“Finalmente è arrivata la notizia che aspettavamo da anni: oggi, alle 11, presso il Ministero dello Sviluppo Economico, si svolgerà la preistruttoria ai fini del riesame dell’autorizzazione per la costruenda centrale a carbone di TVN a Civitavecchia, -esultano i No-Coke- questo premia anni ed anni di battaglie di migliaia e migliaia di cittadini, che hanno avuto vicino oltre a molti enti territoriali anche i Ministeri dell’Ambiente e della Salute. E proprio a quest’ultimo si rivolgono i No-Coke auspicando che durante la Conferenza dei servizi, sia presente anche il Sottosegretario Patta. “ Infatti è stato proprio lui, il Sottosegretario alla Salute Gian Paolo Patta, ad averci seguito con particolare attenzione dopo lo sciopero della fame contro il carbone, quando ha incontrato a Roma i Sindaci del comprensorio e la delegazione dei comitati dei cittadini. All’incontro erano presenti anche i rappresentanti dei dicasteri dell’Ambiente e dello Sviluppo Economico, della Protezione Civile, dell’Istituto Superiore di Sanità, della ASL Roma F, dell’ARPA Lazio e dell’ISPESL. In quell’occasione il Sottosegretario Patta ha rilevato che i problemi ambientali e di salute a Civitavecchia e nei comuni limitrofi rivestono una serietà epidemiologica che merita la piena attenzione da parte del Governo e delle Amministrazioni locali competenti. “Dobbiamo considerare, ha sottolineato Patta, il problema inquinamento nel suo complesso. Il serio dato epidemiologico è il risultato di decenni di attività inquinanti mai seriamente monitorate e limitate.” A conclusione dell’incontro il Sottosegretario annunciò a noi tutti l’adesione del Ministero della Salute alla richiesta di riapertura della Conferenza dei Servizi per l’autorizzazione alla conversione a carbone della centrale di Torrevaldaliga nord, già formulata dal Ministro dell’Ambiente nei confronti del Ministero dello Sviluppo Economico, in relazione a specifiche verifiche tecniche. Recentemente anche la Provincia di Viterbo ha chiesto la riapertura della Conferenza dei Servizi. “Il territorio che si estende nella Tuscia tra Civitavecchia e Montalto di Castro ,-ha scritto la Provincia- rappresenta da decenni il polo energetico a combustibili fossili più grande d'Europa, con oltre 7000 MW di potenza elettrica installata, ridotta a circa 5000 nel 2002 a seguito dello spegnimento della centrale a olio combustibile di Torvaldaliga Nord. Una vasta letteratura scientifica e gli studi epidemiologici compiuti dall’OER (Osservatorio Epidemiologico Regionale) negli anni 1997-2002 hanno messo in evidenza gli alti livelli di mortalità e morbilità per malattie derivanti dall’inquinamento nell’Alto Lazio, con particolare riferimento al comprensorio Civitavecchia-Tarquinia. Uno studio epidemiologico più recente, che ha contemplato il quinquennio 2002-2007 condotto dalla ASL RM “E” sulla popolazione di Civitavecchia, ha evidenziato un' incidenza di patologie riferibili all'inquinamento superiore del 30% rispetto alla media regionale”. Con questa premessa la Provincia di Viterbo si è rivolta al Ministro dello Sviluppo Economico per richiedere una nuova Valutazione d’Impatto Ambientale con una specifica mozione approvata dall’intera assise, senza voti contrari. Anche il Direttore dell’A.R.P.A. Lazio ha avanzato al Ministero dello Sviluppo Economico la richiesta di riesame del decreto autorizzativo della riconversione a carbone della centrale termoelettrica di Torvaldaliga Nord a Civitavecchia, ai sensi dell’art.9 comma 4 lettere a) e d) del D.Lgs. 59/05, evidenziando che “ ... le prescrizioni stabilite nel decreto autorizzativo M.A.P. Del 24 dicembre 2003 non sono congrue né alle condizioni poste dall'autorizzazione integrata ambientale così come previsto dall'art. 9 della direttiva 96/61/CE del Consiglio del 24 settembre 1996, né conformi a quanto previsto all'art.7 del D. Lgs. 59/05. Conseguentemente ritiene che tale carenza possa pregiudicare i controlli previsti e demandati all' APAT e all' ARPA dal comma 3 dell'art. 11 del D. Lgs. 59/05 e contribuire ad aumentare le problematiche ambientali connesse al progetto di riconversione della Centrale. Non è stato definito, contestualmente all'atto autorizzativo, il piano di monitoraggio e controllo delle emissioni per le matrici ambientali interessate; per i malfunzionamenti, avarie e transitori di varia natura degli impianti della centrale non sono prescritti né la procedura per la gestione di tali eventi né eventuali limiti; non sono stati definiti i punti di controllo, i valori limite alle emissioni per le acque reflue e i valori connessi agli scarichi a mare delle acque industriali e di processo; per le emissioni in atmosfera i valori di flusso di massa prescritti all’intera centrale per gli ossidi di azoto, gli ossidi di zolfo e le polveri non sono congruenti con quanto autorizzato per sezione e inoltre non sono stati stabiliti i valori limite per una serie di macro e micro inquinanti ... ”
Movimento No Coke Alto Lazio
Off-Topic. Parla "L'infame di Bolzaneto"
Articolo apparso su Repubblica.it
Marco Poggi dice che sa che cos'è la violenza. "Ci sono cresciuto dentro. Ho "rubato" la terza elementare ai corsi serali delle 150 ore e sono andato infermiere in carcere per buscarmi il mio pezzo di pane. Per anni ho lavorato al carcere della Dozza a Bologna. Un posto mica da ridere. Tossici, ladri di galline, mafiosi, trans, stupratori. La violenza la respiravi come aria, ma quel che ho visto a Bolzaneto in quei giorni non l'avrei mai ritenuto possibile, prima. Alcuni detenuti non capivano come fare le flessioni di routine previste dalla perquisizione di primo ingresso in carcere. Meno capivano e più venivano picchiati a pugni e calci dagli agenti della polizia penitenziaria. Gli ufficiali, i sottufficiali guardavano, ridevano e non intervenivano. Ho visto il medico, vestito con tuta mimetica, anfibi, maglietta blu con stampato sopra il distintivo degli agenti della polizia penitenziaria, togliere un piercing dal naso di una ragazza che era in quel momento sottoposta a visita medica e intanto le diceva: "Sei una brigatista?"".
Marco Poggi è "l'infame di Bolzaneto". Così lo chiamavano alcuni agenti della "penitenziaria" e lui, in risposta, per provocazione, per orgoglio, per sfida, proprio in quel modo - Io, l'infame di Bolzaneto - ha voluto titolare il libro che raccoglie la sua testimonianza. Poggi è stato il primo - tra chi era dall'altra parte - a sentire il dovere di rompere il cerchio del silenzio. "Delle violenze nelle strade di Genova - dice - c'erano le immagini, le foto, i filmati. Tutto è avvenuto alla luce del sole. A Bolzaneto, no. Le violenze, le torture si sono consumate dietro le mura di una caserma, in uno spazio chiuso e protetto, in un ambiente che prometteva impunità. Solo chi l'ha visto, poteva raccontarlo. Solo chi c'era poteva confermare che il racconto di quei ragazzi vittime delle violenze era autentico. Io ero tra quelli. Che dovevo fare, allora? Dopo che sono tornato a casa da Genova, per giorni me ne sono stato zitto, anche con i miei. Io sono un pavido, dico sempre. Ma in quei giorni avevo come un dolore al petto, un sapore di amaro nella bocca quando ascoltavo il bla bla bla dei ministri, le menzogne, la noncuranza e infine le accuse contro quei ragazzi. Non ho studiato - l'ho detto - ma la mia famiglia mi ha insegnato il senso della giustizia. Non ho la fortuna di credere in Dio, ho la fortuna di credere in questa cosa - nella giustizia - e allora mi sono ripetuto che non potevo fare anch'io scena muta come stavano facendo tutti gli altri che erano con me, accanto a me e avevano visto che quel che io avevo visto. Ne ho parlato con i miei e loro mi hanno detto che dovevo fare ciò che credevo giusto perché mi sarebbero stati sempre accanto. E l'ho fatta, la cosa giusta. Interrogato dal magistrato, ho detto quel che avevo visto e non ci ho messo coraggio, come mi dicono ora esagerando. Non sono matto. Ci ho messo, credo, soltanto l'ossequio per lo stato, il rispetto per il mio lavoro e per gli agenti della polizia carceraria - e sono la stragrande maggioranza - che non menano le mani".
Marco Poggi ha pagato il prezzo della sua testimonianza. "Beh! - dice - un po' sì, devo dirlo. Dopo la testimonianza, in carcere mi hanno consigliato - vivamente, per dire così - di lasciare il lavoro. Dicevano che quel posto per me non era più sicuro. Qualcuno si è divertito con la mia auto, rovinandomela. Qualche altro mi ha spedito la mia foto con su scritto: "Te la faremo pagare". Il medico con la mimetica e gli anfibi mi ha denunciato per calunnia. Ma il giudice ha archiviato la mia posizione e con il lavoro mi sono arrangiato con contratti part-time in case di riposo per anziani. Oggi, anche se molti continuano a preoccuparsi della mia integrità più di quanto faccia solitamente la mia famiglia, sono tornato a lavorare in carcere, allo psichiatrico di Castelfranco Emilia. Mi faccio 160 chilometri al giorno, ma va bene così. Sono tutti gentili con me, l'infame di Bolzaneto".
Dice Marco Poggi che "se i reati non ci sono - se la tortura non è ancora un reato - non è che te li puoi inventare". Dice che lui "lo sapeva fin dall'inizio che poi le condanne sarebbero state miti e magari cancellate con la prescrizione". Dice Poggi che però "quel che conta non è la vendetta. La vendetta è sempre oscena. Il direttore del carcere di Bologna Chirolli - una gran brava persona che mi ha insegnato molte cose sul mio lavoro - ci ripeteva sempre che lo Stato ha il dovere di punire e mai il diritto di vendicarsi. Mi sembra che sia una frase da tenere sempre a mente. Voglio dire che importanza ha che quelli di Bolzaneto, i picchiatori, non andranno in carcere? Non è che uno voglia vederli per forza in gabbia. La loro detenzione potrebbe apparire oggi soltanto una vendetta, mi pare. Quel che conta è che siano puniti e che la loro punizione sia monito per altri che, come loro, hanno la tentazione di abusare dell'autorità che hanno in quel luogo nascosto e chiuso che è il carcere, la questura, la caserma. Per come la penso io, la debolezza di questa storia non è nel carcere che quelli non faranno, ma nella sanzione amministrativa che non hanno ancora avuto e che non avranno mai. Che ci vuole a sospenderli da servizio? Non dico per molto. Per una settimana. Per segnare con un buco nero la loro carriera professionale. È questa la mia amarezza: vedere i De Gennaro, i Canterini, i Toccafondi al loro posto, spesso più prestigioso del passato, come se a Genova non fosse accaduto nulla. Io credo che bisogna espellere dal corpo sano i virus della malattia e ricordarsi che qualsiasi corpo si può ammalare se non è assistito con attenzione. Quella piccola minoranza di poliziotti, carabinieri, agenti di polizia penitenziaria, medici che è si abbandonata alle torture di Bolzaneto è il virus che minaccia il corpo sano. Sono i loro comportamenti che hanno creato e possono creare, se impuniti, sfiducia nelle istituzioni, diffidenza per lo Stato. Possono trasformare gli uomini in divisa - tutti, i moltissimi buoni e i pochissimi cattivi - in nemici del cittadino. Non ci vuole molto a comprendere - lo capisco anch'io e non ho studiato - che soltanto se si fa giustizia si potrà restituire alle vittime di Genova, ai giovani che vanno in strada per manifestare le loro idee, fiducia nella democrazia e non rancore e frustrazione. I giudici fanno il loro lavoro, ma devono fare i conti con quel che c'è scritto nei codici, con quel che viene fuori dai processi. Non parlo soltanto dei processi, è chiaro. Parlo della responsabilità della politica. Che cosa ha fatto la politica per sanare le ferite di Genova? Gianfranco Fini, che era al governo in quei giorni, disse che, se fossero emerse delle responsabilità, sarebbero state severamente punite. Perché non ne parla più, ora che quelle responsabilità sono alla luce del sole? Perché Luciano Violante si oppose alla commissione parlamentare d'inchiesta? Dopo sette anni questa pagina nera rischia di chiudersi con una notizia di cronaca che dà conto di una sentenza di condanna, peraltro inefficace, senza che la politica abbia fatto alcuno sforzo per riconciliare lo Stato e le istituzioni con i suoi giovani. Ecco quel che penso, e temo".