No al carbone Alto Lazio

Visualizzazione post con etichetta morti bianche da carbone. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta morti bianche da carbone. Mostra tutti i post

13 gennaio 2014

ISPRA: Enel risarcisca 3,6 miliardi per inquinamento a Porto Tolle

Ecco il doc originale: http://www.slideshare.net/thomasmackinson/relazione-ispra
Riportiamo l'articolo da Ilfattoquotidiano

 "Un risarcimento da 3,6 miliardi per danno ambientale e sanitario. Questa la cifra che i periti dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) hanno quantificato, per la prima volta, rispetto all’impatto economico per lo Stato della centrale di Porto Tolle, in provincia di Rovigo: 2,6 miliardi di danni sanitari, essenzialmente per la mortalità in eccesso, più un miliardo per omessa ambientalizzazione. Centrale gestita da Enel, colosso energetico italiano e seconda utility quotata in Europa, a processo per disastro ambientale. A chiedere la perizia, firmata da Leonardo Arru su incarico dell’avvocatura di Stato, i ministeri di Ambiente e Salute, parte civile nel procedimento – denominato ‘Enel bis’ – insieme alle associazioni. Una notizia che non piace (quasi) a nessuno, tanto che a parlarne è solo la stampa locale. Non piace a Enel che a fine dicembre aveva esultato per una riduzione dell’indebitamento da 42 a 40 miliardi ora virtualmente gravato dal rischio di future, pesantissime, passività. Non piace al governo che tramite il Tesoro (31,2%) è il primo azionista di riferimento e carezzava da tempo l’idea di vendere quote per fare cassa. E ora si trova in mezzo a una surreale disputa tra ministeri in cui lo Stato fa causa a se stesso. Sarà poi pane per le agenzie di rating che da mesi incrociano un balletto di svalutazioni e rivalutazioni su titolo e prospettive della seconda società italiana per capitalizzazione di Borsa La perizia è di fine novembre 2013 ma è rimasta confinata nell’ambito del procedimento che si tiene al tribunale di Rovigo per disastro ambientale che è prossimo alla conclusione (la sentenza è prevista per marzo 2014). Eppure potrebbe – secondo il legale di parte civile Matteo Ceruti – diventare un precedente per una serie di situazioni pendenti ad altissimo impatto ambientale oggetto d’indagine o di processi di riconversione: dalla Tirreno Power (ex Enel oggi gruppo De Benedetti) di Vado Ligure (Savona), per la quale la locale procura indaga per gli stessi capi di imputazione, passando per le centrali di Brindisi (Enel), Monfalcone in provincia di Gorizia (A2a), Torre Valdaliga Nord a Civitavecchia (Enel). Non a caso associazioni ambientaliste che si sono costituite nel processo, come Greenpeace, ritengono la perizia un significativo passo avanti non solo per l’entità dell’importo risarcitorio richiesto ma perché mette in chiaro il principio per cui ‘chi inquina paga’. Il conto arriva sul Delta del Po per cause di ordine storico, industriale e perfino politico. La centrale costruita negli anni Ottanta a pieno regime emetteva più anidride solforosa (SO2 ) di qualunque altro impianto fisso in Italia. Ancora nel 2002 si stima sprigionasse da sola il 10% di tutte le emissioni di SO2 imputabili a qualsiasi altra fonte sul territorio nazionale. Per i reati ambientali connessi al funzionamento della centrale, la responsabilità dei direttori dell’impianto e degli amministratori delegati di Enel spa dell’epoca, Paolo Scaroni e Franco Tatò, è stata definitivamente accertata in Cassazione nel 2011 ma i reati erano ormai prescritti: restavano le conseguenze patrimoniali che la corte d’appello di Venezia sta quantificando. Ulteriori indagini e perizie hanno poi permesso di accertare il nesso causale tra le emissioni e le conseguenze di ordine ambientale e sanitario sulla popolazione, in particolare sui bambini. Così è partito il processo “Enel bis” che vede oggi imputati una decina di dirigenti Enel che si sono avvicendati tra il 1998 e il 2009. Secondo la procura di Rovigo, che procede per disastro doloso, avrebbero trascurato l’installazione di impianti che avrebbero consentito di tutelare la salute dei residenti e del territorio provocando un significativo aumento dei ricoveri ospedalieri per malattie respiratorie della popolazione infantile. A comparire davanti al collegio saranno anche l’attuale amministratore delegato Fulvio Conti e i suoi predecessori. E’ in questo procedimento che il ministero dell’Ambiente, parte civile insieme a quello della Salute, tramite l’avvocatura dello Stato distrettuale di Venezia, ha chiesto di valutare anche i danni economici per lo Stato. Danni per l’appunto quantificati in 3,6 miliardi. “Un anno di vita perso vale 40mila euro” - Gli enti locali a corto di soldi stanno uscendo dal processo penale in cambio di noccioline: 130mila euro a testa per cinque Comuni emiliani, più 500mila euro per il Parco regionale del Delta del Po. In tutto 1,1 milioni di euro. Di ancor meno si accontentano gli enti locali veneti (fuorché la Provincia di Rovigo e i Comune di Rosolina e Porto Tolle che sono rimasti come parti civili). Risarcimenti a fronte dei quali le parti si impegnano, tra l’altro, a rinunciare a eventuali pretese o azioni giudiziarie future connesse al funzionamento della centrale sino al 2009. E a questo punto tocca vedere se lo Stato, invece, venderà cara la pelle. “Una valutazione cautelativa”: come viene calcolato il danno Il tecnico che ha firmato la perizia ha portato in aula i calcoli fatti per il periodo 1998-2009, riguardo alla diffusione di biossido di Zolfo (SO2) sulla base delle emissioni dichiarate da Enel al registro internazionale delle emissioni. La stima monetaria è stata fatta utilizzando la metodologia elaborata dall’Agenzia europea per l’ambiente (Eea) e – avverte il perito – “con un orientamento cautelativo” (leggi nel box). Non quantifica, tra l’altro, taluni tipi di impatti come i danni all’ecosistema da acidificazione e deposito di ozono o quelli agli edifici e al patrimonio culturale. Ma si avvicina molto al danno presunto, anche perché alternativa non c’è visto che “non si può stabilire generalmente il danno ritenendolo linearmente proporzionale ai carichi di inquinamento”. Si può, invece, circoscrivere l’addendum di emissioni in eccesso che qualificano e quantificano il peggioramento del profilo emissivo, e moltiplicarlo per unità di costo-vita, laddove esistano indici di mortalità correlabili. Ebbene secondo il perito del ministero dal ’98 al 2009 ci sarebbero 2,6 miliardi di euro di danni connessi al rilascio di 418mila tonnellate di SO2 in eccesso rispetto a quelli rilasciati qualora la centrale avesse operato in un ipotetico regime a gas metano, come imponeva di fare la legge regionale veneta del 1997 istitutiva del Parco del Delta del Po. Ciascuna tonnellata viene moltiplicata per diversi coefficienti individuati in sede europea. La difesa di Enel: “Cifra abnorme e analisi infondata” – Enel, dalla sua, ha già contestato queste cifre come “abnormi”, ritenendo del tutto “infondata” l’analisi dell’Ispra. In particolare, secondo la difesa del colosso energetico, il consulente ha preso a riferimento unicamente le emissioni della centrale senza dare alcuna importanza ai rilevamenti delle cadute a terra di altri inquinanti. Inoltre, secondo i legali Enel, ha considerato come emissioni in eccesso tutte quelle superiori a quelle previste dal decreto ministeriale del 1990 che prevedeva, invece, specifiche deroghe normative per Porto Tolle che la centrale ha rispettato. Ma chi le ha messe quelle deroghe? La politica che sulla vicenda non ha mai mollato la presa. Non solo facendo generose concessioni normative sui limiti di emissioni, ma arrivando a tentare di condizionare l’attività di indagine della procura. Deroga e dilazioni: 20 anni di politica sotto il traliccio La politica e le emissioni, la politica e il colosso nazionale dell’energia. Un rapporto sempre stretto che si fa strettissimo quando serve. La centrale di Porto Tolle doveva essere “ambientalizzata”, cioè ricondotta a tetti di emissione imposti dall’Europa e vigenti per il resto del Paese, fin dal 1990. E invece fino a oggi ha mantenuto impianti di combustione a olio con tecnologia da anni Sessanta. Come è stato possibile? Con l’aiuto della politica che ha sempre trovato, a livello centrale e locale, le giuste deroghe e scappatoie per evitare a Enel un intervento di adeguamento oneroso. Il primo processo penale, quello che ha visto riconoscere la responsabilità degli amministratori dell’epoca per i reati ambientali, ha accertato poi che nonostante le deroghe per l’ambientalizzazione Porto Tolle è stata tenuta scientemente per ultima con ulteriore danno per l’ambiente. Da qui le condanne. Avanti dieci anni, si parla di riconversione ma non a metano, bensì a carbone. Costerebbe a Enel 2,7 miliardi ma il punto è che non porterebbe mirabili riduzioni degli inquinanti, anzi. Il progetto tiene banco per anni con le associazioni ambientaliste, operatori turistici e pescatori che si mettono di traverso e riescono, nel 2011, a far annullare dal Consiglio di Stato il decreto di Valutazione di impatto ambientale (Via). I giudici accolgono i rilievi sollevati e riconoscono che non è stata fatta una valutazione alternativa rispetto all’ipotesi del carbone. In particolare sul gas metano, visto che a 10 km dalla centrale c’è il più grande terminale gasifero offshore al mondo (il rigassificatore di Porto Viro, di proprietà dell’emiro del Quatar), realizzato proprio nella prospettiva di alimentare la centrale di Polesine Camerini. Ma i due impianti non saranno mai collegati perché il metano costa più del carbone. Poi il colpo di scena: nell’estate del 2011 prima il parlamento e poi Regione Veneto modificano le leggi, statali e regionali, rendendo non più necessarie valutazioni alternative. Una coincidenza temporale? Forse. Fatto sta che così facendo si consente di porre nel nulla la sentenza del Consiglio di Stato e di agevolare la nuova Via per il progetto a carbone, attualmente in corso presso il Ministero dell’ambiente. Parallelamente la politica trova modo di mettere lo zampino direttamente sulle inchieste. Gli interventi a gamba tesa sui magistrati che indagano Luciano Violante (Pd) Se la politica tenta a frenare i magistrati della Procura di Rovigo. “Diciamo che è un dato di fatto che tutti quelli che hanno la lavorato a questa vicenda hanno avuto qualche problema”, ricorda l’avvocato di parte civile Ceruti. Il riferimento, neanche troppo velato. Il riferimento, neanche troppo velato, è all’avvocato dello Stato Giampaolo Schiesaro, fatto oggetto di pressanti consigli, da parte di un agente dei servizi caduto in disgrazia, di “allentare la presa” sul processo Enel. Ma anche alla richiesta di azione disciplinare nei confronti del pm Manuela Fasolato avanzata dal Pd Luciano Violante e dal ministro Pdl Angelino Alfano. Il filo delle future larghe intese, improvvisamente, si stringeva intorno al collo di chi rischiava di intaccare interessi che non vanno toccati. La storia è nota. E’ il 2010 e il pm sta lavorando a diversi filoni d’inchiesta sulla centrale ipotizzando legami tra le emissioni e l’aumento dell’incidenza di malattie nei territori circostanti l’impianto. Sulla centrale pende l’iter della Valutazione d’impatto ambientale per il progetto di riconversione che vale, sulla carta, 4mila posti di lavoro e 2 miliardi e mezzo di investimento. Il pm comunica però agli enti interessati, ministero dell’Ambiente e Commissione di Via, le risultanze di alcune perizie che mettono i dubbio la veridicità dei dati del progetto depositato da Enel: un via libera senza una loro verifica avrebbe potuto aggravare il quadro dei reati e comportare ulteriori conseguenze per ambiente e popolazione. Apriti cielo. A Cortina Incontra, il 5 gennaio 2010, Violante nella inedita veste di presidente della associazione Italia decide, si espone in prima persona chiedendo un’ispezione. Sarebbero solo parole in libertà, se non fosse per un dettaglio: Enel è tra i soci fondatori di Italia decide. Ma la coincidenza non impedisce al ministro Alfano di prendere in esame le doglianze di Violante e di inviare a Rovigo il capo degli ispettori Arcibaldo Miller (poi coinvolto nell’indagine della cosiddetta P3) con contestazioni varie e fantasiose (come quella di aver lavorato, su autorizzazione dei superiori, al processo Enel mentre era impegnata come commissario nel concorso per gli esami nazionali in magistratura). Fasolato, nel frattempo trasferita alla Procura generale presso la Corte d’Appello di Brescia, ha chiesto ed ottenuto dal CSM di essere applicata a questo processo davanti al Tribunale di Rovigo, ed ancor oggi è ancora lì che non molla. E la centrale dei veleni pure.

Leggi tutto il post...

1 marzo 2013

Giovani minatori di carbone

Fonte originale: NYT
È il New York Times a compiere il viaggio dell’orrore nelle miniere di carbone di Khliehriat, nello stato del Meghalaya, nella parte più orientale del paese: una distesa isolata e schiacciata tra Cina, Bhutan, Bangladesh e Myanmar, dove gli abitanti sono culturalmente ed etnicamente più vicini alla Cina che all’India. Il sottosuolo è ricco e le persone che vivono a Khliehriat sono così povere che, per sopravvivere, affrontano ogni giorno la discesa nelle viscere della terra. Come Suresh Thapa, che ha soltanto 17 anni ma che lavora nelle miniere “da quando era un bambino”. Lui e la sua famiglia vivono in una casupola vicino alle miniere. Non hanno né acqua corrente né riscaldamento. Presto i quattro fratellini di Suresh seguiranno lo stesso destino. Continua qui

Leggi tutto il post...

8 aprile 2012

Coal Rush

Da Repubblica l'intervista ai registi Lorena Luciano e Filippo Piscopo, autori del lungometraggio "Coal Rush", di cui segue il trailer
"Un film sull'America remota e poco setacciata dai media, una storia di monopolio dell'industria carbonifera nel cuore degli Appalachi, dove gli uomini e i luoghi diventano immensi come le montagne che li circondano". Per raccontare il loro documentario, Coal Rush, i registi Lorena Luciano e Filippo Piscopo partono dalla Green America, la terra del "progresso verde" contaminata dalla speculazione e dal malaffare delle grandi corporation, come la compagnia Massey Energy, accusata di aver inquinato le acque della Virginia Occidentale.

Tutto è cominciato da una notizia al telegiornale: tredici minatori rimasti intrappolati in una miniera della West Virginia, a Sago. E' il primo gennaio 2006. Lorena si trova in Italia a trascorrere le feste natalizie; suo padre è all'ultimo stadio di una malattia che non lascia scampo (la SLA, sclerosi laterale amiotrofica). "In un momento di stasi, mi sono collegata ad Internet per approfondire la notizia dei minatori e ho recuperato una serie di articoli pubblicati dalla stampa americana", spiega Lorena, affascinata dai rituali e dalla fede delle famiglie: in quelle occasioni, c'è chi si raccoglie in superficie, fuori dalla miniera, chi prepara dei tavoli, i compagni di lavoro e le mogli portano dei viveri e delle candele. Si prega, aspettando di conoscere la sorte dei minatori sottoterra. "Inevitabilmente, il parallelo con la malattia di mio padre è molto forte, anche lui intrappolato nel suo corpo, aspettando che finisca l'ossigeno". 
Appena tornati a New York, i due filmmaker cominciano a fare ricerca sulle miniere negli Stati Uniti. Prendono atto che gli USA dispongono dei più grossi giacimenti di carbone al mondo (secondo posto Russia, terzo Cina) e che quasi il 50% dell'energia americana dipende dal carbone. Adesso la percentuale si è abbassata al 42%, grazie anche alla nuova amministrazione Obama che incentiva le energie rinnovabili. "Una volta arrivati in West Virginia, abbiamo capito subito che il film che avremmo girato doveva raccontare lo stridere di questi luoghi incantati, in contrasto con la barbarie perpetrata dall'industria carbonifera". Il viaggio nei meandri del capitalismo sfocia nel crudo, e poco garantito, diritto alla salute.

Ma "Coal Rush", che il 29 marzo sarà proiettato in anteprima al Landmark Midtown Art Cinema di Atlanta, è anche un ritratto dei vizi di certe corazzate Lorena Luciano: "La realizzazione di questo film ci ha permesso di avvicinarci ad una realtà sociale di cui spesso nemmeno il cittadino medio americano è a conoscenza. Più che di diritto alla salute qui si tratta di un diritto umano fondamentale, quello all'acqua potabile, negato a un'intera comunità per decenni. Questa tragedia ambientale e umana poteva essere evitata con l'assunzione delle debite misure di smaltimento dei rifiuti tossici da parte di una compagnia che invece ha messo i profitti davanti a tutto. In America, come in Italia, le grandi compagnie rappresentano un grosso introito per le casse dello stato, che spesso chiude un occhio sui costi ambientali della grande industria. Inutile citare la diossina a Marghera o l'amianto di Casale Monferrato".


Il cinema si trasforma per raccontare la realtà: la vostra esperienza con il cine-documentario indipendente da dove ha origine e cosa vi ha portato ad attraversare? Filippo Piscopo: "All'origine della nostra carriera c'è un documentario su Dario Fo (Venezia, 1998) su cui avevamo cominciato a lavorare prima del Nobel, e poi l'avventura americana con "Urbanscapes", che racconta la trasformazione feroce delle citta americane. Il cinema indipendente è una grande opportunità per scoprire e approfondire delle storie spesso solo sfiorate dai grandi media. Il documentarista diventa un esploratore, un antropologo, una lente di ingrandimento su territori geografici e umani".

Perché, tra le tante storie a sfondo ambientalista, avete scelto questa? Qual è la sua particolarità?
Lorena Luciano: "Abbiamo impiegato circa due anni per trovare la storia giusta. Siamo andati in West Virginia a più riprese, ammaliati sia dalla bellezza dei luoghi che dalla cattività rurale. Cercavamo una storia fatta di tanti piccoli eroi che potessero raccontare la complessità dell'America in modo corale. Tutti i personaggi di "Coal Rush" sono piccoli eroi del quotidiano: il pastore Larry Brown che manda avanti la sua chiesa da solo, Donetta che è sopravvissuta a mille malattie causate dall'acqua contaminata e non si stanca di dare sostegno ad altre persone, l'avvocato Kevin Thompson e tutta la sua squadra che si è battuta contro la compagnia carbonifera, ma anche i minatori che vanno in miniera tutti i giorni e sono fieri di avere un lavoro e mantenere le loro famiglie in modo dignitoso. Seppur "Coal Rush" è a suo modo una storia estrema, la sento molto più vicina alla vita reale di un generico reality show".

Quanto è costato il progetto e chi lo ha sostenuto? Filippo: "Il budget complessivo del film è di 200.000 dollari. Non è stato facile raccogliere i fondi perché i cosiddetti documentari di denuncia non fanno grande mercato e quindi non sono facili da sovvenzionare. Co-finanziatori del progetto sono stati, tra gli altri, il New York State Council for the Arts, l'ente pubblico newyorchese che per eccellenza si occupa di finanziare le arti, e la Ben Jerry Foundation, esempio di società illuminata che reinveste parte dei suoi profitti a sfondo filantropico e in particolare su progetti a salvaguardia delle risorse idriche nazionali".

Che cosa vorreste lasciare, con 'Coal Rush', agli europei, e in particolare agli italiani?
Lorena: "L'immagine di un'America più fragile e umana di quello che si pensi".

Lo stile di "Coal Rush" ha modelli ispiratori? Filippo: "Vittorio De Seta è stato senz'altro un maestro, oltre che un caro amico a cui eravamo molto affezionati. Quando gli abbiamo parlato di "Coal Rush", ne era molto entusiasta, ci ha incoraggiato a perseverare nonostante le difficoltà a trovare i finanziamenti. Ci aveva addirittura suggerito di contattare Brad Pitt per coinvolgerlo nella promozione. I suoi film, da "Banditi a Orgosolo" a "Diario di un Maestro", sino ai cortometraggi sui minatori e pescatori, sono dei modelli ineguagliabili di cinéma vérité. Sul fronte americano, Barbara Kopple è un riferimento importante per la sua capacità di penetrare in modo intimo la realtà dei suoi personaggi: "Harlan County USA" rimane uno dei suoi film più belli. Per non parlare di Werner Herzog e della sua affascinante commistione tra documentario e fiction".

La vicenda avrà un nuovo inizio con "Coal Rush"? Filippo: "Dal punto di vista legale, no, perché le parti hanno raggiunto un accordo extra-giudiziale, quindi il caso é chiuso. Dal punto di vista umano, questo film ha un grande significato emotivo per i nostri personaggi che hanno lottato sette anni contro un gigante dell’energia. Ci vuole forza, audacia e una grande perseveranza per non farsi intimorire, e questo film è la testimonianza del loro coraggio".

Leggi tutto il post...

25 marzo 2012

"Uomo carbone", 200Kg di combustibile per una vita

Una rappresentazione teatrale per non dimenticare

Fonte
"Dal 1946 al 1956 il numero dei lavoratori, provenienti dall'Italia, morti nelle miniere belghe e in altri incidenti sul lavoro è di oltre seicento. A causa di un errore umano, l'8 agosto 1956 il Belgio venne scosso da una tragedia senza precedenti; un incendio, scoppiato in uno dei pozzi della miniera di carbon fossile del Bois du Cazier, causò la morte di 262 persone di dodici diverse nazionalità; fu una tragedia agghiacciante; i minatori rimasero senza via di scampo, soffocati dalle esalazioni di gas.
Le operazioni di salvataggio furono disperate fino al 23 agosto quando uno dei soccorritori pronunciò in italiano: "Tutti cadaveri!"
Fra i 136 italiani vi erano 61 minatori abruzzesi, provenienti in gran parte da Manoppello, San Valentino, Lettomanoppello e altri piccoli centri limitrofi.
La tragedia di Marcinelle, il peggiore disastro mai accaduto nelle miniere belghe, fu considerata anche il frutto di un accordo, detto “Uomo carbone”, con cui l’Italia si era impegnata nel 1946 a spingere in Belgio mille minatori a settimana ricevendo in cambio 200 chili di carbone al giorno per ogni emigrato.
Italiani che, secondo lo stesso accordo, dovevano avere un’età ancor giovane (35 anni al massimo) e un buono stato di salute; per loro, un contratto di 12 mesi.
La storia di questa tragedia sarà rievocata in una rappresentazione teatrale, organizzata dall'aquilano Federico Fiorenza e rientrante nell’ambito di interesse delle attività della Comunità Europea, domenica 18 marzo, alle ore 18.30, presso la Casa del Teatro, in P.zza Arti di Via Ficara a L'Aquila.
Dopo quasi due anni di repliche, promosse con entusiasmo da pubblico e critica e ad un anno e mezzo di distanza dal debutto pescarese, la produzione di maggior successo del Teatro Sociale di Pescara, approda nel Capoluogo abruzzese.
Durante tale percorso, sceneggiatura, personaggi ed intenzioni recitative sono stati notevolmente sviluppati, acquisendo una maturazione artistica ed una solidità che fanno di quest'ultima versione della pièce quasi il riadattamento di se stessa.
La versatilità, la dinamicità e la forte carica emozionale, sono stati certamente tra i massimi fattori di riuscita di questo spettacolo.

Leggi tutto il post...

24 marzo 2012

5 vittime, 17 intrappolati nella miniera

Fonte: AGI China
"Individuati dai soccorritori i 17 minatori rimasti intrappolati. L'incidente e' avvenuto giovedi', quando un'esplosione di gas ha colpito la miniera di carbone Dahuang No. 2, a Liaoyang, nella provincia del Liaoning: dei 23 operai al lavoro al momento dell'accaduto, uno e' riuscito a fuggire, cinque almeno i morti. I soccorritori ritengono che i 17 minatori intrappolati si siano radunati in una piattaforma di lavoro posta a 169 metri di profondita'.
I corpi delle cinque delle vittime sono stati recuperati dal condotto venerdi', ha affermato Liang Yongli, portavoce del quartier generale locale per i soccorsi. La polizia e' alla ricerca del proprietario della miniera, fuggito dopo l'esplosione; le autorita' locali per la sicurezza hanno affermato che i lavori nella miniera avrebbero dovuto essere sospesi in attesa di un controllo di sicurezza, ma il proprietario li aveva illegalmente fatti riprendere."

Leggi tutto il post...

27 dicembre 2011

Afghanistan, 11 uomini schiacciati nella miniera di carbone

Mentre sono nove le vittime confermate nella miniera di carbone cinese di Sandu


"Almeno undici persone sono morte oggi per il crollo di una galleria di una miniera di carbone nella provincia settentrionale afghana di Baghlan. Lo ha appreso l'ANSA da fonti ufficiali. L'incidente e' avvenuto nel distretto di Nahrin il cui governatore, Fazal Rahman Rahmani, ha detto all'ANSA che "almeno quattro dei cadaveri non sono ancora stati recuperati dai soccorritori". Il responsabile ha quindi commentato che "non e' la prima volta che minatori muoiono nei pozzi della provincia di Baghlan" perche' "un episodio simile e' gia' avvenuto alcuni mesi fa". La ragione principale di questi incidenti, ha concluso, "e' la precarieta' del lavoro nelle miniere e l'assenza di misure di sicurezza in gallerie scavate in modo rudimentale".
Fonte: ANSA

Leggi tutto il post...

9 dicembre 2011

Commemorazione delle vittime di Monongah

Nello scorso 5/12 si è celebrato il ricordo delle centinaia di vittime tra i minatori di Monongah (USA)
Fonte
"L’Aquila, 05/12/2011 - Lo Stato del West Virginia e gli Italiani Americani ricordano la tragedia di Monongah, la nostra Marcinelle del 6 dicembre 1907. A Monongah, cittadina del West Virginia, nel cuore minerario degli Stati Uniti, si consumò un disastro che ufficialmente costò la vita a 361 minatori, dei quali 171 italiani. Stima per difetto perché i morti furono più di 900, di cui 500 italiani perché neanche un terzo dei minatori era registrato.
Fra le vittime decine di molisani ed abruzzesi emigrati in cerca di fortuna in America: alcuni di loro erano appena dei ragazzini. Alle vittime ufficiali sono da aggiungere bambini, amici e aiutanti che ogni minatore “regolarmente assunto” portava con sé senza l’obbligo di comunicarlo al datore di lavoro. Lo Stato del West Virginia ricorda Monongah con il Memoriale, il Monumento Heroine e l’Epigrafe ufficiali. Onoriamo l’emigrazione sepolta nel 104° anniversario. Vittime dimenticate per quasi un secolo a “Muh-nahn-guh” che nella lingua dei Nativi Americani “Seneca” significa “fiume dalle acque ondulate”.
(di Nicola Facciolini)

“Nel tempo dell’inganno universale dire la verità è un atto rivoluzionario”(George Orwell). Le pagine della Storia ci conducono a Monongah, cittadina del West Virginia, nel cuore minerario degli Stati Uniti, dove il 6 dicembre 1907 si consumò una tragedia che costò la vita a 361 minatori, dei quali 171 italiani. Quattro minatori riuscirono a mettersi in salvo ma poi morirono per le ferite. Stima per difetto perché i morti furono più di 900, di cui 500 italiani perché neanche un terzo dei minatori era registrato. Fra le vittime decine di molisani ed abruzzesi emigrati in cerca di fortuna in America: alcuni di loro erano appena dei ragazzini. Alle vittime ufficiali sono da aggiungere bambini, amici e aiutanti che ogni minatore «regolarmente assunto» portava con sé, senza l’obbligo di comunicarlo al datore di lavoro. Onoriamo l’emigrazione sepolta e la memoria degli italiani di Monongah, martiri del lavoro e della speranza in un mondo migliore. Il 6 dicembre 2011 ricorre il 104° anniversario del maggiore disastro minerario americano, il più grave in assoluto nella storia estrattiva, ricordato con il nome della località USA in cui esplosero contemporaneamente due pozzi carboniferi. Lo Stato del West Virginia ricorda Monongah con il Memoriale, il Monumento Heroine e l’Epigrafe ufficiali. Monongah era un centro minerario con circa 3mila abitanti e una numerosa colonia italiana. Il 5 dicembre 1907 le miniere n. 6 e n. 8 erano rimaste chiuse per via della festa “congiunta” (oggi diremmo, “ponte”) di San Nicola e Santa Barbara. La Fairmont Coal Company, sussidiaria della Consolidation Coal Company, per risparmiare non mantenne in funzione il sistema di aerazione. L’esplosione delle ore 10:30 del mattino fu violentissima ed avvertita a chilometri di distanza. Il 19 dicembre 1907 un’altra deflagrazione porterà morte e lutto a Darr, in Pennsylvania. Anche qui numerose le vittime italiane tra le circa 400 che si contarono. L’elenco delle tragedie minerarie americane di quel periodo, simile a un martirologio, è una lista atroce e infinita. Ricordiamo i 22 morti di Bluefield (4 gennaio 1906); i 18 morti di Detroit (18 gennaio 1906); i 22 della miniera Parral (8 febbraio 1906); i 28 di Fayetteville (25 marzo 1906); i 28 di Pocahontas (3 ottobre 1906); i 12 di Buckhannon (20.1.1907); gli 80 della miniera Sewart di Fayetteville (29.1.1907). E, per l’Europa, il migliaio di Courrières (Francia settentrionale) del marzo 1906. Secondo fonti attendibili, circa mille persone persero la vita nella sciagura di Monongah. Alle vittime ufficiali sono da aggiungere bambini, amici e aiutanti che ogni minatore “regolarmente assunto” portava con sé, senza l’obbligo di comunicarlo al datore di lavoro. Per via del cottimo e per un maggiore guadagno. In seguito si sarebbero divisi il salario. “Buddy system”, lo chiamavano, il “sistema dell’amico o del compare”! La tragedia di Monongah per l’emigrazione italiana fu più grave di quella, ben più nota, di Marcinelle in Belgio avvenuta l’8 agosto 1956, in cui le vittime furono 262, delle quali 136 italiane. I morti in quell’orribile deflagrazione negli Usa sarebbero stati, infatti, secondo i resoconti giornalistici dell’epoca e le molteplici testimonianze che si sono avute, sicuramente oltre 900. Che cosa accadde a Monongah? Nel giorno di Babbo Natale (Santa Claus), il 6 dicembre 1907, fervono le speranze di un futuro migliore. Ma sta per consumarsi una delle più gravi tragedie della storia americana. Alle 10: 30 del mattino una violenta esplosione fa crollare le vene n. 6 e n. 8 della miniera più importante della contea. Un vero e proprio terremoto scuote la terra per oltre 13 chilometri, spazzando via case e strade, persone e animali. Sradica addirittura le rotaie della locale stazione ferroviaria. Laggiù, nelle viscere della Terra, 478 minatori uomini e ragazzi, con il viso annerito dal carbone e gli abiti dismessi, sono investiti in pieno dalla detonazione. Un misto di polvere di carbone e gas metano trasforma in pochi secondi i due tunnel in una camera ardente. Muoiono in 361. Sono americani (85), polacchi e russi (103), ma sono sopratutto italiani. Centosettantuno. Una cifra spaventosa che potrebbe addirittura salire fino a 500 italiani morti. Una corrispondenza da Washington del 9 marzo del 1908 (cioè dopo il completamento delle inchieste sulla tragedia) sostiene che “il bilancio dello scoppio della miniera di Monongah avrebbe raggiunto un totale di 956 vittime, la maggioranza delle quali era italiana...”. Nella miniera Bois de Crazier , a Marcinelle morirono in 262, l’8 agosto del 1956. Monongah con i suoi morti rappresenta oggi l’icona del sacrificio dei nostri lavoratori costretti ad emigrare per poter sopravvivere. Il merito di aver riportato alla luce questa triste pagina di storia italiana è del giornale “La Gente d’Italia”. Come documentarsi? Con il volume “Monongah!” di Luigi Rossi, basato su diversi elementi archivistici tratti da carte e appunti di don Giuseppe d’Andrea, sacerdote scalabriniano (originario con il fratello di San Rocco di Premia) che all’epoca seguì la colonia italiana di Monongah. L’opera gode dei patrocini della Regione Piemonte, della Provincia di Verbania e del Comune di Premia (con introduzioni del Presidente della provincia del Verbano - Cusio - Ossola e del Sindaco di Premia). È un libro singolare “Monongah!”. Un volume che segue il cammino della speranza di alcune centinaia di emigranti dell’Italia centrale e meridionale, capitati sui monti Appalachi, regione ricca d’antracite e morte. La Monongah dei pozzi carboniferi, ogni 6 dicembre, rivive la memoria dei suoi segni caratteristici: titoli rosso sangue, nomi che hanno in sé qualcosa di magico e maledetto, seguito da punti esclamativi dello stesso colore. Sullo sfondo un mosaico di volti, gli occhi spalancati sulle occhiaie scure d’una miniera carbonifera esplosa, rozze bare, un cielo grigio, piccoli minatori che sembrano spettri e chiedono di ricordarli. Volti e occhi di “gnomi” italiani del primo Novecento che si calavano nelle viscere del West Virginia e della Pennsylvania. In Illinois, Alabama, Colorado e Wyoming, Utah, Ohio e Kentucky. “Monongah!” è una testimonianza storica che segue il cammino della speranza di alcune centinaia di emigranti dell’Italia centrale e meridionale, capitati sui monti Appalachi, terra ricca d’antracite e morte. Opera nata e sviluppatasi a partire dal 2003, prima come racconto pubblicato nel 2005, poi completata da elementi archivistici e storici che ne fanno uno dei ritratti più veri e toccanti dell’Altra Italia, quella che, superato l’Atlantico, si lasciò dietro per sempre una Patria matrigna figlia di tanta retorica, di tanti furti, di tante ingiustizie perpetrate ai danni del Sud. Pochi sanno che quest’opera è nata dall’esemplare servizio del quotidiano “Gente d’Italia” di Miami che, nel 2003, denunciò la dismemoria di una delle maggiori tragedie della storia dell’emigrazione italiana.

Con le 361 vittime ufficiali, secondo il Monongah Mines Relief Committee, di nazionalità americana, tra le quali molte di colore, polacca, turca, slava o russa, ungherese, irlandese, lituana, scozzese, si scoprono 171 italiani provenienti da: Molise, Puglia, Calabria, Abruzzo, Basilicata, Campania, Veneto. E un piemontese, originario di San Rocco di Premia: Vittore d’Andrea. I corpi ricuperati riposano sulla collinetta del “Calvario”. Vittime dimenticate per quasi un secolo a “Muh-nahn-guh” che nella lingua dei Nativi Americani “Seneca” significa “fiume dalle acque ondulate”. Degli attimi che seguirono quella tragedia restano moltissime fotografie, in bianconero o in un tenero originale “seppia”, scattate da fotografi che immediatamente le trasformarono in cartoline molto richieste. Così famose da invadere l’America del disinganno. “Monongah!” segue la colonia di minatori italiani passo passo. Sull’Oceano, nelle gallerie e “al giorno”, grazie a diversi documenti rintracciati dall’autore nel Center for Migration Studies di New York e riferibili alla mano ed alla penna di don Giuseppe d’Andrea, il sacerdote scalabriniano che operò nel centro minerario appalachiano per una decina d’anni, fratello di Vittore d’Andrea. Il sindaco del comune di Premia, Elio Martinetti, scrive nella presentazione del volume:“Il centenario del dramma di Monongah ci offre il modo di ricordare questi nostri due concittadini, insieme alla comunità italiana e alle sue vittime. Senza dimenticare tutti coloro che, sul finire del 1800 e nei primi decenni del 1900, abbandonarono la Valle Antigorio per i Paesi transoceanici. Abbiamo scelto di ricordarli con un’opera di narrativa, basata su elementi storici, corredata da diverso materiale fotografico. Pagine che coinvolgeranno, non solo emotivamente, chi si avvicina a Monongah ricordando idealmente tanti nostri concittadini emigrati Oltreoceano”.

Luigi Rossi, grazie al genere “narrative”, permette al Lettore di “vivere” a Monongah, di partecipare a momenti dedicati alla religione e all’organizzazione sindacale, all’apprendimento della lingua americana o alla nascita della banda musicale “Giuseppe Verdi”. Perché su Monongah si sparsero musica e suoni prodotti da una banda musicale “tutta italiana”. Ai dolori e gioie di questa comunità, come alle speranze e illusioni. Tra le pagine si rinvengono personaggi come Carlo (Tresca), Arturo (Giovannitti), Joe (Hill) o Mother Jones. O rimandi a quegli italo-americani che credevano nei movimenti sindacali, nell’unione e nella riscossa sociale. Accenni a un’Italia che prende finalmente coscienza di sé al di là dell’Oceano. Incontri, giornali, scioperi. Come quello di Lawrence (1912) o a Ludlow (1914), dove i miliziani spararono sugli scioperanti, uccidendo anche donne e bambini. Un movimento che ci donerà figure come Sacco e Vanzetti. Che sono le “radici” dell’America dei diritti e dell’uguaglianza, del pacifismo e della libertà. La nascita e lo sviluppo dell’associazionismo, la crescita del sindacalismo, le lotte politiche a difesa dei propri diritti e che abbracciano l’orario di lavoro, l’igiene, il vitto, il pacifismo e l’opposizione a quel capitalismo che si sta avviando alla catastrofe della Prima Guerra Mondiale. Nell’epilogo di “Monongah!” il giovane narratore, originario di San Giovanni in Fiore, rimanda a chi colse la tragedia dell’emigrazione come un momento di riscatto e rinascita. Dove la “nuova lingua” è la chiave per una “nuova vita” in un “Nuovo Mondo”. “I am an American”, dice. È soprattutto il dolore a crescerti come cittadino. Proprio come accadde a Pascal d’Angelo. “Monongah!” si può considerare il completamento di una trilogia che vede l’emigrazione dal Piemonte orientale riversarsi in Europa e nelle Americhe. In questo lavoro l’emigrazione proveniente dall’Italia settentrionale si amalgama Oltreoceano con quella dell’Italia meridionale, quasi a formare – al di fuori dei confini nazionali – un’altra Nazione Unita che avrebbe fatto grande l’America nel mondo. Tra il 1901 e il 1915, ben 27 milioni di italiani emigrarono e 3 milioni e mezzo si diressero verso l’America del Nord, provenienti non solo dalle regioni dell’Italia meridionale e centrale, ma anche dal Piemonte, Lombardia, Veneto e Friuli. Una Italia disperata e “stracciona” che, per quasi un secolo, mantenne in vita con le sue “rimesse” la dissestata economia del Paese d’origine. La trilogia dell’autore d’origine veneta, ricorda la ricchezza storica, umana e culturale dell’Altra Italia. Una ricchezza che si dipana lungo i secoli e i millenni, dimenticata in Patria e raramente ripresa e riproposta.

Un’Altra Italia ancora mancante di un archivio centrale, di un museo nazionale, magari di un corso universitario che la ricolleghi alla storia del Paese d’origine. Di iniziative dedicate a un fenomeno sociologico, culturale ed economico cui i libri di storia dedicano una o due paginette. Luigi Rossi ricorda che “Le vittime di Monongah appartengono alla generazione dei dago, guinea, wop, chianti che generò, allattò e crebbe personaggi come Pietro Di Donato, Pascal D’Angelo e John Fante. E chi, con un cognome italico simile a un marchio, si troverà a vivere e operare in letteratura, cinema, teatro, imprenditoria, politica, altiforni, tratte ferroviarie, cantieri edili. Vivendo con dignità e orgoglio in quel Nuovo Mondo che sostituiva per sempre una Patria matrigna”. Della nostra epopea di emigranti non sappiamo molto. Dei successi e dei drammi che l’hanno costellata sappiamo poco e quel poco è spesso affogato nella retorica patriottarda del bravo italiano che sgobba e si fa voler bene da tutti. Non sempre – anzi quasi mai – è stato così. La storia dell’emigrazione italiana è piuttosto intrisa di dolore. Monongah è un dramma seguito qualche anno dopo, nel 1914, dal massacro di Ludlow in Colorado... Due tragedie, ma ne potremmo citare altre cento. Ricordare, confrontarci con la nostra grande Storia Italiana, di un popolo costretto a cercare fortuna all’estero, è utile per guardarci con un occhio diverso e vincere la crisi che oggi ci attanaglia. Per guardare con un pizzico di compassione in più la sofferenza di chi oggi bussa ai nostri confini per cercare un avvenire migliore. Che la lettura di questo libro sia il primo passo nell’approfondimento del fenomeno della migrazione: è l’augurio che facciamo a tutti coloro che si apprestano a leggere queste pagine, che rendono onore a quei nostri nonni dimenticati in terra americana, in quei profondi pozzi oscuri e nel fondo della nostra memoria collettiva.

Leggi tutto il post...

16 novembre 2011

Sizhuang, sono 35 i morti in miniera

Aggiornamento, da AGI-Cina

"Il corpo di un altro minatore e' stato recuperato in mattinata dal condotto della miniera di carbone Sizhuang, nel distretto di Shizong, nelle vicinanze della citta' di Qujing, provincia dello Yunnan. Sale cosi' a 35 il conto dei morti, dopo la fuga di gas avvenuta giovedi', con uno scoppio che ha intrappolato 43 minatori, mentre proseguono le operazioni per cercare di recuperare gli otto lavoratori mancanti all'appello. La miniera operava in maniera illegale, dato che la licenza era stata revocata un anno fa, come ha reso noto l'Ufficio provinciale di supervisione della sicurezza delle miniere di carbone. L'ufficio aveva ordinato lo stop alla produzione ad aprile. Il vice procuratore generale di Qujing, Wu Hongze, fa intanto sapere che secondo le prime indagini quattro funzionari addetti alla sicurezza della miniera sarebbero responsabili di inadempienza dei propri doveri; i quattro sono in stato di fermo, mentre proseguono le indagini."

Leggi tutto il post...

12 novembre 2011

Solita carneficina nelle miniere di carbone cinesi

A poche ore dalla tragedia precedente, ci giunge la notizia di una nuova. Il teatro è il solito: le miniere di carbone cinesi.

"Venti minatori sono morti e altri 23 sono ancora intrappolati sottoterra dopo un'improvvisa fuga di gas nella miniera di carbone nella quale stavano lavorando nella provincia dello Yunnan, nella Cina del sudovest. L'agenzia Nuova Cina, citando le autorità locali, afferma che 30 pompieri, 100 «soccorritori professionali» e 300 tra medici e infermieri sono impegnati nel tentativo di raggiungere i sopravvissuti.
In base alle prime indagini l'incidente si è prodotto alle 6.30 locali della mattina (le 23,30 di martedì in Italia), quando una fuga di gas si è prodotta in una galleria. Il gas avrebbe poi raggiunto una galleria vicina, intrappolando un totale di 43 minatori..."

Leggi tutto il post...

8 novembre 2011

Otto nuove vittime nelle miniere cinesi

Fonte
"Il 3 novembre in Cina si è verificata un'esplosione di rocce in una miniera di carbone a Quianqiu, nella provincia di Henan. L'esplosione è avvenuta dopo circa 30 minuti da una scossa di terremoto di magnitudo 2,9.
Non è chiaro se il sisma abbia effettivamente provocato l'esplosione ma, stando a quanto comunicato dall'agenzia di stampa cinese Xinhua, pare molto probabile che la scossa abbia causato una frana all'interno della cava. Inoltre essendo la miniera a 500 metri di profondità si pensa che il sisma sia stato avvertito in maniera più intensa che a terra.

Erano 75 i minatori che lavoravano nella cava al momento dell'esplosione, 14 sono riusciti a mettersi in salvo nell'immediato e si è avuta subito la notizia di 4 persone decedute nello scoppio. Delle 57 persone rimaste intrappolate nella miniera ne sono state salvate 8 dai soccorritori nella giornata di venerdì, i quali hanno anche recuperato altre 4 vittime, portandone il bilancio a otto. Le restanti 45 persone sono rimaste intrappolate dietro uno dei pozzi della cava, sul quale pare essere crollata la frana, per 40 ore. Sono stati tratti in salvo la mattina di Sabato, che con la differenza di fuso orario per noi ha coinciso con ieri sera."

Leggi tutto il post...

Quanti schiavi lavorano per alimentare il business del carbone?

Interessante lettura da Blogeko (vedi anche: SLAVERY FOOTPRINT)
"Negli ultimi giorni un giochetto di autocoscienza (non so come altrimenti chiamarlo) è molto in voga sul web. Si tratta di calcolare quanti schiavi ciascuno di noi “possiede”: il numero di persone sfruttate in modo disumano in qualche parte del mondo per produrre i beni che ci sono in casa e che usiamo ogni giorno.

L’esercizio, sebbene meritorio, non è esaustivo. Non dal punto di vista ecologico, almeno. C’è un ulteriore esercito di schiavi (ma stavolta virtuali) al servizio di ciascuno di noi.

Le “braccia” di questi schiavi virtuali sono contenute nell’energia che consumiamo. Energia perlopiù non rinnovabile, energia perlopiù fossile estratta dalle viscere del pianeta – cioè dalle risorse naturali – e destinata prima o poi ad esaurirsi. Anzi, già in esaurimento. Allora, vogliamo completare il giochetto di autocoscienza?

Il calcolo degli schiavi umani che permettono a ciascuno di noi di mantenere il proprio tenore di vita si fa sul sito internet Slavery Footprint.

Per “schiavi” in questo caso si intendono persone (bambini compresi) che lavorano in condizioni estreme e che non sono in condizione di dire di no. Il loro numero viene dedotto incrociando un questionario sulle abitudini individuali con un dabatase relativo alle modalità con cui vengono prodotti circa 400 beni di uso quotidiano.

In media cento schiavi per ogni consumatore, sintetizza Repubblica. Però le braccia in carne ed ossa e il lavoro umano non bastano per produrre le cose che ci circondano. Ci vuole anche l’energia che serve per estrarre e raffinare materie prime, per azionare le fabbriche, far viaggiare le merci e gli uomini, recapitarci a domicilio i beni.

Il petrolio è la pietra di paragone convenzionale dei consumi energetici. Si calcola che l’energia contenuta in un barile di petrolio compia il lavoro di 12 uomini in 24 ore. Il consumo di energia in Italia nel 2010 è stato pari a 177,7 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio (tep). Un barile di petrolio corrisponde a 159 litri. Il peso specifico del petrolio è pari a circa 0,8. In Italia ci sono 60,7 milioni di persone.

Mi fermo qui, perchè San Pitagora, protettore della matematica, non mi ha mai guardato con occhio particolarmente benevolo. Solo il 20% circa dell’energia consumata in Italia è rinnovabile (l’idroelettrico fa la parte del leone): per il resto, le invisibili braccia degli schiavi virtuali che si muovono per riscaldarci, illuminarci, azionare macchinari eccetera sono essenzialmente il sangue dei dinosauri. I combustibili fossili.

E’ come se nell’infinita lunghezza delle ere geologiche che ci hanno preceduti la Terra si fosse impregnata di energia, risucchiandola dai corpi degli esseri viventi. Da un paio di secoli a questa parte, con la Rivoluzione industriale, abbiamo cominciato ad estrarla, a rimetterla in moto.

Non ce ne sarà per sempre (il picco del petrolio, il picco del carbone), però è come se adesso – per adesso – oltre ai 100 schiavi umani che producono i nostri beni sfruttassimo anche il lavoro di 12 schiavi virtuali ogni volta che un barile di petrolio (o il suo equivalente) se ne va in fumo.

Nella Roma del grande impertore Traiano, si calcola, c’erano 1.200.000 abitanti di cui 400.000 schiavi: uno ogni tre persone. Appena.

Leggi tutto il post...

31 ottobre 2011

29 diversamente dormienti dopo esplosione in miniera di carbone

Fonte AGI
"Un'esplosione di gas grisu' in una miniera nella provincia centrale cinese dell'Hunan ha causato la morte di 29 minatori. Al momento dell'incidente nella miniera di carbone di Xialiuchong, nella citta' Hengyang, lavoravano 35 operai. Sei di loro sono stati tratti in salvo e ricoverati. La miniera, di proprieta' del governo locale E operativa da quarant'anni, era legalmente registrata, ma il governo provinciale all'inizio dell'anno aveva sospeso la sua licenza di produzione per mancanza di adeguate misure di sicurezza."

Leggi tutto il post...

29 ottobre 2011

Sette morti, ma di razza inferiore

Gli operai morti per il business del carbone non fanno rumore, non trovano spazio sulle testate giornalistiche, non almeno fintantoché non si riuscirà a trasformare in evento mondiale a-la Grande Fratello anche una sventura sotterranea cinese sul modello dei 33 disgraziati minatori cileni. Le notizie delle morti bianche da carbone vengono smaltite dai filtri automatici che separano l'utile (il business vecchio e sporco, a scapito di tutti per il profitto di pochi) dall'insignificante (vita umana e altri temi da fricchettoni).

Giornata di ordinaria follìa in Cina: "Sette persone sono morte e altre undici risultano disperse per una fuga di gas verificatasi in una miniera di carbone nella provincia centrale cinese dell'Henan. Dalle prime informazioni sembra che la fuga di gas si sia verificata ieri sera poco dopo la mezzanotte quando 18 minatori stavano svolgendo il loro lavoro nella miniera di Jiulishan a Jiaozuo. Le operazioni di salvataggio sono tuttora in corso. Si teme per le sorti degli 11 minatori che ancora mancano all'appello. (ANSA)

Leggi tutto il post...

26 ottobre 2011

Altri 13 minatori perdono la vita nelle miniere cinesi

Il rubinetto della morte sputa altre vittime grazie al business del carbone cinese.

Agenzia ASCA - "E' di 13 morti il bilancio delle vittime di un'esplosione avvenuta all'interno di una miniera di carbone nella regione cinese del Chongqing. Lo ha reso noto l'agenzia Xinhua.

Tre minatori sono scampati alla tragedia avvenuta per la deflagrazione, causata presumibilmente da una fuga di gas, e sono stati tratti in salvo dalle squadre di soccorso.

Secondo l'agenzia Xinhua, sei persone, legate all'incidente, sono state fermate dalle autorita'.

Le miniere cinesi di carbone sono tristemente note per il record di incidenti. Solo nel 2010 hanno infatti perso la vita in Cina 2.433 persone."

Leggi tutto il post...

18 settembre 2011

Tributo di sangue al dio carbone: quattro minatori morti in Galles

Una miniera di carbone ha inghiottito quattro vite umane in Galles, a Gleision.

Leggi tutto il post...

30 agosto 2011

Coahuila, Messico: quattro vittime per l'estrazione del carbone

Migliaia di lavoratori muoiono ogni anno nelle miniere di carbone di tutto il mondo.

"Quattro minatori sono morti nel crollo di una miniera di carbone nello Stato messicano di Coahuila, nel nord. Al momento dell'incidente, le cui cause non sono state chiarite, lavoravano nella miniera Esmeralda, di proprieta' di Altos Hornos, 132 operai. Lo scorso mese di maggio nello stesso Stato un'esplosione aveva ucciso 14 minatori."
Fonte: AGI news

Leggi tutto il post...

26 agosto 2011

Heilongjiang, in 26 intrappolati nella miniera

"E' lotta contro il tempo in Cina per salvare 26 minatori rimasti intrappolati in una miniera di carbone, non del tutto sicura, allagata nella Provincia di Heilongjiang, nel nord-est della Cina. Immagini che richiamano alla memoria quelle dei minatori rimasti intrappolati per tre mesi in Cile. Al momento i soccorsi si stanno concentrando nella rimozione dell'acqua e nella realizzazione di un foro di ventilazione. L'alluvione si è verificato il 25 agosto e ha colpito 45 minatori impegnati nella zona. Ventisei sono ancora intrappolati. I soccorsi si stanno concentrando nella realizzazione di un foro di perforazione di 260 metri di profondità, necessario per la ventilazione e la comunicazione."

Fonte:TMNews

Leggi tutto il post...

18 agosto 2011

Ferragosto di morte in miniera

"Una fuga di gas ha innescato una esplosione in una miniera di carbone che ha provocato la morte di 10 operai nella Cina sud occidentale. Lo riferisce l'agenzia Nuova Cina. Poco prima delle 22 di ieri sera una esplosione è avvenuta nella miniera di carbone Guohekou, nella contea di Panxian, nella provincia del Guizhou. Oltre alle dieci vittime, c'è stato anche un minatore ferito, ricoverato in ospedale. Undici i minatori che si trovavano nel luogo dell'esplosione, ma altri erano nei dintorni, come ha raccontato alla polizia uno di questi che è riuscito a salvarsi, ma con le braccia bruciate per la fiammata. La miniera è privata ed ha una capacità annuale di 150.000 tonnellate di carbone."
Fonte: NuovaCina via ilMessaggero

Leggi tutto il post...

14 agosto 2011

Marcinelle 1956, l'ipocrisia nelle parole di chi ricorda

Che le sigle dei sindacati nazionali siano pronte a propagandare come positivo qualunque affare relativo al carbone è una realtà ormai consolidata, e i potentati energetici sono ben contenti di sfruttarle mediaticamente.

Poi d'improvviso emergono le contraddizioni, come quelle di chi nello scorso 8 agosto commemorava i minatori italiani morti a Marcinelle, eppure tace sulle migliaia di lavoratori che muoiono ogni anno nelle miniere di carbone, ancora oggi, nel 2011. Di quelli semmai ci ricorderemo tra 50 o 100 anni.

Leggi tutto il post...

4 luglio 2011

Si allaga miniera di carbone, morti e dispersi in Cina

Fonte: ChinaDaily


Ennesimo annuncio di ennesima tragedia legata all'attività estrattiva del carbone che qualcuno osa chiamare "pulito". 40 dispersi e 3 morti il bilancio provvisorio a Niupeng, Cina.

Leggi tutto il post...