Riportiamo il servizio andato in onda il 12 agosto 2011:
14 agosto 2011
Carbone e carburante in mare a Mumbai
Fonte: ANSA - 06 AGO - E' allarme ecologico al largo delle coste di Mumbai in India dopo l'affondamento di un mercantile con a bordo oltre 60 mila tonnellate di carbone e 340 tonnellate di carburante e lubrificanti. La nave Mv Rak, battente bandiera panamense, si era inabissata due giorni fa. Una larga chiazza di olio lubrificante e' comparsa intorno al relitto e sta minacciando la costa gia' danneggiata in passato da diverse maree nere. Sul posto sono state inviate delle speciali unita' anti inquinamento.
Marcinelle 1956, l'ipocrisia nelle parole di chi ricorda
Che le sigle dei sindacati nazionali siano pronte a propagandare come positivo qualunque affare relativo al carbone è una realtà ormai consolidata, e i potentati energetici sono ben contenti di sfruttarle mediaticamente.
Poi d'improvviso emergono le contraddizioni, come quelle di chi nello scorso 8 agosto commemorava i minatori italiani morti a Marcinelle, eppure tace sulle migliaia di lavoratori che muoiono ogni anno nelle miniere di carbone, ancora oggi, nel 2011. Di quelli semmai ci ricorderemo tra 50 o 100 anni.
Autostrada tirrenica, troppe le criticità implicate
Lettera del Consigliere comunale Marco Tosoni al sindaco di Tarquinia Mauro Mazzola
Egregio Sindaco,
Le invio alcune osservazioni sulla questione dell'Autostrada tirrenica, rappresentate da ITALIA NOSTRA e dal Movimento no coke Alto Lazio durante l’audizione alla commissione ambiente della camera dei deputati sul progetto dell’AUTOSTRADA TIRRENICA.
Lei con la sua maggioranza avete approvato il tracciato autostradale, nel 2008, quel tracciato, totalmente diverso dall’attuale, presenta gravi criticità, che andrebbero valutate di nuovo, in un consiglio comunale aperto, per dare alla cittadinanza un’informazione mai avuta su come cambierebbe il nostro paese con la realizzazione dell’Autostrada TIRRENICA sovrapposta all’attuale SS Aurelia, togliendo a tutti una strada gratuita, per una a pagamento, deturpando e rovinando l’intero territorio.I cittadini hanno il diritto di sapere cosa rischiano con la realizzazione di un’autostrada, quando potrebbero avere la messa in sicurezza della SS Aurelia, una trasformazione meno impattante per il territorio, e magari con più possibilità per le aziende locali di partecipare alla realizzazione.
CRITICITA’ LEGALI
Tra le maggiori criticità del progetto che prevede che l’autostrada per 35 anni sia gestita dalla SAT (Società Autostrada Tirrenica), una società privata. A questo proposito c’è una forte anomalia: il Presidente della SAT , Antonio Bargone, è anche Commissario governativo per l’Autostrada Tirrenica: gli interessi del Pubblico e dello Stato Italiano non coincidano necessariamente con quelli “privati” della SAT. E’ un gravissimo conflitto di interessi. Purtroppo in Italia, troppo spesso Infrastrutture e Opere Pubbliche sono espressione di finanziamenti illegali. Chi controllerà la gestione dell’infrastruttura quando controllore e controllato sono la stessa persona?
CRITICITÀ ECONOMICHE
Ci sono altri problemi: è lecito privatizzare una strada demaniale? Quello dell’Aurelia sarebbe il primo caso di consegna ai privati di un tratto essenziale del sistema stradale pubblico italiano. Un privato –occorre aggiungere- che ottiene un appalto da più di 2 miliardi di euro senza gara europea.
La SAT e il Governo vogliono fare in fretta. Le procedure vengono accelerate. Il Ministero Infrastrutture ha convocato per il 3 Agosto 2011 una conferenza dei servizi nonostante sia ancora in corso la Valutazione di Impatto Ambientale.
Ci dice la SAT: occorrono 2,3 miliardi per costruire l’A12 Tirrenica . Ma basteranno? Purtroppo l’esperienza insegna che molto spesso nella costruzione delle Infrastrutture Statali ci sono degli “sforamenti” tra il 20/30 %. Secondo i nostri esperti economici un mutuo a 30 anni per 2,3 miliardi prevede interessi per 150/180 milioni di euro all’anno. Come si otterranno queste risorse? Con il project financing lo Stato non dovrebbe intervenire. La SAT sostiene che riuscirà ad andare in pari con il pedaggiamento di circa 31.000 automobili di media giornaliera su base annuale. Peccato che oggi circolino sull’Aurelia solo 17.000 veicoli. Come si può essere sicuri che ci sarà quasi il raddoppio dei passaggi? E se ciò non avvenisse? Chi pagherà le perdite? Non vorremmo che si ricadesse nel vecchio sistema italiano per il quale i profitti vanno all’imprenditore privato (Caltagirone, il Monte dei Paschi di Siena, la Lega delle Cooperative) e le perdite allo Stato. Cosa potrebbe succedere se il prezzo del petrolio e quindi della benzina salisse molto? E con l’aggravarsi e prolungarsi della crisi economica?
CRITICITA’ TECNICHE:
Le complanari da sempre sono distruttive per il territorio. Nel progetto SAT non esistono come sistema completo e, non garantisce alla popolazione il diritto di traffico agricolo e civile di chi non può o non vuole pagare il pedaggio. Nel tratto che interessa Tarquinia non ci sono strade alternative, solo la litoranea verso Civitavecchia, che andrebbe condivisa con mezzi pesanti e mezzi agricoli, rendendola ancora più pericolosa dell’attuale Aurelia, ma per andare verso Grosseto?.
Gli espropri: la zona presa in considerazione è economicamente una zona molto pregiata e utilizzata: case, case di vacanza, ville, agriturismi, aziende agricole, alberghi, campeggi. Per centinaia di famiglie che hanno a ridosso dell’Aurelia l’abitazione, o il luogo di lavoro, l’autostrada è una soluzione catastrofica come denunciano ogni giorno i giornali riferendo di manifestazioni popolari.
Per tutti questi motivi, è stato chiesto alla Commissione Ambiente di approfondire le problematiche e invitare il Governo e il Ministro Matteoli a riesaminare l’intero progetto uniformandosi alle direttive europee che esplicitamente consigliano di moderare il ricorso alle autostrade e incentivare invece modelli di mobilità intermodale come la navigazione e le ferrovie.
In conclusione il progetto , dopo 43 anni che la SAT ci lavora sopra, è ancora in molte sue parti indefinito, distruttivo e costoso. Il punto di vista dei cittadini è che l’interesse del Pubblico, ripetiamo, sia servito meglio da una strada statale messa in sicurezza che risulta essere meno impattante per il territorio e la realtà economica che vi prospera. Ciò vale anche per l’economia nazionale che sopporta in questo momento pericolosissime tensioni.
Sabato 6 Agosto nel consiglio comunale indetto per le ore 8.00, lascerò al Presidente del Consiglio Comunale la richiesta di consiglio comunale aperto, credendo nel suo valore democratico dei consigli comunali, senza paura di confronti e senza chiusure preconcette, proprie della politica partitica, cercando un momento di condivisione del grave stravolgimento che potrebbe accadere, al nostro paese qualora si avviasse il progetto dell’Autostrada Tirrenica
Gruppo consiliare autonomo
Per il bene di Tarquinia
Marco Tosoni
1 agosto 2011
Tangenti per il carbone di Porto Tolle, la P4 coinvolta
Pubblichiamo un articolo di grande interesse, dalla home page del FattoQuotidiano
"Servizi, mazzette e P4: le trame oscure intorno alla centrale Enel di Porto Tolle". Una lettura consigliata!
Un agente dei servizi viene arrestato a Padova per concussione. Il suo nome compare due giorni sui giornali locali. Poi il vuoto. I magistrati padovani che indagano sul caso chiedono informazioni su di lui alla procura di Rovigo, perché è lì che l’agente segreto vive. E il Procuratore Capo Dario Curtarello salta sulla sedia. Quel nome lo conosce bene. Ettore Mantovan, 57 anni di Porto Viro è conosciuto anche al pool del Pm Carlo Nordio, che ha condotto le indagini sulle coop rosse. E ora sul nome dello 007 incombe l’ombra della P4.
I giochi si compiono a Rovigo, capoluogo “depresso”, dimenticato da tutti quelli che non sanno nemmeno dove collocarlo sulla cartina geografica. Eppure è qui si gioca la doppia “partita energetica” del Paese: il rigassificatore a metano di Porto Viro (Edison), inaugurato dall’ex governatore Giancarlo Galan, e, a una manciata di chilometri, la centrale Enel di Porto Tolle, che dal funzionamento a olio combustibile, altamente inquinante, vuole passare al carbone, progetto fortemente voluto dalla Regione e dai sindacati, osteggiato dagli ambientalisti e, sul piano giudiziario, dalle consulenze della procura di Rovigo.
Ma all’ombra dei due “mostri” c’è un oscuro sottobosco tutto da svelare. Perché un anno fa Ettore Mantovan, agente segreto dell’Aisi (Agenzia italiana per la sicurezza interna, ex Sisde) avrebbe fatto pressioni sui pm di Rovigo che si permettevano di “andare contro” gli interessi dell’Enel a suon di consulenze sull’impatto ambientale dell’opera. Il caso finisce a Trento, procura competente per i magistrati veneti, che però archivia il caso. Poteva continuare la sua vita nell’ombra, Mantovan. Ma quattro mesi fa i carabinieri di Padova gli trovano nelle tasche 50mila euro in contanti. E’ una mazzetta appena estorta ad un imprenditore ittico. E ora sul tavolo dei due pm padovani che indagano si di lui, Paolo Luca e Roberto d’Angelo, arrivano i fascicoli dell’inchiesta P4 di Henry John Woodcock e Francesco Curcio. Ci sarebbe quindi un collegamento con le intercettazioni che hanno incastrato Bisignani-Milanese-Papa, gettato ombre sulla Guardia di finanza ed evidenziato possibili accordi “segreti” per le nomine e gli affari dei grandi enti statali, tra cui proprio l’Enel.
I magistrati padovani sono ora a caccia di possibili nessi tra l’inchiesta partenopea e i movimenti di Mantovan. Dal suo passato emergono infatti molti dettagli che, messi in uno in fila all’altro, potrebbero svelare un inedito interessamento dei Servizi agli interessi economici di Rovigo.
Sono le 17.30 del 29 marzo scorso quando il 57enne rodigino Ettore Mantovan viene arrestato dai carabinieri al casello di Padova sud: ha appena preso 50mila euro da Archimede Finotti, imprenditore titolare della Finpesca di Porto Viro. Ma il contestato reato di concussione non è che una deriva rispetto ad altri piccoli particolari che emergono ripercorrendo la carriera di Mantovan. Negli anni ’90 è in questura a Rovigo, fa l’ispettore. Ma è molto ambizioso, quel ruolo gli sta stretto. Si mette in mostra a Venezia, dove porta al pubblico ministero Carlo Nordio elementi determinanti in merito all’inchiesta sulle coop rosse. Il nome di Alberto Fontana, il famoso “compagno F” che manovrava tangenti per finanziare il Pci, arriva proprio grazie alle informazioni di Mantovan. L’ispettore ha le mani in pasta e lo dimostra chiaramente a tutti quelli che lo conoscono. Il suo obiettivo sono i Servizi. Più volte chiede alla procura veneziana di essere “segnalato” a Roma. Ma dal capoluogo veneto non parte alcuna spintarella. Lui non si arrende. Passa qualche tempo alla Dia di Padova. Alla fine ce la fa: dopo il 2000 entra nel Sisde, che poi diventa Aisi, ed è responsabile di zona per il Triveneto.
Il suo nome ricompare nel 2008. Scoppia il caso della riconversione a carbone della centrale Enel di Porto Tolle. Il colosso che svetta nel fragile equilibrio del parco del Delta del Po funziona a olio combustibile, ma inquina troppo. Che progetti ha l’Enel? La riconversione a carbone. Gli ambientalisti promettono battaglia. E il caso arriva in Procura. Nel 2008 giunge sul tavolo del pm rodigino Manuela Fasolato la relazione dell’ Enel sulla riconversione: l’ente parla di emissioni non nocive, di polveri più sottili del temuto pm10. Ma una consulenza richiesta dalla pm e controfirmata dal procuratore capo Dario Curtarello dice che non è vero che quel tipo di polveri non comporta rischi, anzi potrebbe inquinare in modo più subdolo. Per L’Enel compare lo spettro dei sequestro preventivo.
Parallelamente, gli ambientalisti parlano del ‘controsenso energetico’: a una manciata di chilometri da Porto Tolle c’è il rigassificatore di Porto Viro, che porta alti gli interessi di Edison e di una ditta del Quatar che trasporta qui il metano in stato liquido. La domanda è quasi banale: perché la centrale Enel non può essere collegata al rigassificatore e funzionare a metano? L’Enel non risponde. Non risponde nemmeno la Regione Veneto, e sindacalisti si scontrano con Greenpeace, Legambiente e Movimento 5Stelle. Perché ai sindacati L’Enel promette soldi e lavoro, con il metano non ci sono né l’uno né l’altro. Peccato che la magistratura si metta di traverso. Lo pensa anche per l’ex pm ed ex parlamentare del Pd Luciano Violante. Violante guida una “lobby” che si chiama “Italia-decide”, che ha la missione di agevolare la ripresa economica del Paese. Piccolo dettaglio: tra i fondatori di della lobby c’è anche Enel.
Nell’inverno del 2010 Violante, in un pubblico salotto chic di Cortina d’Ampezzo, riprende il rapporto annuale di Italia-decide, che ha un capitolo dedicato proprio all’Enel e fa un commento che, a posteriori, appare come un anatema: si augura infatti che si trovi presto una soluzione alle perplessità dei magistrati che stanno bloccando la riconversione a carbone della centrale di Porto Tolle. Detto fatto. Violante chiama, Alfano risponde. Nel giro di pochi giorni il ministero della Giustizia manda gli ispettori in procura a Rovigo. E un cavillo lo trovano: quando ha richiesto la consulenza “ammazza-Enel”, il pm Fasolato si occupava contemporaneamente della commissione per gli esami dei neomagistrati. “Per legge” non si possono fare le due cose contemporaneamente. Il pm deve quindi spiegare questa sua “smania” di lavoro. Il procedimento disciplinare, nel quale è stato coinvolto anche il procuratore capo Curtarello, non è ancora chiuso.
Inaspettatamente, però, lo stop arriva dal Consiglio di Stato, che a metà giugno di quest’anno blocca i piani dell’Enel perché la legge sul parco del Delta limita le emissioni di Co2 in vicinanza dell’area protetta. La Regione Veneto di Luca Zaia risponde in meno di un mese approvando la modifica della legge “blocca-Enel”. Insomma questa riconversione s’ha da fare, a 5Stelle e ambientalisti restano solo le barricate.
Mentre accade tutto questo, dice oggi l’inchiesta, c’è un “movimento sotterraneo” che preme nella stessa direzione, un movimento che ha il nome di Ettore Mantovan. Lo 007 opera infatti delle velate pressioni in Procura affinché i magistrati abbassino le barricate nei confronti dell’Enel. Ma non lo fa in modo diretto. Si serve di un agente di polizia giudiziaria in servizio in Procura, che sarebbe stato incaricato di far arrivare il messaggio a Fasolato e Curtarello.
Perché uno 007 dovrebbe mettere il naso sugli interessi economici del paese? I due pm chiedono alla procura di Trento, competente per territorio sui magistrati veneti, di fare chiarezza. Mantovan viene sentito come persona informata sui fatti, e nega ogni pressione. I magistrati trentini archiviano, non ci sono elementi per individuare rati. Caso chiuso? Non ancora. Perché intanto Mantovan si fa pescare nel padovano a estorcere soldi agli imprenditori. Quando la notizia arriva a Rovigo, in Procura cominciamo a girare facce scure. Quell’uomo lo conoscono troppo bene. Passano i mesi, Mantovan sta in carcere e soprattutto sta zitto.
Nel frattempo esplode il caso P4. Bisignani e Papa, Bisignani e Milanese, la Guardia di finanza, le fughe di notizie. Ma soprattutto, ed è quello che più interessa ai magistrati padovani, ci sono le nomine e interessi degli enti statali, Enel compresa. Sospetti, indizi. Da qualche giorno è iniziata la caccia ai possibili collegamenti. I magistrati padovani sono convinti che Mantovan non abbia agito da solo. Un fatto è certo: i faldoni di Napoli sono a Padova. La verità sta in quegli intrecci. La verità la sa anche Mantovan. E i magistrati sono convinti che e non sia l’unico a saperla.
di Roberta Polese
28 luglio 2011
Un altro esempio di rinnovabili che funzionano
La mia domanda è: perchè questa notizia non l’ho trovata sul sito del Ministero dello Sviluppo Economico o sentita al telegiornale delle 20:00?
"Un ambizioso progetto basato su fonti rinnovabili (ad emissioni ZERO, ma per davvero) sta per essere messo in cantiere nel deserto dell’Arizona. EnviroMission, questo è il nome dell’azienda australiana realizzatrice del progetto, alla cui base c’è un concetto vecchio come l’ uomo, la serra.
Per capirci meglio: siete mai entrati in una serra? In inverno quando fuori gela, dentro la serra fa caldino, in estate quando fuori è caldo, la serra diventa un forno (ed infatti le serre in estate hanno i lati aperti). Ora pensate a quando in inverno i vostri nonni andavano a fumare vicino al caminetto per non impuzzolentire tutta casa: il motivo era semplice, la cappa del camino aspirava il fumo, sia perché il fumo è caldo, dunque sale verso l’alto, sia perché la lunghezza dello scarico del camino crea un effetto “aspiratore”.
Bene, ora torniamo in Arizona, costruiamo una serra galattica, grande più di 100 campi da calcio e mettiamo al centro della serra un camino alto 800 metri…
Accadrà la seguente cosa: nella serra si creeranno temperature elevatissime con aria calda che tenderà a salire verso l’alto, il camino di 800 metri, creerà un effetto “aspiratore” gigantesco, che favorirà la salita di queste masse di aria bollente verso l’uscita del camino. Alla base del camino verranno posizionate delle turbine che genereranno energia sfruttando il vento caldo che verrà aspirato dal “camino”.
Semplice no??
Un po’ di dati:
La superficie della serra sarà circolare con un diametro di 2 Km, il camino sarà alto 800 metri con un’apertura di 120 metri. La temperatura media al suolo è di 40 °C ed all’interno della serra si raggiungeranno gli 80°- 90°C. E’ utile che la torre sia così alta poiché la potenza di aspirazione è legata al gap termico, maggiore è il gap termico, maggiore sarà la potenza di aspirazione, dunque maggiore il vento che spingerà le turbine. Ogni 100 metri di altezza, mediamente la temperatura scende di 1°C, dunque la torre di 800 metri introdurra un beneficio ulteriore di 8 °C gradi da aggiungere ai 40-50°C di gap termico tra fuori e dentro la serra. L’impianto produrrà mediamente 200 MegaWatt, energia tale da alimentare 150.000 case americane (mi sento di dire, per esperienza personale, che equivalgono a 200.000 europee…ma questo è un altro discorso!!)..
Il costo dell’opera sarà di 750 milioni di dollari, (circa mezzo miliardo di euro) che saranno ripagati con appena 11 anni di produzione, mentre si stima che l’impianto funzioni per 80 anni….dunque 70 anni di produzione a costi praticamene zero (a parte una piccolissima quota parte manutentiva).
Punti di forza:
- Considerato che il sistema lavora sui differenziali di temperatura, non su quella assoluta, l’impianto funziona con ogni condizione meteo.
- Il caldo del deserto è così intenso da scaldare il terreno così intensamente da far lavorare l’impianto anche di notte.
- Visto che si cercano condizioni climatiche estreme, vengono utilizzate aree territoriali altrimenti considerate “inutili” o comunque poco appetibili.
- Virtualmente la manutenzione è zero, ed il sistema funziona fino a quando rimane in piedi!!
- L’impianto non usa combustibili, non usa carbone, uranio o altro materiale, solo aria e raggi solari.
- Non vengono emessi agenti inquinanti, il solo prodotto di scarto è aria calda in cima alla torre. Considerato l’effeto serra, si può davvero creare una serra all’interno della struttura.
E’ curioso che l’azienda che produrrà questo impianto è australiana ed effettuerà il mega impianto negli Stati Uniti, dove, al contrario dell’Australia l’amministrazione Obama sta incentivando impianti rinnovabili come questo. 2015 sarà l’anno di inaugurazione dell’impianto.
Oggi la benzina in Italia costa 1,631 euro al litro. La notizia principale trattata dai giornali è che una manica di buffoni ha aperto 4 distaccamenti di Ministeri a Monza, uno tra questi è quello dello Svilupo Economico.
La mia domanda è: perchè questa notizia non l’ho trovata sul sito del Ministero dello Sviluppo Economico o sentita al telegiornale delle 20:00?
Namaste."
La Spezia via dal carbone
Da SpeziaPolis nuovi comunicati dal comitato cittadino SpeziaViaDalCarbone
"Perché è urgente mobilitarsi? L’eventuale ottenimento dell’AIA alle attuali condizioni metterebbe Enel al riparo da ulteriori possibili azioni anche a cura degli enti locali, se non al verificarsi di fatti molto gravi, peri prossimi 5 o addirittura 8 anni (se la centrale fosse in regola con la procedura EMAS). Come dire, ora o mai più, è questo il momento in cui ciascuno, gli enti locali ma anche i cittadini, deve fare la sua parte: impegnandosi con accuratezza nella redazione dei pareri; rispettando le norme nelle procedure autorizzatorie; sensibilizzando la classe politica di questa città/provincia/regione affinchè operi in nome e a tutela dei cittadini da cui è stata eletta e che è tenuta a rappresentare.
Clicca qui per i comunicati del 27/07, oppure leggi l'articolo di cittadellaspezia.com "Via subito il carbone dalla centrale Enel"
Il comitato di cittadini "Spezia via dal carbone" ha inviato questo pomeriggio al ministero dell'Ambiente alcune osservazioni sulla procedura di concessione dell'Autorizzazione integrata ambientale per la centrale Enel di Vallegrande.
"Nel documento - spiega Marco Grondacci, ricercatore di diritto ambientale e membro del comitato - chiediamo che vengano valutati con maggiore attenzione particolari aspetti sotto il profilo ambientale. L'amministrazione comunale interpreta in modo riduttivo quello che si può ottenere in termini di riduzione delle emissioni, noi, invece, riteniamo che il ministero, per la concessione dell'Aia, debba innanzi tutto valutare se l'impianto a carbone è effettivamente compatibile con il sito nel quale opera, prima di tutto sotto il profilo della salute dei cittadini. Chiediamo una valutazione seria delle polveri ultrafini e di parametri sanitari specifici e non la semplice riduzione degli inquinanti per adeguarsi alle normative".
Leggi, quelle cui fa riferimento Grondacci, che entreranno in vigore tra un paio d'anni, costringendo di fatto Enel a rispettarle al di là del rilascio dell'Aia, che invece ha una durata di otto anni.
"L'autorizzazione è attesa dal 2007 - prosegue Grondacci - richiedere un supplemento di istruttoria significherebbe rallentare l'iter di qualche mese, un sacrificio che ci possiamo permettere, se la posta in gioco è la chiusura della sezione a carbone, un fatto secondo noi assolutamente ragionevole".
I limiti che saranno presto imposti per legge, infatti, non potrebbero essere raggiunti dalla sezione a carbone della centrale della Spezia, sarebbe necessaria la realizzazione di una sezione completamente nuova, con tecnologie di ultima generazione. Un'ipotesi che, come hanno spiegato alcuni giorni fa il sindaco Federici e l'assessore comunale all'Ambiente Ruocco, l'amministrazione non ha preso in considerazione, per evitare che con l'investimento in un impianto nuovo, la presenza della centrale si consolidi per un tempo ancora più lungo.
"Non ha senso questo ragionamento - sostiene Grondacci -, bisogna invece puntare al massimo risultato ottenibile, senza procrastinare la discussione sulla dismissione del carbone. Inoltre la proposta di realizzare il teleriscaldamento, così come quella di bruciare Cdr nella centrale, contenuta nel memorandum Acam-Hera, presuppongono ugualmente investimenti, quindi il consolidamento dell'impianto".
ONU: allo studio una forza per contrastare il riscaldamento globale
Da LaStampa
L’emergenza climatica non è più solo un fatto ambientalistico, e neppure economico: si sta trasformando in problema di sicurezza. L’innalzamento dei mari minaccia di far sparire interi Paesi, e già riduce i terreni agricoli e quindi le risorse alimentari. I fiumi che si asciugano, le siccità come quella esplosa in Somalia, provocano nuovi conflitti o inaspriscono quelli già in corso. La diminuzione di risorse essenziali come l’acqua e il cibo, poi, favorisce l’emigrazione, creando una nuova categoria: i rifugiati del riscaldamento globale.
Dopo i caschi blu, arrivano anche i caschi verdi dell’Onu? Per ora l’idea di una forza incaricata di proteggere l’ambiente, per frenare il riscaldamento globale ed evitare le sue ricadute sulla sicurezza internazionale, è ancora uno slogan più che un progetto. Però il Palazzo di Vetro ci sta pensando, se non altro come strumento per richiamare tutti i Paesi membri alla responsabilità di affrontare l’emergenza.
L’occasione per parlarne è stata mercoledì sera, quando il Consiglio di Sicurezza si è riunito per discutere l’impatto del riscaldamento globale sulla sicurezza. Il dibattito era stato chiesto dall’ambasciatore tedesco Peter Wittig, che presentando l’iniziativa aveva scritto: «Ridipingere di verde i caschi blu darebbe un segnale forte, ma affrontare le conseguenze dei cambiamenti climatici nelle regioni più precarie sarebbe poi tanto diverso dai compiti che già svolgono oggi?». Ragionamento lineare.
L’emergenza climatica non è più solo un fatto ambientalistico, e neppure economico: si sta trasformando in problema di sicurezza. L’innalzamento dei mari minaccia di far sparire interi Paesi, e già riduce i terreni agricoli e quindi le risorse alimentari. I fiumi che si asciugano, le siccità come quella esplosa in Somalia, provocano nuovi conflitti o inaspriscono quelli già in corso. La diminuzione di risorse essenziali come l’acqua e il cibo, poi, favorisce l’emigrazione, creando una nuova categoria: i rifugiati del riscaldamento globale. Sono tutti problemi che minacciano la sicurezza e quindi rientrano nelle competenze del massimo organismo Onu.
La Germania sperava di far votare una risoluzione che impegnasse il Consiglio di Sicurezza, se non avviando la creazione dei caschi verdi da mandare a chiudere le miniere di carbone o le fabbriche inquinanti, quanto meno stabilendo il principio che presto saranno necessari interventi di peacekeeping per prevenire o fermare conflitti provocati dall’emergenza ambientale.
L’Italia condivide queste posizioni, aggiungendo una tradizionale attenzione politica per i piccoli Paesi insulari e per la sicurezza del cibo. Anche gli Stati Uniti, che rispetto agli anni di Bush hanno invertito la politica verso l’Onu e verso il riscaldamento globale, sono favorevoli, così come il segretario generale Ban Ki-moon, che ne fa soprattutto una questione di sviluppo sostenibile. In Consiglio però si sono scontrati con la Russia, la Cina, e un folto gruppo di Paesi emergenti come India e Brasile, che temono di essere costretti a frenare il loro sviluppo per combattere il riscaldamento globale.
Dopo un dibattito molto duro, in cui l’ambasciatrice americana Susan Rice non ha esitato a definire «patetica» la posizione degli scettici, il Consiglio ha approvato una dichiarazione presidenziale che quanto meno riconosce il problema. Un primo passo, come ha spiegato il portavoce dell’Onu Martin Nesirky, per aprire il discorso: «C’è molto lavoro da fare, ma il segretario generale è deciso ad andare avanti».
27 luglio 2011
Il Consiglio regionale del Veneto e quelle leggi fatte per essere violate
A colpi di menzogne su dati occupazionali, disinformazione e pressioni lobbistiche, modificando ad hoc il regolamento del Parco del Delta del Po, il Consiglio Regionale del Veneto apre la strada alla riconversione a carbone a Polesine Camerini (Porto Tolle).
Se davvero si farà, siamo pronti a scommettere oggi 27 luglio 2011 che non passerà molto tempo, per ascoltare i lamenti delle sigle sindacali nazionali che presto cominceranno a recriminare che le promesse occupazionali non sono state rispettate. In realtà, loro, lo sanno già: è il solito teatrino già visto.
Nella votazione si è astenuto il gruppo Pd, tranne il consigliere Azzalin che ha votato a favore. Contrari Italia dei Valori, Federazione della Sinistra e G. Bortolussi.
Inquinamento da policlorobifenile e A.I.A.
Interessante articolo da Agoramagazine, su una sostanza inquinante per la cui immissione nell'ecosistema dobbiamo ringraziare in primis la combustione del carbone.
"Dodici dei 209 congeneri dei PCB, i cosiddetti coplanari, hanno caratteristiche chimico-fisiche e tossicologiche equiparabili alle diossine e ai furani, e vengono denominati PCB dioxin-like (simili alle diossine), riconoscibili con la sigla PCBdl. I PCB sono classificati come POP, ossia inquinanti organici persistenti (Persistent Organic Pollutants) perché sono tossici, si bioaccumulano e sono in grado di provocare gravi danni alla salute umana o all’ambiente, sia vicino che lontano dalla fonte di emissione.
Il bioaccumulo delle sostanze tossiche può avvenire o direttamente dall’ambiente, o attraverso l’ingestione lungo la catena alimentare. Si parla di biomagnificazione se la sostanza tossica viene ingerita con gli alimenti, diversamente si parla di bioconcentrazione. La tutela della salute e la salvaguardia ambientale, sul piano normativo, sono perseguite recependo direttive e raccomandazioni della UE, e sono state recepite nell’ordinamento giuridico italiano attraverso il DPR 206/88 e il D.Lgs. 209/99, inoltre vietano la commercializzazione e l’uso delle apparecchiature contenenti PCB.
Sul piano internazionale è di rilevante importanza la Convenzione di Stoccolma, adottata nel 2001 e in vigore dal 2004: si prefigge di ridurre o eliminare scarichi, emissioni e perdite di inquinanti organici persistenti. Il nostro Paese non ha ancora ratificato tale Convenzione, che si basa sul principio di precauzione. La Convenzione si pone l’obiettivo della messa al bando dei seguenti 12 POP (la sporca dozzina):
l’aldrin,
il clordano
il DDT
il dieldrin
l’endrin
l’eptacloro
il mirex
il toxafene
i PCB
l’HCB
le diossine
i furani.
Lo strumento normativo utilizzato per la gestione dei PCB è l’autorizzazione integrata ambientale (dlgs 59/2005), e per le emissioni in atmosfera , la parte V del decreto legislativo n. 152 del 3 aprile 2006. Con il DM 29 gennaio 2007 sono state emanate le linee guida per il trattamento dei PCB, degli apparati e dei rifiuti contenenti PCB e per gli impianti di stoccaggio.
Le linee guida, o in loro mancanza i Brefs Comunitari, riguardano le raffinerie di petrolio e di gas, la produzione e trasformazione di metalli ferrosi (che comprendono le cokerie, gli impianti di produzione di ghisa e acciaio, le fonderie, gli impianti di trasformazione dei metalli ferrosi, di produzione e trasformazione di metalli non ferrosi e in materia di fusione e lega di metalli non ferrosi , di impianti di decontaminazione degli apparecchi contenenti PCB e per gli impianti di stoccaggio).
Il primo inventario europeo dei PCB, per il 1990, elenca le seguenti fonti di emissione:
combustione del carbone
fusione dell’acciaio
sinterizzazione
incenerimento dei rifiuti
apparecchiature elettriche (condensatori e trasformatori.).
La serie storica 1990 – 2006, delle emissioni di PCB in Italia, evidenzia come le emissioni di PCB siano in aumento, e il contributo principale derivi dalla combustione per la produzione di energia, calore e industria di trasformazione, e in particolare dalla produzione di energia e dalla combustione non industriale, per poi passare al contributo della produzione industriale, in particolare le emissioni dalla produzione di acciaio, sia con forno ad ossigeno che con forno elettrico.
L’analisi della serie storica evidenzia come la riduzione delle emissioni dalla combustione industriale venga bilanciata dall’aumento delle emissioni da incenerimento rifiuti; le emissioni totali di PCB tendono comunque ad aumentare negli ultimi anni, soprattutto in considerazione del contributo delle emissioni dalla produzione dell’acciaio. Il 36% delle emissioni di PCB deriva dalle centrali elettriche a carbone, seguita da un 29% dalla produzione di acciaio in forni elettrici, dal 17% sempre dal settore processi con la produzione di acciaio da forni BOF, un 10% dalla combustione dei rifiuti.
Altre fonti di contaminazione, sono la concimazione dei terreni con fanghi provenienti dalla depurazione di acque di scarico, la combustione di oli usati, le riserve di PCB nei sedimenti marini, fluviali e nei fanghi di dragaggio dei porti. La direttiva 96/59/CE disciplina lo smaltimento dei policlorobifenili e dei policlorotrifenili, prescrivendo l’eliminazione dei PCB (31/12/2010). Una deroga alla scadenza del 2010 concerne gli apparecchi i cui fluidi contengano concentrazioni di PCB inferi a 50 ppm (0,005%), consentendone lo smaltimento al termine della loro vita operativa. La direttiva introduce il censimento obbligatorio degli apparecchi contenenti PCB in percentuale superiore allo 0,005%, e che abbiano un volume superiore ai 5 dm3; promozione della revisione e decontaminazione degli impianti e delle apparecchiature contenenti PCB, ancora in esercizio.
La direttiva è stata recepita in Italia attraverso il DLgs 209/1999, che fissa le scadenze per l’eliminazione dei PCB attraverso lo smaltimento e la decontaminazione. Lo stesso decreto impone a tutti i detentori di apparecchi contenenti PCB, per un volume superiore a 5 dm3 (ovvero contenenti più di 5 l di olio contaminato), di darne comunicazione di possesso alle Sezioni del Catasto Rifiuti delle Regioni. Lo strumento dell’AIA, il Catasto Rifiuti Regionale e gli strumenti di Pianificazione ambientale, come i Piani di Tutela e di Risanamento della Qualità dell’Aria e dell’Acqua, dovrebbero consentire di perseguire la tutela ambientale con lo sviluppo economico.
Relativamente alle prerogative che sono riconosciute all’ente locale, è sufficiente citare la grande forza normativa, che a esso deriva, dall’art 5 comma 11 del DLgs 59/2005, che disciplina l’AIA. Tale norma riconosce al Sindaco di fare acquisire in sede di Conferenza dei Servizi per la concessione dell’AIA le prescrizioni di cui all’art 216 e 217 del regio decreto 1265 /1934. L’art 216 del testo unico delle leggi sanitarie stabilisce particolari cautele per le difese dalle lavorazioni insalubri, e cioè per le “manifatture o fabbriche che producono vapori, gas o altre esalazioni insalubri o che possono riuscire in altro modo pericolose alla salute degli abitanti”.
Queste lavorazioni sono divise in due classi: nella prima sono comprese le attività che devono “esser isolate e tenute lontane dalle abitazioni”, a meno che il titolare non “provi che per l’introduzione di nuovi metodi o speciali cautele, il suo esercizio non reca nocumento alla salute del vicinato”. Il Regolamento generale sanitario, approvato con R.D. 45/10901 (tuttora vigente), prescrive che il Ministero della Salute ogni tre anni riveda l’elenco delle fabbriche che spandono esalazioni insalubri o che possono essere pericolose alla salute degli abitanti.
In base a tale elenco, la giunta comunale procede, su richiesta della ASL, alla classificazione degli stabilimenti esistenti sul territorio e determina se quelli “compresi nella prima classe siano sufficientemente isolati dalle campagne e lontani dalle abitazioni e se per gli altri siano adottate le cautele speciali necessarie ad evitare nocumento al vicinato”. Insomma, queste attività devono stare fuori da “qualsiasi nucleo urbano”. In proposito, il Ministero della Salute ha precisato che l’obbligo si intende adempiuto quando l’industria si trova a un a distanza tale da non far risentire i suoi effetti alle abitazioni limitrofe.
Per il TAR Veneto sono sufficienti 250 metri mentre per quello della Liguria 100 metri. L’art 217 statuisce invece che “quando vapori, gas o altre esalazioni …..provenienti da manifatture o fabbriche possano riuscire di pericolo o di danno per la salute pubblica , il sindaco prescrive le norme da applicare per prevenire o impedire il danno o il pericolo e si assicura della loro esecuzione ed efficacia “. Questo è un potere-dovere del Sindaco valido per ogni attività lavorativa . Il Consiglio di Stato con sentenza 532/1987 così si esprime “il potere di prescrivere le norme da applicare per prevenire o ridurre il danno o il pericolo per la salute pubblica derivante dall’attività di manifatture o fabbriche, attribuito all’autorità comunale dagli art 216 e 217 del T.U. leggi sanitarie, non è condizionato dall’onere di preventive diffide o contestazioni agli interessati…., ma comporta per il comune il potere-dovere di accertare in ogni singolo caso quali attività possano recare in concreto danno o pericolo alla salute pubblica, e di adottare in conseguenza i provvedimenti inibitori”.
L’art 8 invece del DLgs 59/2005 riconosce la necessità di valutare tutte le emissioni che riguardano un territorio e la possibilità di stabilire norme di emissioni più rigorose per il rispetto delle norme di qualità ambientale. Queste ultime Norme derivano dai richiamati Piani di Tutela della Qualità dell’Aria e dell’Acqua. Alla fine il potere delle istituzioni locali è a mio giudizio rilevante nel bilanciamento degli interessi in campo.
Sole24ore: il carbone è incompatibile con l'Europa
Riportiamo un articolo di V. Castronovo dal Sole24ore
A distanza di un secolo e mezzo da quando l'elettricità e il petrolio cominciarono a scalfire la preminenza del carbone (che nel 1914 forniva ancora, da solo, l'87% dell'energia su scala mondiale), questo combustibile fossile appare destinato ora a riguadagnare terreno.
Si prevede infatti che, con la riduzione dal 14 al 10% della quota globale di energia nucleare, dovuta ai tagli in corso, almeno un terzo della domanda da ricollocare verrà convogliata verso il mercato del carbone. E ciò anche in Europa.
Nel Vecchio Continente si tornerebbe così a riportare in auge quella che a metà dell'Ottocento il Times definiva una «moderna pietra filosofale», alla luce del ruolo decisivo svolto dal carbone nell'innesco della Rivoluzione industriale, e che Friedrick Siemens, a sua volta, considerava «la misura di tutte le cose». Era stato infatti il carbone a imprimere un ritmo più veloce ai progressi dell'economia e a determinare, nello stesso tempo, mutamenti significativi nello scenario sociale: dopo che aveva alimentato, grazie alla trasformazione dell'acqua in vapore, gli altiforni per la fabbricazione dell'acciaio e meccanizzato gli opifici tessili; inaugurato l'età della ferrovia (con le prime locomotive, al posto delle vecchie diligenze) e del trasporto marittimo su navi di grossa stazza (in sostituzione delle imbarcazioni a vela); e segnato una netta separazione fra i paesi del "cavallo vapore", sospinti in avanti dall'industrializzazione e da una crescente mobilitazione di capitali, e quelli rimasti indietro, del "cavallo da tiro", ancorati a un'agricoltura per lo più di sussistenza e al presidio delle rendite fondiarie.
Tuttavia, la marcia trionfale della Gran Bretagna, e man mano del Belgio, della Francia, della Germania e degli Stati Uniti aveva comportato, oltre alle spossanti fatiche di una massa di minatori adibiti a scavare col piccone giacimenti minerari sempre più profondi, il degrado di intere contrade in altrettante "regioni nere", con il paesaggio delle campagne deturpato dai pozzi d'estrazione del carbone e il cielo delle nuove città-fabbriche offuscato perennemente dal fumo delle ciminiere. L'assoggettamento della manodopera a un lavoro massacrante nel sottosuolo (con una sequela di incidenti mortali) e l'abbruttimento della natura circostante si sarebbero ripetuti, durante la rincorsa dei second comers ai paesi più avanzati, via via che la frontiera del carbone andò spostandosi dal cuore dell'Europa occidentale verso Est, all'Ucraina, agli Urali, all'Asia centrale, e, di qui, infine, alla Cina e all'India.
Dopo che la Comunità europea era sorta nel 1957 sulle orme di quella del carbone e dell'acciaio istituita sei anni prima (che aveva per epicentro il vecchio bacino minerario-metallurgico della Ruhr), questa impronta originaria della sua economia s'era venuta progressivamente sbiadendo, anche ai tempi dell'emergenza energetica successivi all'impennata dei prezzi petroliferi nel 1973 e 1979. E l'anno scorso la Ue aveva persino deciso di mettere al bando il carbone entro breve scadenza, per ridurre le emissioni ad effetto "serra".
Senonché, dopo lo stop deciso in vari paesi allo sviluppo del nucleare, e in considerazione dei massicci investimenti richiesti dalle energie rinnovabili, si sta pensando di utilizzare una risorsa disponibile da subito, come il carbone, in misura più ampia di quanto già si faccia, dato che esso copre adesso oltre un quarto del consumo energetico della Ue per via del largo uso da parte della Germania e di due paesi emergenti come la Polonia e la Repubblica Ceca.
Ma un ritorno al carbone, sia pur in misura più limitata rispetto a quella d'un tempo, e pur con determinate tecnologie che ne rendono l'impiego più "pulito", significherebbe, in pratica, ripudiare l'impegno assunto da Bruxelles, e più volte ribadito, per l'attuazione nel suo ambito di un processo di sviluppo «responsabile e sostenibile». D'altra parte, si aggraverebbe ulteriormente l'inquinamento del clima e dell'ambiente dovuto all'utilizzo intenso e sistematico che del carbone continuano a fare Cina e India, ma anche gli Stati Uniti. E ciò, nonostante le reiterate e argomentate denunce espresse in varie sedi internazionali affinché si provveda per tempo ad attuare un'efficace politica per la salvaguardia dell'ecosistema.