veleno. Ciò prevedibilmente non sarebbe stato possibile in altre parti del territorio italiano. Quella volta, però, si verificò qualcosa di straordinario e sorprendente. Contro lo “schiaffo” dello Stato centrale si mobilitò quasi l’intera Calabria, sospinta dalle popolazioni direttamente interessate e dalle sue rappresentanze istituzionali e sociali. Di quella lunga lotta, durata quasi tredici anni, il referendum popolare autogestito, tenutosi il 22 dicembre 1985 in ben dodici comuni della Piana reggina e della fascia tirrenica catanzarese, fu il momento più esaltante. Schiacciante e inequivocabile la vittoria del NO, che totalizzò oltre il 97%. A favore della Centrale a carbone si espressero soltanto 933 elettori su 36.583, appena il 2,6%. L’esito dello scrutinio fu giudicato quasi unanimemente “un plebiscito, un evento straordinario, un esercizio collettivo e maturo di democrazia, un segnale di chiarezza e di speranza che va ben oltre la Calabria”. A scendere in campo nella Piana di Gioia Tauro e in Calabria, ricorda Legambiente, ci fu una popolazione variegata, il legante che tenne insieme tutti fu la paura del “mostro inquinante”, dunque la difesa dell’ambiente e della salute, quali beni assoluti e non barattabili. Fu anche, però, la presa di coscienza collettiva che una diversa via di sviluppo, scelta dal basso, capace di valorizzare, piuttosto che depredare, le risorse e di, tenere insieme le ragioni dell’ambiente e del lavoro, non solo era possibile ma era l’unica, dati alla mano, utile e proponibile per la Piana. Se il pronunciamento, corale e democratico, dei calabresi non bastò ad infrangere, subito e da solo, il muro ostinato dello Stato centrale, rappresentò il punto più alto di una lotta tenace che condusse alla vittoria finale che fece svanire l’incubo. "A distanza di 25 anni di distanza del referendum della Piana di Gioia Tauro, per un beffardo e cinico gioco non certo del destino è ancora una centrale a carbone -quella che una società privata, la SEI, vuole con complicità varie costruire a Saline Joniche, al centro dello scontro e del dibattito. Oggi come allora il confronto non è semplicemente tra chi vuole a tutti i costi imporre un impianto devastante e dannoso e chi, con ponderate ragioni, lo rifiuta. Di fronte ci sono soprattutto, due linee del tutto opposte di politica energetica e due diverse, inconciliabili, visioni della democrazia, dello sviluppo, del ruolo e del futuro della Calabria e del Sud”. La vittoria nel referendum di 25 anni fa, conclude Legambiente, è di buon auspicio perché, con la compattezza e la lotta, anche a Saline si possa allontanare l’incubo del carbone e si colga l’occasione per dare solide basi e concreti finanziamenti a uno sviluppo diverso capace di dare risposte occupazionali, rinnovabili nel tempo, e opportunità d’impresa credibili ed efficaci.
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