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3 novembre 2010

I manager della miniera di carbone sparano sui minatori africani

Da PeaceReporter.it riportiamo l'articolo "Zambia: partner o vassalli di Pechino?"

"Il presidente dello Zambia, Rupiah Banda, sta imparando a sue spese che la Cina nel suo Paese ha portato capitali, tecnologia e anche molte grane. L'ultima gli è scoppiata tra le mani una decina di giorni fa e adesso rischia di avere gravi conseguenze politiche.

Fuoco sui minatori. Venerdì 15 ottobre, una rappresentanza di minatori dell'impianto carbonifero gestito dalla Collum Coal Mine Ltd, a capitale cinese, ha affrontato il management della compagnia chiedendo un aumento dei salari. La tensione è salita rapidamente alle stelle, anche a causa delle barriere linguistiche, dal momento che la direzione della società non parlava bene l'inglese. E in pochi istanti si è consumata la follia: i manager hanno fatto fuoco contro la quindicina di operai che li stava incalzando, con pistole di piccolo calibro che hanno mandato in ospedale 11 minatori, due dei quali in gravi condizioni, con ferite alla testa e all'addome. La reazione eccessiva ha innescato poi una sorta di assalto alla sede della Collum, con relativi atti di vandalismo e tentativi di saccheggio, in parte sventati dall'arrivo in forze dei reparti antisommossa che hanno sparato lacrimogeni e disperso i minatori esasperati. La fredda cronaca della vicenda dovrebbe infine registrare l'arresto, tre giorni dopo, di due dirigenti, Xiao Lishan e Wu Jiuhua, trasferiti alla prigione centrale di Choma, con l'accusa di tentato omicidio, la fuga in Cina degli altri manager, "inseguiti" dalla polizia, la visita al sito e le scuse ufficiali portate dal presidente Hu Jintao. Opportune e dovute ma insufficienti per placare gli animi e disinnescare un incidente diplomatico che più che alla Cina e alla sua reputazione sta provocando danni al sistema di potere del presidente Banda e del suo inner circle.

Conseguenze politiche. Le ricadute sul piano della politica interna, infatti, sono decisamente più rilevanti che quelle sulle relazioni Zambia-Cina e, più in generale, tra il Paese e il capitale straniero. E' inedito e molto agguerrito il fronte che si è creato contro Banda: mette insieme i sindacati, la società civile, i nazionalisti, la chiesa e organizzazioni giovanili. Il messaggio è chiaro: il presidente ha svenduto il Paese, la sua dignità e la manodopera. E di questa tensione, chi davvero può approfittarsene è Michael Sata, detto "re Cobra", il populista leader del Patriotic Front, il principale partito d'opposizione. Il suo messaggio è chiaro e arriva dritto allo stomaco: "Ormai è chiaro che questo governo non ci protegge perché èstato pesantemente corrotto dai cinesi in vista delle elezioni del 2011". Tre ottobre 2011, è questa la data che spaventa Banda e i suoi, preoccupati dal calo di popolarità e dall'uso che l'opposizione potrebbe fare dell'incidente alla Collum Coal Mine. E la folla riunita martedì 19 davanti all'ambasciata cinese di Lusaka per chiedere le scuse non lasciava intuire nulla di buono. All'esecutivo viene contestata la lentezza della reazione, tale da aver consentito alla maggior parte degli executive cinesi di lasciare il Paese, le risposte balbettanti date all'opinione pubblica, la debolezza mostrata nei confronti di Pechino.

I precedenti. Quelli che accusano il governo di aver svenduto terra e manodopera alla Cina hanno molti argomenti dalla loro parte. I minatori della Collum sono ancora privi di contratto, ormai da nove anni, da quando la società ha aperto la miniera. Lavorano per un salario da fame, che va dai 31 ai 100 dollari al mese, senza sistemi di protezione adeguati, in condizioni precarie e senza diritti. Una situazione insostenibile che i lavoratori denunciano da anni, tanto che l'impianto era stato chiuso d'ufficio per alcuni giorni già nel 2006, dopo la denuncia in televisione da parte di un ministro, Alice Simango, che aveva accusato il management di "trattare i propri dipendenti come schiavi". Se non è nuova la questione, non lo sono nemmeno incidenti come quello accaduti alla Collum. Un episodio simile si era verificato nell'impianto di Chambishi, nel luglio 2005, dove la dirgenza aveva fatto fuoco su sei minatori, appena tre mesi dopo che 46 operai erano morti in una fabbrica di esplosivi della Nfc Mining Africa, società cinese come quella che gestiva la miniera di Chambishi, con palesi violazioni delle norme sulla sicurezza dei lavoratori. La Cina continua però a investire, attirata dal ricco sottosuolo del Paese africano. Nel solo 2010, tre delegazioni di alto profilo sono atterrate a Lusaka a caccia di contratti: rame, ferro, carbone e nichel le risorse più ambite. Nella citta di Chambishi, Pechino ha sponsorizzato un piano di sviluppo da 900 milioni di dollari, altri 300 ne ha investiti nell'impianto di Mulianshi, confermandosi così il più importante investitore in Zambia, per un totale di oltre due miliardi di dollari, spesi nel solo settore minerario. Questo ha portato posti di lavoro, iniezioni di valuta estera e ha fatto da propulsore allo sviluppo economico. Ma Banda ha capito che anche questo frutto ha una dose di veleno. Se grande o piccola, lo scoprirà con le prossime elezioni. Un primo test comunque arriverà dalle municipali di Chilanga e Mpulungu. L'opposizione affila le armi e si prepara ad attaccare il presidente che ha svenduto il Paese alla Cina.

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28 ottobre 2010

Per costruire il futuro

Una pregevolissima lettura consigliata a tutti.
"Gente che costruisce il futuro" di Andrea Masullo, docente di Sostenibilità ambientale all'Università di Camerino

"Dalla comunità scientifica internazionale giungono sempre più frequenti allarmi sulle conseguenze planetarie dell’eccessivo uso delle risorse: dai cambiamenti climatici, alla desertificazione, alle crisi idriche ed alimentari, alla ormai prossima scarsità di petrolio e di molte altre risorse minerarie su cui si basa la moderna economia. Le analisi scientifiche prevedono un aggravamento di tutte queste conseguenze negative dello sviluppo che rischiano di vanificare i progressi straordinari dell’umanità riportandoci ad una situazione simile a quella di inizio ‘900, ma senza le potenzialità allora esistenti e che oggi risultano in gran parte esaurite. Tutto sembra confermare i risultati drammatici del modello macroeconomico utilizzato da Dennis e Donella Meadows e Jorgen Randers per aggiornare il rapporto sui limiti della crescita a 30 anni dalla prima clamorosa stesura. Secondo questo aggiornamento pubblicato nel 2004 (edizione italiana “I nuovi limiti dello sviluppo”, Saggi Mondadori), le crisi delle risorse e le conseguenze sul benessere subiranno un aggravamento nel secondo decennio di questo secolo; come non vedere nell’attuale difficoltosa e non del tutto compresa crisi economica globale un segnale premonitore?

 All’International Media Forum  di Greenaccord svoltosi a Cuneo dal 13 al 16 ottobre con il titolo “People Building Future: confini e valori per un vivere sostenibile” scienziati provenienti da tutto il mondo si sono radunati con giornalisti di tutti i continenti per provare insieme a costruire una via per evitare le crisi incombenti e continuare a produrre benessere per l’intera popolazione che abiterà la Terra negli anni e nei secoli futuri. L’intento comune è di non rassegnarsi in modo fatalistico al peggio e trovare la via per scuotere una opinione pubblica confusa da media che fanno emergere di tanto in tanto allarmi apocalittici per poi tornare ad una comunicazione che sostanzialmente ignora le grandi questioni aperte dalle crisi globali, seguendo una classe politica che preferisce ignorare gli allarmi e proporre analisi tranquillizzanti e soluzioni contraddittorie, anzi controproducenti, come il martellante richiamo ad una ripresa dei consumi. La voce unanime emersa è che siamo davvero ad un punto di svolta in cui dobbiamo scegliere cosa portarci dietro per il cammino che ci attende e cosa relegare definitivamente al passato.

Ci si è interrogati su quali devono essere i valori, i modelli e le strategie che devono dar corpo e gambe ad uno sviluppo sostenibile che fino ad oggi è stato poco più di uno slogan vuoto. Il nuovo modello economico deve introdurre accanto al capitale finanziario, che oggi è l’unico valore di riferimento, il capitale umano la cui valorizzazione deve essere lo scopo dell’organizzazione sociale ed economica, ed il capitale naturale, che è l’unica base reale dello sviluppo.
Il modello? Nè capitalismo né socialismo, ma semplicemente imitare il meccanismo che guida con successo da 4 miliardi e mezzo di anni l’evoluzione del nostro pianeta, che senza soluzione di continuità cresce qualitativamente senza limiti, ma all’interno di confini quantitativi ben precisi, verso un sempre maggiore perfezionamento ed arricchimento in termini di complessità e bio-diversità, senza produrre rifiuti né distruggere risorse, semplicemente utilizzando al meglio ciò che esiste in ciascun lembo di territorio, cercando perennemente in ogni luogo ed in ogni istante la soluzione migliore secondo una logica che guida ogni essere ed ogni specie a ricercare il proprio benessere attraverso il benessere generale dell’ambiente in cui vive e di tutte le altre specie che vivono in esso; in altri termini è necessario far evolvere l’economia dalla logica della competizione conflittuale ed egoistica, che porta alla lotta di un individuo o di un popolo per l’accaparramento per sé , alla competizione cooperativa e solidale. Liberarsi dal consumismo ottuso e fine a sé stesso che divora ambiente e persone, che dissolve le reti di relazioni sociali esaltando l’individualismo e scoprire il benessere e la felicità in una vita sobria e ricca di relazioni sociali.


I valori etici? Nulla da inventare; basta applicare la Dichiarazione Universale dei Diritti Dell’Uomo, i cui 30 articoli sono in larga parte drammaticamente ancora disattesi ad oltre 60 anni dalla sua adozione da parte dell’ONU.
La sostenibilità è quindi una vera rivoluzione da attuarsi prima che le conseguenze più nefaste dell’attuale modello si manifestino. Essa richiede un nuovo orientamento delle attività umane verso la soddisfazione del diritto ad una vita felice per ciascun individuo. La green economy può essere il ponte temporale per arrivarci. Essa consente di far durare più a lungo le risorse a disposizione migliorando l’efficienza delle tecnologie e dell’organizzazione sociale. E se oggi il consumismo e il folle mito della crescita illimitata dei consumi ancora guida la dottrina economica, già si affacciano scintille di green-economy e in parte anche di sostenibilità. Alcuni esempi concreti sono stati presentati nel Forum di Greenaccord.
  1. Il programma “zero waste” dell’ Interface FLOR, illustrato da Arratia Ramon, rappresenta una notizia straordinaria in quanto ci ha mostrato come una potente multinazionale che produceva moquette con un elevatissimo impatto ambientale, in pochi anni può ridurre enormemente i suoi rifiuti e le sue emissioni rendendo realistico un obiettivo di impatto zero.
  2. Joachim Eble ci ha mostrato come la grande architettura può cambiare profondamente lo schema urbano anche nelle grandi città della Cina, ricucendo le reti ecologiche e le reti sociali attraverso uno schema ad emissioni zero.
  3. Wittfrida Mitterer ci ha mostrato come anche la tragedia di un terremoto può divenire l’occasione di una rinascita sostenibile di una città, illustrandoci il suo progetto di ricostruzione di Onna, finanziato dal governo tedesco, che prevede il recupero delle antiche architetture con criteri anti-sismici, riciclando le pietre crollate, il recupero del tessuto sociale creando anche nuovi spazi di incontro; il tutto alimentato da energie rinnovabili come la geotermia e l’energia solare.
  4. I volontari del LVIA ci hanno descritto cooperative di sole donne che riciclano la plastica in Burkina Faso, dimostrando praticamente il legame fra ecologia della natura ed ecologia umana, attraverso la soluzione congiunta di un problema sociale, economico ed ambientale.
  5. La socioetà Marcopolo di Cuneo ci ha descritto semplici tecnologie che trasformano un gravissimo problema ambientale per i paesi ricchi ed anche igienico e sanitario nei paesi poveri, come quello dei rifiuti organici urbani, in un grande beneficio, producendo attraverso la biodigestione metano, per produrre energia rinnovabile, e terra fertile, con il risultato non solo di azzerare le emissioni di gas serra, ma addirittura sottraendo con la vermicoltura carbonio all’atmosfera. E’ la dimostrazione inoltre che chiudere i cicli ecologici lasciati aperti dalle attività umane comporta anche un beneficio economico, mentre le soluzioni orientate allo smaltimento come le discariche e gli inceneritori, dimostrano in Campania di creare solo altri disastri ambientali e rivolta sociale.
  6. Il Viceministro dell’ambiente della Costa Rica, Ana Lorena Guevara ci ha dimostrato come un paese povero di capitale finanziario possa fondare la sua economia sulla bellezza e sulla biodiversità, scoprendosi ricco di capitale naturale e di capitale umano. E’ un esempio concreto per tutti i paesi poveri, per lo più ricchi di risorse naturali, che la via della valorizzazione del capitale naturale è una via praticabile per uscire dalla povertà superando la trappola del debito che li costringe ad esportare le loro risorse.
  7. L’ingegnere australiano Karlson Charlie Hargroves, illustrandoci palazzi che si ispirano per la loro climatizzazione al sistema escogitato dalle termiti per mantenere condizioni di temperatura ed umidità ideali anche nel deserto più caldo, ci ha mostrato con esempi concreti come si possa sviluppare una tecnologia sostenibile semplicemente imitando la natura, e quanto siano più efficaci le soluzioni derivate da miliardi di anni di evoluzione della biosfera rispetto a quelle prodotte da 200 anni di evoluzione tecnologica.
  8. Esempi concreti di soluzioni socio-politiche-ambientali ci sono state illustrate abbondantemente anche nella relazione di Joan Martinez Alier che ha sollevato la questione dei diritti dei popoli indigeni di fronte alle imprese minerarie multinazionali che devastano il loro territorio e la loro vita.
Insomma in questo incontro si aperta una finestra sul futuro da cui è entrato il sole, l’aria pura la speranza di una vita felice e prospera per tutti, un futuro che non potrà essere come il passato e che se sarà migliore o peggiore dipenderà solo dalle scelte che sapremo fare noi individualmente e che sapremo imporre ad una classe politica ed imprenditoriale vecchia, che pensa solo a conservare i propri privilegi proponendoci cose vecchie del passato come carbone, nucleare, inceneritori, automobili…ecc.
L’utopia che vi propongo è che un po’ alla volta la gente acquisti consapevolezza di tutto ciò, si riappropri del proprio destino sottraendolo alle avide mani di affaristi e squallide cricche, e di quel mondo politico che sguazza in questa palude guidandoci verso un futuro incerto e foriero di catastrofi. Ognuno deve fare la sua parte per costruire un futuro sostenibile.

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19 ottobre 2010

Progetto UE "Intamap": monitoraggio in tempo reale dell'inquinamento

Da Ecologiae.com (via UPLS)
Il programma, open source, sarà consultabile via web attraverso l’Open Geospatial Consortium (OGC).L’Unione europea ha finanziato con 1,8 milioni di euro il progetto Intamap che permette di mappare, in tempo reale, l’inquinamento atmosferico, dell’acqua e del suolo delle nostre città. L’iniziativa, che fa parte dei progetti di ricerca nel settore ambientale dell’Ue, è già attiva in Germania dove è utilizzata per monitorare le zone soggette a radiazioni nucleari di tipo gamma.
Intamap è un software che dà accesso, pubblico, a tutte le informazioni sulla salute dell’aria, dell’acqua e del suolo del pianeta. Sulle mappe dell’inquinamento si possono rintracciare, attraverso delle curve di isolivello, le aree inquinate, capire l’origine e il tipo di inquinamento e la destinazione.
Le mappe dei siti inquinati sono state ideate con un obiettivo specifico e si pongono come strumento indispensabile affinché le autorità sappiano, in tempo reale, quali problematiche ambientali affrontare, a quali emergenze dare priorità di intervento e come tutelare la salute dei cittadini prima che l’inquinamento abbia effetti irreversibili sulle persone. Se prima ad esempio era possibile monitorare le zone costiere colpite da inquinamento da idrocarburi, con il sistema Intamap si possono conoscere l’entità del disastro ambientale, l’origine della contaminazione e si può quindi intervenire in modo più specifico. Il programma di mappatura dell’inquinamento è così dettagliato che è in grado di misurare i livelli di particelle inquinanti atmosferiche anche in zone molto ravvicinate. E’ possibile persino calcolare la propria esposizione agli inquinanti se si rintraccia il proprio percorso per raggiungere il posto di lavoro, ad esempio.
Il progetto di monitoraggio ambientale Intamap vede al lavoro ricercatori e studiosi provenienti dal Belgio, dall’Austria, dalla Germania, dalla Gran Bretagna, dalla Grecia e dall’Olanda. E’ nello stato tedesco che il software è stato implementato, presso il BfS (Das Bundesamt fur Strahnlenschutz). Molto soddisfatto il vicepresidente della Commissione europea, Neelie Kroes, che ha dichiarato

Il progetto INTAMAP è un buon esempio del contributo che la ricerca può apportare al miglioramento della vita quotidiana in Europa. Le mappe in tempo reale dell’inquinamento possono costituire per le autorità pubbliche uno strumento fondamentale per individuare le fonti dell’inquinamento e il modo migliore per risolvere il problema, ma possono anche aiutare i singoli cittadini ad evitare l’inquinamento come lo smog.

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18 ottobre 2010

I punti critici di intervento per un futuro sostenibile secondo Unep

Riportiamo da Greenbiz
L’Unep (l’United nations environment programme) ha recentemente pubblicato un rapporto dal titolo “A brief for policymakers on the green economy and the millennium development goals” in cui vengono descritte le undici aree di intervento che consentono il passaggio ad un’economia verde, auspicato da molti Paesi. Non solo, secondo il rapporto, tale passaggio, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo si tradurrà in una sensibile diminuzione della fame e della povertà. 
Continua qui

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"Post carbon cities": affrontare l'incertezza energetica e climatica

Una lettura istruttiva: "Post Carbon Cities", tradotto in italiano dal team di Indipendenza Energetica cui va il nostro plauso per l'ottimo lavoro. Sul loro sito altre troverete altre pubblicazioni tradotte e liberamente scaricabili.

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17 ottobre 2010

Pasticcio ungherese in salsa d'arsenico


Galleria dell'orrore: clicca qui

Da Greenpeace.it
"Un'intera nazione è sotto lo scacco di una valanga di melma tossica. Oggi abbiamo pubblicato i dati sul livello di velenosità dei fanghi che lunedì scorso si sono riversati nelle strade, nei campi, nei fiumi dell'Ungheria. Un paese tinto di rosso, il colore di un mix micidiale, fatto di arsenico, cromo e mercurio.

Il 4 ottobre nell'impianto di lavorazione dell'alluminio della città di Ajka, nella parte occidentale dell'Ungheria, qualcosa non ha funzionato. Come un fiume in piena, tonnellate e tonnellate di fanghi tossici sono fuoriusciti dalla struttura, inondando presto tutta la zona. Il giorno successivo, nei pressi di Kolontar, abbiamo prelevato dei campioni di acqua e fango, e li abbiamo portati ad analizzare alla Austrian Federal Environment Agency di Vienna e al laboratorio Balint di Budapest.

Oggi i risultati delle analisi non fanno che accrescere l'allarme. La concentrazione di metalli pesanti riscontrata nei campioni prelevati è preoccupante. Basti pensare che il valore dell'arsenico disciolto in acqua (0.25 milligrammi per litro) supera di 25 volte il limite consentito per la potabilità. È appurato che questo metallo danneggi l'uomo, andando a colpire soprattutto il sistema nervoso.

Si stima che 50 tonnellate di arsenico siano state liberate nell'ambiente. Le conseguenze per gli ecosistemi acquatici, le falde e la salute pubblica potrebbero essere devastanti, anche sul lungo periodo. Anche il mercurio, che tende ad accumularsi nei pesci, facilmente può passare all'uomo attraverso la catena alimentare.

Dopo l'incidente avevamo effettuato subito dei rilievi, testando nell'immediato il PH dei fanghi. Anche in quel caso, l'esito dell'esame era stato molto negativo: PH 13, elevatissimo, indice di un alto livello di capacità corrosiva dei fanghi. Per ottenere uno studio più approfondito sarà necessario attendere ancora.

Denunciamo il tentativo di occultamento da parte del Governo ungherese: diamo per scontato che loro sappiano esattamente cosa c'è nel fango. Perché deve essere sempre Greenpeace a pubblicare dati sconcertanti e informare vittime e opinione pubblica sulla realtà dei fatti?

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1 ottobre 2010

McKibben: il riscaldamento globale è reversibile, agire possibile

Da TerraNews.it

"E' uscito il nuovo libro di Bill McKibben. L’abbiamo incontrato per fare il punto della situazione e per raccogliere l’invito per la nuova campagna 10/10/10 concepita dall’organizzazione 350.org.

'Il riscaldamento globale non è più un’ipotesi scientifica ma una consapevolezza globale. Da anni non abitiamo più lo stesso pianeta, non la cara vecchia terra, ma un posto più inospitale, ostile, con un nuovo nome Terraa. E questo neologismo, assonante con un grido dall’allarme, è il titolo del nuovo libro di Bill McKibben, Terraa - Come farcela in un pianeta più ostile, in uscita il 29 settembre per i tipi di Edizioni Ambiente. Attivista e scritttore americano, McKibben è autore di La fine della Natura, uno dei primi testi di denuncia di quel fenomeno che allora si chiamava effetto serra, oggi conosciuto come riscaldamento globale, e uno dei punti di riferimento dell’attivismo ambientale globale.

Vent’anni fa suonava il campanello d’allarme intuendo la catastrofe. Oggi invece, davanti al fatto compiuto e alla dimostrazione scientifica prende atto del mondo “globalmente riscaldato”, come lo chiama lui, e spiega quali procedure d’urgenza adottare per salvarci. «Perché il fenomeno è reversibile se si agisce ora, e agire è possibile», testimonia lo stesso McKibben con la sua campagna 350.org, che lo scorso anno ha mobilizzato milioni di persone in 190 stati in tutto il mondo intorno al numero 350, la soglia massima di parti per milione di CO2 nell’atmosfera per evitare l’innalzamento della temperatura. Terra (il nostro giornale con una A sola) l’ha incontrato per farsi raccontare il suo nuovo libro, i suoi piani di attivista e per discutere del futuro di “Terraa”.

«Ho scritto il primo libro sul cambiamento climatico 20 anni fa. Allora già sapevamo i fondamenti, che i combustibili fossili producono CO2 che a sua volta genera l’effetto serra. Quello che non sapevamo era quanto velocemente questo processo stesse sviluppandosi. Negli ultimi 20 anni i cambiamenti sono avvenuti molto più rapidamente di quanto ci aspettassimo. Terraa è basato dunque sul fatto che siamo già dentro il mondo “globalmente riscaldato”. La prima parte del libro insiste sullo stato attuale, sul fatto che il global warming non è un problema del futuro ma sta succedendo adesso. È una parte molto cupa, che mostra la nostra realtà ambientale. Il resto del libro cerca invece soluzioni alla questione: dato che abbiamo creato questo nuovo mondo, dobbiamo trovare nuove abitudini per viverci e affrontare quanto sta succedendo. Per questo servono sistemi economici più piccoli e decentrati, meno interdipendenti, seguendo la via tracciata da movimenti local come Slow food, per riformare l’agricoltura. E dobbiamo cambiare il nostro sistema per generare energia, passando da enormi centrali elettriche concentrate in alcuni luoghi a sistemi per generare energia localmente, impiegando solare ed eolico».

Può funzionare, o sono azioni destinate solo ad alleggerire la coscienza dei singoli?
Beh questo non servirà interamente a raffreddare il pianeta – seppure spero possa aiutarci – ma quello che importa è la lotta politica per fermare il flusso di CO2 nell’atmosfera, una battaglia che stiamo perdendo in questo momento».

Quindi c’è speranza, come vuole la seconda parte di Terraa?

La buona notizia è che oggi conosciamo molte tecnologie che ci potranno aiutare nella lotta contro i cambiamenti climatici. Io sono appena tornato da un viaggio alla Casa Bianca in cui portavo un pannello solare che era stato posto 31 anni fa sul tetto della residenza presidenziale da Jimmy Carter e che ancora oggi funziona benissimo (per ragioni politiche lo staff di Barack Obama ha rifiutato il dono, temendo l’associazione con Carter, uno dei presidenti più impopolari della storia americana, ndr). Noi però possiamo farne e installarne migliaia di pannelli e in maniera economicamente sostenibile. Lo hanno capito i cinesi che stanno sviluppando al massimo questo tipo di industria. Lo stanno sviluppando in maniera velocissima, installando sistemi per energie rinnovabili più velocemente di qualsiasi altro paese sulla terra.

Cosa si può fare invece nel campo dell’economia politica?
Quello che ci manca è un sistema di prezzi sulle energie rinnovabili che ne incentivi l’uso. Dobbiamo sconfiggere il netto vantaggio del prezzo di carbone e petrolio, nel quale non vengono conteggiati i costi legati alla distruzione del pianeta. Se fossimo capaci di innalzare il prezzo dei combustibili fossili, le nuove tecnologie pulite potrebbero ricevere un grande stimolo.

Non può essere rischioso in un momento di instabilità economica?

Può esserlo, ma nulla è più rischioso di innalzare la temperatura terrestre di vari gradi. La fonte energetica più pericolosa sono le centrali termoelettriche a carbone, e da li a scendere. Le rinnovabili hanno rischi limitati, per i pannelli solari dobbiamo semplicemente avere un piano economico di sviluppo ordinato. Dobbiamo imparare a convivere con queste tecnologie. Per esempio io ho un pannello solare sulla mia casa, e quindi per certe azioni quotidiane, come passare l’aspirapolvere, aspetto che ci siano giornate di sole, in modo da essere sicuro da avere sempre a disposizione l’energia che necessito. Dobbiamo solo prestare un po’ di attenzione al mondo intorno a noi.

Cosa ne pensi dei biocarburanti?
La prima generazione, quelli basati sul mais, è stata una stupidata. Adesso stiamo sviluppando nuovi tipi. Ma la cosa importante per i biocarburanti è chiedersi costantemente: è questo l’impiego migliore che si può fare di questo appezzamento di terra?

La geoingegneria, ovvero le super-opere a grande scala, come gli scudi solari e il controllo meteorologico saranno in futuro una soluzione che molti governi adotteranno per fermare il global warming. Panacea o truffa?
Per molti è una soluzione facile. Ma queste tecnologie non dovrebbero essere la prima scelta, visto che molti dei progetti in questo campo sono a dir poco folli. Come riversare grandi quantità di zolfo nell’atmosfera attraverso vulcani. I modelli informatici mostrano che queste tecnologie potrebbero anche non funzionare. Inoltre gli effetti collaterali potrebbero essere immensi, come ad esempio monsoni in aree che non hanno mai subito questo tipo di fenomeni. Sono progetti così, che potrebbero mettere a rischio milioni di persone. Dobbiamo fermare l’emissione di Co2 nell’atmosfera non aggiungere altri elementi chimici nell’atmosfera.

Quindi la tua prossima mossa da attivista?
Beh tra pochissimo! Si chiama 10/10/10 [10 ottobre 2010], giorno di azione globale dove si svolgeranno migliaia di azioni di volontariato per fermare il riscaldamento globale. Ci sono azioni nuove ogni giorno, ad esempio in Zambia verranno distribuite migliaia di pentole ad energia solare. Ad Auckland, Nuova Zelanda, stanno insegnando a migliaia di persone a diventare ciclisti. In Michigan stano scavando orti urbani di fronte a decine di case abitate da famiglie a basso reddito, in modo da mostrare l’importanza del cibo locale. Il 10 Ottobre non resta che rimboccarsi le maniche!

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22 settembre 2010

10/10/10: festa planetaria per salvare il clima


Fonte: rinnovabili.it

"La data è di quelle che qualcuno potrebbe avere già scelto per convolare a nozze o tentare una scommessa fortunata alla lotteria, come accadde l’8 agosto del 2008. Invece per il 10/10/10 c’è già qualcuno che ha organizzato una vero e proprio “party di lavoro” ma con altissime finalità: salvare il pianeta con azioni concrete. Una data, quella del 10 ottobre di quest’anno, che sarà ricordata in tutto il mondo come la giornata del Global Work Party, il giorno in cui poter lavorare per il pianeta. L’iniziativa di scegliere una giornata in cui gli abitanti di 150 nazioni della terra potranno compiere diverse attività per la salvaguardia del pianeta e per la lotta ai cambiamenti climatici è stata di 350.org, una campagna internazionale messa in piedi dall’ambientalista usa Bill McKibben, che si propone di ridurre la concentrazione di CO2 nell’atmosfera.
Il Global Work Party del mese prossimo ha già ricevuto il sostegno di molti capi di stato, come il presidente delle Maldive Mohamed Nasheed, e soprattutto dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. Anche il Segretario Generale dell’Onu, Ban Ki Moon, infatti ha appoggiato un’iniziativa che, stando a quello che hanno dichiarato gli organizzatori “potrebbe trasformarsi nell’evento più grande della storia in termini di attività “pratiche” che potranno essere messe in campo per contrastare i cambiamenti climatici”.

La campagna di 350.org è stata pensata per raggiungere tutti gli angoli del pianeta e per questo è stata veicolata principalmente sul web come ha sottolineato Jamie Henn, cofondatore di 350.org: “Questa campagna sarebbe impossibile senza internet. Noi usiamo il web per coordinare tutti gli eventi. Attraverso Skype chiamo in Cambogia, con i colleghi in Kenya ci aggiorniamo tramite email e grazie alle foto digitali posso vedere, ad esempio, i risultati di un evento fatto in Brasile”.
Sul sito di 350.org, è possibile registrarsi e consultare la mappa, nazione per nazione, delle attività che verranno svolte il 10/10/10. La macchina organizzativa conta già sull’allestimento di migliaia di feste lavoro nelle 150 nazioni che hanno aderito. Gruppi di studenti in Zimbabwe, ad esempio, installeranno pannelli solari in un ospedale, mentre in Pakistan saranno organizzati seminari sull’energia del sole. Per la giornata del 10 ottobre saranno in prima fila anche piccoli gruppi di giovani come ad esempio in Nepal, e allo stesso tempo anche grandi istituzioni internazionali come Greenpeace. E per chi non dovesse avere idee “abbastanza green” per mettersi a lavoro il prossimo 10 ottobre, gli organizzatori del Global Work Party hanno pensato di mettere a disposizione alcune idee da cui prendere spunto: dall’istallazione di pannelli fotovoltaici alla piantumazione di alberi e piante nel proprio giardino o in quello della propria azienda.

NDR: Per saperne di più sulla base scientifica dell'iniziativa, vedi qui: http://www.350.org/about/science

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17 settembre 2010

CCS, crociata criminale in arrivo. A nostre spese, naturalmente.

AMBIENTE: WEC-AIEE-AIDIC,IL 25 CONVEGNO SU CATTURA/STOCCAGGIO CO2

L'attuale modello di sviluppo ci sta mettendo in guai seri, ma il potere che lo controlla non vuol demordere, e prepara colpi di coda dal potenziale devastante.

I costi di questo modello sono troppo alti, l'unico modo per invertire la deriva autodistruttiva in cui ci siamo cacciati è CAMBIARE RADICALMENTE il modello. Le CCS sono una (costosissima) trovata per lasciare tutto invariato e continuare a inquinare come e peggio di come s'è fatto finora, a sprecare quanto e peggio s'è già fatto.

I giganti dei business inquinanti vogliono restare aggrappati ai loro affari. Per farlo, nell'atmosfera di emergenza ecologica che si respira ovunque, c'è bisogno di ridurre la (mai sufficiente) diffidenza del pubblico, e su questo piano le CCS sembrano promettenti: infiliamo la Co2 sotto il tappeto.

Per proporle però sarà necessario sviare l'attenzione dai rischi che comportano. Come? Mediante ben affilate menzogne, martellare l'opinione pubblica con seducenti facili slogan corruttori. Arriveranno volti nuovi di salvatori del pianeta a spazzar via la nera polvere sotto il tappeto degli oceani, sotto la crosta terrestre, con la benedizione dei vecchi ora redenti. Parleranno su ogni media gli ex ambientalisti alla Chicco Testa, saranno assoldati più che ingegneri, gli esperti di comunicazione a scriverne i canovacci.

Resta fortunatamente un problema di proporzioni enormi a ostacolare questa soluzione: i costi economici delle CCS. Sono talmente grandi che, se riusciremo a evitare un ipotetica tassa mascherata europea ad esse dedicata, probabilmente non si faranno mai.

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12 settembre 2010

Nuovi studi sul riscaldamento globale: per evitare il peggio, stop subito a ogni nuova fonte di inquinamento

Da greenreport.it

"Science pubblica uno studio di un gruppo di ricercatori della New York University guidato da Martin Hoffer, secondo il quale per tagliare davvero i gas serra «Occorre uno sforzo economico per finanziare la ricerca di base sulle energie rinnovabili, tagliando al contempo i sussidi allo sfruttamento dei combustibili fossili. Le attuali tecnologie energetiche non sono sufficienti ad abbassare il rischio associato al cambiamento climatico». Gli scienziati dicono che per evitare i rischi del cambiamento climatico, occorrono ancora ulteriori progressi per limitare l'incremento di temperatura a circa 2°C oltre i livelli preindustriali.

Secondo le stime dell'Ipcc per tenere l'aumento della temperatura globale entro i 2 gradi bisognerebbe limitare la CO2 in atmosfera a meno di 450 parti per milione, quindi con una forte riduzione dei gas serra prodotti dai combustibili fossili. Attualmente siamo a circa 385 ppm, 100 ppm oltre il livello pre-industriale, ma i livelli sono in incremento.

In un altro studio pubblicato da Science Steven Davis, dell'università di Stanford, calcola cosa succederebbe se dovessimo utilizzare solo i combustibili inquinanti già esistenti e mantenere l'aumento della temperatura media a 1,3 gradi: «Per riuscirci senza intaccare la produttività bisognerebbe avere a disposizione fonti rinnovabili che producano almeno 30 Terawatt di energia entro metà secolo».

«Finora, gli sforzi per tagliare le emissioni non hanno funzionato - dice Hoffert, professore emerito del dipartimento di fisica della Nyu - Le emissioni stanno crescendo con una velocità maggiore che in qualunque altro periodo storico, e i programmi per invertire la tendenza sviluppando fonti energetiche che non producano CO2 stanno procedendo a rilento, nel migliore dei casi». Secondo lo scienziato sono due i principali "intoppi" per i quali le tecnologie energetiche esistenti non sarebbero sufficienti per ridurre le emissioni al livello indicato dall'Ipcc. Il solare e l'eolico, nonostante la loro grande crescita «non hanno dimostrato finora la capacità di penetrazione massiccia nel mercato, soprattutto per la necessità di impianti in grado di immagazzinare l'energia prodotta in modo intermittente da queste due fonti energetiche».

Il secondo ed eterno problema riguarda i combustibili fossili il cui utilizzo cresce invece di diminuire: «Quando il gas naturale e il petrolio si avvicinano alla produzione di picco, la produzione di carbone aumenta, e in Cina, India e Stati Uniti vengono costruiti nuovi impianti. Solo massicci investimenti consentirebbero di sviluppare la ricerca di base al punto da arrivare presto a prodotti adatti a essere commercializzati. E soprattutto occorrerebbe ridurre drasticamente i sussidi ai combustibili fossili che, secondo le stime, ammontano a circa 12 volte quelli elargiti alle energie rinnovabili».

Una conferma che gli sforzi attuali non bastano arriva dalla Thailandia: il direttore del Southeast Asia Start regional research centre, Arnon Sanidwong na Ayudhaya, ha spiegato al giornale The Nation che «Nei prossimi 35 anni, la temperatura in Thailandia umenterà di 4 gradi Celsius, il che porterà le province orientali ad essere sempre sommersi da 300 millimetri di pioggia ogni anno».

L'analisi dello Start sui basa su otto modelli climatici per i prossimi 35 - 55 anni e che dividono la Thailandia otto zone geologiche e geografiche e analizzano fattori come temperature, precipitazioni e variazioni del livello del mare: «Nei prossimi 35 anni le temperature medie del paese aumenterebbero di 3 - 4 gradi, in particolare nelle zone di montagna del Nord. Le temperature aumenterebbero nella stagione delle piogge e nei mesi invernali, restringendo così ulteriormente la differenza tra estate e inverno».

Ma ci sono problemi anche per le città e soprattutto per la metropoli Bangkonk perché il cambiamento climatico funziona anche come un fattore di incremento delle isole urbane di calore.

Secondo Arnon Sanidwong na Ayudhaya «L'aumento della temperature inciderebbe sui sistemi metabolici delle persone e causerebbe morti. I modelli hanno inoltre dimostrato che il livello del mare aumenterebbe di 14-15 centimetri, interessando le zone costiere, da Bangkok a Rayong e Phetchaburi, fino a Narathiwat».

I livelli delle precipitazioni potrebbero essere diversi nelle varie zone della Thailandia: nel nord-est e nell'ovest ci sarebbero 70 -100 mm di pioggia, mentre ad est si raggiungerebbero i 300 millimetri, con gravi inondazioni. Secondo Arnon «Entro il 2100, il numero di gravi inondazioni aumenterà e si verificheranno 3 - 6 volte ogni 100 anni rispetto alla frequenza precedente che era di un'alluvione simile ogni secolo. Dato che la Thailandia è sensibile alle inondazioni e alle frane, gli insediamenti sulle rive e nelle zone costiere dovrebbe essere rivisti, perché queste aree in futuro saranno esposte ad un grave rischio di inondazioni. Se non si fa nulla per evitare questo, il Paese subirà perdite economiche e sociali. Dato che molti governi stanno cercando l'aiuto di esperti ambientali, il rapporto di quest'anno dell'Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc) è in linea con questi fatti».

Chaowalit Silpathong, direttore della Geo-Informatics and space technology development agency ha confermato che la Thailandia «sarebbe colpita dal riscaldamento globale sotto forma di inondazioni». Le foto satellitari scattate dal 2005 ad oggi «Dimostrano che le inondazioni sono più frequenti e di solito nelle stesse aree. In Thailandia livello del mare è aumentato di 2,8 - 4,3 centimetri, un livello molto più elevato del tasso medio mondiale di 1,8».

Il cambiamento climatico in Thailandia non è solo una remota previsione: accade sotto li occhi disperati della gente. L'8 settembre le case e le scuole lungo il fiume Chao p'ya nel distetto di Pathum Thani Sam sono state messe in salvo con una diga di sacchi di sabbia a causa di una piena eccezionale, intanto più a valle 60 case di Tambon Phong Pheng, nel distretto di Pa Moke Angthong, sono state inondate,: I sacchi di sabbia sono ormai diventati parte dell'arredo delle povere case dei Thailandesi che vivono lungo il fiume.

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9 settembre 2010

Un Clean Air Act per fronteggiare il mutamento climatico

Da Repubblica.it "Global warming: nell'inquinamento la chiave del maltempo?, 15:25"

Calore intenso e inverni sempre più rigidi si stanno alternando negli ultimi anni, insieme ad eventi meteo di particolare intensità. Secondo l’indagine condotta negli Stati Uniti Global Warming and Extreme Weather: The Science, the Forecast, and the Impacts on America anche stavolta la responsabilità maggiore viene attribuita al cambiamento climatico che starebbe causando l’aumento e l’intensificazione di fenomeni meteorologici che prima erano più rari e meno distruttivi. Il futuro degli Stati Uniti, ma in generale quello del Pianeta, potrebbe quindi essere costellato di uragani, periodi di siccità e inondazioni “Dato che il riscaldamento globale non viene adeguatamente controllato alimenterà il maltempo, abbiamo bisogno dare un taglio all’inquinamento e al global warming da ora” ha riferito Nathan Willcox, Direttore del programma federale per il Global Warming di Environment America.

Oltre a riassumere gli eventi meteo che hanno portato maggiori danni al paese, il rapporto suggerisce norme più severe per la riduzione delle emissioni dannose che, aumentando l'effetto serra, sono la maggiore causa dell'innalzamento della temperatura globale. All'interno del documento sono chiari gli inviti ai senatori ad impegnarsi nel monitorare con precisione i soggetti inquinanti respingendo qualsiasi proposta di legge che vada ad interferire con quanto contenuto nel Clean Air Act, nato per far sì che la pulizia dell’aria dai gas nocivi e dalle polveri sottili non subisca rallentamenti e continui la propria lotta contro le centrali elettriche a carbone, una delle principali fonti di inquinamento presenti sul Pianeta e causa del riscaldamento globale.
“Enormi quantità di inquinamento nella nostra aria e nelle acque stanno alterando i modelli meteorologici in modalità che minacciano la nostra economia, il nostro ambiente e la nostra sicurezza” ha commentato detto il Senatore Benjamin L. Cardin sottolineando la necessità di difendere il Clean Air Act per diminuire il più possibile l’inquinamento e la possibilità che gli eventi meteo divengano sempre più distruttivi.

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18 agosto 2010

Riduzione dei consumi o catastrofi ambientali: a noi scegliere il migliore investimento

Un articolo di Giorgio Nebbia da La Gazzetta del Mezzogiorno
Gli eventi di quest’estate confermano l’esistenza di mutamenti climatici dovuti al riscaldamento planetario. Devastanti alluvioni nell’Europa centrale; più a Oriente, una eccezionale siccità ha provocato incendi di boschi e di giacimenti di torba in Russia; ancora più a Oriente, alluvioni nell’Asia meridionale e in Cina.
Piogge intense, alluvioni e siccità si sono già verificati nei decenni e secoli passati, ma mai su una scala così vasta e con così grande frequenza, proprio come le previsioni avevano indicato. Il fenomeno del riscaldamento globale si può schematizzare come dovuto all’aumento della concentrazione dell’anidride carbonica nell’atmosfera; di conseguenza aumenta la frazione del calore solare che resta “intrappolata” dentro l’atmosfera, ciò che fa aumentare la temperatura media della superficie terrestre nel suo complesso.
Ne derivano cambiamenti nella circolazione delle acque oceaniche e nell’intensità e localizzazione delle piogge sui continenti. Bastano relativamente piccole variazioni per far aumentare le piogge in alcune zone della Terra o per rendere aride altre zone. Pochi numeri aiutano a comprendere tali fenomeni; per tutto l’Ottocento e per la prima parte del Novecento l’atmosfera conteneva circa 2200 miliardi di tonnellate di anidride carbonica, corrispondenti ad una concentrazione di circa 280 ppm (parti in volume di anidride carbonica per milione di parti dei gas totali dell’atmosfera).
In quei decenni l’industrializzazione era già cominciata in Europa e nel Nord America con crescente combustione di carbone e di legna e con la diffusione di numerose fabbriche; queste attività immettevano nell’atmosfera anidride carbonica che però veniva assorbita, più o meno nella stessa quantità generata ogni anno dalle attività umane, da parte della vegetazione, soprattutto delle grandi foreste, e da parte degli oceani nelle cui acque l’anidride carbonica è ben solubile.
Foreste e oceani erano capaci di depurare l’atmosfera dai gas immessi dalle attività umane. La svolta si è avuta a partire dalla metà del Novecentoi: è aumentata la quantità dell’anidride carbonica immessa ogni anno nell’atmosfera in seguito alla combustione di crescenti quantità di carbone, petrolio e gas naturale e alla crescente produzione di cemento, che pure libera anidride carbonica dalla scomposizione delle pietre calcari, e, nello stesso tempo, è diminuita la superficie e la massa delle foreste e del verde, tagliati e bruciati, anche con incendi intenzionali, per recuperare spazio per pascoli e coltivazioni intensive, per ricavarne legname da costruzione e da carta, per nuovi spazi da edificare.
Mentre è relativamente costante la capacità degli oceani di “togliere” anidride carbonica dall’atmosfera (circa cinque miliardi di tonnellate all’anno), è andata aumentando (da 20 a 40 miliardi di tonnellate all’anno, dal 1950 al 2010), la quantità di anidride carbonica immessa nell’atmosfera dai combustibili fossili e dalle attività “economiche” di una popolazione in aumento e da un crescente livello di consumi, ed è diminuita, da circa otto a cinque miliardi di tonnellate all’anno, la quantità dell’anidride carbonica che la biomassa vegetale è stata capace di portare via dall’atmosfera.
Questo insieme di fenomeni ha fatto aumentare, in mezzo secolo, la quantità dell’anidride carbonica presente nell’atmosfera (da circa 2400 a 3000 miliardi di tonnellate) e la sua concentrazione da circa 320 a 390 ppm. Le conferenze internazionali che si succedono ogni anno (la prossima in dicembre a Cancun, nel Messico) danno per scontato che tale concentrazione possa arrivare a 450 ppm nei prossimi decenni e poi aumentare ancora: un aumento di concentrazione, e di temperatura globale, insostenibile. Uno dei movimenti ambientalisti che si sta diffondendo dagli Stati Uniti (il paese più ricco ma anche più attento alla fragilità della propria opulenza) indica in 350 ppm il livello di anidride carbonica a cui si deve tendere per attenuare le conseguenze catastrofiche dei mutamenti climatici.
Per raggiungere tale obiettivo la quantità di anidride carbonica totale nell’atmosfera dovrebbe diminuire da 3000 a 2600 miliardi di tonnellate. Un obiettivo che richiederebbero almeno un secolo, durante il quale dovrebbe gradualmente diminuire il consumo di combustibili fossili e di energia; dovrebbe rallentare la distruzione dei boschi esistenti fermando incendi e diminuendo l’estrazione di legname commerciale e le superfici coltivate e dei pascoli e allevamenti da carne e rallentando le attività minerarie che oggi si estendono in terre finora occupate dalle foreste e dovrebbe aumentare la biomassa vegetale, piantando alberi e verde in qualsiasi ritaglio utile della superficie terrestre.
Conosco bene le obiezioni; si avrebbe un rallentamento dei consumi e quindi “della civiltà”. Ma anche se continua il riscaldamento globale si va incontro a un rallentamento dell’economia e “della civiltà”, lento, quasi inavvertibile fino a quando le conseguenze non assumono carattere catastrofico come quest’estate. I danni dei mutamenti climatici, infatti, comportano, anche se non ce ne accorgiamo, distruzione di ricchezza monetaria; ne sono colpiti paesi ricchi (pensiamo alla Russia e alla Germania oggi) e paesi poveri e poverissimi come, oggi, il Pakistan e certe zone della Cina. Pensiamo invece alla ricchezza monetaria che sarebbe messa in moto dalla diffusione di processi produttivi che consumano meno energia, meno materiali, che usano meno legname, dai prodotti ottenibili dalle nuove foreste, e ai vantaggi che ne verrebbero sia ai paesi ricchi, sia, ancora di più, a quelli poveri. Probabilmente la ricchezza complessiva aumenterebbe perché tanti paesi sarebbero alluvionati di meno e meno esposti alla siccità, e aumenterebbe la vegetazione dei continenti; forse la ricchezza sarebbe distribuita diversamente fra i vari paesi.

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7 agosto 2010

Organismi Geneticamente Modificati per essere infestanti

La colza Ogm resistente ai diserbanti è evasa dai campi americani. Si è diffusa spontaneamente e la si trova comunemente a bordo strada. E due diverse varietà Ogm si sono incrociate fra loro: alla faccia di chi dice che le piante geneticamente modificate non sono in grado di riprodursi ed attecchire.

Non solo contaminazione degli ecosistemi , ma anche un gran brutto problema pratico per gli agricoltori. A questa colza il diserbo chimico non fa neanche il solletico: se si insedia in un campo sono guai seri.

Varietà create e commercializzate per moltiplicare la resa e il guadagno diventano l’esatto opposto: formidabili infestanti. La storia è su Nature e negli atti del convegno dell’Ecological Society of America conclusosi ieri. Circa il 90% della colza coltivata negli Stati Uniti è Ogm. A differenza di colture come il mais, troppo “addomesticato” per crescere e moltiplicarsi senza le cure prestate dell’uomo, la colza sa cavarsela benissimo da sola. I suoi fiori gialli si vedono anche qui in Italia negli incolti e lungo le strade.

Nei mesi scorsi, ricercatori dell’Università dell’Arkansas hanno viaggiato per 5400 chilometri sulle strade del Nord Dakota. Ogni 8 chilometri hanno prelevato un campione da una delle piante di colza presenti a bordo strada.

L’86% dei campioni è risultato Ogm: un risultato senza precedenti. Possedeva il gene inserito artificialmente dall’uomo che conferisce resistenza al diserbante a base di glifosate (detto anche glifosato). Oppure il gene, anch’esso artificialmente inserito, che dà resistenza ai diserbanti a base di glufosinate.

La Monsanto – la multinazionale biotech – sottolinea che, proprio perchè le piante Ogm sono state trovate lungo le strade, esse possono essere semplicemente nate da semi caduti accidentalmente dagli autocarri.

Tuttavia i ricercatori hanno trovato due piante possedevano entrambi i geni che conferiscono la resistenza agli erbicidi. Sono dunque frutto dell’incrocio fra una varietà resistente al glifosate e una resistente al glufosinate, e non nate da un seme caduto lì per caso.

I ricercatori notano che la colza è in grado di ibridarsi spontaneamente con 10 varietà spontanee o naturalizzate negli Stati Uniti. E di trasmettere loro la resistenza ai diserbanti.

I contadini americani già non riescono a sbarazzarsi delle comuni erbacce che hanno sviluppato resistenza ai diserbanti e che prosperano sui campi in cui crescono varietà Ogm di soia, cotone e mais resistenti al diserbo.

Prima o poi, presumibilmente, dovranno vedersela anche con la colza infestante Ogm. Un bel risultato per la tecno-agricoltura.

Su Nature la colza Ogm è evasa dai campi

Dagli atti del convegno dell’Ecological Society of America diffusione della colza Ogm al di fuori dei campi

Via Oca Sapiens e Green Blog

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Suini radioattivi e rapporti segreti

Due news sul nucleare che forse non hanno ricevuto l'attenzione che meritano

I cinghiali radioattivi e lo zoo nucleare
"Sta facendo molto discutere l'articolo di Der Spiegel sui cinghiali radioattivi che, un quarto di secolo dopo la tragedia nucleare di Chernobil, scorrazzano e si moltiplicano in Germania. Dal 2007 al 2009 sono quadruplicati fino a 425,000 euro gli indennizzi ai cacciatori per i cinghiali atomici con tassi di cesio nella carne che li rendono non solo immangiabili e invendibili, ma anche un rifiuto pericoloso da smaltire. Intanto la Germania..." Continua qui

Rapporto Roussely: la relazione top secret che boccia il nucleare francese
"Che periodaccio per il nucleare francese… Dopo le critiche provenienti dall’istituzionalissimo Le Figaro ai ritardi, e alla abnorme crescita dei costi, del cantiere della centrale di Flamanville ora i problemi vengono dal cosiddetto “rapporto Roussely”.

Si tratta di un rapporto, commissionato dal presidente francese Sarkozy all’ex numero uno di Edf, Francois Roussely, sulla filiera nucleare d’oltralpe. I risultati, consegnati l’undici maggio scorso e subito secretati dallo stato, dipingono una Francia nucleare tutt’altro che in salute..." Continua qui

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2 agosto 2010

Inquinamento dell'aria e riscaldamento globale: nuovo studio

Nell’ambito dei mutamenti climatici la fuliggine ha un ruolo non trascurabile nel contribuire al riscaldamento globale. È questa la conclusione alla quale si è arrivati in seguito ad uno studio condotto presso l’Università di Stanford, il quale ha messo in evidenza quanto possa essere dannosa per l’ambiente la fuliggine prodotta dalla combustione dei carburanti fossili e dai biocombustibili solidi. Diesel, carbone, benzina, legno e letame e biomasse utilizzate per il riscaldamento domestico sono fonti che incidono a livello climatico. E non è una questione da sottovalutare.
Gli esperti infatti hanno avuto modo di appurare che la fuliggine derivata da queste fonti di combustione contribuisce in modo determinante all’effetto serra. Si può anzi affermare che essa può essere considerata la seconda causa del riscaldamento globale dopo le emissioni di anidride carbonica. Le emissioni di fuliggine, oltre a contribuire in maniera sostanziosa all’inquinamento atmosferico, fanno male alla salute.

Esse sono infatti responsabili di diversi disturbi cardiovascolari e respiratori. L’unico aspetto positivo in tutta questa faccenda è costituito dal fatto che le particelle di fuliggine si soffermano per poco tempo nell’atmosfera. Questo potrebbe consentire di fare in modo che si rallenti il riscaldamento globale, riducendo la produzione delle particelle stesse.
 
Si tratta di trovare e di mettere in atto strategie alternative, che possano fare in modo che si giunga alla realizzazione di un impatto zero che possa definirsi veramente tale. Provvedere in modo responsabile alla salvaguardia dell’ambiente è un’esigenza che non può essere trascurata.

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24 giugno 2010

BP valuterà l'ipotesi bancarotta (con tanti saluti a casa)

Da Grist apprendiamo che secondo le stime di alcuni esperti di alta fianza, BP potrebbe verificare l'ipotesi bancarotta.

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11 giugno 2010

Negli USA le colture transgeniche falliscono, mentre l'EU tenta di approvarli

"COMUNICATO EQUIVITA 10/06/10 - 'GLI APPRENDISTI STREGONI NUOVAMENTE ALL’OPERA'
Mentre l’Unione Europea si appresta, a breve, a soddisfare le multinazionali biotech allentando i freni sulle procedure di approvazione degli OGM in Europa;
mentre i cittadini europei dovranno accettare un vistoso passo indietro su quelle posizioni - veramente minimali - di buonsenso, di previdenza nei confronti dell’ambiente e della salute e di tutela dei diritti, che 15 anni di lavoro indefesso delle ONG hanno ottenuto;
mentre a Bruxelles la Commissione sta definendo la proposta che verrà fatta agli Stati Membri riguardante la facoltà che essi singolarmente avranno di decidere se autorizzare o no gli Ogm, pur sapendo molto bene che l’impossibilità di coesistenza e la strategia del “fatto compiuto” (già oggi spesso attuata) finiranno col far vincere il transgenico (basti citare il recente incidente del mais NK603, non autorizzato e seminato in Germania su 3.000 ettari);

si alza ancora una volta il sipario, dall’altra parte dell’oceano, sugli effetti da tanto tempo preannunciati e osservati, ma oggi resi clamorosi, dell’introduzione delle colture transgeniche nell’ambiente. Negli USA, infatti, 5.000 ettari di terreno sono stati abbandonati e altri 50.000 messi in crisi, per la resistenza al glifosate (Roundup) sviluppatasi in tutte le varietà di erbacce più infestanti.

SI ASSISTE oggi dunque AL FALLIMENTO DEI TRANSGENICI: non lo dice un giornale di agricoltura, bensì il Wall Street Journal del 4.06.10

Sin dalla prima pianta transgenica commercializzata (la soia Roundup Ready, ovvero resistente al glifosate Roundup, brevettata dalla Monsanto, che vendeva il “pacchetto” Soia RR + Roundup), gli scienziati indipendenti di tutto il mondo hanno messo in guardia le aziende dal fenomeno della resistenza, che dalla soia poteva essere trasmesso ad altre piante dell’ambiente come pure essere causato da un uso ripetuto e costante dello stesso diserbante. Esso si è ben presto evidenziato e oggi ha raggiunto livelli di tragedia.

Una tragedia che nelle aziende biotech viene vissuta, secondo il Wall Street Journal, come un’opportunità straordinaria: si potranno creare nuovi Ogm, resistenti a qualche altro erbicida, da introdurre sul mercato. Si lavora dunque per sostituire soia e mais RR con atri tipi di piante resistenti ad altri erbicidi, ormai caduti in disuso, che potrebbero essere fonte di guadagni paragonabili a quelli ottenuti dalla Monsanto con il Roundup. Poco importa se ogni altro pesticida è ancor più tossico del Roundup!

Invece di riconoscere l’errore dovuto all’introduzione nell’ambiente di organismi geneticamente modificati, che sconvolgono gli equilibri di una selezione naturale operata nei millenni, invece di rispettare gli appelli che migliaia di scienziati hanno lanciato negli ultimi 15 anni per proteggere il patrimonio genetico del pianeta e la nostra stessa specie, gli scienziati pro-biotech continuano a spostare sempre più avanti la scadenza di un’ipoteca che non sono in grado di pagare …

Si legge, infatti, sul Wall Street Journal: Dow Chemical Co, Dupont Co, Bayer AG, BASF SE e Syngenta AG stanno insieme spendendo milioni di dollari per sviluppare soia, mais e cotone capaci di sopravvivere ad irrorazioni dei loro erbicidi vecchi di qualche decennio e rimossi dal mercato per colpa del Roundup. I costi saranno reintegrati con la riscossione annuale dei brevetti ... “Sarà un’opportunità molto importante per le società chimiche”, dice John Jachetta, scienziato della Dow AgroSciences e presidente
della Weed Science Society of America.

Noi ci limitiamo a chiedere al Presidente della Commissione Europea Barroso e al Commissario alla Salute Dally di esaminare attentamente le loro posizioni. Essi sono ancora in tempo per salvarsi dagli effetti dirompenti di una decisione sbagliata …

Comitato Scientifico EQUIVITA
Tel. + 39. 06.3220720, + 39. 335.8444949
E-mail: equivita@equivita.it
Sito internet: www.equivita.org

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27 maggio 2010

Marea nera nel Golfo del Messico: per capire come agisce una multinazionale (profitto come unico obiettivo)





Il Governo Obama continua a lasciare che la compagnia petrolifera BP si occupi della risoluzione del disastro ambientale provocato dalla tristemente celebre falla della piattaforma Deepwater Horizon nel Golfo del Messico. Eppure si tratta del più grave disastro ambientale nella storia americana, e il comportamento di BP finora è stato vergognoso. Per capire meglio:

"Feroci polemiche da tutto il mondo della scienza contro il tentativo dei petrolieri di occultare le vere dimensioni della chiazza. Fino all'ultimo scandalo, la scoperta agghiacciante fatta dall'Environmental Protection Agency (Epa): i 650.000 galloni di detergente liquido sparsi in mare dalla Bp per dissolvere la chiazza sono "un prodotto inquinante, pericoloso, altamente tossico". Scatta il divieto immediato di utilizzarlo. Intanto si è scoperto che la vera funzione di quel detergente non era di eliminare il greggio, bensì ridurlo in particelle così piccole da impedire la rilevazione delle vere dimensioni della marea nera. Perché da quella misura può dipendere il conto finale che i tribunali imporranno alla Bp. Sono in gioco miliardi, l'unica cosa che sembra contare per il business del Big Oil."
Fonte

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26 maggio 2010

2035: boom dei gas serra

Fonte: Reuters
Le emissioni globali dalla combustione di carbone, petrolio e gas naturali dovrebbero aumentare del 43% entro il 2035, ostacolando gli accordi internazionali per la riduzione dei gas serra, ha detto oggi la Energy Information Administration (Eia) americana.

Secondo l'agenzia americana, le emissioni globali di anidride carbonica da combustibili fossili dovrebbero aumentare da 29,7 miliardi di tonnellate nel 2007 a 42,4 miliardi di tonnellate nel 2035.

L'aumento delle emissioni si realizzerà per lo più nei paesi ad alto tasso di crescita come Cina e India, dove la domanda di elettricità dovrebbe aumentare.

In assenza di politiche nazionali sulle emissioni e di accordi internazionali vincolanti per contrastare il cambiamento climatico, il consumo globale di carbone dovrebbe aumentare secondo la Eia del 56%, raggiungendo 206 quadrillioni di Btu nel 2035.

Le nazioni industrializzate e i paesi in via di sviluppo hanno avuto problemi a raggiungere un accordo che possa tagliare le emissioni di gas serra e limitare il riscaldamento globale, la siccità, le ondate di caldo e le alluvioni.

La proposta di legge americana sul clima, ancora in stallo, potrebbe contribuire a trovare un punto d'accordo all'interno della comunità internazionale se dovesse passare nonostante l'opposizione dei produttori di carbone e di petrolio. Gli Usa emettono una quantità di gas serra seconda soltanto a quella della Cina.

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20 maggio 2010

"Clima. Allarme esperti Usa: scoraggiare l'uso di petrolio e carbone"

Fonte: LaStampa.it
"L'Autorevole Accademia nazionale delle Scienze chiede di agire

Washington, 19 mag. (Ap-Nuova Energia) - Per l'Accademia nazionale delle scienze, il massimo organismo scientifico degli Stati uniti, il cambiamento climatico è un problema talmente urgente che occorre rendere più costoso l'utilizzo di petrolio e carbone. L'accademia, consulente del governo, prende un'iniziativa inusuale, suggerendo misure specifiche per fermare il riscaldamento globale. Di solito l'organismo si esprime su questioni scientifiche senza indicare alla politica le scelte da compiere. Secondo il panel di scienziati gli Usa devono ridurre le emissioni di gas serra tra il 57 e 83 per cento entro il 2050, percentuali già indicate dal presidente Barack Obama. Per farlo, secondo gli scienziati, occorre introdurre una carbon tax oppure un meccanismo di cap and trade per limitare il biossido di carbonio. Copyright APCOM (c) 2008"

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