Dal Resto del Carlino di Rovigo: dieci amministratori enel coinvolti nell'indagine della Procura. Clicca qui per leggere o scaricare l'articolo
8 luglio 2011
Carbone a Porto Tolle, dove si spinge il lobbismo velenoso
Un contributo di Vanni Destro sulla scandalosa vicenda del carbone a Porto Tolle. Sul medesimo argomento anche Greenpeace e M. Scalia
"Niente da dire, il progetto di riconversione a carbone deve essere proprio buono. Talmente buono da richiedere l'impegno della Giunta, del Consiglio regionale del Veneto e addirittura del Governo in sede di Finanziaria per farlo procedere. E tutto ciò a fronte di un'indagine della magistratura a carico dei vertici Enel e di alcuni componenti delle commissioni VIA regionale veneta e nazionale per l’ipotesi di abuso d’ufficio per le procedure e i documenti che avevano permesso alle medesime di dare l’ok al
progetto di riconversione e di una sentenza del Consiglio di Stato che boccia la stessa.
Si, perché, oltre all'inutile, ai fini della riconversione, modifica dell'art. 30 della legge 36/97 istitutiva del Parco del Delta del Po, su cui si stanno avvitando in Regione Veneto perché pressati da sindacati, amministratori, politici vari e imprenditori privi di lungimiranza, ora spunta un emendamento in Finanziaria.
Riprendendo l'articolo del decreto incentivi 2010 che apriva, considerando sufficiente l'abbattimento del 50% delle emissioni rispetto alla centrale preesistente (a oliaccio combustibile, funzionante per 25 anni senza autorizzazione,dal 1980 a 2005, quando
fu posta in "riserva energetica", anche questa piena di condanne e pendenze), la strada al carbone, richiusa dal Consiglio di Stato che richiamava all'obbligo delle comparazioni con altri combustibili per definirne l'impatto, tale emendamento esonererebbe dall'obbligo
comparativo.
Non ci si dica che ciò viene proposto per i posti di lavoro, visto che nella stessa Finanziaria erano previsti tagli, fortemente voluti dal Ministro della semplificazione Calderoli, deli incentivi alle fonti rinnovabili con una perdita di 250000 posti di lavoro da qui al 2020 e
la distruzione dell'unico settore che "tira" economicamente con un giro d'affari corrispondente a quel punto di PIL che è pure la crescita prevista a livello nazionale per l'anno corrente.
Non ci si racconti che è per abbassare il costo dell'energia elettrica visto che l'Autorità per l'energia elettrica e il gas ha appena comunicato che in Italia, a fronte di un costo superiore in bolletta rispetto al resto d'Europa (per l'industria iil 26% in più, ad
esempio), se depurato dalle tasse, il costo di produzione è in linea con la media europea.
Non è più semplice dire: li si usa il carbone perché così piace a noi e le leggi ce le tagliamo e cuciamo come vogliamo, chiaro? Anche certe leggi comunque sono impugnabili e chissà che in Regione Emilia Romagna, dove di carbone non ne vogliono sapere, qualcuno non ci stia già pensando...
Bonanni (Cisl): il carbone è pulito. E le migliaia di operai morti ogni anno nelle miniere?
La cronaca dei morti nelle miniere di carbone cinesi è un rullo ininterrotto, ordinario racconto di un business che molti continuano impunemente a definire "pulito". Persino il leader sindacale Bonanni (CISL) non ha avuto esitazioni nel definire la riconvertenda centrale di Porto Tolle come assolutamente pulita su tutti i fronti.
Purtroppo però anche oggi sono uscite notizie come queste:
Shandong: 28 minatori cinesi intrappolati a 255 metri sottoterra
Shanxi: 5 morti in un smottamento
Come per enel e per l'ex ministro Scajola in visita a TVN erano accettabili e messi in preventivo i tre operai morti nel cantiere di Torrevaldaliga (Civitavecchia), anche per Bonanni il tributo di vite dei lavoratori è scontato e accettabile, rientra nel bilancio "pulito" del funzionamento del nuovo mostro ecologico che incombe su Porto Tolle.
Non parliamo poi delle morti per cause sanitarie connesse all'inquinamento da carbone, se non quando nominarle serve a sostenere il nucleare (leggi le parole di Chicco Testa pre-referendum)
Il cambiamento climatico blocca centrale a carbone in Israele
I lavoratori di Israele elettrica Corp hanno avvertito che intere città potrebbero essere lasciate senza elettricità. E' da giorni che il sistema di filtraggio della centrale di Hadera è in crisi e stenta a smaltire le grandi quantità di meduse che vengono risucchiate dalle sue pompe. Un operaio ha spiegato che «quando le meduse arrivano a frotte, bloccano il nostro sistema di raffreddamento e si diffondono e diventano come gel e questa gelatina blocca il condensatore e interrompe la condensa del vapore. Ed eventi gravi potrebbero fermare la produzione di energia elettrica della centrale».Secondo gli scienziati israeliani, l'innalzamento delle temperature globali è il responsabile dell'esplosione demografica di queste meduse; "curioso" che sia il carbone combusto nelle centrali, il principale responsabile mondiale dell'innalzamento delle temperature.
Tencara (Cremona) progetto di centrale a carbone all'orizzonte?
Ilva, un'autorizzazione integrata ambientale (aia) assurda
Dal FattoQuotidiano "Via libera alla concessione dell’autorizzazione integrata ambientale per l’Ilva di Taranto"
“Un passaggio storico per Taranto e la Puglia”. “No, uno schiaffo alla città”. Com’era immaginabile, la decisione di concedere l’Autorizzazione Integrata Ambientale (Aia) all’Ilva di Taranto ha scatenato reazioni opposte fra le diverse parti in campo. Fatto sta che lo stabilimento siderurgico più grande d’Europa potrà continuare le sue attività per i prossimi sei anni. Alla concessione dell’Aia farà infatti seguito un decreto del ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo che garantisce la conformità degli impianti del gruppo Riva alle normative ambientali europee.
L’accordo è stato preceduto dalla polemiche e ha riacceso lo scontro fra istituzioni, comitati cittadini e associazioni ambientaliste sulla possibilità di conciliare la presenza dell’Ilva, con i suoi circa 13mila occupati, con la tutela di popolazione e ambiente che da anni subiscono i danni di questa convivenza.
“Siamo riusciti a tenere insieme le ragioni dell’ecologia con quelle dell’economia e del diritto al lavoro”, ha detto Lorenzo Nicastro, assessore alla Qualità dell’ambiente della Regione Puglia a ridosso dell’incontro che ha dato il via libera all’Aia per l’Ilva.
Conquiste insufficienti secondo comitati cittadini e gruppi ambientalisti che denunciano l’aumento della capacità produttiva di acciaio fino a 15 milioni di tonnellate annue, la mancanza di limiti alle emissioni per alcune sostanze dannose e l’inadeguatezza dei monitoraggi e dei controlli sulle emissioni e gli scarichi dell’industria. “È una Aia vergognosa perché non sono previsti limiti alla fonte di emissione per quanto riguarda sostanze dannose per la salute come il cadmio, cromo esavalente, mercurio e i metalli pesanti”, ha dichiarato il presidente nazionale dei Verdi, Angelo Bonelli, annunciando un ricorso del suo partito al Tar contro la concessione dell’autorizzazione.
Legambiente invece parla di “grave passo indietro”, come ha sottolineato il responsabile scientifico Stefano Ciafani che si dice “fortemente critico sul lavoro della Commissione Ippc, sempre pronta ad accogliere le richieste dell’azienda a scapito dei cittadini”.
L’associazione del cigno fa notare come la rete di monitoraggio esterno alla cokeria scomparirà, “uno strumento importantissimo per rilevare le emissioni di Ipa e del pericolosissimo benzo(a)pirene”.
Il coordinamento Altamarea ha affidato il proprio sdegno a un comunicato listato a lutto: “E’ l’ennesima ingiustizia alla città di Taranto e ai suoi abitanti”.
Il comitato Donne per Taranto invece annuncia battaglia: “Non ci fermeremo fino a quando non avremo ottenuto l’indagine epidemiologica, e fino a quando il diritto alla salute verrà tutelato. Com’è possibile concedere l’Aia a un’industria che dovrebbe essere messa sotto sequestro per le anomalie riscontrate dal Noe di Lecce?”
L’ennesima conferma dell’impatto ambiatale dell’Ilva arriva nel frattempo dagli ultimi dati dell’Arpa, resi noti proprio nel giorno della concessione dell’Aia. “La concentrazione di benzo(a)pirene sottovento nei pressi delle ciminiere è pari a 4.46 ng/m3, molto più alta di quella sopravento (0.06) e di quella con calma di vento (0.27). Se ne deduce il contributo praticamente esclusivo di Ilva”, si legge nella nota diffusa dall’Agenzia regionale per l’ambiente.
Taranto intanto veniva ripulita dall’ultima tempesta di polvere di minerali che il vento, nei primi giorni della settimana, ha ancora una volta sparso sulle case della città. Da anni i cornicioni pieni di polvere parlano chiaro, così come gli indici di mortalità e i dati sulla straordinaria diffusione di patologie gravi, anche fra i bambini, nella seconda città pugliese. E, anche se a Roma forse qualcuno fa ancora finta di non vedere, a Taranto l’emergenza continua. Anche con l’Aia.
5 luglio 2011
Patagonia sin represa, c'è enel dietro la vicenda
4 luglio 2011
Civitavecchia mare
Civitavecchia in Festival 2011
Civitavecchia in Festival anche quest'anno, e come sempre lo paghiamo assai caro.
Come spieghiamo qui
Panem et circenses, si diceva già nell’antica Roma.
Nelle città che ospitano impianti energetici e industriali fortemente inquinanti, spesso troviamo cartelloni estivi finanziati dagli inquinatori del posto, in modo tutt’altro che disinteressato. E' frequente che stelle del pop nazionale siano chiamate a esibirsi in concerti addirittura all'interno di centrali termoelettriche, e non per l’assenza di spazi più consoni a una manifestazione artistica; lo scopo è agire in modo subdolo sulle fasce più deboli della popolazione (tra cui i più giovani), con l'intento di mostrare la grande bontà dell’azienda che “regala” l’evento.
Si cerca così di addolcire la percezione pubblica riguardo simili ecomostri, per farne da luoghi “dannosi e pericolosi” a “carichi di positività".
Inquinamento, riscaldamento climatico e masse di profughi
"Arrivano gli sfollati climatici: abitanti delle isole , che a causa del surriscaldamento della terra, annegano nell’oceano", da Paperblog
Arrivano gli sfollati climatici. Sono per ora quelli di Lohacara nel Golfo del Bengala, di Newtok in Alaska o di Carteret in Papua Nuova Guinea, costretti ad arrendersi davanti a un oceano che sale senza tregua, inquinando acqua da bere e campi da coltivare , fino a sommergere tutto. Case, scuole, chiese.
Sono un piccolo esercito, ma il numero è destinato ad aumentare. In Bangladesh potrebbero superare i 20 milioni se il 18% della zona costiera finirà sott’acqua , come prevedono i climatologi. Destino più amaro per le isole, che non avranno più nessuna terra da chiamare patria. “Se non verranno prese misure adeguate , entro qualche decennio varie Isole-Stato dell’Oceano Pacifico finiranno sotto il livello del mare”Avverte Michael Gerrard , direttore del Center for Climate Change Law della Columbia University.
A New York un mese fa circa si sono riuniti 250 scienziati ed esperti legali per cercare risposte a delle domande rivolte dagli abitanti delle Isole Marshall, adagiate a pelo d’acqua tra Australia e Hawaii. La paura è tanta. Il diritto internazionale non dà risposte. E anche a New York gli esperti so sino divisi su possibili soluzioni.
L’unico dato unanime è “L’innalzamento del livello del mare , dovuto all’espansione delle acque surriscaldate e allo scioglimento dei ghiacci polari e continentali . è cresciuto in modo costante dal 1990 a oggi : attualmente , secondo misurazioni satellitari , è di circa 3 mm all’anno” ha ricordato Mary Elena-Carr , direttore associato del Columbia Climate Center “Un fenomeno non uniforme in tutto il pianeta : in alcune regioni , come l’area occidentale del Pacifico o quella sudorientale dell’Oceano Indiano , l’innalzamento è tre volte superiore alla media , principalmente a causa della maggiore espansione termica e dei venti. Considerando anche il probabile parziale scioglimento dei ghiacci in Groenlandia e nell’Antartico Occidentale , da qui al 2100 il livello del mare potrebbe salire dai 75 ai 190 cm”. E nei secoli anche svariati metri.
Un incubo che accumuna gli arcipelaghi meravigliosi dell’Oceania e i paradisi a cinque stelle della Maldive , lo stato più basso al mondo : 1220 isole e atolli , l’80% a meno di un metro sopra il mare , dove tre anni fa fu creato un fondo per l’acquisto di una nuova patria - tra le opzioni : un territorio in Sri Lanka , India o Australia . dove ricollocare i 305.000 abitanti (fondo poi eroso da crisi e tagli di bilancio).
C’è ora una corsa ai ripari. C’è chi si affida ancora i sacchi di sabbia accatastati sulla riva per fermare la marea , come capita di vedere alle Maldive fuori stagione , e chi sceglie opere d’ingegneria sempre più spericolata : strade rialzate , importazioni massicce di sabbia , barriere vegetali sulla costa o muri di cemento lunghi vari Km in mare – come la barriera costruita a difesa di Majuro , capitale della Marshall – per fermare l’impatto devastante delle onde e delle maree. Si pensa persino di creare isole artificiali , poco più di piattaforme sul mare , che garantiscono la presenza degli abitanti , per poter continuare a chiamarsi Stato , con una bandiera e i diritti economici che ne conseguono , per esempio la vendita dei diritti di pesca al tonno , una delle entrate più importanti del Pacifico.
Molte isole-Stato pensano a vie legali per difendere i loro diritti. Per esempio una mappatura che difendi i confini in modo permanente , per far sì che le acque territoriali e la Zona economica non si restringano , o scompaiano. Le frontiere economiche potrebbero essere registrate nelle opportune sedi internazionali , sia all’Onu sia nei trattati bilaterali, come quello concluso tra la Francia e l’isola di Tuvalu ( in Polinesia) per stabilire i limiti delle rispettive rivendicazioni marittime.
Intanto partono le prime azioni legali. La Federazione della Micronesia ha fatto causa alla repubblica Ceca , distante 11000 km, perché colpevole di coler tener acceso il maxi impianto a carbone di Prunnerov-2 “Da solo produce emissioni 40 volte superiori a quelle emesse da tutto il nostro arcipelago. Prolungarne l’attività mette a rischio la nostra sopravvivenza” sostiene la denuncia in cui la Micronesia ha chiesto una “Valutazione transnazionale degli impatti ambientali. Si prevedono class action davanti alla Corte internazionale di Giustizia ( poteri limitati) di queste isole-Stato contro i Grandi Inquinatori.
Majuro, l’atollo più grande delle Isole Marshall, ha perso 20% del suo territorio negli ultimi 15 anni e tra i suoi 67000 abitanti si registrano molti espatri negli Stati Uniti , con cui l’ex colonia ha un trattato di libero ingresso, soggiorno e lavoro. La Nuova Zelanda , da parte sua, ogni anno accoglie alcune decine di abitanti dell’isola di Kiribati . Popoli che rischiano di trasformarsi in migranti senza patria e diritti. Le convenzioni Onu non riconoscono la categoria dei “rifugiati ambientali” o “climatici” fra i destinatari di asilo o protezione umanitaria. Due giuristi australiani stanno promuovendo una Convenzione ad hoc , che impone l’obbligo di accoglienza ai Paesi dell’Onu.