No al carbone Alto Lazio

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12 ottobre 2011

Mercurio: come le centrali a carbone avvelenano il nostro pesce

Il mercurio ingerito dall'uomo provoca tumore a polmoni, pancreas, colon, prostata, encefalo, rene. Per approfondire leggi anche qui.

Un articolo dal SierraClub spiega come veniamo avvelenati da dosi di mercurio nel nostro cibo: ogni anno le centrali a carbone ne diffondono a tonnellate nei mari di tutto il mondo.
Clic qui per l'articolo originale, clic qui per quella tradotta con G Translator.

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7 ottobre 2011

Appello internazionale per ridurre le sovvenzioni pubbliche alle fonti fossili

Dal blog di Gualerzi (Repubblica)

"L’Ocse e l’Agenzia internazionale per l’energia hanno lanciato un appello per ridurre le sovvenzioni ai carburanti fossili, che nel 2010 hanno superato i 400 miliardi di dollari nel mondo. “E se non ci saranno cambiamenti di politica da parte dei governi, potremmo raggiungere i 660 miliardi di dollari nel 2020, pari allo 0,7% del pil mondiale”, ha avvertito Fatih Birol, capo degli economisti dell’Aie.

A sua volta, riferiscono le agenzie di stampa, il segretario generale dell’Ocse, Angel Gurria, ha commentato che il livello di sovvenzioni è divenuto “insostenibile” e che la cifra è superiore a quella delle sovvenzioni all’agricoltura nel mondo, a vantaggio di una gran parte di paesi sviluppati. Secondo i responsabili energetici dell’Ocse, abbandonare i finanziamenti alle energie fossili (petrolio, gas, carbone) permetterebbe di ridurre la domanda mondiale di energia del 4,1% e la domanda di petrolio di 3,7 milioni di barili quotidianamente.

L’abbandono comporterebbe inoltre una riduzione delle emissioni di anidride carbonica di 1,7 miliardi di tonnellate all’anno. Secondo le stime dell’Agenzia, le sovvenzioni “che riducono artificialmente” i prezzi dei carburanti si attestano a 409 miliardi di dollari (310 mld euro) nel 2010, pari a 110 miliardi in più del 2009 a fronte del rialzo dei prezzi dell’energia (ma 150 miliardi meno del 2008, quando i prezzi avevano raggiunto un picco storico).

Un problema di cui non parla nessuno, perché come è noto l’unico vero scandalo sono gli incentivi al fotovoltaico previsti dal conto energia.

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Quanto costa il carbone alla collettività: le nuove stime dagli USA

Da Qualenergia.it
"Ogni dollaro speso in carbone ne causa 2 di danni e, senza contare l'impatto sul clima e le relative conseguenze, le centrali a carbone Usa costano all'ambiente e alla salute degli statunitensi circa 53 miliardi all'anno.

Il carbone è una fonte di elettricità economica solo perché i danni che provoca all'ambiente, al clima e alla salute umana vengono scaricati sulla collettività. A sostegno di questo concetto sono stati pubblicati diversi studi che cercano di quantificare economicamente le esternalità negative di questa fonte.

L'ultimo, intitolato “Environmental Accounting for Pollution in the United States Economy”, arriva appunto dagli Usa ed è stato pubblicato sull'American Economic Review di agosto. Le conclusioni del report (che prendiamo sintetizzate da Think Progress e da Legal Planet, blog di politiche ambientali curato dalle facoltà di legge di Berkley e dalla Ucla) mostrano appunto che i danni per ogni chilowattora prodotto bruciando carbone costano economicamente il doppio rispetto al prezzo di mercato di quello stesso chilowattora.

In totale, è l'impressionante conto fatto nello studio, le centrali a carbone Usa pesano per un quarto del GED del paese (ossia delle gross external damages, quantificazione del complesso delle esternalità negative). Un danno causato soprattutto dall'aumento di mortalità legato al biossido di zolfo e, in maniera minore, agli ossidi di azoto e al particolato fine.

Secondo lo studio il conto dei danni ambientali e sanitari delle centrali a carbone Usa per il sistema paese è di 53 miliardi di dollari all'anno. Una cifra impressionante specie se si ricorda che il calcolo si limita a considerare le emissioni di alcuni inquinanti per via aerea e non comprende altre esternalità, come ad esempio quelle legate all'estrazione del minerale, ma sopratutto non tiene conto dell'impatto delle emissioni di CO2 sul clima e delle relative conseguenze, enormi ma difficili da quantificare.

Se si aggiungesse al conto una stima conservativa dei danni legati alle emissioni di CO2, si spiega nello studio, il conto delle esternalità negative salirebbe del 30-40%. Ipotizzando che ogni tonnellata di CO2 emessa causi danni per 65 $ (ma secondo altri studiosi il conto sarebbe molto più salato) ogni chilowattora prodottoda carbone costerebbe al paese 0, 21 dollari.

Il carbone è responsabile di circa il 41% delle emissioni mondiali di gas serra e del 72% di quelle per la produzione di elettricità (dati riferiti al 2007). L'ultimo studio che ha tentato una quantificazione economica delle esternalità negative di questa fonte è "The true cost of coal" di Greenpeace. Tra malattie respiratorie, incidenti nelle miniere, piogge acide, inquinamento di acque e suoli, perdita di produttività di terreni agricoli e cambiamenti climatici, aveva calcolato l'associazione, nel 2007 il carbone a livello mondiale aveva fatto danni per 356 miliardi di euro. In Cina dove si fa ricorso al carbone per i due terzi del fabbisogno energetico nazionale - aveva segnalato un precedente rapporto, sempre realizzato da Greenpeace in collaborazione con alcuni economisti cinesi - i costi esterni del carbone sono pari a 7 punti di prodotto interno lordo.

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18 settembre 2011

Affaire Saline Joniche: critiche dal mondo scientifico

Pubblichiamo una lettera aperta alle aziende Repower SA e a SN Energie SA da parte di esponenti del mondo scientifico svizzero, per il loro coinvolgimento in nuovi progetti di centrali a carbone: "Chiarimento sulla redditività e compatibilità ambientale di nuove centrali a carbone all’estero" - Agosto 2011 (Via noalcarbonesaline.it)

"I gestori di centrali sono sempre più confrontati con difficili decisioni inerenti i loro investimenti. Se da una parte la pianificazione di grandi centrali esige un investimento ambientale stabile e a lungo termine, dall’altra i cambiamenti a livello politico e di mercato causano insicurezze a livello di costi e profitti delle diverse tecniche di produzione d’energia. Questo concerne particolarmente le centrali a carbone che, non solo a causa del loro impatto climatico e ambientale sono causa di critiche, ma che anche in confronto a fonti energetiche più flessibili e meno dannose per l’ambiente si profilano economicamente infruttuose . Con questa dichiarazione i firmatari desiderano indicare le prospettive economiche della produzione elettrica tramite carbone e ammonire dall’investire in nuove centrali a carbone. Energia dal carbone – rischio per il clima Produrre energia elettrica con centrali a carbone è il modo più inquinante che ci sia. Solo le emissioni delle pianificate centrali a carbone di Brunsbüttel (D) e di Saline Joniche (I) rappresentano, con 17,5 milioni di tonnellate di CO2 annuali, circa il 40% delle emissioni prodotte in Svizzera. A causa della prevista durata di servizio di oltre 40 anni, le odierne decisioni d’investimento determineranno strutturalmente il Mix elettrico delle risorse energetiche per molti decenni. Con i loro investimenti all’estero nella produzione di elettricità tramite carbone esse precludono una veloce transizione verso un approvvigionamento energetico sostenibile. I costi delle “quote di emissione di CO2” Un importante fattore economico per la produzione di energia elettrica con il carbone sono i costi per le quote di emissione di CO2 del mercato delle emissioni Europeo. Siccome l’UE ha approvato che la quantità autorizzata di queste quote venga gradualmente ridotta e a partire dal 2013 l’assegnazione gratuita dei certificati per i produttori d’energia abrogata, anche i gestori di centrali a carbone dovranno assumersi i costi derivanti. I futuri costi di mercato sono quasi impossibili da valutare perché sottostanno a condizioni non valutabili a lungo termine. Con costi crescenti per le quote di emissione di CO2 le centrali a carbone non possono affermarsi contro supporti energetici meno inquinanti – tipo le energie rinnovabili o gas naturale. Solo con uno sfruttamento superiore alle 5000/6000 ore annuali le centrali a carbone possono essere redditizie in confronto alle concorren-ziali centrali a gas. Anche la molto discussa possibilità della separazione dell’ CO2 e dell’immagazzinamento (CSS), con la quale di ridurrebbero le emissioni del 70-80%, non può essere considerata come soluzione per le centrali costruite oggigiorno. A tutt’oggi è ancora completamente aperta la questione con quali costi aggiuntivi possa esser realizzata su grande scala una CCS e se ci sia un sufficiente consenso tra la popolazione inerente l’immagazzinamento dell’CO2. Costi di capitale Gli investimenti in centrali termiche a carbone per la produzione di energia elettrica si profilano mediante alti costi di capitale che spesso vengono coperti da finanziamenti esterni, p.es da banche. La crescente insicurezza nella redditività, con il possibile obbligo di costruire una CSS, si riflette anche nei costi di capitale: istituti finanziari richiedono in confronto a progetti di centrali precedenti, interessi maggiori o si ritirano dal finanziamento di centrali a carbone; così accanto ai costi variabili anche i costi di capitale delle centrali aumentano. Prospettive di reddito insicure Le condizioni citate rincarano l’esercizio delle centrali a carbone. Gli investimenti nelle centrali restano redditizi solo se la media dei ricavi per l’energia prodotta è sopra la media dei costi di produzione (inclusi i costi d’investimento). Allora per coprire i costi superiori del combustibile, CO2 e costi di capitale, occorre aumentare lo sfruttamento della centrale durante la sua durata di vita e/o aumentare il prezzo dell’energia elettrica. Tuttavia proprio queste ore d’esercizio annuali necessariamente alte non si lasciano prevedere a lungo termine. In Germania, sulla base dell’accesso privilegiato alla rete delle energie rinnovabili, l’entrata in azione delle centrali a produzione continua sarà in futuro nettamente limitata. Soprattutto la crescente quantità d’energia elettrica prodotta con energia eolica esige una flessibilità da parte delle altre centrali che si devono adeguare alle oscillazioni di produzione delle energie rinnovabili. Le centrali a carbone, che sono tipicamente orientate alla produzione continua, sono troppo goffe e non riescono a essere abbastanza flessibili e a reagire prontamente alle oscillazioni di domanda. È da attendersi di conseguenza, nonostante l’uscita dall’atomo della Germania, un’eccessiva offerta da centrali a produzione continua e una sottoutilizzazione delle centrali a carbone. Che i prezzi dell’energia elettrica saranno per un lungo lasso di tempo sufficentamente alti per contrastare i citati rischi economici, anche con un tempo ridotto di utilizzo della centrale, è più che discutibile. Anche le strategie di commercializzazione alternative, come il possibile “raffinamento” dell’energia ottenuta dal carbone con l’aiuto di centrali ad accumulazione, sono economicamente molto rischiose. Solo una sufficiente differenza dei prezzi tra l’energia prodotta da centrali a produzione continua e l’energia prodotta nei momenti di grande richiesta può attuire i costi di trasporto e la perdita di rendimento di una centrale ad accumulazione. Anche con la crescente liberalizzazione dei mercati dell’energia, con la sovraproduzione delle centrali a produzione continua, con le stra-tegie per l’adeguamento della domanda d’energia e l’annessione di centrali a gas flessibili, si riscontrano tuttavia delle differenze di prezzo sempre più ridotte. Quando durante il 2008 si potevano osservare alla borsa energetica tedesca ancora dei prezzi massimi di 160 Euro per Megawatt/ora, nel 2010 il prezzo di mercato più alto si situava solo ancora a 80 Euro. In conclusione si può affermare che l’insicurezza relativa ai costi e ai ricavi futuri sia un grave rischio per la redditività di nuove centrali a carbone. La costruzione e l’esercizio di centrali a carbone è così non solo controproducente dal punto di vista di politica ambientale e climatica, ma anche dubbiosa a livello economico. Perciò i firmatari di questa dichiarazione sconsigliano fortemente a Repower SA e a SN Energie SA di investire in nuove centrali a carbone. Firmatari: Dr. Irene Aegerter, Vice Presidente dell’ Accademia Svizzera delle Scienze Tecniche Prof. Dr. Andrea Baranzini, Haute École de Gestion Genève Prof. Dr. Thomas Beschorner, Istituto di Etica Economica, Università di San Gallo Prof. Dr. Lucas Bretschger, Center of Economic Research, Politecnico Federale di Zurigo (ETHZ) Prof. Dr. Stephanie Engel, Istituto per le Scelte Ambientali, Politecnico Federale di Zurigo (ETHZ) Prof. Dr. Jürg Fuhrer, Dirigente del gruppo Pulizia dell’aria/Clima, Agroscope Reckenholz-Tänikon, Research Station ART Dr. Justus Gallati, Istituto di Economia Aziendale e Regionale, Scuola Superiore di Economia, Lucerna Prof. Dr. Martin Grosjean, Istituto di Geografia dell’Università di Berna Prof. Nicolas Gruber, Istituto di Biochimica e Dinamica degli Agenti Inquinanti, Politecnico Federale di Zurigo (ETHZ) Prof. Dr. Heinz Gutscher, Professore di Psicologia Sociale, Presidente ProClim (Forum for Climate and Global Change), Accademia Svizzera delle Scienze Dr. Rolf Hügli, Segretario Generale dell’Accademia Svizzera delle Scienze Tecniche SATW Dr. Rolf Iten, Dirigente INFRAS Prof. (em.) Dr.-Ing. Eberhard Jochem, CEPE (Centre for Energy Policy and Economics), Politecnico Federale di Zurigo (ETHZ) Prof. Dr. Gebhard Kirchgässner, Istituto Svizzero per l’Economia Estera e Ricerca Economica Applicata, Università di San Gallo Roger Nordmann, Consigliere Nazionale, Membro della Commissione per l’Ambiente, Pianificazione Territoriale ed Energia, Losanna Prof. Dr. Thomas Nussbaumer, Politecnico Federale di Zurigo (ETHZ) e Scuola Superiore di Lucerna - Proprietario di Verenum (Studio d’ingegneria per procedimenti tecnici, energetici e ambientali) Prof. Dr. Thomas Peter, Istituto per l’Atmosfera e il Clima, Politecnico Federale di Zurigo (ETHZ) Dr. Rudolf Rechsteiner, Studioso indipendente, Pubblicista e proprietario dell’ Ufficio di consulenza re-solution.ch Dr. Christoph Ritz, Dirigente ProClim (Forum for Climate and Global Change), Accademia Svizzera delle Scienze Prof. Dr. Sergio Rossi, Titolare della Cattedra di Macroeconomia e economia monetaria, Università di Friborgo Prof. Dr. Roland Scholz, Institute for Environmental Decisions, Politecnico Federale di Zurigo (ETHZ) Prof. Dr. Philippe Thalmann, Research Group on the Economics and Management of the Environment, Politecnico Federale di Losanna (EPFL) Dr. Frank Vöhringer, Politecnico Federale di Losanna (EPFL), Dirigente dell’azienda di consulenza Econability Prof. Dr. Andreas Zuberbühler, Presidente del Comitato Scientifico dell’Accademia Svizzera delle Scienze Tecniche

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30 agosto 2011

Sul Fatto quotidiano la lotta dei savonesi contro il raddoppio della centrale a carbone

"Il Fatto quotidiano" ha dedicato al problema carbone a Vado Ligure (Savona) la sua home page nel 27 agosto scorso.


"Paura di respirare. Di infilare dentro di te un nemico invisibile. A Vado, Quiliano, Savona, in tanti vivono così.

Strana storia quella della centrale a carbone di Vado Ligure. Delle sue sorelle, come quella di Porto Tolle, si parla perché, incredibilmente, erano sorte vicino a un parco naturale. Di questa, cresciuta in mezzo a una città, quasi nessuno sa nulla: da quarant’anni brucia fino a 5000 tonnellate di carbone al giorno. E pensare che, secondo gli esperti, gli effetti arrivano a 48 chilometri: fino a Genova, fino a località turistiche come Varigotti e Loano. A luglio il governo e la Regione Liguria hanno approvato il progetto di ampliamento.
Ma a protestare contro il nuovo impianto da 460 Megawatt (che si aggiungerà inizialmente ai due esistenti da 330 Megawatt l’uno) c’è solo chi vive all’ombra delle due ciminiere. È letteralmente così: case, scuole, ricoveri per anziani dal 1970 sono a pochi passi dai camini di 200 metri. Ma adesso la gente ha deciso di dire basta, sventolando gli studi sugli effetti delle centrali a carbone. A diffonderli non sono fanatici, ma gli esperti dell’Ordine dei Medici. I dati annuali sulla mortalità maschile per tumore ai polmoni su 100.000 abitanti parlano di 54 decessi in Italia, 97 a Savona e 112 a Vado.

Statistiche, ma se vai in via Pertinace qualcuno dà nomi e volti ai numeri. A ogni finestra corrisponde una storia. Suggestione? A Vado da decenni si sono concentrate industrie inquinanti che hanno dato lavoro, ma bruciato perfino la vegetazione delle colline. L’Ordine dei Medici aggiunge: “La stragrande maggioranza delle emissioni inquinanti nel comprensorio Vado-Quiliano-Savona provengono dalla centrale elettrica (circa il 78,5 per cento per il PM 2,5 solo per i gruppi a carbone)”.

D’accordo, non esistono studi che dimostrino il rapporto tra le morti per tumore, ictus, infarti e la centrale. Ci voleva la procura, guidata da Francantonio Granero, che ha incaricato esperti come Paolo Crosignani, Paolo Franceschi e Valerio Gennaro e ha aperto un fascicolo per omicidio colposo plurimo (a carico di ignoti).

“Intanto l’ampliamento è già stato approvato”, allarga le braccia Stefano Milano che dalla sua libreria nel cuore di Savona ha raccolto firme contro il colosso della Tirreno Power. “Intorno alla centrale ruotano interessi economici e politici”, aggiunge mostrando le lettere di protesta di cittadini, associazioni e quasi tutti i partiti. Con due assenze: Pd e Pdl.

Già, Vado e la sua centrale, come Taranto con l’Ilva, strette nella tenaglia “salute contro occupazione”. Mario Molinari, giornalista d’inchiesta, respinge l’alternativa secca: “Utilizzando studi americani su una centrale simile e parametri dell’Unione Europea, i medici dell’associazione Moda hanno quantificato i danni a salute e coltivazioni di una centrale a carbone in 36,5 milioni all’anno (142 milioni i costi complessivi). Un danno molto maggiore del beneficio dato dall’impianto (dove lavorano 250 persone, ndr)”.

Così ecco il paradosso: tutti i 18 comuni interessati hanno votato contro l’ampliamento. Durante l’ultima campagna elettorale per le regionali, i candidati si sono espressi contro il carbone. E poi? Il progetto è stato approvato. Una decisione che ha sollevato le critiche della Curia sulle pagine del Letimbro, il giornale diocesano di Savona: la decisione “contraddice con forza le posizioni di alcuni partiti che sostengono la giunta Burlando i quali, in campagna elettorale, avevano ribadito il “no”.

Ma che cosa prevede l’accordo? Renzo Guccinelli, assessore alle Attività produttive della Regione, spiega: “Sarà realizzato un nuovo gruppo a carbone da 460 megawatt. Ci vorranno sei anni. Allora si abbatterà uno dei due gruppi vecchi e, dopo altri tre anni, si abbatterà il terzo. A quel punto valuteremo l’opportunità di dare parere favorevole alla costruzione di un ulteriore gruppo per il quale non è previsto alcun automatismo”.

Insomma, impianti nuovi al posto di quelli con quarant’anni di vita. Ma un aumento di potenza della centrale. Nel frattempo, l’accordo prevede una serie di prescrizioni, tra cui l’Aia (Autorizzazione Integrata Ambientale).

Una vittoria per l’ambiente, secondo la Regione: “Tirreno Power non era disposta a realizzare un impianto interamente a metano come chiedono i cittadini”, racconta Renata Briano, assessore all’Ambiente. Perché non sostituire semplicemente i due vecchi impianti senza ampliamenti? “L’azienda non era disposta. Al massimo avrebbe adeguato gli impianti, ma si sarebbe inquinato di più che con il nuovo progetto”.

I cittadini, però, parlano di “resa” per ambiente e salute. Come Gianfranco Gervino di Uniti per la Salute: “I gruppi non potevano restare come sono, ma per legge e senza condizioni dovevano essere adeguati alle migliori tecnologie. Invece continuano a funzionare. In pratica si è contrattato l’ampliamento con il rispetto delle norme. È incredibile”.

La Regione non è la sola favorevole all’accordo. Tirreno Power difende il progetto: “Gli studi per ottenere la Valutazione di Impatto Ambientale sono in corso, ma dovranno tenere conto dei miglioramenti che ridurranno le emissioni del 40 per cento”. Non era meglio valutare prima di ingrandire? “Diventerà una delle centrali più pulite d’Europa”. Ma i dati dell’Ordine dei Medici? “Ognuno può diffondere i dati che crede. L’accordo prevede un Osservatorio che monitorerà l’impatto della centrale”.

Anche altre figure di spicco sono per l’ampliamento. Fabio Atzori, presidente dell’Unione Industriali, ha commentato: “Per Savona è come aver vinto al Superenalotto”. Una frase che ha sollevato polemiche: “Atzori – ricorda Molinari – è amministratore delegato della Demont che lavora con Tirreno Power”. C’è chi ricorda che il vicepresidente degli industriali savonesi, è Giovanni Gosio, manager Tirreno Power.

La questione scuote equilibri immutabili del potere locale. Che dire, per esempio, di Luciano Pasquale definito da Claudio Scajola “manager di grande caratura”? Pasquale, anche lui sponsor dell’operazione Tirreno Power, è un recordman delle poltrone savonesi: già presidente dell’Unione Industriali è oggi numero uno della Camera di Commercio e presidente della Carisa, la banca cittadina. Senza contare cariche varie, soprattutto nelle società autostradali (legate al gruppo Gavio).

Tirreno Power vanta un appoggio trasversale. I comitati hanno inviato una lettera a Carlo De Benedetti, imprenditore tessera numero uno del Pd e proprietario attraverso Sorgenia del 39 per cento delle quote di Tirreno Power. “È una lotta impari – racconta Molinari – Tirreno Power ha mezzi inesauribili: compra pubblicità sui quotidiani, tappezza la città di manifesti e sponsorizza iniziative del Comune”.

A Vado Ligure, però, delle questioni di potere interessa poco. Nel torrente Quiliano, l’Arpal nel 2009 ha rilevato la presenza di metalli pesanti e di idrocarburi policiclici aromatici cento volte superiore alla legge. I medici parlano di “molto probabile derivazione dalla centrale a carbone”.

Per i responsi definitivi bisogna attendere l’indagine epidemiologica. Intanto si può andare alla farmacia Mezzadra o a quelle di Quiliano. “C’è una diffusione notevole di malattie respiratorie”, dicono i farmacisti. I clienti presentano la ricetta. Molti non hanno bisogno di parlare. Il codice 048 sulla prescrizione vuole dire una cosa sola: tumore.

Da Il Fatto Quotidiano del 11 agosto 2011

(video di Lorenzo Galeazzi)

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27 agosto 2011

Noi che permettiamo tutto questo

Porto di Civitavecchia 2011 - il suo contributo all'inquinamento della città

Sperando di non fare torto all'autore, pubblicchiamo qui una riflessione di M. Aprile (Pastore protestante di Civitavecchia) pubblicata sul suo profilo Facebook. Ringraziamo Aprile per un nuovo contributo di passione civile. Con l'augurio che la cittadinanza torni a sentire su di sé piena responsabilità per ciò che lascia accadere attorno a sé, per la pigrizia che ne rallenta il cammino verso una migliore condizione. I grassetti sono i nostri.

O Dio, che dici di essere buono, perché hai lasciato che mio figlio di cinque anni si ammalasse di leucemia?”.

Ecco un esempio, vero, di preghiera difficile, molto difficile.
In essa si esprime il problema dei problemi: la sofferenza ingiustificata dell’ innocente.

Non si tratta, comunque, di materia per mere esercitazioni intellettuali di studenti di teologia. Qui c’è la protesta dell’anima. Questa preghiera è attacco frontale alla fede, specie a quella cristiana, che si fonda proprio sulla misericordia divina.
Ritornano in mente le dure parole di Ivan ad Alioscia ne’ “I Fratelli Karamazov” che a proposito della sofferenza dei bambini innocenti conclude: Se
questo è il prezzo da pagare per l’armonia allora “mi affretto a restituire il biglietto d’entrata. E se sono un uomo onesto, sono tenuto a farlo al più presto. Non che non accetti Dio, Alioscia, gli sto solo restituendo, con la massima deferenza, il suo biglietto”.

Ogni volta che noi pastori (e qui come pastori mi riferisco a tutti, sacerdoti e pastori evangelici, catechisti e monitori di Scuola Domenicale, cappellani e persone che a vario titolo di fede offrono “cura d’anima”) ascoltiamo preghiere del genere, anche se solo sussurrate e spezzate dal pianto, ci tremano le vene ai polsi.
Ci sentiamo messi all’angolo.
Parlare significa rischiare di arruolarsi nella schiera degli amici molesti di cui Giobbe fece triste esperienza; tacere può essere ammissione della sconfitta del Dio-di-misericordia. E allora la tentazione più grande è quella di non fare né l’una, né l’altra cosa, ma di fuggire. Fuggire lontano da domande come queste che sono come un fuoco in grado di divorare ogni cosa.

Nella mia esperienza pastorale ho imparato che non c’è via d’uscita. In questi casi dobbiamo accettare di sbagliare. Parlerò, se proprio sentirò di avere una parola da Dio. Starò zitto se non ne sarò capace. Una volta farò una cosa e una volta l’altra. Nell’uno e nell’altro caso, non mi dirò certo di aver fatto la cosa giusta. L’unica opzione che non mi è data, comunque, è quella della fuga, della diserzione intellettuale e spirituale dal quesito.

Ma tutto questo è solo una premessa. Perché trovandomi, almeno per questa volta, soltanto davanti ad un caso “ipotetico”, voglio cercare di articolare una riflessione, non una risposta beninteso, che possa essere utile almeno in parte. E lo faccio partendo dal contesto in cui vivo.

Ecco una foto di oggi, di due bellissime navi da crociera, nel porto della mia città, Civitavecchia.
(Benché non sia la “mia” città, forse perché le assomiglia molto (sono di Napoli), forse per il carattere della gente, espansivo e cordiale, o chissà per quale altra ragione, la sento proprio come fosse la mia.)

Provate a immaginare la quantità di smog, di aria assolutamente irrespirabile che queste fumarole producono: ogni giorno, diverse ore al giorno, diverse navi di questa stazza;
Considerate gli sbuffi velenosi che più spesso nottetempo escono dalle ciminiere delle centrali elettriche, quella della Tirreno Power e quella a carbone dell’Enel;
Considerate lo smog prodotto da uso ed abuso di automobili, e dalle altre mille forme di inquinamento dell’aria a cui è esposta la città.
Aggiungete a tutto questo anche decisioni che sembrano grottesche, come quella presa dalla Giunta Comunale, in questi giorni agostani, di privatizzare i parchi pubblici;
Considerate questa incuria, e forse anche un grado di silenziosa complicità, in nome del business e dello “sviluppo”, e condite il tutto, se volete, con la leggera e allegra partecipazione di molti di noi alle feste di piazza sponsorizzate dagli stessi che arrecano danno (il tabellone estivo dell’Enel è davvero impressionante se si considera la crisi in cui siamo).
Ecco, considerate tutto questo e poi, tornate a quella difficile preghiera iniziale.
La ripeto: “O Dio, che dici di essere buono, perché hai lasciato che mio figlio di cinque anni si ammalasse di leucemia?”.

Effettivamente ci sono dei casi in cui proprio non sappiamo darci spiegazione. Effettivamente ci sono dei casi in cui dire una parola è poco e dirne due è troppo. Effettivamente sulle labbra di un padre o di una madre, una frase del genere è sempre struggente e va accolta con rispetto.
Ma non vi pare che noi adulti dovremmo interrogarci anche un po’ prima? Non vi pare che bisognerebbe non disertare dai compiti di più attiva cittadinanza per cercare di tutelare l’acqua che beviamo e l’aria che respiriamo? Non vi pare che prima di inquisire Dio sul suo mancato agire, dovremmo interrogarci sul nostro agire “dissennato”?
Credo che ogni volta che vediamo immagini come queste, dovremmo pensare ad una persona, magari molto giovane, della quale conosciamo il nome, che si è ammalata ed ha grandemente patito per una malattia che può essere dovuta al cumulo di tali eventi.

Lo so, non è facile stabilire una semplice correlazione tra causa ed effetto. Eppure la relazione c’è.

Infine, per quello che ho capito del Dio di Gesù, non credo che Lui sia indifferente a casi del genere. E’ solo che ha scelto di farlo “incarnandosi”. Egli vuole tutelare la vita per mezzo mio e tuo. La sofferenza dell’innocente non può e non deve essere, neppure per un momento, alibi del nostro disimpegno. Questa sì sarebbe con certezza una bestemmia.
Pastori di ogni religione, credenti di ogni cristianesimo, devoti di ogni santo, padri e madri tutte, meditate.
La domanda non è semplicemente perché Dio tarda a soccorrere l’innocente, ma perché non lo facciamo noi, che diciamo di credere in un Dio misericordioso.
Soltanto quando ci saremo battuti con tutta la nostra forza e intelligenza, per immaginare e preparare un mondo migliore, la parola “resurrezione” affiorerà sulle nostre labbra e sarà non semplicemente consolatoria, ma parola di vera speranza.
“Kyrie eleison”.

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23 agosto 2011

Carbone trasportato su strada: costi occulti per un bilancio in nero

Inquinamento su inquinamento, vergogna su vergogna.

Anche se non ce lo dicono e non sarebbe neanche legale (non previsto nelle valutazioni di impatto ambientale degli impianti energetici), le viabilità locali dei luoghi in cui sono impiantati gli ecomostri a carbone sono gravate dal trasporto del combustibile che in parte avviene su gomma, localmente. Il risultato è una sicura fonte di inquinamento aggiuntivo e disagi al traffico. Non per niente, nello scorso 18 agosto un mezzo pesante ha riversato il suo carico nero sulla strada, ribaltandosi vicino Savona (Fonte, aggiornamento del 23/08).

Ma l'inquinamento aggiuntivo non viene solo dalle emissioni degli autotreni impiegati: questi vengono infatti caricati a cielo aperto, con ulteriore movimentazione di carbone che ne disperde le polveri nell'ambiente circostante. A voler essere precisi la lista dei costi si allunga, poiché questi autotreni poi transitano su strade in cui sarebbe loro vietata la circolazione, e danneggiano anche il manto stradale.

Per questo però niente paura: interverrà enel o l'altro grande inquinatore di turno per ri-asfaltarvi la strada, e tutti lo chiameranno benefattore.

Finisce tutto nel bilancio dei costi, ma in nero. Le nostre tasche, il nostro ambiente e la nostra salute ne risentono, ma come si dice: occhio non vede...

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14 agosto 2011

"Come frullatori di pesce": centrali a carbone fanno strage di fauna ittica

Fonte: greenreport
Il nuovo rapporto "Giant Fish Blenders: How Power Plants Kill Fish & Damage Our Waterways (And What Can Be Done to Stop Them)" di Sierra Club, la più grande e diffusa associazione ambientalista americana, denuncia che «miliardi di pesci ed altri organismi acquatici vengono uccisi ogni anno dai sistemi delle prese d'acqua delle centrali elettriche obsolete, tra le quali le centrali elettriche a carbone». Il rapporto, molto dettagliato, prende in esame gli impianti di raffreddamento delle centrali elettriche presenti nel Golfo del Messico, lungo i fiumi Mississippi ed Hudson, nella baia di New York e a Long Island Sound, sulla costa della California, nei Grandi Laghi ed a Chesapeake Bay.

La Environmental protection agency (Epa) federale degli Usa ha proposto nuovi standard per i sistemi di raffreddamento delle centrali elettriche, e attualmente sta raccogliendo le osservazioni pubbliche su questo progetto di standard: la scadenza è il 18 agosto. Ma secondo Sierra Club le proposte dell'Epa «purtroppo sono ben lontane da quel che è necessario per proteggere la pesca ed i corsi d'acqua».

Le coste ed i fiumi degli Stati Uniti sono punteggiati da impianti antiquati che utilizzano sistemi di aspirazione dell'acqua per raffreddare le centrali elettriche a carbone e nucleari, impianti che Sierra Club ha ribattezzato "Giant fish blender", frullatori giganti di pesce. Per illustrare i risultati di questo procedimento Sierra Club ha anche realizzato un cartoon con il fumettista premio Pulitzer Mark Fiore, e sottolinea che «l'Epa ha il compito di applicare la Section 316 (b) del Clean Water Act, che richiede l'utilizzo delle migliori tecnologie disponibili per minimizzare il danno ambientale delle centrali. La Closed-cycle cooling" è la migliore tecnologia disponibile per ridurre le minacce dei sistemi di raffreddamento ad acqua, ed è sia conveniente che già in uso in tutto il Paese.

Il raffreddamento a ciclo chiuso riduce le prese d'acqua di circa il 95%, riducendo drasticamente la quantità di acqua necessaria per le operazioni in una centrale elettrica e con la conseguente corrispondente riduzione dei danni per i pesci e all'ecosistema circostante. Tuttavia, l'Epa ha proposto nuovi federal cooling water standards che non richiedono alle utilities di utilizzare questi sistemi aggiornati.

Le centrali elettriche utilizzano più acqua di qualsiasi altro settore negli Stati Uniti: il 49% dell'acqua dolce, più dell'agricoltura e dell'utilizzo potabile messi insieme, con un prelievo di oltre 200 miliardi di galloni di acqua ogni giorno. Quasi tutta quest'acqua viene utilizzata per lo "once-through cooling", un antiquato sistema di raffreddamento che prevede l'aspirazione di acqua, succhiando milioni di litri da fiumi, laghi e mari per il raffreddamento e trasformando ogni centrale in un gigantesco trituratore di pesci, crostacei, anfibi ed altri animali, compresi i mammiferi marini.

Sierra Club è convinta che l'Epa, «sotto le forti pressioni degli interessi della potente industria, ha scelto di non richiedere requisiti tecnologici significativi, che avrebbero protetto gli ecosistemi. Invece, la proposta dell'Epa offre pochi o nessun miglioramento per le tecnologie necessarie per proteggere i pesci e la fauna selvatica, lasciando le decisioni a organismi statali già sovraccarichi».

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1 agosto 2011

Tangenti per il carbone di Porto Tolle, la P4 coinvolta

Pubblichiamo un articolo di grande interesse, dalla home page del FattoQuotidiano
"Servizi, mazzette e P4: le trame oscure intorno alla centrale Enel di Porto Tolle". Una lettura consigliata!
Un agente dei servizi viene arrestato a Padova per concussione. Il suo nome compare due giorni sui giornali locali. Poi il vuoto. I magistrati padovani che indagano sul caso chiedono informazioni su di lui alla procura di Rovigo, perché è lì che l’agente segreto vive. E il Procuratore Capo Dario Curtarello salta sulla sedia. Quel nome lo conosce bene. Ettore Mantovan, 57 anni di Porto Viro è conosciuto anche al pool del Pm Carlo Nordio, che ha condotto le indagini sulle coop rosse. E ora sul nome dello 007 incombe l’ombra della P4.

I giochi si compiono a Rovigo, capoluogo “depresso”, dimenticato da tutti quelli che non sanno nemmeno dove collocarlo sulla cartina geografica. Eppure è qui si gioca la doppia “partita energetica” del Paese: il rigassificatore a metano di Porto Viro (Edison), inaugurato dall’ex governatore Giancarlo Galan, e, a una manciata di chilometri, la centrale Enel di Porto Tolle, che dal funzionamento a olio combustibile, altamente inquinante, vuole passare al carbone, progetto fortemente voluto dalla Regione e dai sindacati, osteggiato dagli ambientalisti e, sul piano giudiziario, dalle consulenze della procura di Rovigo.

Ma all’ombra dei due “mostri” c’è un oscuro sottobosco tutto da svelare. Perché un anno fa Ettore Mantovan, agente segreto dell’Aisi (Agenzia italiana per la sicurezza interna, ex Sisde) avrebbe fatto pressioni sui pm di Rovigo che si permettevano di “andare contro” gli interessi dell’Enel a suon di consulenze sull’impatto ambientale dell’opera. Il caso finisce a Trento, procura competente per i magistrati veneti, che però archivia il caso. Poteva continuare la sua vita nell’ombra, Mantovan. Ma quattro mesi fa i carabinieri di Padova gli trovano nelle tasche 50mila euro in contanti. E’ una mazzetta appena estorta ad un imprenditore ittico. E ora sul tavolo dei due pm padovani che indagano si di lui, Paolo Luca e Roberto d’Angelo, arrivano i fascicoli dell’inchiesta P4 di Henry John Woodcock e Francesco Curcio. Ci sarebbe quindi un collegamento con le intercettazioni che hanno incastrato Bisignani-Milanese-Papa, gettato ombre sulla Guardia di finanza ed evidenziato possibili accordi “segreti” per le nomine e gli affari dei grandi enti statali, tra cui proprio l’Enel.

I magistrati padovani sono ora a caccia di possibili nessi tra l’inchiesta partenopea e i movimenti di Mantovan. Dal suo passato emergono infatti molti dettagli che, messi in uno in fila all’altro, potrebbero svelare un inedito interessamento dei Servizi agli interessi economici di Rovigo.

Sono le 17.30 del 29 marzo scorso quando il 57enne rodigino Ettore Mantovan viene arrestato dai carabinieri al casello di Padova sud: ha appena preso 50mila euro da Archimede Finotti, imprenditore titolare della Finpesca di Porto Viro. Ma il contestato reato di concussione non è che una deriva rispetto ad altri piccoli particolari che emergono ripercorrendo la carriera di Mantovan. Negli anni ’90 è in questura a Rovigo, fa l’ispettore. Ma è molto ambizioso, quel ruolo gli sta stretto. Si mette in mostra a Venezia, dove porta al pubblico ministero Carlo Nordio elementi determinanti in merito all’inchiesta sulle coop rosse. Il nome di Alberto Fontana, il famoso “compagno F” che manovrava tangenti per finanziare il Pci, arriva proprio grazie alle informazioni di Mantovan. L’ispettore ha le mani in pasta e lo dimostra chiaramente a tutti quelli che lo conoscono. Il suo obiettivo sono i Servizi. Più volte chiede alla procura veneziana di essere “segnalato” a Roma. Ma dal capoluogo veneto non parte alcuna spintarella. Lui non si arrende. Passa qualche tempo alla Dia di Padova. Alla fine ce la fa: dopo il 2000 entra nel Sisde, che poi diventa Aisi, ed è responsabile di zona per il Triveneto.

Il suo nome ricompare nel 2008. Scoppia il caso della riconversione a carbone della centrale Enel di Porto Tolle. Il colosso che svetta nel fragile equilibrio del parco del Delta del Po funziona a olio combustibile, ma inquina troppo. Che progetti ha l’Enel? La riconversione a carbone. Gli ambientalisti promettono battaglia. E il caso arriva in Procura. Nel 2008 giunge sul tavolo del pm rodigino Manuela Fasolato la relazione dell’ Enel sulla riconversione: l’ente parla di emissioni non nocive, di polveri più sottili del temuto pm10. Ma una consulenza richiesta dalla pm e controfirmata dal procuratore capo Dario Curtarello dice che non è vero che quel tipo di polveri non comporta rischi, anzi potrebbe inquinare in modo più subdolo. Per L’Enel compare lo spettro dei sequestro preventivo.

Parallelamente, gli ambientalisti parlano del ‘controsenso energetico’: a una manciata di chilometri da Porto Tolle c’è il rigassificatore di Porto Viro, che porta alti gli interessi di Edison e di una ditta del Quatar che trasporta qui il metano in stato liquido. La domanda è quasi banale: perché la centrale Enel non può essere collegata al rigassificatore e funzionare a metano? L’Enel non risponde. Non risponde nemmeno la Regione Veneto, e sindacalisti si scontrano con Greenpeace, Legambiente e Movimento 5Stelle. Perché ai sindacati L’Enel promette soldi e lavoro, con il metano non ci sono né l’uno né l’altro. Peccato che la magistratura si metta di traverso. Lo pensa anche per l’ex pm ed ex parlamentare del Pd Luciano Violante. Violante guida una “lobby” che si chiama “Italia-decide”, che ha la missione di agevolare la ripresa economica del Paese. Piccolo dettaglio: tra i fondatori di della lobby c’è anche Enel.

Nell’inverno del 2010 Violante, in un pubblico salotto chic di Cortina d’Ampezzo, riprende il rapporto annuale di Italia-decide, che ha un capitolo dedicato proprio all’Enel e fa un commento che, a posteriori, appare come un anatema: si augura infatti che si trovi presto una soluzione alle perplessità dei magistrati che stanno bloccando la riconversione a carbone della centrale di Porto Tolle. Detto fatto. Violante chiama, Alfano risponde. Nel giro di pochi giorni il ministero della Giustizia manda gli ispettori in procura a Rovigo. E un cavillo lo trovano: quando ha richiesto la consulenza “ammazza-Enel”, il pm Fasolato si occupava contemporaneamente della commissione per gli esami dei neomagistrati. “Per legge” non si possono fare le due cose contemporaneamente. Il pm deve quindi spiegare questa sua “smania” di lavoro. Il procedimento disciplinare, nel quale è stato coinvolto anche il procuratore capo Curtarello, non è ancora chiuso.

Inaspettatamente, però, lo stop arriva dal Consiglio di Stato, che a metà giugno di quest’anno blocca i piani dell’Enel perché la legge sul parco del Delta limita le emissioni di Co2 in vicinanza dell’area protetta. La Regione Veneto di Luca Zaia risponde in meno di un mese approvando la modifica della legge “blocca-Enel”. Insomma questa riconversione s’ha da fare, a 5Stelle e ambientalisti restano solo le barricate.

Mentre accade tutto questo, dice oggi l’inchiesta, c’è un “movimento sotterraneo” che preme nella stessa direzione, un movimento che ha il nome di Ettore Mantovan. Lo 007 opera infatti delle velate pressioni in Procura affinché i magistrati abbassino le barricate nei confronti dell’Enel. Ma non lo fa in modo diretto. Si serve di un agente di polizia giudiziaria in servizio in Procura, che sarebbe stato incaricato di far arrivare il messaggio a Fasolato e Curtarello.

Perché uno 007 dovrebbe mettere il naso sugli interessi economici del paese? I due pm chiedono alla procura di Trento, competente per territorio sui magistrati veneti, di fare chiarezza. Mantovan viene sentito come persona informata sui fatti, e nega ogni pressione. I magistrati trentini archiviano, non ci sono elementi per individuare rati. Caso chiuso? Non ancora. Perché intanto Mantovan si fa pescare nel padovano a estorcere soldi agli imprenditori. Quando la notizia arriva a Rovigo, in Procura cominciamo a girare facce scure. Quell’uomo lo conoscono troppo bene. Passano i mesi, Mantovan sta in carcere e soprattutto sta zitto.

Nel frattempo esplode il caso P4. Bisignani e Papa, Bisignani e Milanese, la Guardia di finanza, le fughe di notizie. Ma soprattutto, ed è quello che più interessa ai magistrati padovani, ci sono le nomine e interessi degli enti statali, Enel compresa. Sospetti, indizi. Da qualche giorno è iniziata la caccia ai possibili collegamenti. I magistrati padovani sono convinti che Mantovan non abbia agito da solo. Un fatto è certo: i faldoni di Napoli sono a Padova. La verità sta in quegli intrecci. La verità la sa anche Mantovan. E i magistrati sono convinti che e non sia l’unico a saperla.

di Roberta Polese

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27 luglio 2011

Sole24ore: il carbone è incompatibile con l'Europa

Riportiamo un articolo di V. Castronovo dal Sole24ore

A distanza di un secolo e mezzo da quando l'elettricità e il petrolio cominciarono a scalfire la preminenza del carbone (che nel 1914 forniva ancora, da solo, l'87% dell'energia su scala mondiale), questo combustibile fossile appare destinato ora a riguadagnare terreno.

Si prevede infatti che, con la riduzione dal 14 al 10% della quota globale di energia nucleare, dovuta ai tagli in corso, almeno un terzo della domanda da ricollocare verrà convogliata verso il mercato del carbone. E ciò anche in Europa.
Nel Vecchio Continente si tornerebbe così a riportare in auge quella che a metà dell'Ottocento il Times definiva una «moderna pietra filosofale», alla luce del ruolo decisivo svolto dal carbone nell'innesco della Rivoluzione industriale, e che Friedrick Siemens, a sua volta, considerava «la misura di tutte le cose». Era stato infatti il carbone a imprimere un ritmo più veloce ai progressi dell'economia e a determinare, nello stesso tempo, mutamenti significativi nello scenario sociale: dopo che aveva alimentato, grazie alla trasformazione dell'acqua in vapore, gli altiforni per la fabbricazione dell'acciaio e meccanizzato gli opifici tessili; inaugurato l'età della ferrovia (con le prime locomotive, al posto delle vecchie diligenze) e del trasporto marittimo su navi di grossa stazza (in sostituzione delle imbarcazioni a vela); e segnato una netta separazione fra i paesi del "cavallo vapore", sospinti in avanti dall'industrializzazione e da una crescente mobilitazione di capitali, e quelli rimasti indietro, del "cavallo da tiro", ancorati a un'agricoltura per lo più di sussistenza e al presidio delle rendite fondiarie.

Tuttavia, la marcia trionfale della Gran Bretagna, e man mano del Belgio, della Francia, della Germania e degli Stati Uniti aveva comportato, oltre alle spossanti fatiche di una massa di minatori adibiti a scavare col piccone giacimenti minerari sempre più profondi, il degrado di intere contrade in altrettante "regioni nere", con il paesaggio delle campagne deturpato dai pozzi d'estrazione del carbone e il cielo delle nuove città-fabbriche offuscato perennemente dal fumo delle ciminiere. L'assoggettamento della manodopera a un lavoro massacrante nel sottosuolo (con una sequela di incidenti mortali) e l'abbruttimento della natura circostante si sarebbero ripetuti, durante la rincorsa dei second comers ai paesi più avanzati, via via che la frontiera del carbone andò spostandosi dal cuore dell'Europa occidentale verso Est, all'Ucraina, agli Urali, all'Asia centrale, e, di qui, infine, alla Cina e all'India.

Dopo che la Comunità europea era sorta nel 1957 sulle orme di quella del carbone e dell'acciaio istituita sei anni prima (che aveva per epicentro il vecchio bacino minerario-metallurgico della Ruhr), questa impronta originaria della sua economia s'era venuta progressivamente sbiadendo, anche ai tempi dell'emergenza energetica successivi all'impennata dei prezzi petroliferi nel 1973 e 1979. E l'anno scorso la Ue aveva persino deciso di mettere al bando il carbone entro breve scadenza, per ridurre le emissioni ad effetto "serra".
Senonché, dopo lo stop deciso in vari paesi allo sviluppo del nucleare, e in considerazione dei massicci investimenti richiesti dalle energie rinnovabili, si sta pensando di utilizzare una risorsa disponibile da subito, come il carbone, in misura più ampia di quanto già si faccia, dato che esso copre adesso oltre un quarto del consumo energetico della Ue per via del largo uso da parte della Germania e di due paesi emergenti come la Polonia e la Repubblica Ceca.

Ma un ritorno al carbone, sia pur in misura più limitata rispetto a quella d'un tempo, e pur con determinate tecnologie che ne rendono l'impiego più "pulito", significherebbe, in pratica, ripudiare l'impegno assunto da Bruxelles, e più volte ribadito, per l'attuazione nel suo ambito di un processo di sviluppo «responsabile e sostenibile». D'altra parte, si aggraverebbe ulteriormente l'inquinamento del clima e dell'ambiente dovuto all'utilizzo intenso e sistematico che del carbone continuano a fare Cina e India, ma anche gli Stati Uniti. E ciò, nonostante le reiterate e argomentate denunce espresse in varie sedi internazionali affinché si provveda per tempo ad attuare un'efficace politica per la salvaguardia dell'ecosistema.

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24 luglio 2011

Intervista sul carbone di Porto Tolle

Dal blog di Beppe Grillo un'intervista all'amico Vanni Destro

"Ci sono posti dove anche un respiro ha un sapore diverso. Ogni filo d'erba, ogni granello di terra, subisce inerme il dramma generato dall'uomo. A Porto Tolle, in Veneto, c'è una centrale Enel fra le più grandi d'Europa. La sua torre a strisce biancorosse si innalza verso il cielo e squarcia la pianura, sul delta del Po. Era alimentata a olio combustibile, ma adesso vogliono rinconvertirla in una centrale a carbone. Ci raccontano la favola del carbone pulito, nascondendo la realtà. Il carbone è fra i combustibili più inquinanti. E' vecchio 300 milioni di anni. Il suo rilascio di Co2 nell'aria è devastante. Però costa meno, garantisce maggiori profitti. E davanti al business non c'è ambiente che tenga.


Intervista a Vanni Destro del Comitato per la difesa della salute e dell' ambiente per la Provincia di Rovigo:

Il carbone pulito non esiste
Questa che è lì è ferma da quasi 6 anni è la vecchia centrale Enel a olio combustibile a alto contenuto di zolfo che è stata costretta a chiudere nel 2005, dopo aver funzionato 25 anni senza nessuna autorizzazione ministeriale, perché è troppo inquinante, si dice la più inquinante d’Europa
per cui ci sono anche delle condanne agli amministratori delegati dell’Enel e ai direttori della centrale, sono 4 gruppi di combustione a olio per un totale di 2640 megawatt di produzione. Quando è nata era la più grande centrale d’Europa, rappresentava all’epoca circa l’11% della produzione elettrica nazionale. Vorrebbe nell’ipotesi di Enel essere trasformata in una centrale a carbone tra i gruppi per un totale di 1960 megawatt, carbone cosiddetto pulito a uno dei 3 gruppi per effetto di un finanziamento di 100 milioni da parte dell’Unione Europea verrebbe applicato il sistema ancora sperimentale di cattura e sequestro di CO2, che bloccherebbe un milione di tonnellate di CO2 emessa, peccato che la centrale ne emette in totale 10,5 milioni. Di fatto l’anno scorso abbiamo sfiorato abbondantemente il record di emissioni di CO2 a livello antropico con 30,6 miliardi di tonnellate di CO2 emessa, non abbiamo bisogno di centrali, non abbiamo bisogno di elettricità in Italia, abbiamo bisogno eventualmente di far rispondere l’efficienza energetica. Come puoi vedere è abbastanza impressionante! I suoi bei danni li ha fatti, come di là si intravedono… quelle sono le cisterne di olio combustibile che insistono nella zona, l’Enel non ha mai preso in ipotesi quello che è prescritto anche per la legislatura del parco sull’Art. 30, cioè la riconversione a gasmetano, nonostante abbia sottoscritto un accordo nel 1999 con le autorità regionali e locali e i sindacati e l’Edison che all’epoca era una componente dell’opera, un accordo per utilizzare il gas del più grande rigassificatore offshore , fuori da terra, in mezzo all’acqua al mondo che si trova a poca distanza, circa 10 miglia, il punto più vicino alla terra è proprio la banchina dell’Enel, era stato fatto con questo scopo. Non vuole utilizzare il gas dell’Edison molto probabilmente per conflitti anche tra aziende concorrenti, di fatto questo accordo l’aveva siglato, è chiaro che il carbone costa meno, se basta mettere un aggettivo come pulito per renderlo più appetibile, poi la sostanza non cambia, è il più inquinante tra i combustibili fossili e dal punto di vista del riscaldamento globale è quello che incide molto di più essendo quello che emette più anidride carbonica di tutti! Questa è una zona tutta di bonifica, queste erano valli, paludi etc. e sono state bonificate tra l’inizio del '900 e il ventennio fascista. I lavori sono iniziati nel 1975/1976, se non erro, già tra moltissime polemiche. Il parco doveva essere nelle intenzioni del legislatore, si parla della legge del 1991, un unicum con il parco dell’Emilia Romagna perché una parte del delta è anche in Emilia Romagna, se non fosse diventato parco interregionale entro due anni, secondo il legislatore, sarebbe dovuto intervenire il Ministero dell’Ambiente e farne un parco nazionale, siamo ancora qua che aspettiamo.

ispettori Pdl e Pdmenoelle
Qui siamo a Boccasette, in una località dove si è sviluppato bene o mane un minimo di turismo balneare all’ interno della foce del Po’, ma più avanti c’è Alberella, Rosolina per un tipo di turismo più popolare.
Siamo qui perché proprio in fondo, proprio di fronte c’è il rigassificatore dell’ Adriatic LNG
che è stato costruito dopo un accordo che c’è stato tra Enel, Edison che era una componente del progetto rigassificatore e le autorità locali, i sindacati, con l’intento di alimentare la centrale di Polesine Camerini che si vede là in fondo. Infatti è il punto più vicino a terra dal rigassificatore, con l’intenzione di alimentarlo a gas, la cosa non è stata fatta perché Enel evidentemente il carbone costa meno e garantisce maggiori profitti, anche perché è più inquinante, si vanno a spendere soldi in tecnologie per limitare l’inquinamento, chiaramente diminuisce anche i profitti.
Di fatto questa centrale è stata oggetto di un sacco di indagini anche da parte della Procura, condanne una recente per inquinamento ambientale agli amministratori delegati Totò Scaroni e i due degli autori della centrale è un rinvio a giudizio recente del 28 giugno addirittura per l’ipotesi di disastro ambientale sempre a Totò Scaroni e a una serie di altri personaggi, una serie di indagini anche per il progetto di riconversione a carbone perché è stato riconosciuto un falso abuso d’ufficio nella presentazione del progetto, lì sono coinvolti anche i commissari della Via nazionale e della Via Veneta, la Commissione di valutazione di impatto ambientale. A fronte di questo cosa è successo? Che Luciano Violante, portavoce di "Italia Decide" parlamentare del PD, ex Presidente della Camera, l’Italia Decide è una fondazione cofondata e finanziata da Enel, ha denunciato che c’era una persecuzione da parte della Procura… Luciano Violante ha denunciato questa ipotesi di ipotetica persecuzione invocando da parte della Procura di Rovigo nei confronti di Enel che vuole riconvertire a carbone, invocando l’ispezione del Ministero della giustizia e quindi di Angelino Alfano che in perfetta sincronia bipartisan ha subito mandato gli ispettori. E pare che i pubblici Ministeri siano stati sanzionati, anzi è certo, perché pur di togliergli l’indagine al PM Manuela Fasolato l’avevano promossa a esaminatrice di una commissione per formare magistrati a Roma, ma riusciva a continuare a seguire le questioni ambientali che stava seguendo qui in Provincia di Rovigo.Quindi è stato detto che lavorava troppo, sostanzialmente non poteva fare una cosa e farne un’altra, sappiamo che la giustizia è molto veloce in questo paese, se c’è qualcuno che si dà da fare è giusto sanzionarla, Alfano lo sa bene e anche a questo punto il centro-sinistra e il PD lo sa che non conviene toccare il manovratore, chi tocca i fili muore! La centrale come dicevo prima emetterà metalli pesanti, le rilevazioni, verrà costituito un osservatorio nelle intenzioni del Ministero, dell’ Enel, dell’ autorità che l’ha costruita, che farà capo agli enti locali, è simile a quello di Civitavecchia, finanziato da Enel. Il Ministero dell’ambiente a Civitavecchia l’ha dichiarato illegale perché non coinvolge l’ ARPAV o altri enti di salvaguardia dell’ambiente del territorio. Cosa succederà? Che emetterà metalli pesanti in modo consistente, le polveri ultrasottili raggiungeranno aree molto, molto lontane, c’è uno studio del CNR anche in proposito, si parla di 60/70 chilometri di distanza.

panem, circenses e carbone
Le emissioni di CO2 in un paese che ha già un problema di deficit rispetto agli accordi a livello europeo, già sforiamo di 80 milioni di tonnellate, saranno incrementate di altri 10,5 milioni di tonnellate, anche se parlano di cattura e sequestro di CO2, al limite se proprio dovesse funzionare, secondo le loro dichiarazioni, riusciranno a catturarne sì e no un milione di tonnellate, continuerà a distruggere questo paesaggio che avete visto in parte e a minare la salute dei suoi abitanti che contano quasi tutti un malato, se non d’asma, di tumore in questa zona.
Sappiamo che in questa zona il potere dell’Enel e di chi ci lavora ha la mano pesante, non parlo di mafia o di minacce, però le persone purtroppo spesso parlano a mezza bocca della cosa, hanno sempre paura di ledere gli interessi di qualcuno, come si fa di solito per governare bene si lasciano prebende a un’associazione, piuttosto che a un’altra, si sistemano alcune cose, si sponsorizzano avvenimenti, si fa un po’ di panem circenses in questo, Enel sicuramente è molto brava! Di fatto sarebbe interessante che le persone sono parecchie e questo lo so per certo, che hanno un malato di tumore, piuttosto che di malattie respiratorie serie si facessero coraggio e denunciassero le cose in maniera tale che si vedesse qual è il reale impatto sulla popolazione del passato funzionamento della centrale e quali sono i reali pericoli per il futuro con un combustibile inquinante come il carbone.
Non c’è nel nostro paese, qui spesso leggiamo sui giornali che c’è la necessità di riconvertire a carbone questa centrale perché colmerebbe il deficit del 40% di mancanza di energia elettrica che c’è in Veneto. Non possiamo ragionare con il federalismo elettrico, è un’assurdità, la corrente viene prodotta in alcuni posti e viene portata in altri, sarebbe molto meglio fosse in filiera corta come tante altre cose perché non ci sarebbero dispersioni. In Italia non abbiamo bisogno di nuove centrali, è una dichiarazione di Fulvio Conti, non è mia, del 3 giugno. Abbiamo una produzione elettrica che può far fronte a qualsiasi tipo e livello di emergenza, si tratta solo di creare le reti adeguate per portare quell’energia che viene prodotta che so dall’eolico, piuttosto che dal fotovoltaico, portarla dove serve, un’efficienza energetica maggiore e soprattutto puntare sul risparmio energetico. Ci sono studi della facoltà di energetica del Politecnico di Milano che danno indicazioni di minima, attraverso le quali si potrebbe giungere a risparmiare entro il 2020 del 30% dell’energia consumata con semplici accorgimenti, senza stravolgere il nostro stile di vita. Ovvio che finché non si capisce che continuare a produrre energia da combustibili fossili, oltre che incidere sulle nostre tasche, incide sulla nostra salute e sul futuro dei nostri figli, non faremmo grossi passi da gigante. Purtroppo in alcune zone come questa si fa leva sempre sulla questione lavoro, ma di lavoro se si volesse seriamente impegnare con un po’ di coraggio nell’ambiente che ci circonda, in agricoltura, turismo, pesca e indotto ce ne sarebbe da vendere qui, solo che è più facile aspettare uno stipendio del 27 e questo lo posso anche capire, ma non giustifica il fatto di ammazzare gli altri, queste sono cose del Terzo Mondo.

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16 luglio 2011

Mario Tozzi, il carbone è scelta che più miope non si può

"Dalla padella alla brace", su LaStampa Mario Tozzi spiega come l'alternativa al nucleare non può essere il carbone. Parole abbastanza chiare, anche se restano fuori dall'articolo numerosi problemi non citati, connessi con l'uso del carbone a fini energetici

"Chi si era chiesto come avrebbe fatto l’Europa a procedere senza più energia nucleare ha avuto la sua risposta.

Soprattutto accendendo nuove centrali a carbone e non spegnendo le vecchie. Non avete voluto il nucleare? Allora beccatevi il carbone, una logica che più miope non si può. La scelta viene giustificata dalle nuove tecnologie (il carbone pulito) e
dal bisogno sempre più pressante di energia, fattori che si faranno risentire anche sul nostro Paese, che dipende solo per l’11% dal carbone, ma che vede diffusi tentativi di riconversione verso questo combustibile fossile.

Chiunque abbia preso mai in mano un pezzo di carbone sa che il carbone pulito non può esistere, esistono semmai tecnologie più pulite (clean coal technologies) per il suo sfruttamento. Come quelle che consentono di ricavare combustibili liquidi attraverso la sua liquefazione.

Polveri e ceneri volatili vengono limitate nelle nuove centrali a carbone attraverso l’impiego di dispositivi a ciclone, precipitatori elettrostatici, sistemi di lavaggio a umido e filtri di vario genere. Il problema micidiale delle emissioni di anidride solforosa (cioè delle piogge acide) viene risolto (il termine meritava le virgolette, ndr) soprattutto separandola dagli altri gas combusti o desolforando direttamente il carbone. Gli ossidi d’azoto possono essere significativamente limitati (denitrificazione) agendo sul processo di combustione o rimuovendoli dai gas combusti.

Non c’è niente da fare, però: il carbone inquina, comunque aumenta l’effetto-serra, produce ceneri e, alla fine, è destinato a esaurirsi. Ma sul ritorno al carbone giocano anche altre questioni strategiche industriali. Prima di tutto il fatto che ci sarebbe carbone sufficiente per altri 230 anni circa (altre stime parlano di 150 anni), molto di più di qualsiasi altro combustibile fossile si possa usare. Però, come per il petrolio, l’ultima tonnellata di carbone si estrae più difficilmente e costa molto di più da estrarre della prima: l’importante non è quando finisce, ma quando comincia a costare troppo, cioè circa a metà delle riserve sfruttate.

Il secondo dato favorevole è che la distribuzione geografica del carbone è molto diversa rispetto a quella del petrolio, non interessando Paesi con gravi problemi di instabilità politica. Questo dovrebbe garantire maggiore tranquillità nell’approvvigionamento e maggiore stabilità nei prezzi. Così il carbone consentirebbe di superare l’attuale fase di transizione energetica arrivando senza traumi al suo esaurimento, prima che ci si trovi in emergenza per aver esaurito definitivamente petrolio e gas naturale.

Ma i problemi connessi con l’uso del carbone sono gravissimi a partire dall’estrazione. Le miniere di carbone sono generalmente a cielo aperto e il loro scavo altera gravemente il paesaggio, sollevando polveri e altri inquinanti. In ogni caso si tratta di scavi giganteschi che comportano lo stravolgimento di una regione.

Le ceneri generate dalla combustione del carbone ammontano a una percentuale in peso maggiore di quella del petrolio e, ovviamente, del gas naturale (che non ne produce). Comportano quindi gravi problemi di inertizzazione e smaltimento, aggravati dalla presenza costante di impurità metalliche, spesso tossiche o comunque nocive, che vanno trattate a parte.

Bruciare carbone, poi, non libera dalla schiavitù dell’anidride carbonica, anzi, per questa via se ne produce di più che con qualsiasi altro combustibile fossile, con i relativi problemi in termini di surriscaldamento dell’atmosfera che già conosciamo bene per il petrolio (e, in misura minore, anche per il gas). Nessuna politica di opposizione al cambiamento climatico ha senso se non si rinuncia al carbone. Senza contare la sgradevole sensazione di essere finiti dalla padella nella brace.

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Investimenti in fonti fossili, una bolla finanziaria piena di Co2

Secondo Carbon Tracker gli investimenti in fonti fossili di energia sono eccessivi rispetto alle quantità effettivamente estraibili e utilizzabili nel prossimo futuro.
Fonte: Qualenergia
Gli investimenti nelle fonti fossili potrebbero esser i nuovi subprimes. C'è un rischio sistemico profondo, ma trascurato nel mercato finanziario mondiale, che potrebbe portare danni peggiori di quelli dell'ultima crisi economica e finanziaria. Una quantità enorme di denaro è infatti impegnata in carbone, petrolio e gas che in futuro probabilmente non potranno essere estratti. Investimenti spesso a medio e lungo termine nelle fonti fossili compiuti anche da grandi fondi pensione e Stati, senza guardare al quadro macro della situazione: con le politiche necessarie a limitare il riscaldamento globale, circa l'80% delle riserve su cui si è finora investito non potrà essere sfruttato.

E' questo il sunto estremo di un interessante studio appena pubblicato da Carbon Tracker Initiative (vedi allegato). Se nel mondo crescono gli investimenti in tecnologie pulite (si veda l'ultimo report REN 21 su Qualenergia.it, Le fonti
rinnovabili, il primo driver della crescita mondiale), l'economia mondiale continua a puntare ancora molto su carbone, gas, petrolio e altri settori ad alta intensità di CO2: si pensi ad esempio al piano da 100 miliardi di dollari di Shell per aumentare l'output a 3,7 milioni di barili al giorno entro il 2014. Ma gli investitori – denuncia il report – non stanno tenendo conto dei limiti alla quantità CO2 che si potrà emettere. Quanta parte di quelle riserve su cui si sta investendo dovrà essere lasciata sottoterra?

Sono calcoli che invece il report riporta chiaramente, riprendendo quelli del Potsdam Insitute. Per ridurre fino al 20% la possibilità che la febbre del pianeta superi la soglia dei 2°C di aumento della temperatura globale, da qui al 2050 si potranno emettere 'solo' 565 miliardi di tonnellate (Gt) di CO2. Le riserve conosciute di fonti fossili se bruciate ne produrrebbero 2.795, il 65% dal carbone, il 22% dal petrolio e il 13% dal gas (vedi grafico in alto). Potremmo allora usarne solo il 20%. Le riserve in possesso delle 100 più grandi compagnie quotate nel carbone e delle 100 del petrolio ammontano ad un equivalente in CO2 di 745 Gt: 180 in più di quello che potremo bruciare fino al 2050. In aggiunta ci sono anche le riserve di proprietà degli Stati: ne emerge che, per stare sotto ai 2°C, di tutte le riserve controllate dalle grandi compagnie quotate, si potranno usare solo gas, carbone e petrolio per l'equivalente di 149 Gt CO2.

"Questo significa - denuncia lo studio – che governi e mercati globali stanno trattando come assets riserve che sono 5 volte il budget che si potrà usare nei prossimi 40 anni. Le conseguenze di poter usare solo il 20% di queste riserve non sono ancora state considerate”. Gli investitori sono esposti al rischio di possedere asset di “carbonio che non si può bruciare” che potrebbero subire una pesante svalutazione. Dato che la capitalizzazione legata alle risorse fossili su varie Borse ha un ruolo molto importante (20-30% in Borse come quella australiana, Londra, Mosca, Toronto e San Paolo), le conseguenze a catena per l'economia mondiale potrebbero anche essere catastrofiche.

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4 luglio 2011

Inquinamento, riscaldamento climatico e masse di profughi

"Arrivano gli sfollati climatici: abitanti delle isole , che a causa del surriscaldamento della terra, annegano nell’oceano", da Paperblog

Arrivano gli sfollati climatici. Sono per ora quelli di Lohacara nel Golfo del Bengala, di Newtok in Alaska o di Carteret in Papua Nuova Guinea, costretti ad arrendersi davanti a un oceano che sale senza tregua, inquinando acqua da bere e campi da coltivare , fino a sommergere tutto. Case, scuole, chiese.
Sono un piccolo esercito, ma il numero è destinato ad aumentare. In Bangladesh potrebbero superare i 20 milioni se il 18% della zona costiera finirà sott’acqua , come prevedono i climatologi. Destino più amaro per le isole, che non avranno più nessuna terra da chiamare patria. “Se non verranno prese misure adeguate , entro qualche decennio varie Isole-Stato dell’Oceano Pacifico finiranno sotto il livello del mare”Avverte Michael Gerrard , direttore del Center for Climate Change Law della Columbia University.

A New York un mese fa circa si sono riuniti 250 scienziati ed esperti legali per cercare risposte a delle domande rivolte dagli abitanti delle Isole Marshall, adagiate a pelo d’acqua tra Australia e Hawaii. La paura è tanta. Il diritto internazionale non dà risposte. E anche a New York gli esperti so sino divisi su possibili soluzioni.

L’unico dato unanime è “L’innalzamento del livello del mare , dovuto all’espansione delle acque surriscaldate e allo scioglimento dei ghiacci polari e continentali . è cresciuto in modo costante dal 1990 a oggi : attualmente , secondo misurazioni satellitari , è di circa 3 mm all’anno” ha ricordato Mary Elena-Carr , direttore associato del Columbia Climate Center “Un fenomeno non uniforme in tutto il pianeta : in alcune regioni , come l’area occidentale del Pacifico o quella sudorientale dell’Oceano Indiano , l’innalzamento è tre volte superiore alla media , principalmente a causa della maggiore espansione termica e dei venti. Considerando anche il probabile parziale scioglimento dei ghiacci in Groenlandia e nell’Antartico Occidentale , da qui al 2100 il livello del mare potrebbe salire dai 75 ai 190 cm”. E nei secoli anche svariati metri.

Un incubo che accumuna gli arcipelaghi meravigliosi dell’Oceania e i paradisi a cinque stelle della Maldive , lo stato più basso al mondo : 1220 isole e atolli , l’80% a meno di un metro sopra il mare , dove tre anni fa fu creato un fondo per l’acquisto di una nuova patria - tra le opzioni : un territorio in Sri Lanka , India o Australia . dove ricollocare i 305.000 abitanti (fondo poi eroso da crisi e tagli di bilancio).

C’è ora una corsa ai ripari. C’è chi si affida ancora i sacchi di sabbia accatastati sulla riva per fermare la marea , come capita di vedere alle Maldive fuori stagione , e chi sceglie opere d’ingegneria sempre più spericolata : strade rialzate , importazioni massicce di sabbia , barriere vegetali sulla costa o muri di cemento lunghi vari Km in mare – come la barriera costruita a difesa di Majuro , capitale della Marshall – per fermare l’impatto devastante delle onde e delle maree. Si pensa persino di creare isole artificiali , poco più di piattaforme sul mare , che garantiscono la presenza degli abitanti , per poter continuare a chiamarsi Stato , con una bandiera e i diritti economici che ne conseguono , per esempio la vendita dei diritti di pesca al tonno , una delle entrate più importanti del Pacifico.

Molte isole-Stato pensano a vie legali per difendere i loro diritti. Per esempio una mappatura che difendi i confini in modo permanente , per far sì che le acque territoriali e la Zona economica non si restringano , o scompaiano. Le frontiere economiche potrebbero essere registrate nelle opportune sedi internazionali , sia all’Onu sia nei trattati bilaterali, come quello concluso tra la Francia e l’isola di Tuvalu ( in Polinesia) per stabilire i limiti delle rispettive rivendicazioni marittime.

Intanto partono le prime azioni legali. La Federazione della Micronesia ha fatto causa alla repubblica Ceca , distante 11000 km, perché colpevole di coler tener acceso il maxi impianto a carbone di Prunnerov-2 “Da solo produce emissioni 40 volte superiori a quelle emesse da tutto il nostro arcipelago. Prolungarne l’attività mette a rischio la nostra sopravvivenza” sostiene la denuncia in cui la Micronesia ha chiesto una “Valutazione transnazionale degli impatti ambientali. Si prevedono class action davanti alla Corte internazionale di Giustizia ( poteri limitati) di queste isole-Stato contro i Grandi Inquinatori.

Majuro, l’atollo più grande delle Isole Marshall, ha perso 20% del suo territorio negli ultimi 15 anni e tra i suoi 67000 abitanti si registrano molti espatri negli Stati Uniti , con cui l’ex colonia ha un trattato di libero ingresso, soggiorno e lavoro. La Nuova Zelanda , da parte sua, ogni anno accoglie alcune decine di abitanti dell’isola di Kiribati . Popoli che rischiano di trasformarsi in migranti senza patria e diritti. Le convenzioni Onu non riconoscono la categoria dei “rifugiati ambientali” o “climatici” fra i destinatari di asilo o protezione umanitaria. Due giuristi australiani stanno promuovendo una Convenzione ad hoc , che impone l’obbligo di accoglienza ai Paesi dell’Onu.

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Negli USA "La guerra del carbone"

Dal Manifesto del 1/7/2011, un articolo di Marina Forti

la Florida Public Services Commission (la commissione statale che valuta e approva impianti di servizio pubblico) ha rifiutato di concedere la licenza a una grande centrale elettrica a carbone - un impianto da 1.960 megawatt, 5,7 miliardi di dollari di investimento - perché l'azienda interessata non è riuscita a dimostrare che costruire quell'impianto era più economico che investire in efficienza, conservazione dell'energia e in energie rinnovabili

Segue il testo integrale
"Chiudere le centrali elettriche a carbone negli Stati uniti «potrebbe essere più facile di quello che sembra», scrive Lester Brown, fondatore del Earth Policy Institute di Washington, nell'ultimo articolo messo sul suo sito web. «Nonostante una campagna, generosamente finanziata dall'industria, per promuovere il «carbone pulito», gli americani si stanno rivoltando contro il carbone», nota Brown, e riferisce come negli ultimi anni si sia rafforzato «un movimento contro la costruzione di nuove centrali a carbone» negli Stati uniti. All'inizio sono stati alcuni casi locali di resistenza, ma è «presto diventata un'ondata nazionale di opposizione da parte di gruppi ambientali, per la salute, di agricoltori e di comunità locali». Interessante: non è il tipo di notizia che i grandi media ci riferiscono spesso da oltre oceano. E un rapporto compilato dal Sierra Club, una delle più grandi e note organizzazioni ambientaliste statunitensi, dà ragione a Brown: sul suo sito tiene un elenco aggiornato delle centrali a carbone del paese e risulta che dal 2000 a oggi 152 impianti sono stati chiusi o bocciati.
Il punto di svolta in quella che Brown chiama «la guerra del carbone» è avvenuto nel giugno del 2007, quando la Florida Public Services Commission (la commissione statale che valuta e approva impianti di servizio pubblico) ha rifiutato di concedere la licenza a una grande centrale elettrica a carbone - un impianto da 1.960 megawatt, 5,7 miliardi di dollari di investimento - perché l'azienda interessata non è riuscita a dimostrare che costruire quell'impianto era più economico che investire in efficienza, conservazione dell'energia e in energie rinnovabili (come sostenevano invece gli avvocati di EarthJustice, organizzazione di giuristi ambientalisti). Questa sconfitta «dati economici alla mano», insieme alle manifestazioni pubbliche di protesta contro nuove centrali a carbone in Florida, hanno fatto sì che dopo la prima altre quattro imprese ritirassero la propria richiesta di licenza. Poco dopo il movimento ha registrato una vittoria a Wall Street: su pressione di un'altra organizzazione ambientale, il Rainforest Action Network, nel febbraio 2008 quattro importanti banche d'investimento (Morgan Stanley, Citi, J.P. Morgan Chase e Bank of America) hanno annunciato che presteranno denaro per centrali a carbone solo se le aziende sapranno dimostrare che è economicamente redditizio alla luce dei maggiori costi dovuti alle future restrizioni federali sulle emissioni di gas di serra. L'estate scorsa le stesse banche (più Wells Fargo) hanno annunciato che non finanzieranno più l'estrazione di carbone a cielo aperto (il cosiddetto mountaintop removal, «scoperchiare la cima della montagna»), anche questo su pressione del Rainforest Action Network - e di alcune importanti battaglie che hanno coinvolto ampi movimenti locali.
Altre difficoltà per gli impianti a carbone sorgono a causa dei reflui, uno dei grandi rpoblemi irrisolti di questa industria energetica: che fare delle ceneri risultanti dalla combustione, oggi accumulate in 194 discariche e 161 vasche di contenimento in 47 stati Usa: sono ceneri piene di arsenico, piombo, mercurio e altre sostanze tossiche; l'Ente federale di protezione ambientale (Epa) ha individuato 98 siti che stanno contaminando le falde acquifere, e una nuova raffica di normative di sicurezza è in arrivo. «Ora che gli Stati uniti hanno in effetti una quasi moratoria de facto sulla licenza di nuove centrali a carbone, diversi gruppi ambientali stanno cominciando a fare campagna per la chiusura di quelle esistenti», conclude Brown - segue un elenco di impianti di cui è prevista la chiususa a breve. Del resto, fa notare, se gli altri 49 stati Usa portassero la propria efficienza energetica al livello dello stato di New York, l'energia risparmiata basterebbe a rendere inutile l'80% delle centrali alimentate a carbone in tutti gli Usa.

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2 luglio 2011

I ghiacci si sciolgono, il riscaldamento globale è arrivato: agire entro il 2020 o catastrofe

Dal blog di Cianciullo su Repubblica
"Sembra che il tema del cambiamento climatico sia passato di moda: i governi glissano sugli impegni e lo spazio sui media è notevolmente diminuito. Eppure il trend che si ricava dai rapporti degli enti più autorevoli continua a segnare allarme rosso. L’ultimo studio è quello della National Oceanic and Atmospheric Administration, l’agenzia oceanografica degli Stati Uniti. Ci dice che i ghiacciai della Groenlandia si stanno fondendo ad una velocità mai registrata dal 1958 (battendo dell’8 per cento il record precedente), e quelli del Mar Artico hanno subito una fortissima riduzione (la terza in ordine di importanza da quando il fenomeno viene misurato). Sempre la Noaa aggiunge che il 2010 è stato il secondo anno più caldo dalla metà dell’Ottocento.
“Il rapporto mette in chiaro una cosa: il riscaldamento globale non sta arrivando, è già qui – ha commentato Edward Markey, capogruppo democratico della commissione risorse naturali – e ora dobbiamo trovare il modo di bloccare questo riscaldamento e farlo in fetta”. Resta da vedere in che modo. Dopo il fallimento politico del vertice di Copenaghen e il profilo modesto della successiva riunione Onu a Cancun, il timone della battaglia contro il caos climatico è stato sostanzialmente affidato all’industria. Che per la verità se la sta cavando piuttosto bene: i fatturati della green economy crescono in tutto il mondo e la quota di energia pulita aumenta a un ritmo fino a ieri imprevisto. Il sistema produttivo sta cambiando in senso virtuoso, ma – a causa della crescita demografica e della crescita dei consumi pro capite – l’inquinamento continua ad aumentare mentre il pericolo climatico cresce. Per quanto tempo la politica potrà ancora restare alla finestra delegando ad altri una delle sue funzioni fondamentali, garantire la sicurezza dei cittadini?

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30 giugno 2011

Ancora immagini dall'estate 2011 a Civitavecchia

CIVITAVECCHIA MARE 2011

Ecco il risultato dell'inquinamento su Civitavecchia come risultato dell'interazione tra le varie fonti di veleni. Foto diffusa in rete da liberi cittadini.

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17 giugno 2011

Bambini come ratti nelle miniere di carbone, documentario di Pierre Monégier

"Les enfants rats des mines", documentario vince il Premio Luchetta 2011, "Per aver descritto con la forza delle immagini e l’efficacia del linguaggio il dramma dei bambini costretti a lavorare nelle miniere di carbone otto ore al giorno per meno di un euro.

Clicca qui per vedere un estratto

E’ la storia dei “bambini talpa” di Meghalaya, una remota provincia del nord est dell’india. E’ il lato oscuro della nuova fiorente economia Indiana. In questo territorio dimenticato, circa 70.000 bambini dai 9 ai 14 anni vengono costretti a lavorare nelle miniere di carbone in condizioni estremamente pericolose. Le stime delle ONG riferiscono che circa una cinquantina di bambini hanno perso la vita nelle miniere nel 2009. Lavorano sette giorni su sette, otto ore al giorno, 70 metri sotto terra in tunnel strettissimi che i minatori chiamano le “tane dei topi”. Questi bambini provengono dalle aree più povere del Nepal e del Bangladesh e vengono portati a Meghalaya (India) da intermediari che promettono loro di guadagnare molti soldi, ma poi invece rischiano la vita per 1 euro al giorno. La presenza di organizzazioni internazionali come l’Unicef in quest’area è vietata, c’è soltanto una piccola organizzazione locale che sta lottando per i loro diritti e ha portato il caso davanti alla Corte Suprema dell’India."
Fonte

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15 giugno 2011

Il mio peggiore incubo si chiama carbone

Coal is my worst nightmare
dice Steven Chu, premio Nobel per la fisica, e Chicco Testa, faccia di bronzo delle lobby nucleari per ora scacciate dal suolo italiano, lo cita:



L'intervento originale di Chu risale al 2007 ed è qui. Chu in sostanza afferma che non esiste modo per guardare alla combustione del carbone come via per il futuro, e inoltre che il "sequestro" della co2 ha rischi e costi non sostenibili.

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20 maggio 2011

Inghilterra, piano per dimezzare le emissioni di gas serra entro il 2025

Da ecologiae.com
"Per mesi si è dibattuto in Europa se porre il limite al taglio delle emissioni di gas serra al 20 o al 30% entro il 2020, con l’obiettivo di portarlo dal 50 all’80% entro il 2050. L’Italia è sempre stata tra i Paesi che cercavano di tirare verso il basso la valutazione, considerando troppo già il 20%, ma visto ciò che ha intenzione di fare la Gran Bretagna, tutte le nazioni dovrebbero impallidire.

L’idea è del Primo Ministro David Cameron che ha deciso di dimezzare le emissioni del suo Paese entro il 2025. Si tratterebbe così del progetto più ambizioso del mondo e che fa sembrare i nostri governanti piccoli piccoli. Il periodo di riferimento del taglio è il 1990, considerato anno cruciale in tutte le misurazioni, e su cui si basa anche il calcolo dell’Ue sul taglio auto-imposto e che, almeno per come stanno attualmente le cose, obbliga ogni Paese a raggiungere un -20% di emissioni entro il 2020, lasciando la possibilità di migliorare ulteriormente tale obiettivo su base volontaria.

Il Regno Unito va oltre e così, mentre l’Europa litiga, ha deciso di far da solo e, dopo questo importante obiettivo, ne ha posto altri come il taglio del 60% delle emissioni entro il 2030 e dell’80% entro il 2050. In pratica arriverà a metà secolo quasi senza più emettere gas serra, una gran bella impresa. Ma come faranno a raggiungere tali obiettivi? La commissione parlamentare sul cambiamento climatico ha stilato il quarto “Carbon Budget”, un piano su cui basare la politica energetica, e non solo, dei prossimi anni.

Un piano semplice e facile da capire: entro il 2030 la Gran Bretagna spera di ottenere il 30% del suo fabbisogno energetico dalle rinnovabili, aumentandolo del 3% all’anno sin dal 2012. Il piano prevede anche uno scenario ottimistico in cui la tecnologie si evolvano maggiormente e diventino più economiche a tal punto da raggiungere il 45% del fabbisogno entro la stessa data. Poi si punterà sull’economia carbon-free, cioè si aiuteranno quelle aziende che non hanno emissioni o le colmano con azioni complementari, ma poco spazio viene dato ai biocarburanti, considerati marginali, mentre l’unica nota dolente del piano è che si calcola che il 40% del fabbisogno energetico venga ottenuto con il nucleare, mentre il 15% da gas e carbone la cui CO2 venga stoccata. Ma come abbiamo visto in passato, questa tecnologia è solo una favola.

Per fortuna il nucleare non sarà la risposta a tutto. Infatti, stando al piano del Parlamento britannico, entro il 2030 le rinnovabili dovranno pareggiare la quantità di energia prodotta dal nucleare, e dall’anno successivo effettuare un sorpasso che, nel giro di qualche decennio, dovrebbe definitivamente soppiantare l’atomo.

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