No al carbone Alto Lazio

21 dicembre 2010

Sulle nuove centrali a carbone italiane

Da reteclima.it
Gli ultimi due progetti italiani di impianti a carbone si stanno per realizzare in Calabria: una nuova centrale a Saline Joniche (RC) a cui si aggiunge la riconversione a carbone dei gruppi a olio combustibile della centrale Enel di Rossano Calabro

Si tratta di due operazioni che comporteranno emissioni aggiuntive rispettivamente per 7,5 e 6,7 milioni di tonnellate di CO2 all'anno e che stanno incontrando forti resistenze sui territori dove andranno ad essere realizzate.

Ma a fianco di questo due esempi ci sono anche altri progetti italiani nel carbone: Civitavecchia (con riconversione ormai terminata, ed ora già attiva), Porto Tolle (sul delta del Po, in fase progettuale), Vado Ligure (SV), Fiume Santo di Sardegna (con iter autorizzativo da parte del Ministro dello Sviluppo Economico già terminato).

Secondo il report di Greenpeace sui grandi inquinatori recentemente diffuso, se alla centrale di Civitavecchia -riconvertita ed ora attiva- si affiancassero tutti questi nuovi gruppi o centrali proposti le emissioni di CO2 degli impianti a carbone raddoppierebbero in pochi anni passando dagli attuali 35,9 milioni di tonnellate a 74,8: un contributo di 38,9 MtCO2 che renderebbe impossibile il raggiungimento degli obiettivi nazionali al 2020.

Dal dossier di Greenpeace: "In Italia sono attive 12 centrali a carbone che nel 2009, a fronte di una produzione di solo il 13% di elettricità, hanno emesso addirittura il 30% dell’anidride carbonica prodotta complessivamente dal settore termoelettrico, con circa 36 milioni di tonnellate (Mt) di CO2 sul totale di circa 122" (quasi il 30%).

Secondo il report, tra tutte le attività coinvolte nel mercato europeo delle emissioni (EU-ETS) le centrali a carbone sono state le uniche ad emettere di più rispetto ai permessi gratuiti assegnati: mentre industria e settore termoelettrico nel complesso hanno visto ridurre significativamente le emissioni dal 2008 al 2009 e sono riusciti a rispettare gli obblighi di riduzione previsti dalla direttiva europea per il 2009 con ampi margini (rispettivamente 23 Mt e 3,5 Mt), gli impianti a carbone italiani hanno sforato di 3,6 milioni di tonnellate di CO2.

Il dossier di Greenpeace mostra come, oltre ad aggravare il problema emissioni, il carbone non serva all’Italia per risolvere i suoi problemi energetici ed anzi: "Peggiorerà la dipendenza energetica del nostro Paese dall’estero, visto che già oggi importiamo più del 99% del carbone utilizzato; non abbasserà la bolletta energetica del Paese, visto che dei potenziali risparmi nell’acquisto del combustibile beneficeranno soprattutto i bilanci delle aziende energetiche e faticheranno ad arrivare nelle bollette degli italiani; peserà alla fine sulle casse dello Stato visto che ci condannerà a pagare le multe di Kyoto e del 20-20-20.

Greenpeace constata come il carbone sia un combustibile a basso prezzo solo perché, oltre non vedere incluse nel prezzo esternalità negative come i danni ambientali e sanitari, è drogato dai sussidi statali: la Commissione europea ha stimato in circa 3 miliardi di euro all’anno i sussidi pubblici che hanno sostenuto la filiera europea del carbone tra il 2007 e il 2009 (2 dei quali in Germania).

A causa dei consumi sempre più importanti da parte dei paesi con economie emergenti, a partire da Cina e India, infine le riserve di carbone stanno diminuendo con tassi davvero inaspettati.

Per lo studio di Greenpeace: "Secondo le stime di Bp se 10 anni fa la disponibilità residua di carbone rapportata ai tassi di utilizzo era valutata in 240 anni, le ultime cifre aggiornate al 2010 sono scese addirittura a 119 anni. Continuando di questo passo tra 10 anni le riserve residue di carbone diventerebbero equivalenti a quelle di petrolio e gas, esauribili in 50-60 anni".

Si deve cambiare strada, per virtù o per necessità.

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18 dicembre 2010

Saluto a Luigi Daga

Da UnoNotizie parole di commiato a Luigi Daga, uno di noi.

"Sapevamo che da tempo era gravemente malato, ma noi tutti speravamo che alla fine la sua forza di volontà e il suo carattere avrebbero vinto anche questa improba battaglia.
Invece purtroppo non è stato così. Stavolta il buon Luigi, dopo aver lungamente combattuto come suo solito, non ce l'ha fatta.

Ieri un male terribile e spietato si è portato via Luigi Daga, da sempre attivo in politica sia alla Regione Lazio, che in Provincia di Viterbo, soprattutto nella sua amata Tarquinia. Le sue battaglie contro mafia e politicanti, le sue battaglie sociali e politiche resteranno per sempre memorabili e indelebili nei ricordi di tutti noi.

Luigi Daga era stato tra i membri più illustri del Comitato No Coke Alto Lazio e del Comitato Cittadini Liberi di Tarquinia con i quali condivideva tante meritevoli iniziative in favore della salute e della legalità nella Maremma Etrusca, in particolare a Tarquinia e nella vicina Civitavecchia, dove si era fatto anche qualche nemico, soprattutto tra sindaci e sponsor politici che lui aveva ben smascherato..."

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Soldi sporchi per un greewashing dannoso: i petrolieri per le CCS

Da costituenteecologista

"La vittoria dei petrolieri: soldi per la cattura della CO2

A Cancun è passata inosservata la decisione di ammettere la Ccs tra i meccanismi finanziabili dai crediti di Kyoto. L’hanno voluta Sauditi e petrolieri anche per riciclare i pozzi.

Ventisei, tanti sono gli atti decisi nel negoziato di Cancún. Uno di questi è passato quasi inosservato, forse per gli oscuri bizantinismi della formula. Per la prima volta i Ccs sono stati inclusi nei Cdm. Dietro queste sigle si nasconde una delle vittorie del settore petrolifero al Cop16 e l’affermazione di una tecnologia fortemente controversa: quella della cattura e stoccaggio della Co2, responsabile dell’effetto serra. Ma andiamo per ordine. I Cdm, Clean Development Mechanism, sono un meccanismo finanziario per i paesi in via di sviluppo costituito a Kyoto, secondo il quale progetti che tagliano le emissioni ricevono crediti che possono essere venduti sui mercati finanziari.

I Ccs invece sono dei macchinari complicati di “Cattura e stoccaggio” della Co2 emessa durante combustione di energia fossile per produrre energia o da processi industriali, in particolare la produzione del cemento. La Co2 “sequestrata” è stoccata in depositi sotterranei per diminuire l’impatto delle centrali superinquinati. Nonostante ad alcuni i Ccs sembrino la bacchetta magica per ridurre le emissioni, a oggi questa tecnologia non era mai stata inserita nella lista delle tipologie da premiare. Perché? Troppi dubbi sull’efficacia dello stoccaggio della Co2, sia tecnici che economici. Secondo i critici, i Ccs sono una strategia per il settore dei combustibili fossili per continuare a inquinare senza sanzioni economiche e rallentare il settore delle rinnovabili.

«Le tecnologie Ccs sono economicamente costose», spiega Vincenzo Ferrara dell’Enea «riducono l’efficienza energetica degli impianti a cui vengono applicate e pongono dei problemi di rischio ambientale». A Cancún chi ha premuto per la cattura e lo stoccaggio del carbone è stata soprattutto l’Arabia Saudita, in cambio del suo assenso sulla tutela delle foreste. Da anni i sauditi investono nel settore per compensare le emissioni legate al settore estrattivo. Ora i Cdm, se confermati al prossimo negoziato, potrebbero sbloccare investimenti multimiliardari. L’accordo interessa soprattutto Masdar, la compagnia energetica di Abu Dhabi, uno dei grandi player nella cattura e stoccaggio del carbone. Ma i sauditi non sono i soli. Secondo il ministro dell’ambiente americano Steven Chu: «entro il 2019 i Ccs devono essere in grado di ridurre le emissioni delle centrali a carbone, responsabili del 40% della produzione totale di Co2».

Per l’Agenzia Internazionale dell’energia il mondo si deve dotare di almeno 100 impianti Ccs entro il 2020. E in Europa la tecnologia è stata introdotta nel pacchetto “Clima e energia”. Per capire gli interessi dell’industria petrolifera nel settore bisogna guardare ai 440 pozzi in fase terminale nel Mare del Nord. Per le compagnie petrolifere questi pozzi potrebbero essere riconverti in 440 depositi di stoccaggio della Co2 in forma liquida. Ci guadagnerebbero sull’affitto dei pozzi e sui certificati di non emissione per lo stoccaggio, mentre la gestione finale dei depositi di Co2 graverà sullo Stato. «Da questo punto di vista è evidente come mai che i più grandi supporter dei Ccs siano Bp, Shell e Total», sostiene Fabriano Fabbri, ex segretario tecnico del Ministero dell’ambiente.

Una ricerca della Duke University ha mostrato chiaramente che lo stoccaggio della Co2 può contaminare le falde sotterranee. «Il problema è che se questo modo di fare dilaga - continua Ferrara - gli affari aumentano, i problemi del clima non si risolvono, lo sviluppo economico decarbonizzato non partirà mai e, infine, ci ritroveremo con nuovi problemi ambientali associati allo smaltimento dell’anidride carbonica».

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16 dicembre 2010

Intervallo: cielo invernale su Civitavecchia

Mattina di giovedì 16/12/2010. Se siete almeno trentenni potete immaginarvela con l'arpa solista dell'"intervallo" RAI.

Grazie a un libero cittadino che ha condiviso.

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Minatori-schiavi

"Cina: operai o schiavi?" E' anche grazie alle inumane condizioni di lavoro dei minatori del carbone in molti paesi del mondo, che il prezzo dell'estrazione resta basso. Articolo da panorama.it

"Non è una novità leggere che la Repubblica popolare viene accusata di aver sfruttato oltre ogni limite migliaia di lavoratori che pur di offrire alle loro famiglie un futuro migliore accettano di subire qualsiasi tipo di prevaricazione. E’ già stato scritto molte volte che in alcune fabbriche gli operai migranti vivono in condizioni talmente disagiate da indurre i lavoratori caratterialmente più deboli a tentare il suicidio pur di cambiare vita, come è successo da Foxconn e in chissà quante altre aziende senza che i media lo abbiano saputo.

Oggi gli operai cinesi hanno imparato a scioperare, e alcuni, protestando, sono persino riusciti a strappare un salario accettabile e condizioni di lavoro più umane. Un miglioramento che, invece, chi lavora per i cinesi all’estero fa più fatica a ottenere. Lo dimostra il caso dello Zambia, dove gli imprenditori orientali continuano a sfruttare i ricavi delle miniere di carbone senza interessarsi delle condizioni in cui vivono e lavorono gli operai-schiavi da loro assoldati.

Orari massacranti, salari da fame (un centinaio di dollari al mese, circa). Niente mascherine o calzature adeguate. Solo quando alcuni imprenditori hanno risposto alle proteste dei minatori con colpi di pistola il governo ha deciso di intervenire. E’ stato negoziato un nuovo contratto che tra stipendio e benefit per i trasporti impone come minimo salariale poco meno di 150 dollari. E i due boss cinesi verranno processati a gennaio per tentato omicidio. Purtroppo, però, il governo non può fare di più: solo nel 2009, la Cina ha investito più di quattrocento milioni di dollari nelle miniere dello Zambia, e Lusaka non può permettersi di giocarsi l’amicizia di Pechino.

Quello che devono invece sperare i lavoratori e che continue proteste contro gli imprenditori cinesi possano spingere questi ultimi ad offrire fin dall’inizio condizioni di impiego più umane, senza aspettare la condanna della comunità internazionale per introdurre qualche forma di miglioramento. Una speranza, questa, in cui può essere più facile credere in giorni in cui la Cina si mobilita contro la Jiaersi Green Construction Material, nello Xinjiang, azienda accusata di aver acquistato da un’organizzazione umanitaria undici disabili mentali per poi farli lavorare come schiavi, gratis. Finalmente, la polizia ha promesso che il caso non verrà chiuso fino a quando non sarà fatta giustizia.

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13 dicembre 2010

"Tutto quadra" (purtroppo per noi)

L'analisi di Antonio Manunta

L'area coinvolta (litorale nord di Civitavecchia)

"E' impossibile non trarre le conclusioni che l'ostinazione del sindaco Moscherini a poter disporre delle zone alle spalle delle centrali elettriche e del porto, conduca oltre alla realizzazione del megaprogetto anche all'inceneritore presso la centrale Enel ed esattamente dove gli accordi prevedevano la piantumazione del bosco Enel di 40 ettari. E' la zona perfetta per la risoluzione ottimale dell'enorme problema dei rifiuti romani che essendo scarsamente differenziati sono della peggior specie sia per il presente conferimento in qualsiasi discarica che, ed è il nostro caso, per l'incenerimento. Ciò che rende più credibile ed attuabile questa soluzione è il passaggio della linea ferroviaria tirrenica esattamente lì, a ridosso delle grandi cupole deposito del carbone e al fianco dei bruciatori della centrale elettrica, con trasporto in carri ferroviari opportunamente predisposti da un punto di raccolta a Roma e convergenti con derivazioni ferroviarie e banchine in quell'enorme spazio dentro la centrale. Qualche malizioso potrebbe anche pensare che l'allarme su una megadiscarica nelle vicinanze del deposito NBCC di Santa Lucia sia un diversivo ad arte, per la sommatoria di problema trasporto, preparazione, gestione sito, impatto generale, ecc. a renderlo complicatissimo. Roma e Lazio conferiscono in discarica quasi 3 milioni di tonnellate annue, una quantità enorme di rifiuti contenenti tutta la materia fisica e chimica immaginabile, che tale rimane nonostante ripetuti proclami di aumento della differenziazione. Il trasporto è un pari problema per il numero e la circolazione di migliaia di camion sulle strade regionali e quindi il ragionamento ci porta dritti dritti e comodamente in treno, in bocca alla centrale Enel o meglio nelle caldaie dei bruciatori. Per Enel rappresenta combustibile, per Roma risparmio economico e per Civitavecchia introiti da servitù, con tutti gli attori soddisfatti ad esclusione di chi subirà il pesantissimo fattore ambientale dell'incenerimento massiccio dei rifiuti che si aggiunge a tutti gli altri inquinanti di terra, mare ed aria di cui Civitavecchia soffre. L' agire e il progettare per macrosistemi di Moscherini, con la sua convinzione che il resto si assesti da solo, a cascata, senza badare a chi e come si gestiscono i servizi aumenta questa convinzione. Egli probabilmente pensa che aumentando le entrate e i "fatturati" dell' "azienda Comune", comunque ed in qualsiasi modo avvengano, anziché ricercare un equilibrio gestionale, i problemi si auto-risolvono. La storia e l'analisi di città simili alla nostra dicono che problemi e disservizi aumentato in numero e in percentuale, e viene da chiedersi se tutte quelle persone che circondano Moscherini, quelle che lo approvano, lo adulano, lo sostengono, lo subiscono e che contrariamente a lui hanno intelligenze più terrene, con radici ed affetti in questo territorio, si fanno domande e riflettono su queste questioni.

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Allumiere, comincia la racconta porta-a-porta

Da BigNotizie.it

"Nel comune di Allumiere è partita la raccolta differenziata porta a porta. Per un uso più intelligente delle risorse a disposizione, il sindaco Augusto Battilocchio ed il suo team – assessore Enrica Artebani in primis - hanno pensato al recupero dei materiali di riciclo.

In realtà da tempo l'amministrazione collinare ha intrapreso la strada (non sempre facile) della differenziata, ottenendo anche dei premi come uno dei comuni più ricicloni del Lazio. Da oggi però il primo cittadino ha coinvolto la cittadinanza in un ulteriore passo avanti, proponendo la raccolta domiciliare.

"Impiegata in molte città sia di Italia che di Europa – ha spiegato Battilocchio, d'accordo con la Artebani – la raccolta domiciliare ha il grande vantaggio di una maggiore comodità per tutti i cittadini. Rispetto a prima, i contenitori personali sostituiranno i cassonetti stradali, mentre i bidoni per le vie saranno destinati all'uso dei soli esercizi commerciali. Con la differenziata ogni rifiuto segue strade diverse, attraverso le quali viene trasformato di nuovo in qualche oggetto e risorsa utile. Ogni materiale riciclabile dovrà essere messo nell'apposito contenitore, mentre ciò che non è riciclabile verrà smaltito con particolari procedure, in modo da provocare il minor danno possibile all'ambiente".

Per rendere più facile la nuova raccolta, è stato fornito ai cittadini un utile elenco di tutti i materiali dalla A alla Z divisi in categorie (alimentari, organici, vetro, abiti, plastica, carta e non riciclabili) ed è in funzione presso la sede locale dell'Avis un punto informativo aperto dal lunedì al venerdì mattina. Per ulteriori informazioni è possibile anche rivolgersi presso l'Ufficio Tecnico del Comune, dal lunedì al sabato dalle 11 alle 13.

I rifiuti ingombranti e particolari potranno essere smaltiti presso l'isola ecologica della Cavaccia.

Tutti i cittadini dovranno rispettare le ordinanze relative al servizio, in particolare quello delle utenze domiciliari. A tutti i trasgressori verranno applicate pene pecuniarie secondo i termini di legge.

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Pendolarismo da Terzo Mondo

Da centumcellae.it la testimonianza di un libero cittadino

"Osservare con costanza la vita dei pendolari che ogni mattina partono da Civitavecchia alla volta di Roma è assai interessante perché, per quanto microscopica e temporanea, questa condizione è rivelatrice di una realtà sociale più vasta.
Innanzitutto è necessario chiarire chi sono i pendolari da un punto di vista economico. E’ presto detto. In genere appartengono a categorie di lavoratori dipendenti a reddito medio-basso, siano essi operai salariati, piccola borghesia impiegatizia, addetti ai servizi con scarsa qualifica. C’è poi chi il reddito deve ancora procacciarselo come nel caso degli studenti.
Stabilito che noi pendolari apparteniamo principalmente a fasce sociali che vivono di salari e stipendi modesti, o poco più, notiamo che proprio per questo motivo ci troviamo per tutta la durata del viaggio immersi in un universo saturo di costrizioni. Vediamole.
1) Si viaggia con persone che non si scelgono. In altre parole, per quanto provvisoria, la compagnia è obbligata. Da qui l’affannosa preoccupazione di reperire posti per amici e colleghi di lavoro (simpatici).
2) L’ora e un quarto (salvo ritardi) di viaggio da Civitavecchia a Termini è trascorsa in spazi ristretti, promiscui, dove la pulizia lascia molto, molto a desiderare e il contatto fisico diventa spesso inevitabile favorito per di più dall’effetto sardina provocato dal sovraffollamento.
3) Non è possibile alcuna intimità. E se questa viene comunque manifestata (ad esempio, dormire) si è sottoposti all’attenzione esterna. Consapevolezza che, per restare al precedente esempio, ti fa dormire con un occhio solo per paura di furti, molestie ecc. In breve: il pendolare è sempre in allarme.
4) In piedi o seduti si è costretti in posizioni del corpo e posture obbligate. Dato il sovraffollamento e gli spazi angusti non è possibile muoversi a piacimento. E se si osa farlo si è sottoposti alla censura dei colleghi pendolari.
5) Qualsiasi conversazione faccia a faccia o telefonica è ascoltata da estranei (per la gioia del sociologo che così raccoglie abbondanti informazioni senza l’onere di intervistare qualcuno). Alla stessa visibilità pubblica sono sottoposti comportamenti espressivi quali ridere, scherzare, scambiare tenerezze con il proprio partner ecc.
6) Anonime voci emesse da altoparlanti lanciano periodicamente avvisi (essere in possesso del biglietto ecc.), ricordano i divieti e intimano punizioni (la multa, per esempio).
7) Infine, il pendolare è sottoposto a un regime di sorveglianza costante e ad eventuali sanzioni pubbliche da parte di personale in divisa.
L’insieme di questi fattori ci offre una realtà sociale assai ben definita. A cosa somiglia? A un carcere. Ancora più precisamente somiglia alla vita in cella. Sembra proprio che la prigione costituisca il modello a cui si sono ispirati coloro che hanno pensato e realizzato gli interni dei vagoni per pendolari. Ma si potrebbe obiettare che in fondo anche prendere il treno una volta l’anno per andare in vacanza significa trovarsi in compagnia di sconosciuti, all’interno di spazi ristretti, sovraffollati ecc. Vero. Però il turista baratta la rinuncia al proprio privato in cambio di un’aspettativa piacevole e per poche volte all’anno.
Il pendolare invece risponde a un obbligo tutti i giorni, spesso per decenni o per tutta la vita. Ne consegue che il significato della sua condizione e il senso del suo vissuto sono imparagonabili rispetto a quelli di altri viaggiatori che sono tali per scelta. Ed sono imparagonabili anche con viaggiatori che, saltuariamente, si trovano in situazioni simili.
Al di là di questa disputa ciò che unifica forse ogni viaggiatore che utilizza il treno è che si potrebbero realizzare vagoni molto più comodi e inventare soluzioni per rendere gli interni a misura d’uomo. Manca la tecnologia?
Nient’affatto. Siamo asfissiati dalla tecnologia. Manca la volontà politica. In breve: si potrebbe tranquillamente realizzare una modalità di viaggio di gran lunga qualitativamente migliore dell’attuale.
Perché il pendolare si trova invece a vivere quotidianamente un’odissea fatta di
bagni inagibili, sedili sporchi, sovraffollamento, climatizzatori che non funzionano, vagoni maleodoranti, ritardi e lunghi tempi di percorrenza?
Semplice: non appartiene a fasce sociali vincenti. Quelle che in Italia non pagano le tasse e non vanno in prigione e che comunque quando viaggiano in treno si trovano in situazioni molto più confortevoli e non in carri bestiame.
Eppoi raramente, se non mai, la media e alta borghesia utilizzano il mezzo pubblico per spostarsi. Questo è destinato al popolo. E farlo viaggiare in condizioni punitive è una tecnica di controllo sociale. Ci si stanca di più, si diventa maggiormente egoisti, non si ha tempo da dedicare al prossimo e non ci si vede inseriti in una collettività.
Infatti, nonostante da decenni la tratta Civitavecchia-Roma sia indegna di un paese civile, i pendolari non riescono a migliorare la propria condizione. Non si tratta di un problema locale, ma nazionale. I due milioni e mezzo di pendolari italiani vivono più o meno gli stessi disagi ormai da generazioni. Occorrerebbe un’altra politica per non trovarci ogni giorno a passare delle ore dentro un carcere con le ruote. Una politica che metta al primo posto l’essere umano. Una politica che non c’è. E la favoletta delle risorse scarse la vadano a raccontare a qualcun altro.


Patrizio Paolinelli"

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enel ci augura una buona serata


Civitavecchia, 12/12/2010, ore 20:20. 
Un cittadino ci regala questa veduta sulla perla (sempre più nera) del Tirreno.


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I sonetti di Giancarlo Peris: "La foresta"

A tre mesi dall'avvìo della rubrica pubblichiamo l'undicesimo sonetto del prof. G. Peris. Questo "La foresta" ci ricorda come la diatriba sugli alberi da piantare a ridosso di TVN (a parzialissima compensazione per il danno ambientale, oggi previsto da prescrizioni VIA) abbia ormai 10 anni d'età, eppure nel sito dove dovrebbe sorgere il piccolo boschetto ad oggi si trovano solo serbatoi e una discarica abusiva enel.

La foresta 19 ottobre 2001


Lavoro e Ambiente dice che er carbone
Da mette a Torre Nord, a la centrale,
E’ forse er marchingegno più geniale
Pe’ fa’ cresce salute e occupazione.


Però, p’esse sicuri de ‘st’opzione,
E fa’ contento tutto er litorale,
Dovrebbe l’Enele imbocca’ er canale
De ribassa’ più ancora l’emissione.


Poi dice che pe’ contrasta’ cor fatto
Che spandono ne l’aria l’anidride,
Bisogna mette l’arberi a filagna;


E quindi ‘na foresta c’è ner patto
Che annrà, p’esse quarcosa che un po’ incide,
Da la Calabria infino a la Romagna.

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Carbone a TorreValdaliga Nord, 2010

Dal dossier 2010 "Carbone: un ritorno al passato" di Legambiente (pp. 17-18), riportiamo il paragrafo dedicato alla centrale a carbone enel Torrevaldaliga Nord:

"Nonostante referendum, manifestazioni e iniziative di cittadini e di molte istituzioni, si è conclusa nel 2009 la trasformazione a carbone della centrale di Torrevaldaliga Nord a Civitavecchia. L’impianto, una volta entrato completamente in azione con 6.500 ore all’anno di lavoro con i suoi 1.980 MW di potenza, sarà il secondo, dopo la centrale Enel di Brindisi Sud, in Italia per emissioni di gas serra, aggravando ulteriormente la situazione già critica di uno dei più grandi poli di produzione termoelettrica d’Europa. A farne parte sono anche le due centrali di Torrevaldaliga Sud e Montalto di Castro, impianti che hanno superato nelle ultime analisi le soglie Ines (Inventario nazionale delle emissioni e loro sorgenti) per diversi inquinanti, come ossidi di zolfo, ossidi di azoto, cadmio, cromo e nichel, per 6.700 MW di potenza installata.
Tornando alla centrale a carbone, è evidente il notevole ritardo nella realizzazione delle prescrizioni individuate nel Decreto Via n. 680/2003 a tutela dei cittadini e dell’ambiente. La rete dell’Osservatorio Ambientale ha ricominciato, dopo 5 anni di silenzio, a comunicare i dati, ma rimangono sconosciuti i valori rilevati dallo Sme (il sistema di monitoraggio in continuo delle emissioni). È ferma la realizzazione dell’area boscata di circa 40 ettari, denominata “Parco dei Serbatoi” (anzi nell’area individuata la Procura della Repubblica ha avviato un inchiesta visto l’accumulo di rifiuti di cantiere);
addirittura il Comune di Civitavecchia ha chiesto di soprassedere dalla realizzazione dell’opera di mitigazione ambientale, in cambio di altri interventi. Il biomonitoraggio ambientale è datato e condotto con metodologie ormai superate. Il discutibile trapianto di posidonia oceanica, inserito tra le prescrizioni per mitigare l’impatto della “Darsena energetica grandi masse”, presenta diverse aree distrutte e la prateria in pessimo stato.
È stata appena avviata, e già si parla di modifiche alle autorizzazioni per bruciare anche Cdr, ma la centrale ha già diversi problemi con il rumore: accade che di notte rombi e sibili sveglino i cittadini, tanto che anche in questo caso la Procura ha aperto un’inchiesta dalla quale si arriva a capire che il problema sarebbe nel desolforatore.
Nel frattempo dalla relazione semestrale sulle attività della Direzione Investigativa Antimafia circa le infiltrazioni mafiose a Roma e nel Lazio, come risulta dalle anticipazioni sulla stampa romana dei giorni scorsi, emerge un quadro estremamente allarmante, anche per gli interessi «criminali per le imprese attive nei lavori della centrale di Torrevaldaliga Nord».
Intanto nell’adiacente centrale termoelettrica di Torrevaldaliga Sud sembra invece
sventata la riattivazione e conversione a carbone del quarto gruppo ora inattivo."

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12 dicembre 2010

Dossier "Carbone: ritorno al passato"

Riportiamo da DazebaoNews:

"Legambiente presenta i numeri e i motivi del ‘NO’ nel dossier ‘Carbone: ritorno al passato." (Clicca qui per scaricare il dossier)

Una centrale tutta nuova a Saline Joniche in provincia di Reggio Calabria e la riconversione della centrale di Rossano Calabro per i gruppi alimentati a olio combustibile. Sono le ultime due proposte di ‘ritorno al passato’ fondate sul carbone che l’Italia potrebbe vedere realizzate dopo la riconversione, già attuata, della centrale di Civitavecchia (Rm), il nuovo gruppo autorizzato di Fiume Santo in Sardegna e i progetti di Porto Tolle (Ro) sul delta del Po e Vado Ligure (Sv), sui quali manca solo la firma del decreto autorizzativo da parte del Ministro dello Sviluppo economico.

Ora c’è la Calabria nel mirino di chi ha scelto di puntare sulla fonte fossile più
climalterante e maggiormente in contrasto con la lotta ai cambiamenti climatici, e proprio in questa regione continua l’opposizione di Legambiente ad una scelta energetica totalmente in contrasto con gli impegni che il Paese ha preso firmando il protocollo di Kyoto e il Pacchetto energia e clima (il cosiddetto 20-20-20). Accordi vincolanti di riduzione dei consumi energetici e delle emissioni di anidride carbonica in atmosfera, che in caso di mancato rispetto, obbligheranno l’Italia al pagamento di pesanti sanzioni.
Oggi a Reggio Calabria, in una conferenza stampa che ha visto la partecipazione, tra gli altri di Massimo Scalia, docente dell’Università la Sapienza di Roma, Giuseppe Neri Assessore Ambiente Provincia Reggio Calabria, Antonio Guarna, Sindaco di Montebello Ionico- Saline, Franco Filareto, Sindaco di Rossano e i rappresentanti di CGIL, CISL e UIL e dei Comitati, Legambiente ha presentato il nuovo dossier ‘Carbone: ritorno al passato’ illustrando, dati alla mano, i motivi per cui la scelta del carbone è sbagliata.
“Le aziende energetiche – spiega il responsabile scientifico di Legambiente, Stefano Ciafani - continuano a puntare sul carbone come fonte per la produzione elettrica, grazie alla politica di sostegno da parte del Governo, incurante dei problemi legati all’uso di questo combustibile, a partire dalle rilevantissime emissioni di gas serra, tangibili negli impianti che già oggi lo usano sul territorio italiano. L’utilità del carbone – ha aggiunto Ciafani - è una pura propaganda da ‘Paese delle meraviglie’ che nulla a che fare con la realtà e con l’Italia, alle prese con i suoi problemi energetici e con i ritardi rispetto agli obblighi internazionali per combattere l’aumento dell’effetto serra”.

Come tutte le proposte fatte finora nel resto d’Italia, secondo Legambiente, anche i progetti che si vogliono attuare in Calabria, sono assolutamente dannosi visto che aumenteranno la produzione di elettricità dalla fonte fossile più dannosa per il clima, allontanandoci ulteriormente dagli obiettivi di riduzione delle nostre emissioni, senza portare rilevanti vantaggi al fabbisogno di energia. L’associazione ricorda, infatti, che nel 2009 le 12 centrali a carbone attive in Italia, a fronte di una produzione di solo il 13% di elettricità, hanno emesso il 30% dell’anidride carbonica prodotta complessivamente dal settore termoelettrico, circa 36 milioni di tonnellate (Mt) di CO2 sul totale di circa 122, risultando il settore industriale peggiore rispetto agli obblighi di riduzione previsti da Kyoto.
Anche nel 2009 il peggior impianto termoelettrico per emissioni di CO2 si conferma la centrale Enel di Brindisi Sud (13 Mt), a seguire l’impianto di Fusina (Ve) (4,3 Mt) e quello di Fiume Santo (Ss) di proprietà di E.On (4,1 Mt).
Secondo i calcoli di Legambiente se alla centrale riconvertita di Civitavecchia ormai in attività si affiancassero i nuovi gruppi o centrali proposti dalle aziende energetiche, le emissioni di CO2 degli impianti a carbone raddoppierebbero in pochi anni, passando dagli attuali 35,9 milioni di tonnellate a 74,8.

“La Calabria oggi – ha proseguito Nuccio Barillà, del direttivo nazionale di Legambiente -diventa l’avamposto di una battaglia che vede contrapposte due visioni molto diverse delle politiche energetiche e dello sviluppo per il Sud del Paese. Da un lato la valorizzazione delle risorse del territorio, l’innovazione e l’efficienza, come investimento di futuro, dall’altro un’idea sorpassata di sistema energetico che inquina, degrada ulteriormente i territori e non offre risposte efficaci alle attese delle popolazioni, neanche sotto l’aspetto occupazionale. Non si capisce infatti quali sarebbero le ricadute positive di un progetto, come quello della SEI a Saline, mentre sono evidenti e, allo stato, inevitabili le conseguenze negative delle emissioni della centrale che inquinerà l’aria e riverserà in atmosfera ben 7,5 milioni di tonnellate di CO2 all’anno”.
“E poi c’è il progetto di riconversione a carbone della centrale Enel di Rossano Calabro – ha aggiunto Franco Falcone, direttore di Legambiente Calabria - che oltre ad aver trovato, come a Saline, l’opposizione di tutti gli enti locali, ha avuto per adesso anche lo stop della Commissione VIA del Ministero dell’Ambiente. Sui progetti di Rossano e Saline grava poi, fortunatamente, la netta opposizione della Regione, che ha rinnovato il suo no alle centrali a carbone scritto nel 2005 nel Piano energetico attraverso una recentissima mozione approvata all’unanimità in Consiglio regionale”.

“Sul carbone in Italia – ha concluso Ciafani - si continua a millantare e a omettere tutti i problemi connessi al suo uso. Il Governo dica chiaramente se vuole condannare gli italiani al pagamento di pesanti sanzioni che nessuno ci condonerà. Altrimenti, replichi il modello britannico vincolando da subito l’autorizzazione di nuovi progetti a carbone all’effettiva operatività della cattura e del confinamento geologico dell’anidride carbonica”.
Per modernizzare realmente il sistema energetico del Paese, secondo Legambiente è necessario coinvolgere il settore industriale, dei trasporti e dell’edilizia, riducendo i consumi e praticando la via più sostenibile per produrre l’energia elettrica e termica: le fonti rinnovabili. La fonte fossile di transizione verso le sole rinnovabili resta il gas naturale, anche alla luce dei costi più contenuti di oggi, inaspettati fino a qualche anno fa.

I motivi di Legambiente per dire NO al carbone:
- peggiorerà la dipendenza energetica del nostro Paese dall’estero, visto che già oggi importiamo più del 99% del carbone utilizzato nelle centrali elettriche italiane;
- non abbasserà la bolletta energetica del Paese. I potenziali risparmi nell’acquisto del combustibile andranno a beneficio dei bilanci delle aziende energetiche e non arriveranno nelle bollette degli italiani;
- il suo impiego peserà sulle casse dello Stato, visto che ci farà condannare al pagamento delle multe di Kyoto e del 20-20-20.
I falsi miti sul carbone:
- a causa dei consumi sempre più importanti da parte dei paesi con economie emergenti, a partire da Cina e India, le riserve di carbone stanno diminuendo con tassi davvero inaspettati. Secondo le stime di BP se 10 anni fa la disponibilità residua di carbone rapportata ai tassi di utilizzo era valutata in 240 anni, le ultime cifre aggiornate al 2010 sono scese addirittura a 119 anni. Continuando di questo passo tra 10 anni le riserve residue di carbone diventerebbero equivalenti a quelle di petrolio e gas, esauribili in 50-60 anni;
- il basso prezzo del carbone è drogato dai sussidi statali: la Commissione europea ha stimato in circa 3 miliardi di euro all’anno, 2 dei quali solo in Germania, i sussidi pubblici che hanno sostenuto la filiera del carbone tra il 2007 e il 2009 nel vecchio continente, destinati comunque all’esaurimento prima o poi;
- anche la cattura e lo stoccaggio dell’anidride carbonica (CCS - Carbon capture and storage), è ancora una tecnologia tutta da sperimentare su grande scala e anche nella migliore delle ipotesi abbasserà pesantemente il rendimento delle centrali. La tecnologia avrebbe poi una scala industriale solo dopo il 2020.

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Professor Balle Nucleari

Dal blog di Greenpeace.it, a firma di G. Onufrio

Umberto Veronesi continua a deliziarci con le sue sparate a favore del nucleare. Dice per esempio che potrebbe dormire avendo in camera da letto scorie nucleari: “non esce neanche la minima quantità di radiazioni” (AGI, La Repubblica, 30 novembre). Se un’affermazione di questo tipo la facesse come Presidente dell’Agenzia di sicurezza nucleare in qualche documento ufficiale, Veronesi andrebbe denunciato per falso ideologico. E se continuasse a promuovere il nucleare più che a controllarlo violerebbe nella sostanza la Direttiva UE 71/2009, che separa nettamente le due funzioni.

Anche a beneficio del prof. Veronesi, diamo qualche dato. A seconda del tipo di contenitore, la radioattività delle scorie vetrificate a un metro di distanza è di 40, 100 o 200 microSievert all’ora (World Nuclear Transport Institute, luglio 2006). Supponendo che il professor Veronesi dorma 6 ore a notte (è un tipo iperattivo, pare…), ci passerebbe 2.190 ore all’anno, assumendo quindi da 87 a 438 milliSievert (mSv) all’anno (radiazioni gamma e neutroni). La dose massima consentita per un individuo della popolazione è di 1 mSv all’anno. I lavoratori addetti sono, invece, autorizzati a prenderne 20 all’anno. Altro che sonni tranquilli: Veronesi si beccherebbe una dose di radioattività che, grosso modo, è da 80 a 430 volte oltre quella consentita.

Forse il Prof. spera di diventare fosforescente e risparmiare sull’abat jour? Purtroppo così al massimo si fa le lastre ai raggi gamma…

Se invece il professore preferisse tenere in camera da letto materiali nucleari non irraggiati, allora se la passerebbe molto meglio: in questo caso, infatti, si beccherebbe da 1 a 6 microSv all’ora con una dose annuale tra 2 e 12 mSv: dal doppio a 12 volte la dose massima.
Quali le conseguenze? Se, per assurdo, tutti i cittadini italiani seguissero il prof. Veronesi nell’esperimento in questione, avremmo oltre 250 mila casi di tumore fatali all’anno (le stime si riferiscono al tasso di esposizione di cui sopra: non sono di Greenpeace ma dell’ICRP la Commissione Internazionale per la protezione dalla radiazioni). Dubitiamo che basti il Prof. Veronesi a curarli tutti, e sarebbe meglio se il Prof. si facesse almeno un corso rapido sul tema per evitare di dire castronerie del genere.

Il problema è che queste balle non sono le sole di questo suo “battesimo nucleare”. Un’altra riguarda il deposito delle scorie. Il Prof. ci rassicura: questo problema non esiste perché secondo lui le potremo mandare in Spagna dove “c’è una vera e propria gara” dei comuni per accaparrarsi il deposito temporaneo per le scorie nucleari (alla faccia di quei cattivoni di Scanzano Jonico che proprio non ne vollero sapere). In effetti, sugli 8.000 comuni spagnoli, solo 8 comuni (di 5 regioni) hanno dichiarato la loro disponibilità a ospitare le scorie. La gara va male anche perché tutte e cinque le regioni coinvolte si sono un po’ alterate e i parlamenti regionali si stanno opponendo con forza.

Ma qualcuno ha avvisato il governo spagnolo delle intenzioni del nostro futuro Presidente dell’Agenzia di sicurezza nucleare?

Un’altra notizia bislacca (veronesica, potremmo dire) è che in Svizzera sono state “ordinate” tre nuove centrali. Di sicuro ce ne sono tre che devono chiudere e le aziende elettriche le vorrebbero sostituire. La Camera dei Cantoni su iniziativa del Cantone di Basilea, quello più fortemente antinucleare, ha deciso di continuare la procedura decisionale sulle tre centrali che avrà termine con un referendum nel 2013. Mentre da noi i referendum zoppicano, in Svizzera vanno forte: di recente ce ne sono stati due (a carattere locale) che hanno sancito la fuoriuscita dal nucleare di Berna e St Gallen, che si aggiungono alle decisioni antinucleari già prese dalle città di Zurigo, Basilea e Ginevra.

Conclusione: Veronesi straparla del nucleare e vorrebbe essere quello che ci “proteggerà” dalle centrali di Berlusconi e ENEL. Ma chi proteggerà Veronesi da sé stesso? E chi proteggerà noi dalle balle di Veronesi?


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Leggi anche: http://www.terranews.it/news/2010/12/dietro-lo-scenario-spunta-il-bluff-nucleare

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Dopo il "Cancun Act", tutto come prima?

Dopo il falso successo del vertice di Cancun, qualche news dal mondo sulle nuove politiche. Nell'ordine:

  • A Cancun raggiunto un accordo "di mediazione" sul clima.
  • Congresso di Cancun: la svolta della Cina? Un errore di traduzione
  • India favorevole a standard vincolanti per emissioni Co2


A Cancun raggiunto un accordo "di mediazione" sul clima. Sarà la base per la Conferenza di Durban del 2011 (Greenme)
Dopo due settimane di negoziati, dalla 16ma Conferenza ONU sul clima di Cancun che si è conclusa ieri notte (stamattina se consideriamo l'orario italiano), i 194 rappresentanti dei governi di tutto il mondo tornano a casa con la consapevolezza di aver gettato le basi per giungere ad un accordo vincolante contro i cambiamenti climatici. Le 32 pagine, composte da sette capitoli, firmate dai grandi della Terra, infatti, fissano gli obiettivi a lungo termine tra cui un fondo verde e il riconoscimento della scienza per fermare il riscaldamento a 2 gradi.

L'accordo, per niente scontato anche se non vincolante, già è stato ribattezzato dai media “pacchetto di Cancun” o "Cancun Act" e, rispetto a quello uscito dal vertice di Copenhagen dello scorso anno, ha intorno a sé un aurea di speranza in quanto rappresenta un punto di partenza concreto per gli ulteriori negoziati del prossimo anno che si svolgeranno in occasione della Conferenza di Durban in Sudafrica (Cop17).

“Dopo Copenhagen i governi sono venuti a Cancun con le ossa rotte ed esposti alla pressione pubblica per l’avvio di iniziative sui cambiamenti climatici – ha commentato Mariagrazia Midulla responsabile clima WWF Italia - Si sperava che Cancun avrebbe potuto stabilire una piattaforma per garantire dei progressi e ora i paesi stanno lasciando la conferenza con un rinnovato senso di buona volontà e obiettivi più concreti.”

Rispetto a Copenhagen, infatti, l'accordo messicano che è stato rifiutato solamente dal capo negoziatore boliviano Pablo Solon, ma approvato comunque dalla presidente Espinosa appellandosi alla clausola che “basta il consenso, non l'unanimità”, è un “pacchetto bilanciato” dove viene ribadita la necessità di far continuare il Protocollo di Kyoto anche dopo la sua scadenza naturale fissata al 2012, ma anche stabilito che i paesi aderenti dovranno impegnarsi a tagliare le loro emissioni di CO2 da un minimo del 25 ad un massimo del 40%. Inoltre nel pacchetto di decisioni è previsto anche il finanziamento a breve termine di 30 miliardi di dollari – 410 milioni messi sul tavolo dall'Italia – per i Paesi in via di sviluppo nel periodo 2010-2013 oltre che ribadito il fondo di 100 miliardi di dollari l'anno (Green climate fund) per far decollare la green economy nel mondo gestito per tre anni dalla Banca mondiale e da 40 Paesi membri (25 emergenti e 15 industrializzati).

"Questo pacchetto di decisioni contiene notevoli passi in avanti di cui abbiamo bisogno – ha commentato a caldo Wendel Trio, direttore di Greenpeace International Climate Policy - anche se non è perfetto. In particolare va apprezzato l'istituzione del fondo per il clima, i progressi in materia di trasparenza, e la conferma che i paesi sviluppati come gli Stati Uniti devono ridurre le loro emissioni".

“Pur non essendo riusciti a decidere per una seconda fase del Protocollo di Kyoto, è stato avviato un processo che consentirà di farlo l’anno prossimo a Durban. - continua Midulla - Tuttavia permangono difficoltà gravi con i paesi contrari e cioè Giappone e Russia, che ora saranno esposti a pressioni crescenti perché si uniscano alla comunità globale nel rinnovo del Protocollo di Kyoto. I paesi firmatari del Protocollo di Kyoto hanno riconosciuto in modo più fermo la necessità di ridurre le emissioni in misura compresa tra il 25 e il 40% entro il 2020 e hanno riconosciuto che i loro impegni per la riduzione delle emissioni rappresentano solo un inizio ed è necessario fare molto di più per raggiungere l’obiettivo condiviso della limitazione dell’aumento della temperatura a 2°C. Nel corso del prossimo anno dovranno tirarsi su le maniche e prepararsi a lavorare in modo duro e creativo per colmare questo divario.”

Molta parte nel trovare l'accordo è stata fatta sicuramente dalla Presidente messicana Espinoza, che è proprio il caso di dire, è riuscita a gestire e disbrogliare le questioni più “spinose”, aiutando ad avvicinare i governi. Come riporta anche il Corriere della Sera, “E’ stata Patricia Espinosa che si è andata a prendere ad uno ad uno i dissenzienti di Kyoto, a cominciare dal Giappone. E’ stata lei a convincere anche la Russia ed il Canada. Lei che si è presa le lodi, pubbliche e sperticate, di un paese affatto docile, come l’India, per bocca del suo ministro Ramesh”. “La Presidenza ha saputo creare un’atmosfera improntata all’inclusione e all’efficienza che ha aiutato in modo diretto i paesi a ritrovare fiducia nel processo UNFCCC”, commenta il WWF che rispetto alle azioni decise dal Cancun Act continua:

“I governi hanno sostenuto la creazione di un nuovo “fondo verde” globale, ma ora hanno bisogno di identificare fonti di finanziamento innovative, come un sistema di prelievi imposti al settore internazionale dei trasporti aerei e marittimi, attualmente non regolamentato, che sarebbe rivolto all’8% delle emissioni globali e simultaneamente sarebbe in grado di garantire miliardi di dollari di finanziamenti di lungo termine".“La decisione riguardante le emissioni derivanti dalla deforestazione (REDD+) non ha incluso tutto ciò che avremmo desiderato, ma garantisce una solida base per far avanzare un processo REDD credibile e per creareun’agenda per il lavoro futuro.”

Dello stesso parere anche Greenpeace: " il meccanismo REDD sarebbe un passo importante per le foreste, ma è un po 'un passo ubriaco, in quanto i paesi hanno preferito l'ambiguità alla chiarezza. Tuttavia passi in avanti sono stati fatti e questa potrebbe essere la base per una decisione tanto più forte in futuro".

“E’ ancora presto per essere ottimisti ma i risultati del vertice di Cancun sono sicuramente incoraggianti soprattutto rispetto a quelli del precedente summit di Copenaghen. - dichiara anche il presidente di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza - L’accordo sul trasferimento di tecnologie ai Paesi in Via di Sviluppo e sulla protezione delle Foreste rappresentano positivi passi avanti così come aver riconosciuto la necessità di un obiettivo di riduzione delle emissioni al 2020 tra il 25 e il 40%. Restano tuttavia dei grossi nodi da sciogliere, come la questione della ripartizione delle quote e i sistemi di verifica. Ci aspettiamo ora che l’Europa mantenga la linea tenuta fino ad oggi e che l’Italia la segua senza ulteriori indugi. Chiediamo al governo, alle imprese e ai sindaci d’intervenire con incisività nella riduzione delle emissioni. Il primo passo è rinunciare all’utilizzo del carbone per la produzione di energia elettrica”.

Insomma, volendo tirare le somme, si tratta di un accordo che potremmo definire “di mediazione”, in fondo non così diverso da quello raggiunto a Copenhagen che però, anche a sentire le associazioni, sembra un successo date le poche aspettative che ruotavano intorno a questa conferenza, al contrario del clima di speranze che ha accompagnato la Cop15 dello scorso anno, circondata da un'attenzione mediatica ben diversa da quella che ha caratterizzato il vertice messicano, passato praticamente nell'indifferenza di quotidiani e televisioni. Questioni di aspettative dunque? Calcolando che già da ora sono tante quelle che si stanno riversando sulla prossima conferenza di Durban in Sud Africa, tra un anno speriamo proprio di non dover scrivere la parola fallimento perché in tal caso il mondo potrebbe davvero non sopportare le conseguenze. Anche perché, poi, non si potrà più procrastinare: il Protocollo di Kyoto scadrà e il 2012 è una data troppo vicina alla parola “fine”.


Congresso di Cancun: la svolta della Cina? Un errore di traduzione (Ecologiae)
Le speranze che il congresso di Cancun potessero essere un successo sono durate appena un paio di giorni, il tempo che i delegati cinesi correggessero il tiro. La cosiddetta “svolta verde della Cina” che qualche giorno fa sembrava dover portare al prolungamento del Protocollo di Kyoto e all’impegno da parte dei Paesi in via di sviluppo a ridurre le emissioni è stato solo un errore di traduzione.

E’ bastato che l’addetta alla traduzione dal cinese all’inglese prendesse lucciole per lanterne che immediatamente si è scatenato un polverone. Todd Stern, capo negoziatore degli Usa, aveva immediatamente capito cosa stava accadendo, ma quando cercava di spiegarlo ai giornalisti, questi erano convinti che fosse solo una tattica per prendere tempo perché la dichiarazione cinese aveva colto tutti di sorpresa, Stati Uniti compresi. Ieri purtroppo siamo tornati con i piedi per terra.

Il capo delegazione Xie Zhenua ha preso la parola e, nonostante non abbia detto apertamente che la traduzione fosse sbagliata, ha però spiegato, stavolta in inglese in modo che tutti potessero capire, la posizione del suo Paese: sì agli investimenti sulle rinnovabili, sì alla riduzione “generica” della CO2, ma nessun impegno vincolante sui numeri né limiti allo sviluppo industriale. Come in un gioco dell’oca, siamo tornati al punto di partenza.

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India favorevole a standard vincolanti per emissioni Co2 (Reuters)

L'India ha fornito il suo contributo ai tormentati colloqui Onu sul clima dando oggi la disponibilità ad accettare eventuali standard vincolanti per quanto riguarda le emissioni. Lo riportano alcuni quotidiani nazionali, sottolineando come il governo abbia radicalmente cambiato opinione su questo tema.

L'India, infatti, è al terzo posto nel mondo per quanto riguarda le emissioni di gas serra dopo Stati Uniti e Cina, e la rapida crescita economica, con il relativo innalzamento dei consumi, sta provocando anche un aumento della produzione di diossido di carbonio provocato dalle centrali elettriche a carbone, dai trasporti e dalle industrie.

Ma il governo aveva a lungo rifiutato di sottoporsi a standard legalmente vincolanti per quanto riguarda le emissioni, ritenendo questo tipo di accordo un danno per la crescita economica del paese.

Ma il ministro dell'Ambiente Jairam Ramesh, parlando a margine dei colloqui Onu sul clima a Cancun, ha detto che era giunto il momento per l'India di cambiare posizione accettando gli standard vincolanti all'interno di un nuovo patto sul clima.

"Dobbiamo accettare che la realtà globale sta cambiando. Il G77 sta invocando un accordo vincolante", ha detto Ramesh in un'intervista all'Hindustan TImes, facendo riferimento ai 131 stati membri del gruppo delle nazioni in via di sviluppo, di cui l'India fa parte.

"Io ho solo detto che tutti i paesi dovrebbero mirare ad obiettivi che siano vincolanti, all'interno di un'intesa appropriata", ha spiegato il ministro.

I colloqui sul clima dello scorso anno a Copenaghen si chiusero con un accordo non vincolante invece di un nuovo patto che prendesse il posto del Protocollo di Kyoto dal 2013.

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8 dicembre 2010

Henan, 20 vittime in miniera

Fonte: Repubblica.it

"Tredici persone sono morte in un'esplosione in una miniera di carbone nella provincia cinese di Henan. Secondo l'agenzia Xinhua, l'incidente e' avvenuto mentre sotto terra erano a lavoro 33 minatori. Di questi, solo 20 sono riusciti a salvarsi. Sono frequenti gli incidenti nelle miniere cinesi: secondo le autorita', solo l'anno scorso sono morti 2.631 minatori. Statistiche indipendenti parlano di un numero molto piu' alto di vittime."

Aggiornamento: le vittime accertate sono 20

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Celebrato il 6 dicembre l'anniversario della strage di Monongah

Venerdì 6 dicembre 1907, ore 10.30 del mattino. Nella miniera di carbone di Monongah (West Virginia) della Fairmont Coal Company, di proprietà della Consolidated Coal Mine of Baltimore, si verifica un'esplosione avvertita fino a 30 Km di distanza. E' il più grave disastro minerario che la storia degli USA ricordi, ma l'incidente rappresenta anche la più grave sciagura mineraria italiana: su circa 400 minatori morti, oltre la metà erano italiani, quasi tutti originari del Molise.

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Inghilterra, sondaggio tra i giovani: il 94% vuole le rinnovabili

Fonte: Notizie.Virgilio.it
Scienza/ Energia,giovani Gb bocciano carbone e votano rinnovabili
Ricerca del Department of Energy and Climate Change (DECC)

I giovani britannici sposano le energie rinnovabili e bocciano il carbone. Lo dice una ricerca del britannico Department of Energy and Climate Change (DECC). Un gruppo di 299 ragazzi tra i 16 e i 25 anni è stato portato a visitare e conoscere vari impianti di produzione di energia: centrali elettriche, centrali nucleari e progetti che promuovono le fonti rinnovabili. Hanno potuto dialogare con gli esperti, fare domande ai rappresentanti dell'industria e incontrare i
gruppi di pressione. Il risultato non lascia dubbi: il 94% di questi ragazzi ha concluso che le migliori tecnologie energetiche sono l'eolico off-shore e l'energia solare. L'81% sostiene anche l'eolico a terra. Decisamente poco apprezzato il carbone, scelto solo dal 2,2% dei ragazzi. Lo studio fa parte della campagna del Regno Unito per assumere, nelle decisioni politiche sull'energia, anche il punto di vista di chi dovrà convivere con i risultati di quelle decisioni.

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7 dicembre 2010

Disastro in Colombia: è questo il "carbone pulito" di ENEL, SEI & co.


Un bell'articolo di Stefania Summermatter, da swissinfo.ch
E' proprio questo: il "carbone pulito" di enel e della svizzera SEI

"Colombia, il lato oscuro delle miniere svizzere di carbone

In Colombia le attività minerarie hanno portato ricchezza, ma non per tutti. Se le multinazionali continuano a espandersi, il prezzo da pagare per le comunità locali è altissimo: villaggi evacuati, fiumi inquinati, sindacalisti messi a tacere. Violazioni che chiamano in causa pure un'impresa svizzera, che respinge però ogni accusa.

La Colombia è il quinto paese esportatore di carbone al mondo. Dalle miniere del nord, questa materia prima viene trasportata fino in Europa – soprattutto in Germania – e utilizzata per la produzione di energia elettrica. Le centrali a carbone tedesche riforniscono in parte anche le società svizzere, che negli ultimi anni hanno aumentato i loro investimenti nel carbone per coprire il fabbisogno di base.

In diversi paesi europei, l’utilizzo di questo combustibile fossile ha incontrato l’opposizione degli ecologisti per l’elevato tenore di emissioni di CO2 che diffonde nell’atmosfera. Le incognite legate al carbone non si limitano però alle sole centrali, ultimo anello di una catena produttiva, ma si spingono fino alle grandi miniere a cielo aperto che hanno ridisegnato il volto della cordigliera andina.

In paesi come la Colombia, l’estrazione del carbone è all’origine d’importanti violazioni dei diritti umani e del deterioramento dell’ecosistema. La denuncia non è nuova: da diversi anni infatti Amnesty International e il Gruppo di lavoro Svizzera Colombia si battono affinché le materie prime tornino a essere una risorsa per le comunità locali.

«La situazione nel nord della Colombia è particolarmente difficile. Per anni è stata teatro di scontri tra la guerriglia, le forze paramilitari e l'esercito statale», spiega Alfredo Tovar, sindacalista e operaio in una miniera del dipartimento del César. «E a farne le spese è soprattutto la popolazione locale: intere famiglie sono state allontanate o sono scomparse nel nulla. Lavoratori, rappresentanti comunali e dirigenti sindacali sono stati messi a tacere, o uccisi».

Alfredo Tovar è venuto fino in Svizzera per chiedere giustizia. Rivendica assicurazioni sociali per tutti gli operai, norme di sicurezza nelle miniere e un indennizzo alla popolazione per i danni subiti. «L’impatto ambientale dell’estrazione del carbone è enorme: i fiumi vengono contaminati e con essi anche la terra e il bestiame. Ciò significa che quei contadini che vivevano di agricoltura e pesca, ora non hanno più nulla da mangiare. Inoltre, dalle miniere si sprigiona una nube di polvere nera che è all’origine di gravi problemi respiratori».

Multinazionale svizzera nel mirino

In Colombia l'estrazione delle materie prime è, di fatto, monopolio di una manciata di multinazionali, alcune delle quali hanno sede in Svizzera. Alfredo Tovar lavora da anni alla miniera La Jagua, di proprietà della Glencore International AG tramite la società colombiana Prodeco.

Poco conosciuta dal grande pubblico, la Glencore International AG ha la sede principale nel canton Zugo e negli ultimi anni ha realizzato il fatturato più elevato della Svizzera (117 miliardi di franchi nel 2009), superando giganti come la Nestlé o la Novartis. In Colombia controlla due miniere di carbone a cielo aperto nel dipartimento del César e ha un accesso privilegiato al porto di Santa Marta (Magdalena).

Accompagnato da rappresentanti delle ONG svizzere, per conto del sindacato colombiano Sintramienergetica, Alfredo Tovar ha bussato alla porta della Glencore International AG, senza però ottenere risposta. La multinazionale è accusata di promuovere una politica poco trasparente, ostile ai sindacati e nociva all’ambiente.

«Non possiamo negare che la Glencore abbia portato lavoro in Colombia, ma questo non le conferisce il potere di violare i diritti dei lavoratori, di ostacolare la libertà sindacale, minacciando o licenziando gli operai che osano alzare la testa», denuncia Alfredo Tovar.

Nei dipartimenti del César e della Magdalena si concentra gran parte della ricchezza del paese, ma spesso i villaggi sono lasciati senza acqua potabile, elettricità e servizi sanitari. «La manodopera arriva soprattutto da altre regioni del paese e i profitti se ne vanno all’estero… mentre qui resta solo contaminazione e povertà. Come dipendente della Glencore chiedo un indennizzo alla regione per i danni causati e per il carbone che portano via, e chiedo il rispetto degli accordi sindacali che hanno firmato con noi lavoratori».

Non solo miniere

La Glencore International AG è rimasta sorda di fronte all’appello di Alfredo Tovar e delle ONG svizzere. Anche ai microfoni di swissinfo, l’azienda non ha voluto rilasciare dichiarazioni. Ha invece risposto con un comunicato stampa – firmato dalla società Prodeco – in cui afferma di avere un programma di responsabilità sociale e ambientale.

In sostanza, la multinazionale si presenta come il motore economico della regione: non solo ha messo a disposizione «oltre 5'000 impieghi (diretti o indiretti), di cui l’84% dei dipartimenti del César e della Magdalena)», ma ha anche cercato di «migliorare la qualità di vita delle comunità locali, attraverso la creazione di scuole e altre infrastrutture».

Alle accuse di violazione dei diritti sindacali, la società con sede a Zugo dice di agire «in conformità con le leggi colombiane che garantiscono libertà di associazione, vietano il lavoro forzato e assicurano condizioni di lavoro umane».

La Svizzera media, ma non interviene

La Glencore non è però nuova a questo tipo di denunce. Accusata di violazioni dei diritti umani e danni ambientali in diversi paesi in via di sviluppo, nel 2008 ha ricevuto il Public eye award di Davos, l’oscar della vergogna.

Di fronte alla gravità delle accuse, le ONG svizzere hanno chiesto a più riprese un intervento da parte delle autorità elvetiche. «La risposta è sempre la stessa», ci spiega Stephan Suhner dell’ONG Ask! (Gruppo di lavoro Svizzera-Colombia). «La Svizzera segue da vicino i dibattiti sull’industria estrattiva nei paesi del Sud, ma mantiene il massimo riserbo per non intromettersi in questioni di politica interna». Il Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) si limita così a «invitare le imprese ad attenersi ai principi volontari in materia di sicurezza e diritti umani», senza però intervenire.

Ai microfoni di swissinfo, il portavoce del DFAE Pierre-Alain Eltschinger ha precisato che «la Svizzera segue da vicino questo caso, in particolare per ciò che riguarda il rispetto dei diritti umani, ed è in contatto regolare con le imprese elvetiche coinvolte, la Glencore, i sindacati e le ONG colombiane». Inoltre, prosegue Eltschinger, «l'ambasciata svizzera in Colombia cerca di favorire il dialogo tra le multinazionali e le organizzazioni a difesa dei lavoratori» .

Alfredo Tovar è tornato in Colombia senza risposte. Ad attenderlo c'è una regione messa in ginocchio da anni di violenze e soprusi, la paura di ritorsioni e l'incertezza del domani. In Svizzera restano i profitti di un'attività ritenuta arbitraria e un monito che ha il sapore della lotta operaia: «L’acqua non è negoziabile. La vita non è negoziabile!».

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5 dicembre 2010

"Perché tanta insistenza nel voler bruciare i rifiuti a TVN?"

Dai medici ISDE un contributo per aiutare a comprendere cosa ci sia dietro il dibattito sull'incenerimento dei rifiuti dentro TVN.

Cosa si nasconde dietro questa insistenza?

"La risposta non è difficile. Ogni anno TVN, secondo la VIA (pag. 4) produce 500.000 (cinquecentomila) tonnellate di ceneri e 5.000 (cinquemila) tonnellate di fanghi, entrambi estremamente tossici. Recentemente, infatti, numerosi studiosi hanno messo in evidenza il rischio causato dalle ceneri del carbone per il loro elevato contenuto di sostanze pericolose e per la radioattività dell’uranio e del torio. Tale pericolosità viene paragonata a quella delle scorie nucleari (Science of the Total Environment. 2009; 407: 2593–2602).

Il loro smaltimento, per l’elevata quantità prodotta rappresenta un problema enorme. Anche dopo la riutilizzazione di una parte, liberarsene sarebbe molto, troppo costoso.
Si potrebbe allora diffondere all’opinione pubblica per mezzo di chi ha il coraggio di farlo, che si potrebbero bruciare i rifiuti in un gruppo della centrale a carbone traendone un ritorno economico, utile per una città in difficoltà finanziarie, contemporaneamente si potrebbe ridurre la quantità delle ceneri e dei fanghi del carbone bruciandoli insieme ai rifiuti stessi.
L’idea sarebbe astuta se non fosse che le conseguenze per la salute degli operai (i più investiti dall’inquinamento) e della popolazione del comprensorio sarebbero orribili.

Uno studio molto importante pubblicato recentemente che ha utilizzato una metodologia di ricerca della Commissione Europea (Environmental impacts and costs of solid waste: a comparison of landfill and incineration. Waste Management & Research. 2008: 26: 147–162) ha messo in evidenza come gli inquinanti emessi dall’incenerimento di 200.000 tonnellate di rifiuti potrebbe comportare una spesa per i danni provocati alla salute ed all’ambiente di circa 4.240.000 euro. Dopo 20 anni di attività, pari alla combustione di 4.000.000 di tonnellate di rifiuti, i costi esterni potrebbero ammontare a circa 84.800.000 euro.
Immaginiamo quale sia il prezzo della combustione delle ceneri e dei fanghi del carbone per danni alla salute ed all’ambiente ma non osiamo scriverlo per non allarmare l’opinione pubblica.
Inoltre, in questo comprensorio nessuno può negare che ci siano varie cause di inquinamento. Tuttavia, per fortuna, nella VIA (Fase Istruttoria) è già presente un censimento delle fonti inquinanti presenti, sappiamo quindi con precisione la diversa responsabilità di inquinamento dei vari soggetti. A pag. 38 la Commissione così si esprime: “ Sulla base di dati statistici e di utilizzo di fattori di emissione consolidati (CORINAIR e EPA), sono state calcolate le emissioni imputabili al traffico navale, auto veicolare e da riscaldamento domestico nell’area urbana di Civitavecchia, in termini di flusso di massa annuo. Tali dati sono riepilogati nella tabella seguente e sono di rilevantissimo interesse nel valutare le emissioni della centrale in relazione alle emissioni complessive del territorio.

PM10
TV Nord 842 ton/a
Montalto di Castro 50 ton/a
traffico navale 100 ton/a
traffico veicolare 50 ton/a
emissioni da riscaldamento 56 ton/a


Società Internazionale dei Medici per l’Ambiente – Alto Lazio

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Tidei a Polverini: "un inceneritore nella centrale a carbone TVN?"

Da BigNotizie.it
"La possibile realizzazione di un termovalorizzatore nel quarto gruppo della centrale Enel di Tvn continua a restare più di una semplice ipotesi. Nonostante dichiarazioni di intenti di rappresentanti istituzionali, ad oggi non risulta ancora un atto ufficiale che escluda in maniera categorica la combustione dei rifiuti a Tvn".
A sottolinearlo è l'onorevole Pietro Tidei che propone la creazione di una delegazione di sindaci e esponenti istutizionali del territorio per chiedere alla presidente Polverini rassicurazioni definitive in merito.
"Emergono semmai particolari e coincidenze sempre più inquietanti ad avvalorare questo progetto, come la perdurante mancata realizzazione del bosco di 40 ettari che l'Enel si era impegnata a realizzare a ridosso dell'area di Tvn quale opera di compensazione ambientale per la riconversione a carbone della centrale, così come la vicinanza all'impianto elettrico della linea ferroviaria tirrenica che rappresenterebbe un vettore di trasporto ottimale per i rifiuti da bruciare. Superfluo e ormai anche ripetitivo ricordare quali pesanti danni ambientali abbia prodotto in tanti anni la servitù energetica nel nostro territorio, quale il prezzo che le popolazioni stanno pagando in termini di salute, quale la svalutazione del nostro patrimonio culturale, storico e archeologico di cui, da Cerveteri a Montalto di Castro, l'Alto Lazio è così straordinariamente ricco, quale la compromissione di quel grande potenziale turistico che tuttavia, nei nostri territori, non riesce ancora a decollare.
E' evidente che in un momento di grave crisi come quello che attualmente stiamo vivendo, anche l'incertezza sul futuro ambientale del territorio può scoraggiare possibili investimenti nel settore turistico, culturale e terziario, producendo un ulteriore danno al tessuto economico dei nostri Comuni.
Nel merito il Piano regionale dei rifiuti di recente approvazione non esclude con termini perentori la possibilità di realizzare un inceneritore nell'impianto di Tvn, laddove non indica soluzioni, rimandando a successive decisioni, per lo smaltimento dei rifiuti della Capitale dopo la chiusura della discarica di Malagrotta. Resta quindi ancora plausibile, carte alla mano, l'individuazione dell'area dello Spizzicatore, sui Monti della Tolfa, quale sito della nuova discarica capitolina. Ritengo allora che tale situazione di ambiguità e incertezza su progetti drasticamente inquinamenti per l'Alto Lazio, come l'inceneritore a Tvn e la discarica ad Allumiere, debbano trovare immediatamente fine, attraverso un pronunciamento ufficiale della Regione Lazio che non può continuare ad ignorare le richieste di chiarezza delle nostre popolazioni. Abbiamo bisogno dal Governatore Polverini di un atto formale. La mia proposta, pertanto, è quella di una delegazione istituzionale del territorio che, dai Sindaci ai Consiglieri provinciali, dai Consiglieri regionali ai Deputati di riferimento, di ogni appartenenza politica, chieda audizione al Presidente per avere finalmente un suo pronunciamento chiaro, definitivo e inequivocabile circa l'impossibilità di realizzare alcun inceneritore e alcuna discarica nel territorio dell'Alto Lazio e dell'Etruria. Ulteriori tentennamenti rischiano di generare sempre più preoccupazione tra le popolazioni e di indebolire maggiormente le istituzioni locali, oltre che le possibilità di sviluppo del nostro territorio. E questo è un rischio che oggi non possiamo assolutamente correre

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Le radici delle mafie affondano nel Lazio

Da DazebaoNews.it (leggi anche il comunicato di Legambiente)
Apre uno scenario davvero inquietante il dibattito organizzato quest'oggi dalla Federazione della Sinistra Lazio dal titolo eloquente: "E poi dicono che la mafia nel Lazio non c'è".
Di criminalità organizzata, infatti, pochi ne parlano e questo evento assume un'importanza assoluta, perchè troppo spesso di fronte a questo fenomeno ci si abitua a chiudere gli occhi, quasi la mafia fosse distante anni luce.
Ma non è così. All’incontro hanno partecipato esponenti della società civile impegnata contro la criminalità organizzata come Libera, l’associazione Caponnetto, il centro Peppino Impastato, Action, Legambiente, SOSimpresa Confesercenti, rappresentanti del sindacato edili e funzione pubblica della CGIL, il segretario del sindacato di polizia SILP, gli ex consiglieri regionali Fontana e Laurelli ed il membro della commissione parlamentare antimafia Russo Spena.

Dopo la proiezione del film inchiesta di Antimo Torri "La quinta Mafia", che introduce il tema della criminalità organizzata, Fabio Alberti, responsabile legalità del gruppo consiliare FdS parla di un panorama inquietante. Insomma una condizione d'illegalità che affligge tutta la regione. E non parliamo di boss con tanto di coppola in testa e lupara alle spalle, ma sempre più spesso anche di insospettabili personaggi che svolgono ruoli importanti nelle istituzioni. Come nel caso di Romolo Del Balzo, l'attuale presidente della Commissione Lavori Pubblici della Regione Lazio, in carcere dallo scorso 26 ottobre con l'accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso e che paradossalmente è ancora investito da questo ruolo, tanto che Alberti ne ha chiesto le immediate dimissioni. Una situazione davvero anomala e che ci fa comprendere quanto l'infiltrazione mafiosa si sia spinta oltre e sia così ben radicata, insinuandosi attraverso connivenze compiacenti all'interno della vita politica e delle istituzioni del paese.

Basta ricordare - come ribadisce Alberti - il maxi processo Damasco 2 che riguarda la mafia il mercato ortofrutticolo (Mof) più grande d'Europa, quello di Fondi, dove la Regione Lazio capitanata dalla Giunta Polverini ha tergiversato parecchio tempo prima di costituirsi parte civile contro il clan Tripodo e quando si è decisa lo ha fatto dimenticandosi di essere anche il socio che detiene una partecipazione di maggioranza all'interno del Mof.
D'altra parte la governatrice proprio durante la recente campagna elettorale si era recata a Fondi e rivolgendosi ai suoi potenziali elettori disse che "la città è sana e le infiltrazioni mafiose sono un'invenzione della politica", come riporta il quotidiano Latina Oggi il 21 ottobre. Coincidenze?

Non sembra, visto che proprio in regione si attente da 9 mesi l'istituzione del regolamento dell’Abecol sul fondo contro l'usura che è stato dimezzato, ma al momento di questo strumento importante non c'è traccia, come ribadisce Fabio Nobile consigliere dell'Fds. E poi, perchè proprio sulla vicenda di Fondi, si domanda Elvio Di Cesare dell'Associazione Caponnetto le indagini sono state affidate al comando Provinciale dei carabinieri di Latina e non alla Dia? Un vero mistero, perchè - come puntualizza Di Cesare - non stiamo parlando di un fenomeno di ordine pubblico, ma di vera e propria criminalità organizzata.

Ma sono ancora più inquietanti le rivelazioni dell'esponente della Caponnetto quando ricorda l'indagine Formia Connection sui voti di scambio. Risultato: indagine archiviata. Insomma nel Lazio quando si parla di mafia sembra andare contro un muro di gomma. Almeno così fa intendere Di Cesare quando parla di una "zona grigia", rappresentata a volte da una parte della società collusa, che di fatto favorisce il problema affinchè non venga aggredito con quella incisività necessaria per combattere il fenomeno mafioso. Tutte le categorie della società civile rappresentano un rischio reale, quando si prostrano di fronte alle organizzazioni criminali - precisa Di cesare - e per questo motivo rientrano proprio in questa zona grigia.

Il giudice Giovanni Falcone, diceva "segui i soldi e troverai la mafia". Ma le indagini patrimoniali su quei territori a rischio che potrebbero portare alla luce gli spostamenti di ingenti capitali non sono così diffuse. Lo scorso anno a Frosinone - racconta Di cesare - ce ne sono state ben 140, mentre in una città a rischio come Latina solo 3. E non finisce qui. La zona costiera di Latina definita "La lavatrice del denaro sporco" non è da meno. Un territorio - come ha raccontato Marco Omizzolo del coordinamento legambiente della provincia di Latina - da sempre nel mirino della criminalità organizzata. Dal parco di San Felice al Circeo con i suoi 2,200 metri cubi di cemento abusivi, al lago di Sabaudia, un'area ad alto valore naturalistico che le mafie colluse con esponenti delle istituzioni hanno cercato di rendere addirittura edificabili con progetti alquanto redditizi, come la realizzazione di un porto. E qui si registrano 2 abusi edilizi ogni ettaro di terreno. Una media davvero impressionante. E ancora il business dei raccolti ortofrutticoli. Un fenomeno che Omizzolo conosce bene, visto che è riuscito ad infiltrarsi come bracciante ed ha conosciuto la realtà dei caporali al servizio della mafia e che racconterà nel suo libro di prossima uscita.

Anche nel settore sanitario le cose non vanno meglio, come ricorda Lorenzo Mazzoli. segretario della Funzione Pubblica Cgil. La criminalità s'impossessa della cultura sociale - ha precisato - s'insinua nelle struttura sanitarie attraverso appalti, subappalti, ed entra così nel grande business della salute. E se la legalità è sinonimo di buon funzionamento dei servizi allora la sanità del Lazio, visto la situazione in cui versa, non naviga in acque felici.
Arriva poi una testimonianza importante da Civitavecchia che fa addirittura accapponare la pelle. Ne ha parlato Simona Ricotti, dell'Associazione Caponnetto, che durante il suo intervento riporta un ritornello, ahimè, ripetuto dalla maggior parte dei cittadini: "Qui a Civitacecchia, la mafia non esiste" . Purtroppo è questo il luogo comune di chi convive con questa cittadina che oltre a registrare il 23% di disoccupazione ospita il più grande porto Europeo, terzo per quanto riguarda il traffico della droga e degli scambi illeciti della mafia cinese.

"Eppure la gente sa - precisa Ricotti - ma ormai questo rientra in una sorta di normalità sociale." La chiamano "mafia bianca", l'assurda manifestazione dove si fa finta di credere che tutto vada bene. Anche le le richieste di spiegazioni fatte pervenire al Comune producono dei risultati discutibili. L'amministrazione comunale, infatti, fa sapere di essere in prima linea contro la criminalità. Addirittura viene costituito un osservatorio apposito, ma poi un cronista del mensile Le voci delle voci con l'aiuto proprio dell'associazione Caponnetto svela dei retroscena inquietanti che gettano ombre anche sul primo cittadino Giovanni Moscherini. Come il grande affare del "marina yatchting, un progetto per l' uso di natanti di lusso, affidato senza gara a una delle ammiraglie di casa Caltagirone, la Porto del Tirreno spa a cui è affisata la gestione per ben 99 anni e che fa capo a Francesco Bellavista Caltagirone e alla neo compagna Beatrice Parodi, figlia di uno dei piu' grossi armatori liguri, Piergiorgio Parodi, ottimo amico dell'ex ministro per le Attivita' produttive Claudio Scajola. Notizie fantasiose secondo il sindaco che ha commentato: “Che gli prenda un colpo a quelli della Caponnetto”. Una frase che gli è costata una querela da parte dell'associazione che si batte da sempre contro l'illegalità. Ma non è tutto, perchè come spiega Simona Ricotti a Civitavecchia è in corso anche un processo per schiavitù ai danni di operai extracomunitari che lavoravano nelle imprese in subappalto per la costruzione della centrale a carbone dell'Enel. Morale della favola: l'inchiesta è in corso, gli operai sono andati a casa, ma l'impresa continua ad essere operativa. Anche questa è una coincidenza del caso?

In conclusione Ivano Peduzzi, capogruppo della FdS Lazio propone di costituire un gruppo di lavoro, aperto a tutte le forze di opposizione regionale e con la partecipazione della società civile, per redigere una o più proposte di legge antimafia raccogliendo le proposte emerse nel dibattito. “Centrale unica appaltante, abolizione del massimo ribasso, tracciabilità dei capitali, norme anticorruzione, contrasto del lavoro nero, sono le prime cose da fare", precisa Peduzzi."Occorre avviare un percorso che porti in campo le istituzioni al fianco della magistratura e della società civile. Questa va maggiormente sostenuta, ad esempio, con l'affidamento di una forte campagna per la legalità da portare in tutte le scuole della regione”.
Insomma l'incontro si è rivelato veramente produttivo almeno sull'aspetto divulgativo della questione. Ora c'è la necessità di passare dal dire al fare e per farlo c'è bisogno che la società civile non resti più indifferente davanti a questo fenomeno dilagante.

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CCS grimaldello degli affaristi sporchi

Lo ripetiamo da tempo e non ci stancheremo di farlo: parlare di CCS significa dare respiro agli affaristi dei business più sporchi e distruttivi per il nostro ambiente di vita. Anche se irrealizzabile per i rischi, l'inaffidabilità della tenuta dei bacini di stoccaggio e i costi enormi, lo stoccaggio dell'anidride carbonica diventa facile argomento di greenwashing da bar, chiacchiera subdola per continuare su un binario che mira dritto verso l'autodistruzione. un esempio

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Tarquinia, sabato Italia Nostra con i cittadini a difendere il territorio

Comunicato
Un forte “legame” d'inutilità unisce l'autostrada Devasta-Maremma e il porto turistico progettato alla foce del Marta. Il concessionario della A12 non riesce a trovare i “piccioli” per costruirla. I pochi pedaggi previsti non bastano alle banche a garanzia del debito e lo stato soldi non ne ha. Le banche in più sanno che l'Alto Lazio smaschera sempre i ladri di salute, i distruttori di terre fertili, i deturpatori di paesaggi.
Emblematiche le vicende dell'Osservatorio Ambientale, del cementificio, delle centrale di Torre Sud e le tante denunce contro la centrale di Torre Nord, che non rispetta i limiti fissati dall'Europa e ci inquina.
All'autostrada vi è un' unica vera alternativa: la messa in sicurezza dell'Aurelia, da vent'anni lasciata a due corsie a sud di Tarquinia e a Capalbio, in tutto una ventina di chilometri, trappola a volte mortale per gli automobilisti.
Riassumendo: le banche non rischiano e l'autostrada alla fine non si farà, come ormai è quasi certo, ma intanto l'Aurelia resta pericolosa. E qui c'è l'analogia con il porto turistico alla foce del Marta, progettato per un sito reso pericolosissimo dai nuovi argini del fiume, che l'hanno chiuso in una buca, dove scorre un fiume maldestro, con un bacino imbrifero di 1100 kmq. capace di generare esondazioni devastanti.
Nessun tecnico regionale potrebbe avallare un porto destinato a soccombere sotto il fango perché, senza interventi che modifichino l'attuale assetto idraulico del corso d'acqua, non potrebbe resistere ad un evento eccezionale (in gergo tecnico “un tempo di ritorno di 200 anni”) qualora il mare impedisse il deflusso della piena.
Dal sito dei promoter del porto sembra di capire che un qualche assenso c'è. Allora occorre capire con un accesso agli atti che cosa è successo alla regione Lazio.
Resta il fatto che la cosa sconvolgente non è il tentativo del proprietario di aumentare il valore dei propri terreni di almeno 15-20 volte, quanto l'intensa e fervida attività amministrativa di maggioranze e opposizioni, che perdono tempo ad occuparsi delle opere inutili destinate a naufragare miseramente e non hanno poi il tempo di occuparsi dei veri problemi del territorio, dell'agricoltura e del turismo soprattutto.
Quasi tutti si dichiarano sviluppisti ma in effetti sono facilitatori d'affari, che ogni volta che devono crearsi un alibi, per aver alzato la mano e detto si alla distruzione di un altro prezioso fondo agricolo, ripetono stancamente che porterà lavoro e occupazione ma ormai tutti sanno che non è vero.
Per quale pro non si sa, sta il fatto che di coraggio i più ne dimostrano ben poco.
Tornando al porto giova ricordare che la regione Lazio, una decina d'anni fa, valutò in autonomia quale tipo di struttura fosse adatta per Tarquinia e si pronunciò per un “approdo”. La differenza fondamentale è che un porto è profondo 4 metri ed è pensato per grandi barche mentre un approdo è profondo 2 metri ed è quello che servirebbe per le barche da diporto che riempiono i rimessaggi di Tarquinia ma a nessuno stanno a cuore i diportisti di Tarquinia, a cui queste cose non vengono spiegate.
Il fiume Marta in tutto questo viene maltrattato, ridotto a fogna e canale, cementificato e snaturalizzato.

Di tutto questo si è parlato sabato 4 dicembre nel Convegno “Paesaggi Sensibili” presso la Sala Conferenze del Monastero delle Benedettine a Tarquinia, per iniziativa di Italia Nostra Lazio-Toscana.

Movimento No Coke Alto Lazio

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4 dicembre 2010

I sonetti di Giancarlo Peris: "Il vento degli dei"

Decimo appuntamento settimanale coi sonetti dialettali dell'inossidabile Prof. Peris. L'ironia sferzante mette a nudo fatti duri a digerirsi, evidenze che pure gli abitanti del comprensorio sembrano aver metabolizzato nei loro organismi come masse estranee (nella speranza che non degenerino), mediante quotidiani cortocircuiti della coscienza.
Il seguente è uno tra i componimenti più recenti sulla vicenda del carbone. Buona lettura

"Il vento degli dei" 15 giugno 2008


Fra poco, e nun c’è stato da fa’ gnente,
Annrà in funzione ar mejo la centrale
Che cor carbone ce farà un presente
Pe’ un futuro energetico e ambientale.


E io ce credo, perché adè pulito
Er carbone ch’è un novo ritrovato
Che ci hanno rigalato ne ‘sto sito
Pe’ via che se lo semo meritato.


E poi, si putacaso fosse un cesso
Er fume ch’uscirà da quel accrocco,
Gnente paura, qui nessuno è fesso,
Ché si tira libeccio, ostro o scirocco,


Er fumo a dopopranzo, a mane, a sera
Annrà a Torfa, a Corneto e a La Lumiera.

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Cresce il cumulo di cadaveri di minatori del carbone

Altri sette minatori morti nelle miniere cinesi.

Da tgCom:
"Sono morti i sette minatori intrappolati da martedì in una miniera allagata nella provincia cinese dello Hunan. Quando i soccorritori hanno raggiunto i minatori intrappolati li hanno trovati tutti morti a una profondità di 90 metri nella miniera di carbone. I sette, tutti nel fondo, sono stati trascinati li dall'acqua che ha allagato martedì sera la miniera Yide Coal Mine a Xiangtan, nell'omonima contea."

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enel riconfermato peggior inquinatore in Italia

Riportiamo da Greenpeace.it  
Chi uccide il clima in Italia?

Abbiamo lanciato la classifica dei grandi "inquinatori" dell'anno e il primo classificato è sempre lo stesso: il gigante Enel. Per il quarto anno consecutivo il colosso dell'energia si conferma al primo posto nella lista dei cattivi, seguito da Edison e il Gruppo Saras.

Scarica qui la "classifica dei grandi inquinatori italiani"

Sono 13 milioni le tonnellate (Mt) di CO2 emesse nel 2009 dalla centrale Enel a carbone "Brindisi sud". A seguire la Centrale Edison di Taranto con 5,9 Mt di CO2 e la raffineria Saras di Sarroch con 5,2 Mt di CO2.

Anche se le cifre rimangono alte, complici la crisi economica e l'effetto degli interventi di efficientamento energetico, la CO2 nel 2009 è calata. Da 538,6 milioni di tonnellate del 2008 siamo passati a quota 502 milioni. Ma non basta.

Rispetto al 1990, infatti, la diminuzione è stata del 3%, meno della metà dell'obiettivo fissato dal Protocollo di Kyoto. Non solo, le emissioni della centrale Enel a carbone "Brindisi sud" registrate nel 2009, hanno superato ampiamente le quote e i limiti di 10,4 Mt di CO2 imposti dalla Direttiva europea sulle emissioni (Emission Trading Scheme).

I dati degli ultimi cinque anni dimostrano una riduzione costante delle emissioni del settore termoelettrico, passate dalle 147 Mt del 2005 alle 122,2 del 2009. Il merito è anche della massiccia diffusione delle fonti rinnovabili, il cui contributo sulla produzione totale di energia elettrica ha oramai superato il 20%. Esiste un ampio margine per aumentare questa quota di energie verdi, ma si continua a puntare sul carbone e, in un futuro più lontano, sul nucleare.

Le centrali a carbone autorizzate o in corso di autorizzazione prevedono un totale di circa 40 nuovi Mt di CO2. Se realizzate, impediranno all'Italia di raggiungere i suoi obiettivi di riduzione delle emissioni al 2020 e potranno gravare sui contribuenti per centinaia di milioni di euro. In particolare, il piano di investimenti di Enel comporterebbe quasi il raddoppio delle sue emissioni di CO2. Vogliamo veramente che la politica ambientale del maggior gruppo elettrico italiano sia proprio questa?

È il momento giusto per orientare il nostro sistema economico produttivo verso soluzioni innovative, basate sulle fonti rinnovabili e l'efficienza energetica, capaci di generare occupazione sostenibile e durevole, migliorare la qualità dell'ambiente e della vita delle persone.

Nei giorni scorsi il Governo ha presentato una proposta di Decreto legislativo in attuazione della Direttiva rinnovabili. Nonostante alcuni aspetti innovativi, la proposta assesta un colpo mortale allo sviluppo dell'energia eolica e colpisce il comparto fotovoltaico, riducendo il meccanismo degli incentivi in maniera disordinata. Chiediamo al Governo una revisione della proposta, anche alla luce dei dati della nostra classifica."

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3 dicembre 2010

Cina: pena di morte contro il manager dela miniera di carbone

(ANSA) - SHANGHAI, 2 DIC - Un tribunale cinese ha confermato in appello la condanna a morte con due anni di sospensione per due alti responsabili di una miniera nella quale, l'anno scorso, uno scoppio provoco' la morte di 76 minatori.La corte provinciale dell'Henan ha rigettato l'appelllo dell'ex responsabile della miniera di carbone n. 4 di Pingdingshan,nel distretto di Xinhua.La corte ha confermato la pena capitale anche al suo vice.Rigettato l'appello di altri tre manager, condannati a 13, 15 anni e all'ergastolo.

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Amianto a Civitaveccia: Pedrini attacca Petrelli

Sul problema dell'amianto a Civitavecchia, comunicato di G. Pedrini (Fiamma Roma nord-Civitavecchia) "...E qualcuno finalmente usci' dal letargo"

"Apprendiamo dalla stampa locale che finalmente il Comune , nelle vesti dell’augusto Assessore all’Ambiente , si é casualmente imbattuto in una montagna di amianto , sotto forma di Eternit , che allieta il panorama comprensoriale ormai da lustri : un rigurgito di coscienza civica o l’effetto sinergico di tutti i comunicati che lo scrivente ha diffuso in merito ? Forse qualcuno temendo l’approssimarsi di un “ dies irae” popolare ha deciso di abbandonare la politica della “ammuina” di borbonica memoria per intraprendere un’embrionale forma di concretezza , oppure , consapevole del proprio sostanziale apporto alla “ politica di sostenibilità ambientale”, estrinsecatosi attraverso il voto favorevole alla conversione a carbone della famigerata e micidiale TVN , per farsi perdonare dai contribuenti ha deciso di iniziare la “campagna dell’amianto” in nome della salvaguardia della salute pubblica. I maligni hanno già decretato che l’augusto Assessore é alla ricerca della “verginità” politicamente perduta con il voto favorevole al carbone….che malelingue ! Però qualcuno mi sembra che abbia affermato da qualche parte che : “ …..malignare é peccato , anche se malignando non si va mai troppo lontano dalla verità !”. Peraltro , tra tutti questi novelli difensori dell’ambiente e della pubblica salute , mi chiedo come mai il Sig. Petrelli “paladino ecosostenibile” Vittorio non si sia mai ricordato del problema “amianto” e non abbia mai sporto denuncia , per il reato di “attentato alla salute pubblica” , contro tutti i sederi che si sono accomodati sulla poltrona dell’Assessorato all’Ambiente o non abbia fatto del problema il tema di una delle sue sesquipedali cartoline della serie: “Salute da Civitavecchia”….e sì che il “paladino” Vittorio non perde m,ai occasione per dar fiato alla sua ormai asfittica trombetta mod. “vuvuzelas”…ma il prode “paladino” Vittorio “carbonaro” pentito é un altro di quei patetici personaggi appartenenti alla tipologia de “facite ammutina!” sempre ed ovunque se ne presenti l’occasione ……ovvero di tutti coloro che volentieri fanno di un misero sasso una montagna pur di impressionare , con il loro scomposto agitarsi e blaterare , una pubblica opinione sempre più distratta e più attenta , purtroppo , a dover far quadrare un bilancio famigliare sempre più magro : quante attività di “acquisto e rivendita di oro usato” oggi sono presenti in città? Forse il giovin Assessore Maruccio Avv. Alessandro se non fosse “ …in altre faccende affaccendato..” si sarebbe posto questa sostanziale domanda , come avrebbero dovuto porsela altri rappresentanti della Pubblica Amministrazione per capire chi o cosa si celi dietro questo fenomeno che non esito a definire di “ sciacallaggio sociale”. Comunque plaudiamo tutti alla “solerzia” di quei pubblici amministratori che solo dopo qualche decennio e circa una decina di comunicati in merito si sono “casualmente” resi conto che in giro per il comprensorio esiste solo una qualche tonnellata di amianto abbandonato al degrado atmosferico…..meglio tardi che mai! Popolo di Civitavecchia godi : ora elimineranno l’amianto ed il carbone per regalarti un po’ di salubre CDR! Ma il ricorso alle fonti energetiche rinnovabili appartiene ad un mondo fantastico?

IL Segretario Federale
Gabriele Pedrini

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enel e altre brutte storie

Da centumcellae.it: "Enel, l’energia che ti ascolta… e ti denuncia"

“Enel, l’energia che ti ascolta…”, mica tanto! Sicuramente non i cinque nuclei famigliari vittime dell’emergenza abitativa che nei mesi scorsi avevano occupato alcuni appartamenti di proprietà dell’ente energetico. A loro l’azienda ha chiesto un risarcimento di 14.000,00 euro in sede civile ed ha sporto inoltre denuncia penale per “invasione arbitraria di immobile (art. 633 Cp)”. Un atteggiamento incontestabile sotto l’aspetto puramente formale e giuridico, certamente esecrabile sotto quello della comprensione umana per un ente che a più riprese si è dichiarato “amico della città” e “vicino ai cittadini". Se si può comprendere la richiesta di risarcimento, che considerata la situazione economica delle famiglie poteva comunque essere di minore entità, davvero forzata e poco “umana” appare invece la denuncia penale nei loro confronti.
E infatti non tardano ad arrivare i commenti tesi a stigmatizzare le azioni intraprese dall’Enel. Tra questi dell’ambientalista Simona Ricotti. “Non che fidassimo in una particolare sensibilità sociale da parte di Enel – il suo commento – ma certo ci saremmo aspettati, per semplice buon senso, che una società che così tanto ha preso da questo territorio in termini di risorse ambientali, e finanche di vite, e tanto ha avuto in termini di profitto, cercasse almeno di concertare, per il tramite dell’Amministrazione Comunale, soluzioni maggiormente indolori per quanti sono stati costretti dallo stato di necessità a ricorrere alla soluzione dell’occupazione per fornire un tetto alla propria famiglia e ai propri figli. Certo perché ciò accadesse servirebbe un’Amministrazione Comunale degna di tale nome, consapevole del proprio ruolo di governo e gestione delle esigenze della collettività amministrata, a partire dai bisogni primari di ogni singolo cittadino in cui il diritto ad avere una casa rientra a pieno titolo. Invece, sebbene diversi amministratori con le più svariate deleghe, dai servizi sociali, alla casa alle politiche abitative, fino ad arrivare al Sindaco Moscherini, siano stati resi edotti di quanto sta avvenendo, essi hanno preferito lavarsene le mani, non attivando alcuna trattativa con l’ente energetico né, tantomeno, prospettando ed attivandosi per soluzioni di alcun genere”.
Tutto ciò, ricorda la Ricotti, nonostante nell’“Accordo disciplinante i reciproci rapporti tra l’Amministrazione Comunale di Civitavecchia ed Enel produzione spa” stipulato in data 14 aprile 2008, sia riportato testualmente che “Enel si impegna inoltre a cedere in comodato d’uso al comune per esigenze abitative sette appartamenti di sua proprietà, siti in Civitavecchia per un periodo di dieci anni”. “Clausola, questa, che – commenta ancora l’ambientalista – avrebbe consentito, e consentirebbe tuttora, di gestire in maniera indolore il contenzioso in atto. Non riusciamo, inoltre, a comprendere la richiesta di risarcimento, né tantomeno l’esosità della stessa, visto che l’azione di risarcimento danni da occupazione abusiva di immobile discende dalla perdita della disponibilità del bene e dall’impossibilità di conseguire l’utilità ricavabile dal bene medesimo in relazione alla natura normalmente fruttifera di esso; natura fruttifera che l’aver concesso gli appartamenti in comodato, seppure non perfezionato, al Comune, rende non realizzabile”.
“Una prova di arroganza da parte di Enel – conclude la Ricotti – ed un venire meno al proprio compito istituzionale da parte dell’Amministrazione Comunale, non altrimenti si può contestualizzare questa vicenda che ha dell’incredibile e sulla quale vogliamo auspicare un, seppur tardivo, immediato intervento degli amministratori competenti”.

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Incidente a TVN, commenti dei sindacati

Le sigle dei sindacati nazionali sull'ennesimo incidente occorso il 30/11 ai danni di un operaio nel cantiere di TVN.
Da trcGiornale.it
"Nello specifico dell'incidente odierno, occorso ad un operaio straniero che ha avuto alcuni punti di sutura a un piede, per i sindacati dei metalmeccanici quello che ha presentato enormi difficoltà, gravissime se cause e dinamiche fossero state diverse, è stato l'impegno per trasportare il lavoratore da quota 50 metri a terra, data la poca agibilità dei passaggi e delle scale strette, non adatte al trasporto di un ferito e che hanno determinato una perdita di tempo che in occasioni più gravi poteva rivelarsi fatale. Fiom, Fim e Uil sostengono poi che i "desox" di tutti e tre i gruppi sono dotati di ascensori che non hanno mai funzionato in quanto mai collaudati."

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