No al carbone Alto Lazio

4 novembre 2010

CGIL Calabria contro l'ipotesi di carbone a Saline Joniche

(AGI) - Catanzaro, 4 nov. - La Cgil della Calabria e la Camera del lavoro di Reggio Calabria “saranno protagoniste, insieme a tanti altri soggetti sociali, dei movimenti, delle istituzioni locali, Sabato 6 Novembre 2010, nel dire NO al tentativo di costruzione di una centrale a carbone a Saline Jonico, proposta da una societa’ svizzera”. Lo si legge in una nota. “Quella prospettata, se si realizzasse, sarebbe l’ennesima speculazione verso un territorio gia’ fortemente martoriato, avvelenato e piegato nelle sue prospettive di sviluppo. La favorevole valutazione di impatto ambientale - scrive la Cgil - espressa dal Ministero dell’Ambiente, al progetto, e’ una posizione assurda assunta con assoluta protervia senza tenere conto dei pronunciamenti contrari che in questi mesi si sono manifestati, a partire dal nostro. La nostra organizzazione ha da tempo avviato un ragionamento teso alla riqualificazione del territorio, al restauro ed al rilancio di aree, come quelle di Saline, da troppo tempo diventate emblemi di un fallimentare progetto di sviluppo industriale. Avere individuato la Calabria come “sito adatto” all’allocazione di centrali a carbone, e’ solo l’ennesimo segno di un becero neocolonialismo al quale con grande determinazione ci opporremo. Alla Giunta Regionale - si legge ancora - chiediamo immediatamente di ripronunciarsi contro tali ipotesi e di avviare un confronto con le parti sociali e le istituzioni locali per un nuovo piano energetico regionale teso ad un diverso modello di “sovranita energetica” strettamente legato alla salvaguardia ambientale ed alla valorizzazione delle energie rinnovabili”. (AGI) Adv

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Allontanato per ora il carbone da Rossano calabro, "A volte si vince!"

Da difendiamolacalabria.it due commenti a caldo:

"Non sappiamo per quanto, ma le continue denunce, le inchieste, le iniziative di sensibilizzazione, le reti territoriali ed i coordinamenti nazionali, la controinfomazione continua che ha scoperchiato sistematicamente le menzogne di enel, le conseguenti pressioni che direttamente ed indirettamente sono passate tra gli uffici degli apparati sindacali, quelli manageriali dell’Enel e quelli burocratizzati del Ministero, hanno vinto.

Niente VIA positivo per il carbone a Rossano. Non v’è nessuna motivazione per ritenere differente il progetto attuale da quello del 2005. Disastro era, disastro è, ma disastro che non si fa.

Un grazie a tutti quelli che ci hanno dato una mano. La lotta non finisce. Venerdì il No Carbone si sposta a Saline. Un abbraccio.

Flavio, orgogliosamente RDT Franco Nisticò e Coordinamento Nazionale No Carbone.



COSA INSEGNA LA BATTAGLIA DI ROSSANO SUL CARBONE

LA conclusione positiva della vicenda Enel di Rossano va letta bene ed analizzata in maniera non superficiale: bisogna riflettere su: quali erano le forze in campo; cosa chiedeva l’Enel; quale è la strategia messa in campo dal comitato locale; come si è mossa la società locale, come si è mossa la politica locale. Qual è il significato da attribuire alla conclusione della vicenda.

1)L’Enel ha messo in campo un progetto che si proponeva di utilizzare la Calabria come “colonia” per i suoi interessi. Un progetto completamente avulso dalle necessità regionali e locali. ( in più d’una occasione sono stati espressi dubbi su chi fossero i reali sponsor politici dell’operazione, che per varie ragioni, non sono mai sembrate un interesse strategico dell’Enel, mentre appariva più comprensibile un interesse di quei politici che hanno stretto legami con le zone di produzione internazionale del carbone)

2)Gli interessi favorevoli all’Enel erano sostanzialmente extraregionali, localmente solo qualche appiglio di tipo clientelare o opportunistico politico poteva costituire eccezione( com’è apparso chiaro anche dalla assai contraddittoria presa di posizione di Confindustria di Cosenza).

3)L’opposizione ha cercato di riunire un fronte vasto senza nessuna distinzione politica. Un buon gruppo di imprenditori turistici e commerciali danneggiati dalla riconversione si è messo in prima fila. Tutte le forze politiche sono state chiamate. Il metodo di lavoro del comitato è stato corretto e rispettoso delle differenze , puntando sempre a cercare i motivi di unità, piuttosto che quelli di divisione.( nel comitato, oltre ad un nutrito gruppo di imprenditori, qualche bravo tecnico,ricordo che si andava dai no global, agli ambientalisti,a forze sociali che hanno peso istituzionale nella destra e nella sinistra locale, ma non c’erano esponenti politici ).

4)Le amministrazioni comunali in primis Rossano e Corigliano, ma non bisogna dimenticare la pronunzia negativa degli oltre cinquanta comuni della zona , hanno costituito un fronte comune, trovando un baluardo insormontabile nel No fermo delle amministrazioni comunali di Rossano e Corigliano: il primo parere si è rivelato determinante sotto il profilo istituzionale e giuridico per il prosieguo dell’iter, il secondo determinante sotto il profilo logistico, perché togliere l’approdo portuale di Corigliano al progetto di trasbordo del carbone e dei residuati, significa togliere l’appoggio logistico base.

5)In entrambe le occasioni nel 2004 e nel 2010 il comitato ha prodotto un buon lavoro di documentazione tecnico-scientifica documentando anche le pronunzie negative di molte associazioni di categoria e forze politiche ed economiche. In sostanza se il ministero ha preso atto che nessuna reale modifica è stata introdotta rispetto al vecchio progetto di riconversione( è stata solo ridotta la potenza da 1300 megawatt a 850), lo si deve anche all’analisi puntuale del comitato, che si è avvalsa anche di diversi specialisti. L’argomentazione determinante sul piano politico-sociale-economico, è stata la dimostrazione della negatività dell’investimento del carbone per l’economia turistica , marittima ed in parte agricola della zona, che conta già un discreto livello ed ha buone potenzialità.( cosa che non avviene invece a Saline dove non c’è un fertile retroterra economico come nella piana di Sibari e nella costa jonica con tanti insediamenti turistici di un certo livello).

6)Gli interessi dell’Enel alla fine degli anni ’70 trovarono appiglio a Rossano( che era allora un centro storico e non aveva sviluppo costiero), con l’appoggio determinante del sindacato e della sinistra( per motivi occupazionali), per una centrale termoelettrica che venne rifiutata da Corigliano. Oggi la città di Rossano ha capito perfettamente che la riconversione a carbone non porta vantaggi economici reali e porta solo conseguenze negative. Solo una fascia ristretta di persone, la fascia del precariato operaio legato alla clientela politica( ma non il ceto medio che a Rossano determina l’opinione pubblica), si è manifestata favorevole all’ipotesi Enel, aggiungendo le maestranze Enel ed il sindacato.

7)Il fronte della contrarietà politica ha riflesso la sostanziale contrarietà sociale, unendo trasversalmente la rappresentanza politica. Il Comitato contro il carbone , per lo sviluppo sostenibile della Sibaritide( notare la denominazione) ha saputo rappresentare bene nella realtà di lotta, ma anche nel confronto istituzionale questa posizione.

QUALI OSSERVAZIONI POSSONO ESSERE TRATTE DA QUESTA ESPERIENZA?

A mio avviso la cosa può essere letta in più chiavi:

a)C’è un deficit nella pianificazione energetica nazionale che si dimostra poco attento ai territori.

b)C’è una coscienza socio-politica locale nel rifiutare operazioni coloniali,( cioè nel dire NO ad ipotesi negative) ma non c’è ancora un’ipotesi di politica economica ed energetica sostenibile alternativa, e questo alla lunga si paga, perché la Calabria soffre terribilmente.

c)C’è un grande vuoto di pianificazione che corrisponde al vuoto totale della classe politica nazionale e locale.

d)L’unità dei produttori e delle forze economiche locali, pur se deboli, insieme ai cittadini ed alla rappresentanza politica ed istituzionale paga.

e)La battaglia contro le sudditanze energetiche ed economiche coloniali si vince con una mobilitazione attiva in prima persona delle forze sociali ed economiche locali, che, se riescono ad interloquire positivamente con la politica e le istituzioni, diventano portatori d’interesse che hanno un peso nelle decisioni istituzionali.

INVITO GLI AMICI DEL FORUM AMBIENTALISTA A COMMENTARE QUESTE INDICAZIONI ANCHE IN RIFERIMENTO ALLA STRATEGIA CHE COME FORUM CI SIAMO DATI.

FABIO MENIN

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Progetto megadiscarica ad Allumiere. Se la Polverini cerca lo scontro non dovrà attendere

Lo abbiamo ripetuto per anni e siamo costretti a ripeterlo ancora: la porta dell'Alto Lazio è sfondata, una mala-politicaglia ben radicata ci ha designato come fogna a cielo aperto per i business più sporchi. Finora non sono riusciti a portare i rifiuti romani dentro la centrale a carbone, ma l'idea di impiantare qui una megadiscarica per smaltire i rifiuti romani torna di frequente. Oltre al danno intollerabile resta la beffa di un modello di gestione dei rifiuti distruttivo e costoso che non si vuol modificare.

Da civonline.it: «Non abbiamo paura di protestare come a Terzigno»
"Continua a più riprese a balzare nelle pagine dei media il nome di Allumiere come più probabile sito dove verrà impiantata la nuova mega discarica della capitale e almeno un impianto di smaltimento di rifiuti. Allumiere sembra essere il sito considerato ‘‘più idoneo’’ visto che la discarica sorgerebbe in un sito militare non utilizzato (di proprietà statale), composto da cave d’argilla e, da Roma, i rifiuti viaggerebbero lungo una linea ferroviaria già esistente. Ma c’é il problema dei costi del trasporto, che andrebbero a lievitare, e la reazione della popolazione locale. Tutti questi discorsi che da troppo si ripetono, rimbalzano tra Campidoglio e Regione Lazio e non semettono di mettere in allarme le popolazioni di Allumiere e dei comuni limitrofi. «Non riusciamo a capire l’assordante silenzio del sindaco di Roma - dicono - a cui continuiamo a scrivere lettere e mail, nè risuciamo a capire come mai la governatrice del Lazio, Renata Polverini, continua a non incontrarsi con noi. Noi ribadiamo fortemente la nostra contrarietà a quest’ipotesi scellerata e visto che in questi giorni lei ha detto che attende indicazioni dal Comune di Roma le chiediamo di ascoltare invece le nostre istanze, perchè in questo territorio siamo davvero stanchi di servitù». «Non abbiamo paura di organizzare una protesta simil-Terzigno - tuona il sindaco di Allumiere, Augusto Battilocchio - oltre a noi ci sono 15 comuni della provincia pronti a riunirsi in un comitato per opporsi a questa malsana idea. Perché Roma dovrebbe portare il suo grande problema qui da noi? Noi stiamo spendendo molto nella differenziata perchè non lo fanno anche loro? Finora abbiamo prodotto una serie di documenti e lettere inviati, tra gli altri, alla Regione Lazio e alla Provincia di Roma. Se ci dovesse essere il pericolo che si prosegua su questa scellerata ipotesi faremo i nostri passi anche in ambito della Comunità Europea, visto che siamo in una Zps e che parte del nostro territorio è Sic». Battilocchio poi ha anche spiegato che la sua giunta sta proseguendo di buona lena con la differenziata spinta: «Siamo entrati nell’ultima fase prima del porta a porta definitivo - ha concluso Battilocchio - abbiamo consegnato alle famiglie i contenitori per l’olio esausto da cucina, l’ecocalendario e un piccolo vademecum con le notizie e le spiegazioni sulla differenziata. L’8, il 12 e il 25 terremo le ultime 3 assemblee pubbliche per spiegare ai cittadini gli ultimi dettagli e poi si partirà a pieno regime. Abbiamo presentato alla Provincia di Roma un’ipotesi di candidatura per la realizzazione qui da noi di un impianto atto alal creazione di compost di qualità. Intanto continueremo a spingere in attesa di essere ricevuti dalla governatrice Polverini".

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3 novembre 2010

Prospettive del fotovoltaico nei Paesi della "fascia solare"

Da ecodallecitta.it
"Epia: in 20 anni il fotovoltaico potrebbe alimentare i paesi della “fascia solare”


L’Epia (Associazione europea dell’industria fotovoltaica) ha presentato a Bruxelles un dossier intitolato “Sviluppare il potenziale del fotovoltaico nella fascia solare” (vedi allegato). Il rapporto, elaborato in collaborazione con la società di consulenza strategica A.T. Kearney, analizza le potenzialità di sviluppo dell'energia solare nei paesi della cosiddetta sunbelt, ovvero la fascia compresa tra il 35° parallelo a nord dell'Equatore e il 35° a sud. Si tratta di un'area in cui vive il 75% della popolazione mondiale e dove il fabbisogno energetico nei prossimi decenni aumenterà vertiginosamente grazie allo sviluppo economico di alcuni paesi della zona. Ma la “fascia solare” è anche una delle regioni del Pianeta con la maggiore irradiazione solare. Per questo, secondo lo studio dell'Epia, l'energia fotovoltaica potrebbe coprire, nel giro di dieci o venti anni, la maggior parte del fabbisogno elettrico delle popolazioni della zona. Bisognerebbe, però, fare un salto avanti non indifferente, dal momento che ad oggi risulta installato, nei territori della sunbelt, solo il 9% della capacità potenziale del fotovoltaico, una sfida che potrà essere vinta solo se il costo per l'installazione dei moduli solari si abbassasse in maniera sensibile.

Un'ipotesi che l'Epia ritiene credibile, tanto che nel dossier si ipotizza che nel 2030 gli impianti fotovoltaici costeranno il 66% in meno rispetto al prezzo attuale. Se questo scenario venisse confermato, il potenziale solare installato nei paesi della fascia solare potrà raggiungere, entro il 2020, un livello compreso tra 60 e 250 gigawatt (a seconda dell'evolversi di diversi altri fattori). Nel 2030 si potrebbe arrivare, invece, a una potenza complessiva compresa tra i 260 e i 1.100 gigawatt. In ogni caso, secondo il vice presidente dell'Epia, Winfried Hoffman, «già nel 2020 l’energia fotovoltaica sarà competitiva rispetto ai costi di generazione delle centrali elettriche a carbone pulite, mentre nel 2030 tutte le tecnologie per la generazione di energia elettrica convenzionali saranno più costose rispetto al fotovoltaico». I paesi analizzati nel dossier sono 66 (a fronte dei 148 che occupano la sunbelt), che coprono il 95% della popolazione dell'intera regione (pari a circa cinque miliardi di persone).

 Scarica il testo del dossier [7,71 MB]

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I colossi dell'energia sporca provano a distruggere un fotovoltaico ormai pericoloso per i loro business

Da crisis.blogosfere.it "Avvelenati dal sole? Parte una nuova crociata contro il fotovoltaico"
E' in atto una vera e propria campagna di diffamazione contro le energie rinnovabili in genere e contro il fotovoltaico e l'eolico in particolare.
Ugo (Bardi) ne ha appena parlato, molto meglio di me, qui. Ma aveva già affrontato l'argomento qui. Analogamente l'argomento è stato affrontato anche sul blog Nuove Tecnologie Energetiche qui, qui e qui.
Il fotovoltaico sta per affrontare la prima, vera rivoluzione tecnica, con la transizione dal Silicio al Cd-Te, necessitata dai costi contenuti, le ottime rese e l'ottimo rapporto tra energia spesa per realizzare i pannelli ed energia prodotta dai medesimi. Il tutto in una prospettiva di rapido crollo dei prezzi e di raggiungimento della "grid parity" ovvero del pareggio di costo del kWh fotovoltaico e prodotto dal mix energetico tradizionale (anf...respirone).
Gli attuali pannelli in Cd-Te hanno un costo industriale di circa 500 $/kWp. La prospettiva, sulla base di tecnologie già collaudate e di prossima implementazione industriale, è di una discesa a 200 $ per kWp.
Vi sono poi in vista clamorosi sviluppi anche nel settore del fotovoltaico a "microconcentrazione", del film sottile di silicio e di altri ulteriori tecnologie, senza contare ovviamente il megaprogetto desertec dove si sperimenterà, in una scala mai tentata prima, il solare a concentrazione di Rubbia.
Il raggiungimento di una convenienza NETTA, per semplice confronto kWh/kWh del fotovoltaico rispetto alle fonti fossili è un vero incubo per i produttori di energia elettrica. Se è vero che il singolo piccolo utente non usufruisce, ovviamente, dei risparmi di scala dei grandi e medi impianti fotovoltaici è anche vero che il costo REALE del kWh, ottenuto dividendo, molto semplicemente, l'importo bimestrale della bolletta elettrica può riservarvi delle "belle" sorprese.
Provate e, specialmente se avete consumi contenuti, potrete constatare con stupore che già oggi il costo medio onnicomprensivo di tutti i costi fissi, imposte, addizionali etc etc del vostro kWh sta intorno o oltre i 30 centesimi. Orbene il costo ATTUALE, chiavi in mano, di un kWh fotovoltaico, per un piccolo impianto, sta intorno a questa cifra, 30 centesimi /kWh ipotizzando una durata semplicemente quindicennale.
Vedete quindi che già oggi il conteggio economico anche senza conto energia, di un impianto stand-alone potrebbe essere, paradossalmente (esiste la complicazione dello stoccaggio) attraente. Per lo scambio sul posto la situazione è complicata dal sistema normativo/tariffario che purtroppo prezza in modo diverso il kWh in ingresso ed uscita.
Dal punto di vista dei fornitori di energia elettrica la situazione è grave: non solo rischiano quote di utenza crescenti ma le rischiano in modo irreversibile, dato che si tratta di impianti dalla durata pluridecennale. Quindi si muovono tutte le leve a disposizione, da un lato cercando di attirare la maggior parte delle risorse possibili sui grandi impianti centralizzati piuttosto che sugli impianti domestici dall'altro, semplicemente, diffondendo "memi" che screditano il fotovoltaico e le energie rinnovabili in tutti i modi.
Dopo la bufala della "occupazione del suolo" da parte degli impianti fotovoltaici (conti alla mano le rotonde alla francese si sono mangiati negli ultimi anni quote di territorio maggiori) e le lamentele sul loro costo per la collettività ( allo stato l'85% dei fondi a disposizione grazie alla componente A3 della bolletta va ad inceneritori ed altri impianti che di rinnovabile, sostenibile o auspicabile non hanno niente, gli attuali impianti possono essere quintuplicati senza costi aggiuntivi per la collettività, semplicemente smettendo di incentivare quello che di rinnovabile non ha niente) dopo questa prima e ben orchestrata campagna di disinformazione, dicevo partirà presto quella contro le nuove tecnologie prima accennate.
Prima fra tutte il film sottile.
Il Cd-Te, questa la facile tesi, contiene il mefitico, mefistofelico, cancerogeno e spaventoso Cadmio e quindi è o dovrebe essere una tacca al di sotto di un bell'inceneritore, nel grado di sopportazione da parte della popolazione.
Le cose non stanno cosi, ne abbiamo già parlato su Crisis ed ulteriori conferme arrivano dai grafici che vedete qui sotto, presi da questo documento certo di parte ma che fa riferimento a studi indipendenti.


Come vedete, a parità di energia produttiva, non c'e' storia: il Cd-Te ha un eroei (ed un livello di emissioni di gas serra nel ciclo produttivo) ALMENO doppio rispetto al silicio. Il motivo è legato al processo produttivo, altamente energivoro di quest'ultimo.

In questo secondo grafico si vede che i pannelli in film sottile rilasciano molto meno Cadmio nell'ambiente del petrolio, a parità di energia prodotta ed addirittura, paradossalmente, meno dei pannelli tradizionali.
Infine in questo grafico si vede il livello di rilascio di altri metalli pesanti nel ciclo di vita di vari tipologie di impianti ( cosi portandosi un poco avanti con il lavoro). Anche in questo caso il Cd-Te è nettamente in vantaggio. Il motivo?
Semplice: quella che è una sua apparente debolezza, giustappunto la presenza di Cadmio, diventa un punto di forza: Impone, infatti, un ciclo altamente controllato di produzione e inoltre l'impegno al ritiro e recupero (quasi totale) dei pannelli. In pratica un ciclo chiuso, come tale vicino a quelli che dovremo concepire, in un futuro non lontano, per ogni genere merceologico non alimentare e/o biologico.
I dati oscillano un poco ma la letteratura sembra ragionevolmente sicura su un punto: i pannelli in Cd-Te sono non solo sicuri ma altamente produttivi, affidabili ed economici. In pratica: il futuro del settore. Mentre da noi siamo agli inizi, tanto che i nostri due di Caprese e Sansepolcro sono i primi impianti a film sottile di questa dimensione installati in Toscana, la First Solar, il principale produttore per questa tecnologia, si avvia a diventare la più grande azienda fotovoltaica mondiale, superando le altre big dopo una rincorsa di pochissimi anni.
Per ora è terza, dietro a due produttori cinesi, che sono competitivi grazie all'energia a basso costo delle inquinanti centrali a carbone tipiche del mix energetico di quel paese ed ovviamente agli altri costi di produzione, ugualmente bassi.
E' ovvio che, con l'aumentare dell'installato i problemi aumenteranno, qui un recentissimo articolo, ma è anche ovvio che il genere di problemi che nasceranno saranno sempre di gran lunga preferibili di quelli a cui andremo incontro se rinunceremo a perseguire con la necessaria decisione ed urgenza l'obbiettivo del 100% di energia elettrica da fonti rinnovabili entro la finestra temporale a nostra disposizione.
Probabilmente abbiamo a disposizione non più di due-tre di decenni per giungere a quell'obbiettivo e forse dieci anni per arrivare al raddoppio dell'attuale % di energia elettrica proveniente da fonti rinnovabili. Un compito difficile ma non impossibile, specialmente se non distoglieremo risorse per dedicarle alla progettazione di fantomatiche centrali nucleari che non vedranno mai nemmeno l'inizio dei lavori.

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Autorizzazione A.I.A. per la centrale a carbone di Vado: nuove osservazioni inviate al Ministero dell’Ambiente

Nuove osservazioni inviate al Ministero dell’Ambiente dal MODA di Savona, in relazione all’autorizzazione A.I.A. per la centrale a carbone Tirreno Power di Vado Ligure:
Vedi qui

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IdV e Fiamma contro il carbone di SEI a Saline Joniche

Da un comunicato del MSI-Fiamma Tricolore reggino.
"...il caso della possibile costruzione nel territorio di Saline Joniche di una centrale elettrica a carbone, dove nonostante si siano espressi già negativamente il Ministero dei Beni Culturali, la Giunta ed il Consiglio Regionale della Calabria, la Provincia ed il Comune di Reggio, le amministrazioni del comprensorio Jonico e diverse associazioni di varia vocazione, dove nonostante la quasi totalità della popolazione sia contraria, il progetto della centrale elettrica procede comunque. Dovrebbe bastare solo questa riflessione per bloccare definitivamente ogni discussione sulla volontà di costruire la centrale, ma la battaglia pare non possa fermarsi di fronte all’evidenza del semplice buonsenso..." Continua qui

Mozione contro il carbone nel Consiglio regionale calabrese dal Gruppo consigliare IdV, leggi qui

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Riconversione a carbone della centrale enel di Rossano calabro: il Ministero rispedisce il progetto al mittente

Da Sibarinet.it "CENTRALE ENEL DI ROSSANO: IL MINISTERO RIFIUTA DI VALUTARE IL PROGETTO INTEGRATO DI RICONVERSIONE

Il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare ha riconfermato il proprio parere n. 438 dell’08 aprile 2010 circa il progetto di riconversione a carbone della centrale termoelettrica di Rossano ritenendo che le valutazioni espresse all’epoca mantengono integralmente la loro validità. Pertanto il Ministero decreta il pronunciamento interlocutorio negativo circa la compatibilità ambientale del progetto di riconversione prevalentemente a carbone della centrale presentata dalla Società Enel Produzioni S.p.A..

In sostanza il Ministero dell’Ambiente ha valutato le integrazioni progettuali trasmesse dall’Enel il 23 aprile 2010 come un nuovo progetto. Sulla base di ciò, scrive il dottor Mariano Grillo, Direttore Generale del Ministero, non si ritiene di dover procedere alla valutazione del nuovo progetto, nell’ambito della procedura di VIA avviata in data 26/04/05, ritenendo che siano bastevoli le valutazioni espresse nel parere dell’08 aprile 2010. Lo stesso Direttore Generale notifica chiaramente all’Enel il concetto che la nuova documentazione, definita integrativa, configurerebbe un nuovo progetto. In conseguenza di ciò l’Enel dovrà, secondo le norme in vigore, attivare formalmente un nuovo procedimento ai fini della VIA (Valutazione di Impatto Ambientale). Viene messo a segno in questo modo un primo risultato positivo in favore della battaglia che il Comune di Rossano sta conducendo insieme ai cittadini, ai comitati, alle associazioni di categoria, ai 57 Comuni del territorio, alla Provincia e alla Regione e che ha come condizione esclusiva il “no al carbone”. Il Sindaco Franco Filareto nel manifestare la propria soddisfazione per l’atteggiamento del Ministero dell’Ambiente rilancia sull’immediata attivazione di un tavolo interistituzionale in grado di definire il destino dell’importante sito produttivo di Rossano. Un impianto del quale non si disconosce l’importanza nell’ambito del sistema energetico nazionale. Occorre approfittare dello stop imposto dal Ministero dell’Ambiente per riannodare i fili di un dialogo che il Comune non ha mai voluto interrompere e che l’Enel ha stoppato sull’arroccamento di un’alimentazione prevalentemente a carbone. Ci sono tutte le condizioni per l’attivazione del tavolo e sono convinto – ha dichiarato il Sindaco Filareto – che Regione, Provincia, i 57 Comuni e tutti i soggetti interessati non si sottrarranno ad un confronto che accantoni per sempre ogni pretesa neocolonialista di trasformazione dell’Enel a carbone e avvii un processo concertativo di riconversione del sito elettrico basato su energie pulite e rinnovabili.

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I manager della miniera di carbone sparano sui minatori africani

Da PeaceReporter.it riportiamo l'articolo "Zambia: partner o vassalli di Pechino?"

"Il presidente dello Zambia, Rupiah Banda, sta imparando a sue spese che la Cina nel suo Paese ha portato capitali, tecnologia e anche molte grane. L'ultima gli è scoppiata tra le mani una decina di giorni fa e adesso rischia di avere gravi conseguenze politiche.

Fuoco sui minatori. Venerdì 15 ottobre, una rappresentanza di minatori dell'impianto carbonifero gestito dalla Collum Coal Mine Ltd, a capitale cinese, ha affrontato il management della compagnia chiedendo un aumento dei salari. La tensione è salita rapidamente alle stelle, anche a causa delle barriere linguistiche, dal momento che la direzione della società non parlava bene l'inglese. E in pochi istanti si è consumata la follia: i manager hanno fatto fuoco contro la quindicina di operai che li stava incalzando, con pistole di piccolo calibro che hanno mandato in ospedale 11 minatori, due dei quali in gravi condizioni, con ferite alla testa e all'addome. La reazione eccessiva ha innescato poi una sorta di assalto alla sede della Collum, con relativi atti di vandalismo e tentativi di saccheggio, in parte sventati dall'arrivo in forze dei reparti antisommossa che hanno sparato lacrimogeni e disperso i minatori esasperati. La fredda cronaca della vicenda dovrebbe infine registrare l'arresto, tre giorni dopo, di due dirigenti, Xiao Lishan e Wu Jiuhua, trasferiti alla prigione centrale di Choma, con l'accusa di tentato omicidio, la fuga in Cina degli altri manager, "inseguiti" dalla polizia, la visita al sito e le scuse ufficiali portate dal presidente Hu Jintao. Opportune e dovute ma insufficienti per placare gli animi e disinnescare un incidente diplomatico che più che alla Cina e alla sua reputazione sta provocando danni al sistema di potere del presidente Banda e del suo inner circle.

Conseguenze politiche. Le ricadute sul piano della politica interna, infatti, sono decisamente più rilevanti che quelle sulle relazioni Zambia-Cina e, più in generale, tra il Paese e il capitale straniero. E' inedito e molto agguerrito il fronte che si è creato contro Banda: mette insieme i sindacati, la società civile, i nazionalisti, la chiesa e organizzazioni giovanili. Il messaggio è chiaro: il presidente ha svenduto il Paese, la sua dignità e la manodopera. E di questa tensione, chi davvero può approfittarsene è Michael Sata, detto "re Cobra", il populista leader del Patriotic Front, il principale partito d'opposizione. Il suo messaggio è chiaro e arriva dritto allo stomaco: "Ormai è chiaro che questo governo non ci protegge perché èstato pesantemente corrotto dai cinesi in vista delle elezioni del 2011". Tre ottobre 2011, è questa la data che spaventa Banda e i suoi, preoccupati dal calo di popolarità e dall'uso che l'opposizione potrebbe fare dell'incidente alla Collum Coal Mine. E la folla riunita martedì 19 davanti all'ambasciata cinese di Lusaka per chiedere le scuse non lasciava intuire nulla di buono. All'esecutivo viene contestata la lentezza della reazione, tale da aver consentito alla maggior parte degli executive cinesi di lasciare il Paese, le risposte balbettanti date all'opinione pubblica, la debolezza mostrata nei confronti di Pechino.

I precedenti. Quelli che accusano il governo di aver svenduto terra e manodopera alla Cina hanno molti argomenti dalla loro parte. I minatori della Collum sono ancora privi di contratto, ormai da nove anni, da quando la società ha aperto la miniera. Lavorano per un salario da fame, che va dai 31 ai 100 dollari al mese, senza sistemi di protezione adeguati, in condizioni precarie e senza diritti. Una situazione insostenibile che i lavoratori denunciano da anni, tanto che l'impianto era stato chiuso d'ufficio per alcuni giorni già nel 2006, dopo la denuncia in televisione da parte di un ministro, Alice Simango, che aveva accusato il management di "trattare i propri dipendenti come schiavi". Se non è nuova la questione, non lo sono nemmeno incidenti come quello accaduti alla Collum. Un episodio simile si era verificato nell'impianto di Chambishi, nel luglio 2005, dove la dirgenza aveva fatto fuoco su sei minatori, appena tre mesi dopo che 46 operai erano morti in una fabbrica di esplosivi della Nfc Mining Africa, società cinese come quella che gestiva la miniera di Chambishi, con palesi violazioni delle norme sulla sicurezza dei lavoratori. La Cina continua però a investire, attirata dal ricco sottosuolo del Paese africano. Nel solo 2010, tre delegazioni di alto profilo sono atterrate a Lusaka a caccia di contratti: rame, ferro, carbone e nichel le risorse più ambite. Nella citta di Chambishi, Pechino ha sponsorizzato un piano di sviluppo da 900 milioni di dollari, altri 300 ne ha investiti nell'impianto di Mulianshi, confermandosi così il più importante investitore in Zambia, per un totale di oltre due miliardi di dollari, spesi nel solo settore minerario. Questo ha portato posti di lavoro, iniezioni di valuta estera e ha fatto da propulsore allo sviluppo economico. Ma Banda ha capito che anche questo frutto ha una dose di veleno. Se grande o piccola, lo scoprirà con le prossime elezioni. Un primo test comunque arriverà dalle municipali di Chilanga e Mpulungu. L'opposizione affila le armi e si prepara ad attaccare il presidente che ha svenduto il Paese alla Cina.

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Le Associazioni dell'Area Jonica avviano una campagna di sensibilizzazione sul carbone a Saline Joniche

Comunicato del Coordinamento Associazioni Area Jonica
"Il borgo di Pentedattilo, per la sua particolarità ambientale e per il suo valore storico, si è rivelato la cornice privilegiata per un incontro-dibattito, tenutosi sabato 30 ottobre, su un tema che attualmente esige una posizione decisa e ferma: il dissenso sulla centrale a carbone.

Giuseppe Toscano (Propentedattilo) ha introdotto i lavori, molti contributi interessanti sono stati forniti da Carmelo Giuseppe Nucera (Apodiafazzi), Domenico Principato, Fabio Macheda (Fossatesi nel Mondo), Mimmo Romeo (Proloco Saline), Giuseppe Anghelone (Masci), Salvatore Mafrici (Libera), Rosaria Catanoso (Forum del Terzo settore Areagrecanica), Piero Melasi (Azimut).

La realizzazione di una gigantesca centrale a carbone nel sito della ex iquichimica di Saline Joniche è un ulteriore atto volto a deturpare le caratteristiche paesaggistiche del nostro territorio.

Il “Coordinamento associazioni Area Jonica” lancia un chiaro messaggio alle istituzioni, regionali, provinciali, e comunali del nostro territorio: sono necessari atti decisi che affianchino il no espresso a parole. Infatti la richiesta è che la Regione Calabria ribadisca la propria volontà a non proseguire le pratiche per la realizzazione dell’impianto. Durante l’incontro era presente il consigliere provinciale Bernardo Russo, il quale si è fatto portavoce delle istanze che il Coordinamento delle associazioni vuol promuovere. Inoltre, il consigliere ha chiaramente espresso, oltre alla sua solidarietà personale, la volontà di lottare come istituzione politica all’interno della Provincia di Reggio Calabria affinché emerga una posizione chiara volta a smantellare qualsiasi progetto della multinazionale svizzera Sei. Le associazioni sfidano in modo deciso e perentorio i sindaci che ancora tentennano nell’assumere una posizione ferma. Infatti, il comune di Montebello Jonico, con la vecchia Amministrazione in cui era sindaco l’avv. Nisi, si è sempre fermamente opposto alla centrale a carbone, promuovendo iniziative per impedire che i progetti da parte della Sei sul territorio calabrese attecchissero. La nuova amministrazione, pur mantenendo ufficialmente la posizione del No al carbone, ha assunto una linea più morbida, che potrebbe dar adito a dubbi e interpretazioni di vario genere. Altri comuni, infine, non hanno preso una posizione chiara. La nomina di una commissione di esperti che dovrebbe far luce sulla bontà o meno dell’impianto è in evidente contraddizione al No alla centrale già giustificato e motivato dall’ampia e documentata relazione, a firma del Prof. Piccione, fornita già a suo tempo, al comune di Montebello Jonico.

Rispetto a tante lampanti incongruenze, il Coordinamento a fine riunione ha deciso gli step da percorrere che consisteranno prioritariamente in una campagna di sensibilizzazione e di informazione rivolta alla popolazione.

Un momento a cui il “Coordinamento associazioni” parteciperà compatto è la manifestazione indetta per il giorno 6 novembre p.v., alle ore 10:00, presso l’impianto polifunzionale sito in Saline di Montebello Jonico in prossimità dello svincolo nord.

E’ necessario che l’uomo tenga in considerazione le conseguenze future delle proprie scelte e dei propri atti. Nella nostra battaglia vogliamo far riecheggiare l’imperativo dell’etica della responsabilità promosso e formulato dal filosofo Hans Jonas: ”agisci in modo tale che gli effetti della tua azione siano compatibili con la continuazione di una vita autenticamente umana.”

Rosaria Catanoso.
Coordinamento Associazioni Area Jonica

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Progetto di centrale carbone a Saline Joniche, dall'ex Liquichimica ad oggi

Da 'NtaCalabria
"di Francesco Iriti (pubblicato su Calabria Ora)
A distanza di 40 anni i riflettori nazionali vengono proiettati nuovamente sulla “cattedrale” deserta dell’area dell’ex Liquichimica a Saline Joniche con il progetto della centrale a carbone. Una vicenda che affonda le radici nella notte dei tempi e che ebbe inizio nel 1970 quando il governo nazionale decide di porre fine ai tumulti della provincia di Reggio Calabria, che nel frattempo aveva lottato per non perdere il capoluogo, passato a Catanzaro, con il cosiddetto “Pacchetto Colombo”. Un enorme progetto di sviluppo del Sud che riguardava l’insediamento nel territorio reggino di apparati produttivi, tra cui il polo industriale di Saline Joniche grazie allo stanziamento di 300 miliardi di vecchie lire. La struttura viene ultimata nel 1974. Passano pochi mesi dai collaudi, che il Ministero dell’Ambiente blocca definitivamente l’impianto, costruito per la produzione di bioproteine per mangimi animali, per il rischio di agenti cancerogeni. Si arriva quindi al 1977, data del fallimento con ben 600 operai mandati in cassa integrazione, senza aver mai lavorato.

Sull’area cala il silenzio per ben 20 anni con l’enorme struttura lasciata a se stessa ad arrugginire mentre l’adiacente porto inizia a fare i conti con la forza del mare, segno che la progettazione non era stata perfetta, che distrugge parte delle banchine e con la sabbia che ostruisce l’imbocco. Dell’ex Liquichimica si ritorna a parlare nel 1997 allorquando il Consorzio Sipi (Saline Ioniche Progetto Integrato), costituito da imprenditori locali, rileva all’asta gli impianti e i terreni ex Enichem con l’obiettivo di rottamare il ferro e l’acciaio degli impianti e rivendere il terreno. Con il tempo anche le Ogr, officine Grandi Riparazioni delle Ferrovie, vengono smantellate mentre dalle indagini si scopre che la ‘ndrangheta aveva messo gli occhi sulla zona per realizzare un centro commerciale. Si assiste a varie promesse sulla rivalutazione dell’area come la costruzione di un Parco Marino, l’installazione di pannelli fotovoltaici. Solo parole.

Si arriva nel frattempo ai giorni d’oggi, ed in particolare nel 2006, quando l’impresa svizzera Sei SpA (Società Energia Saline composta da Ratia Energia G.A., Hera S.p.A., Foster Wheeler Italiana S.p.A., Apri Sviluppo) acquista dalla SIPI una parte dell’area per la realizzazione di una centrale a carbone, lo stesso carbone il cui utilizzo per la produzione di energia elettrica è vietato dal Piano energetico regionale per tutto il territorio calabrese.

Inizia, quindi, un lungo iter, con istituzioni, associazioni e popolazione che pongono subito il loro no mentre sullo “sfondo” si decide il futuro. Infatti, tra dichiarazioni di alcuni sindaci dell’area grecanica e pareri della conferenza dei servizi (17 settembre 2008), sembra che la vicenda sia chiusa con il rifiuto del progetto. Tuttavia, la Sei continua l’itero di autorizzazioni ottenendo pochi giorni fa il Si da parte del Via del Ministero dell’Ambiente. In mezzo alcuni incontri segreti, anche tra sindaci dell’area grecanica che dichiarano il loro «No…ma».

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