No al carbone Alto Lazio

24 dicembre 2010

Un po' meno carbone negli USA

Da Greenreport.it: Nel 2010 chiuse centrali per 12.000 MW

"Sierra Club, la più grande associazione ambientalista Usa, ha pubblicato il suo Outlook Dimmed for Coal 2010, il rapporto di fine anno sull'industria del carbone statunitense, che conferma che «Le prospettive per il carbone nel 2010 hanno continuato ad essere deboli, decine di proposte di nuovi impianti a carbone sono state ritirate dal tavolo e le utilities hanno annunciato il pensionamento di centrali a carbone per 12.000 MW. Mentre la legislazione federale sul clima ha avuto una fase di stallo al Congresso nel 2010, le città e gli Stati hanno preso l'iniziativa per frenare l'inquinamento pericoloso delle Big Coal e stiamo lavorando per porre fine alla morsa del carbone sulla nostra economia».

Ecco i numeri del 2010 per gli Usa: 0 nuove centrali a carbone hanno iniziato ad essere costruite; 38 nuovi progetti di impianti a carbone sono stati abbandonate o bocciati; 48 centrali a carbone per le quali è stata annunciata la chiusura (12.000 MW); 256.000 persone hanno chiesto una più forte protezione dalle ceneri tossiche del carbone (le scorie minerarie); 109 milioni di tonnellate di inquinamento da CO2 evitate; 2,6 miliardi dollari in benefici economici diretti ottenuti da impianti solari domestici.

Secondo Mary Anne Hitt, direttrice della campagna "Beyond Coal" di Sierra Club, «Il carbone è un combustibile del passato. Quello che stiamo vedendo ora è l'inizio della crescente tendenza a lasciarlo lì dove sta. E' chiaro che la via da seguire per l'America è quella dell'energia pulita e delle rinnovabili ed è quello in cui un numero crescente di utilities, sviluppatori, Stati e comunità stanno facendo i loro investimenti».
Gli ambientalisti dicono che tutta la filiera del carbone, dalla miniera, alla centrale, allo smaltimento delle scorie, non è regolamentata. Nel 2010 le proteste sono riuscite a bloccare la maggior parte dei nuovi permessi di rimozione di intere aree montane per estrarre carbone, e l'Epa, l'agenzia federale per l'ambiente, sta determinando se soddisfano i sui clean water protection standards. L'Epa ha anche chiesto di mettere il veto su una delle più grandi miniere mai proposte: Spruce mine in West Virginia.

Per Sierra Club per tutti i progetti di miniere sarà anche più difficile ottenere finanziamenti, «Ora che Pnc ed Ubs, i più grandi finanziatori del mountaintop removal mining, si sono uniti al crescente elenco di banche che attuano politiche pubbliche che limitano i loro rapporti finanziari con gli operatori che scavano il carbone all'aria aperta nelle montagne».

La corsa a costruire nuove centrali a carbone sta rallentando. Un trend iniziato nel 2001, quando è svanito il progetto di costruire più di 150 nuove centrali elettriche a carbone negli Usa. «L'opposizione dei cittadini, l'aumento dei costi e una maggiore responsabilizzazione hanno cancellato 149 di queste centrali a carbone proposte - sottolinea il rapporto - Dall' ottobre 2008, negli Stati Uniti non è iniziata la costruzione di un solo nuovo impianto a carbone negli Stati Uniti, e l'Energy Information Agency non ha attualmente nuovi progetti e nessuna nuova centrale a carbone sarà costruita fino al 2011 senza incentivi significativi».

Le preoccupazioni dell'opinione pubblica per la salute e il futuro dell'economia statunitense che le centrali a carbone sta portando un numero senza precedenti di utility Usa a chiudere gli impianti più sporchi ed obsoleti. Le 500 centrali a carbone esistenti negli Usa sono responsabili della maggior parte dell'inquinamento atmosferico, che rende pericolosa l'aria in molte aree urbane, e che contribuisce anche alla morte 24.000 americani ogni anno.

Oltre alla chiusura record di impianti per 12.000 MW di centrali elettriche a carbone, sono annunciate altre chiusure in Oregon, Arizona, Utah e Colorado, il che comporterà il ritiro di quasi il 10% dell'intera parco delle centrali a carbone nel West Usa.

La maggior parte delle centrali a carbone Usa sono state costruite prima del 1980, e in molti casi mancano moderni controlli dell'inquinamento e gli ambientalisti chiedono norme più severe.

«Il movimento di base continua a crescere e quest'anno abbiamo raggiunto il punto di non ritorno, costringendo l'industria del carbone, non solo a restare sul loro territorio, ma a cedere alle fonti energetiche più pulite - dice Verena Owen, leader dei volontari di "Beyond carbon" - L'uscita dal carbone obsoleto e sporco ha creato un enorme varco in cui è saltata l'energia pulita e sostenibile. Diversi progetti su larga scala di 'energia pulita sono stati annunciati quest'anno, creando nuovi posti di lavoro necessari e rafforzando l'economia».

Una "febbre" che ha contagiato anche le università: più di 50 campus si stanno organizzando per utilizzare energia pulita ed andare oltre il carbone. Proprio quest'anno le università di North Carolina, Illinois, Western Kentucky, Cornell e Louisville hanno assunto impegni carbon-free.

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Il gioco delle relazioni

Qualcuno parla di noi: IlCambiamento

E nel medesimo sito abbiamo trovato una interessante lettura che vi proponiamo: "Città di Transizione, intessere una rete è il punto di partenza"

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23 dicembre 2010

Ruggeri esce, Molina entra, il carbone resta

Da TrcGiornale.it apprendiamo che 
"Giuseppe Molina è il nuovo direttore della centrale di Torre Nord. Quarantadue anni, piemontese, laureato in ingegneria elettrotecnica al Politecnico di Torino, Molina ha ricoperto all'interno di Enel vari incarichi con crescente responsabilità. Prima di assumere la direzione della centrale di Civitavecchia ha ricoperto il medesimo ruolo presso quella di Fusina (Venezia). Molina subentra all'ingegner Ivano Ruggeri, chiamato a dirigere la centrale di Porto Tolle."

Congratulazioni e saluti a modo nostro:

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22 dicembre 2010

L'allarme arsenico resta, nonostante le deroghe alla legge.

"Arsenico nell'acqua, arriva un commissario governativo da bigNotizie

CIVITAVECCHIA - Sarà un commissario straordinario che verrà nominato dal Governo a dirimere la intricata questione relativa ai nuovi limiti dell'arsenico nell'acqua imposti dalla Comunità europea, che ha fissato il valore massimo in 10 microgrammi per litro.

Il Consiglio dei Ministri ha infatti dichiarato lo stato di emergenza su sollecitazione della presidente della Regione Lazio, Renata Polverini per 20 Comuni della Regione. E tra questi anche se la lista ufficiale non è stata ancora pubblicata, ci sarebbe per il momento anche anche Civitavecchia.
Civitavecchia pur avendo infatti concentrazioni massime che non superano in alcune zone (quelle servite dal Medio Tirreno) i 12/13 microgrammi per litro(quindi valori molto vicini alla soglia imposta dalla Ue) paga lo scotto da far parte di una Regione che chiese una deroga fino a 50 microgrammi per far fronte ed esigenze come quelle del viterbese dove l'acqua registra alte percentuali di arsenico. Deroga che è stata respinta dall'Unione europea.

Ora il neo Commissario straordinario dovrà mettere in campo azioni immediate per la salvaguardia della salute pubblica. Prima di tutto si dovrà agire sulla dearsenificazione, realizzando condutture che misceleranno acque nei limiti della normativa europea con l'acqua non a norma, in modo da abbassare la presenza media in microgrammi dell'arsenico nei limiti consentiti dall'Europa.

"In città non è però il caso di allarmarsi – ribadisce Franco Grassi del consorzio Medio Tirreno – abbiamo infatti chiesto alla Regione di scorporare Civitavecchia dall'elenco, viste le basse concentrazioni di arsenico presenti in città. In ogni modo stiamo già mettendo in atto tutte le procedure per abbattere i valori (da tempo si sta studiando un sistema per la miscelazione delle acque del Medio Tirreno prevenienti dalla Tuscia con quelle dell'Acea e del Nuovo Mignone) e daremo comunque informazioni appena di saprà qualcosa di certo a livello regionale per i provvedimenti di prendere".
Si parla comunque della possibilità, in attesa che i parametri scendano alla soglia di 10 microgrammi per litro, di vietare l'acqua per usi alimentari a donne incinte e bimbi sotto i tre anni di età.

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21 dicembre 2010

I sonetti di Giancarlo Peris. "Solo noi"

Nel teatrino della politica civitavecchiese, da sempre in larga parte subalterna agli interessi di enel, abbiamo visto in scena ripetuti spettacolini a base di dichiarazioni depistanti sulla spinosa questione della riconversione a carbone di TVN. Obiettivo: confondere e indebolire la popolazione, unita e mobilitata nella contrarietà, mediante una disinformazione mirata.
"Solo noi" è il dodicesimo sonetto in dialetto del prof. Giancarlo Peris che pubblichiamo sulle nostre pagine. Per i precedenti clicca qui.

Solo noi 21 ottobre 2001

Ha detto er Viceré, Don Craparotta,
Che la centrale elettrica a carbone,
Si nu la vo’ ‘sto popolo cojone,
In antra zona mejo la dirotta.


Indove dice che ‘n ce sarà lotta
Perché nissuno perde un’occasione
Che ‘n se presenterà er prossimo eone
A chi pe’ pranzo e cena se l’allotta.


Ma è tutto un blef perché adè tanto indegna
Que’la proposta lì pe’ la centrale
In cui er sindaco nostro se rispecchia,


Che pronto pe’ obbedi’ a que’la consegna,
In giro pe’ lo spazio siderale,
Ce sta solo er comune a Citavecchia.

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Dagli USA norme antinquinamento più severe per le centrali a carbone

Da QualEnergia.it
"La stangata dell'Epa al carbone statunitense

Un duro colpo per il carbone mentre le rinnovabili tirano un sospiro di sollievo: dagli Usa arrivano buone notizie per il clima. Al Senato è infatti passata la legge che proroga per un anno alcuni incentivi vitali per le energie rinnovabili, intanto dall'EPA (Environmental Protection Agency), l'Agenzia per la protezione dell'ambiente americana, sono in arrivo nuove regole che minacciano di far chiudere un bel po' di centrali a carbone: a rischio impianti per un totale di 50-70 GW. Una frenata brusca per questa fonte che fornisce circa metà della produzione elettrica statunitense e che ha un peso enorme in termini di emissioni e inquinamento

A colpire le centrali non sarà tanto la possibilità - contestata politicamente e dal destino non ancora certo - che l'EPA regolamenti le emissioni di anidride carbonica, cosa che impedirebbe di costruire centrali senza cattura della CO2, bensì altre norme già sul piatto dell'Agenzia. Regole che porranno standard più severi per inquinanti diffusi dalla combustione del carbone come mercurio, diossido di zolfo e altre sostanze tossiche. Norme che inoltre potranno obbligare a trattare con più rigore lo smaltimento delle ceneri del carbone, normeranno l'uso dell'acqua negli impianti e potrebbero anche imporre l'adozione di torri di raffreddamento per proteggere gli ecosistemi dalle temperature delle acque scaricate dalle centrali (su Grist.org un esaustivo dossier sulla questione).

Novità che spaventano alquanto l'industria del carbone: sono già diversi i report che quantificano l'impatto delle nuove regole. Per uno studio di FBR Capital Markets, ripreso da Reuter, a seconda del prezzo del gas naturale (sostituto ideale del carbone), entro il 2015 potrebbero essere fermate centrali per 30-70 GW di potenza. Secondo un'altra società di consulenza, Brattle Group, le nuove regole comporterebbero per l'industria investimenti fino a 180 miliardi di dollari e farebbero fermare impianti a carbone per 50 GW. Se poi passasse anche l'obbligo di dotarsi di torri di raffreddamento questo comporterebbe uno stop per altri 11-12 GW di impianti e altri 30-50 miliardi di investimenti. A chiudere poi non sarebbero solo le centrali piccole o “in età pensionabile”: un terzo di quelle che si fermeranno, secondo le previsioni, avranno meno di 40 anni e saranno di taglia superiore ai 500 MW.

Al 2020 le regole dell'EPA potrebbero nel complesso far calare del 15% la domanda di carbone (sostituita in parte da un aumento del 10% di quella di gas naturale) e comporterebbero una riduzione di emissioni di CO2 pari a 150 milioni di tonnellate (Mt). Un taglio abbastanza sostanzioso: pari ad un terzo delle emissioni del nostro paese (456,4 Mt circa al 2007) e consistente anche se rapportato alle emissioni totali degli Usa (5.838 Mt circa al 2007). E a ringraziare non sarà solo il clima: il tributo che gli Usa pagano attualmente al carbone è alto anche in quanto a danni sanitari. Un recente studio di Clean Air Task Force (qui in pdf) stima che l'inquinamento atmosferico delle centrali a carbone nel 2010 farà morire prematuramente circa 13mila statunitensi e causerà un danno di 100 miliardi di dollari.

Insomma, dall'Agenzia per la protezione ambientale – e non dagli eletti – arriva uno dei colpi più duri alle emissioni di CO2 e all'inquinamento negli Stati Uniti. Intanto, come anticipavamo, il Senato, ha votato una legge che, se non particolarmente coraggiosa, consente almeno al mondo dell'energia pulita statunitense di stare tranquillo per un altro anno. Con un provvedimento approvato nei giorni scorsi infatti sono stati prorogati una serie di incentivi fondamentali per le rinnovabili statunitensi. In particolare continuerà il "Section 1603 Treasury cash grant", introdotto con il pacchetto stimolo del 2009, che sostituisce con un finanziamento "cash" quello che prima era uno sgravio fiscale del 30% sulla costruzione di impianti a rinnovabili: una misura che ha avuto un ruolo fondamentale nel difendere il settore dalla stretta creditizia.

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Alfano forza la strada verso la riconversione di Porto Tolle

La giustizia si può sospendere davanti agli interessi forti.

Fonte: ANSA "Porto Tolle: Alfano, azione disciplinare per Procura Rovigo. ROVIGO, 19 DIC - Il Guardasigilli Angelino Alfano ha deciso di esercitare l'azione disciplinare verso il Procuratore di Rovigo, Dario Curtarello, e la pm Manuela Fasolato, in relazione all'inchiesta sul progetto di riconversione a carbone della centrale Enel di Porto Tolle. Nel gennaio 2010 il guardasigilli aveva inviato gli ispettori negli uffici giudiziari polesani. L'azione del ministro sarebbe motivata dalle ''interferenze'' che i magistrati avrebbero esercitato sugli organi amministrativi - ministero e commisione Via - che dovevano decidere sulla riconversione."
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Aggiornamento: della vicenda si occupa anche il FattoQuotidiano:

"Manuela Fasolato da tempo si occupa della centrale Enel di Porto Tolle. Ma Luciano Violante, che presiede una associazione fondata dalla stessa Enel non gradisce. E ora il ministro chiede sanzioni.
Nel gennaio di quest'anno il deputato del Pd si lamenta: "Il ministro della Giustizia dovrebbe fare delle ispezioni, e capire se un'autorità giudiziaria può compiere un atto di questo genere". Detto fatto, nel giro di due settimane, Alfano manda gli ispettori, capitanati da Arcibaldo Miller, il cui nome finirà poi nelle carte delle inchieste sulla P3, a controllare l'attività di Manuela Fasolato. Il magistrato da anni indaga sulla centrale Enel costruita sul delta del Po, oggi in attesa di essere riconvertita da olio combustibile a carbone. Studia le correlazioni tra le emissioni in atmosfera e le malattie degli abitanti della zona. Porta in tribunale i vertici della società. Ma per il ministero non dovrebbe lavorare, visto che gode dell'"esonero totale" dall'attività giudiziaria "in quanto componente della commissione esaminatrice nell'ambito del concorso per 350 posti da uditore giudiziario". E ora Alfano chiede alla procura generale presso la Cassazione di indagare su di lei

Qui l'articolo completo: "La pm lavora troppo, Alfano la punisce"
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Dell'interesse speciale che Violante ha per la riconversione a carbone avevamo già scritto:La Procura di Rovigo indaga sulla riconversione a carbone della centrale di Porto Tolle? Violante cerca di bloccare tutto

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"Dallo zolfo al carbone" vince il Mediterraneo Film Festival

Da Siciliainformazioni
"Con la vittoria del film documentario "Dallo zolfo al carbone" del regista siciliano Luca Vullo, è calato il sipario sulla V edizione del Mediterraneo Film Festival, la rassegna cinematografica dedicata ai temi del lavoro e della migrazione andata in scena dal 15 al 19 dicembre a Carbonia, la città che ieri ha celebrato il 72° anniversario della sua fondazione. Il trentunenne regista di Caltanissetta, che ha incentrato la propria opera sul fenomeno migratorio di migliaia di giovani siciliani diretti alle miniere di carbone del Belgio, ha ricevuto il premio (una scultura e un assegno da duemila euro) dalle mani del sindaco di Carbonia, Maria Marongiu. Il secondo posto è andato a "Il sangue verde" di Andrea Segre, che racconta la rivolta dei braccianti di colore a Rosarno, in Calabria, nel gennaio 2010. Menzioni speciali a "Cargo" di Vincenzo Mineo, storia di solitudini dei marinai imbarcati su un mercantile, e a "La svolta. Donne contro l'Ilva" di Valentina D'Amico, che descrive la battaglia di sei donne di Taranto per difendere la dignità di chi lavora nella più grande acciaieria d'Europa. La giuria dei ragazzi, invece, quaranta studenti in rappresentanza di alcuni istituti superiori di Carbonia, ha assegnato il primo premio al regista Pippo Mezzapesa di Bitonto (Bari) che con il documentario "Pinuccio Lovero - Sogno di una morte di mezza estate" racconta la storia di Pinuccio che sogna da sempre di fare il becchino e, una volta assunto, aspetta il suo primo funerale che non arriva.

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Sulle nuove centrali a carbone italiane

Da reteclima.it
Gli ultimi due progetti italiani di impianti a carbone si stanno per realizzare in Calabria: una nuova centrale a Saline Joniche (RC) a cui si aggiunge la riconversione a carbone dei gruppi a olio combustibile della centrale Enel di Rossano Calabro

Si tratta di due operazioni che comporteranno emissioni aggiuntive rispettivamente per 7,5 e 6,7 milioni di tonnellate di CO2 all'anno e che stanno incontrando forti resistenze sui territori dove andranno ad essere realizzate.

Ma a fianco di questo due esempi ci sono anche altri progetti italiani nel carbone: Civitavecchia (con riconversione ormai terminata, ed ora già attiva), Porto Tolle (sul delta del Po, in fase progettuale), Vado Ligure (SV), Fiume Santo di Sardegna (con iter autorizzativo da parte del Ministro dello Sviluppo Economico già terminato).

Secondo il report di Greenpeace sui grandi inquinatori recentemente diffuso, se alla centrale di Civitavecchia -riconvertita ed ora attiva- si affiancassero tutti questi nuovi gruppi o centrali proposti le emissioni di CO2 degli impianti a carbone raddoppierebbero in pochi anni passando dagli attuali 35,9 milioni di tonnellate a 74,8: un contributo di 38,9 MtCO2 che renderebbe impossibile il raggiungimento degli obiettivi nazionali al 2020.

Dal dossier di Greenpeace: "In Italia sono attive 12 centrali a carbone che nel 2009, a fronte di una produzione di solo il 13% di elettricità, hanno emesso addirittura il 30% dell’anidride carbonica prodotta complessivamente dal settore termoelettrico, con circa 36 milioni di tonnellate (Mt) di CO2 sul totale di circa 122" (quasi il 30%).

Secondo il report, tra tutte le attività coinvolte nel mercato europeo delle emissioni (EU-ETS) le centrali a carbone sono state le uniche ad emettere di più rispetto ai permessi gratuiti assegnati: mentre industria e settore termoelettrico nel complesso hanno visto ridurre significativamente le emissioni dal 2008 al 2009 e sono riusciti a rispettare gli obblighi di riduzione previsti dalla direttiva europea per il 2009 con ampi margini (rispettivamente 23 Mt e 3,5 Mt), gli impianti a carbone italiani hanno sforato di 3,6 milioni di tonnellate di CO2.

Il dossier di Greenpeace mostra come, oltre ad aggravare il problema emissioni, il carbone non serva all’Italia per risolvere i suoi problemi energetici ed anzi: "Peggiorerà la dipendenza energetica del nostro Paese dall’estero, visto che già oggi importiamo più del 99% del carbone utilizzato; non abbasserà la bolletta energetica del Paese, visto che dei potenziali risparmi nell’acquisto del combustibile beneficeranno soprattutto i bilanci delle aziende energetiche e faticheranno ad arrivare nelle bollette degli italiani; peserà alla fine sulle casse dello Stato visto che ci condannerà a pagare le multe di Kyoto e del 20-20-20.

Greenpeace constata come il carbone sia un combustibile a basso prezzo solo perché, oltre non vedere incluse nel prezzo esternalità negative come i danni ambientali e sanitari, è drogato dai sussidi statali: la Commissione europea ha stimato in circa 3 miliardi di euro all’anno i sussidi pubblici che hanno sostenuto la filiera europea del carbone tra il 2007 e il 2009 (2 dei quali in Germania).

A causa dei consumi sempre più importanti da parte dei paesi con economie emergenti, a partire da Cina e India, infine le riserve di carbone stanno diminuendo con tassi davvero inaspettati.

Per lo studio di Greenpeace: "Secondo le stime di Bp se 10 anni fa la disponibilità residua di carbone rapportata ai tassi di utilizzo era valutata in 240 anni, le ultime cifre aggiornate al 2010 sono scese addirittura a 119 anni. Continuando di questo passo tra 10 anni le riserve residue di carbone diventerebbero equivalenti a quelle di petrolio e gas, esauribili in 50-60 anni".

Si deve cambiare strada, per virtù o per necessità.

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18 dicembre 2010

Saluto a Luigi Daga

Da UnoNotizie parole di commiato a Luigi Daga, uno di noi.

"Sapevamo che da tempo era gravemente malato, ma noi tutti speravamo che alla fine la sua forza di volontà e il suo carattere avrebbero vinto anche questa improba battaglia.
Invece purtroppo non è stato così. Stavolta il buon Luigi, dopo aver lungamente combattuto come suo solito, non ce l'ha fatta.

Ieri un male terribile e spietato si è portato via Luigi Daga, da sempre attivo in politica sia alla Regione Lazio, che in Provincia di Viterbo, soprattutto nella sua amata Tarquinia. Le sue battaglie contro mafia e politicanti, le sue battaglie sociali e politiche resteranno per sempre memorabili e indelebili nei ricordi di tutti noi.

Luigi Daga era stato tra i membri più illustri del Comitato No Coke Alto Lazio e del Comitato Cittadini Liberi di Tarquinia con i quali condivideva tante meritevoli iniziative in favore della salute e della legalità nella Maremma Etrusca, in particolare a Tarquinia e nella vicina Civitavecchia, dove si era fatto anche qualche nemico, soprattutto tra sindaci e sponsor politici che lui aveva ben smascherato..."

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Soldi sporchi per un greewashing dannoso: i petrolieri per le CCS

Da costituenteecologista

"La vittoria dei petrolieri: soldi per la cattura della CO2

A Cancun è passata inosservata la decisione di ammettere la Ccs tra i meccanismi finanziabili dai crediti di Kyoto. L’hanno voluta Sauditi e petrolieri anche per riciclare i pozzi.

Ventisei, tanti sono gli atti decisi nel negoziato di Cancún. Uno di questi è passato quasi inosservato, forse per gli oscuri bizantinismi della formula. Per la prima volta i Ccs sono stati inclusi nei Cdm. Dietro queste sigle si nasconde una delle vittorie del settore petrolifero al Cop16 e l’affermazione di una tecnologia fortemente controversa: quella della cattura e stoccaggio della Co2, responsabile dell’effetto serra. Ma andiamo per ordine. I Cdm, Clean Development Mechanism, sono un meccanismo finanziario per i paesi in via di sviluppo costituito a Kyoto, secondo il quale progetti che tagliano le emissioni ricevono crediti che possono essere venduti sui mercati finanziari.

I Ccs invece sono dei macchinari complicati di “Cattura e stoccaggio” della Co2 emessa durante combustione di energia fossile per produrre energia o da processi industriali, in particolare la produzione del cemento. La Co2 “sequestrata” è stoccata in depositi sotterranei per diminuire l’impatto delle centrali superinquinati. Nonostante ad alcuni i Ccs sembrino la bacchetta magica per ridurre le emissioni, a oggi questa tecnologia non era mai stata inserita nella lista delle tipologie da premiare. Perché? Troppi dubbi sull’efficacia dello stoccaggio della Co2, sia tecnici che economici. Secondo i critici, i Ccs sono una strategia per il settore dei combustibili fossili per continuare a inquinare senza sanzioni economiche e rallentare il settore delle rinnovabili.

«Le tecnologie Ccs sono economicamente costose», spiega Vincenzo Ferrara dell’Enea «riducono l’efficienza energetica degli impianti a cui vengono applicate e pongono dei problemi di rischio ambientale». A Cancún chi ha premuto per la cattura e lo stoccaggio del carbone è stata soprattutto l’Arabia Saudita, in cambio del suo assenso sulla tutela delle foreste. Da anni i sauditi investono nel settore per compensare le emissioni legate al settore estrattivo. Ora i Cdm, se confermati al prossimo negoziato, potrebbero sbloccare investimenti multimiliardari. L’accordo interessa soprattutto Masdar, la compagnia energetica di Abu Dhabi, uno dei grandi player nella cattura e stoccaggio del carbone. Ma i sauditi non sono i soli. Secondo il ministro dell’ambiente americano Steven Chu: «entro il 2019 i Ccs devono essere in grado di ridurre le emissioni delle centrali a carbone, responsabili del 40% della produzione totale di Co2».

Per l’Agenzia Internazionale dell’energia il mondo si deve dotare di almeno 100 impianti Ccs entro il 2020. E in Europa la tecnologia è stata introdotta nel pacchetto “Clima e energia”. Per capire gli interessi dell’industria petrolifera nel settore bisogna guardare ai 440 pozzi in fase terminale nel Mare del Nord. Per le compagnie petrolifere questi pozzi potrebbero essere riconverti in 440 depositi di stoccaggio della Co2 in forma liquida. Ci guadagnerebbero sull’affitto dei pozzi e sui certificati di non emissione per lo stoccaggio, mentre la gestione finale dei depositi di Co2 graverà sullo Stato. «Da questo punto di vista è evidente come mai che i più grandi supporter dei Ccs siano Bp, Shell e Total», sostiene Fabriano Fabbri, ex segretario tecnico del Ministero dell’ambiente.

Una ricerca della Duke University ha mostrato chiaramente che lo stoccaggio della Co2 può contaminare le falde sotterranee. «Il problema è che se questo modo di fare dilaga - continua Ferrara - gli affari aumentano, i problemi del clima non si risolvono, lo sviluppo economico decarbonizzato non partirà mai e, infine, ci ritroveremo con nuovi problemi ambientali associati allo smaltimento dell’anidride carbonica».

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