No al carbone Alto Lazio

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21 luglio 2011

Manifestazione nei Grigioni (Svizzera), dalla Calabria una delegazione per il NO al carbone

Comunicato stampa No al carbone Saline Ioniche (RC)

"Sabato 27 agosto a Coira, nel cantone dei Grigioni (Svizzera), si svolgerà una manifestazione contro il progetto della centrale a carbone di Saline Joniche. A promuovere l’iniziativa è l’associazione Zukunft Statt Kohle (Futuro invece di carbone) con l’obiettivo di sensibilizzare la popolazione locale tentando di bloccare gli investimenti di Repower (socio di maggioranza del progetto SEI).

L’associazione svizzera, insieme ad altri 14 soggetti, tra partiti ed associazioni, ha già promosso altre iniziative popolari per far conoscere i progetti carboniferi di Repower, di cui il Cantone dei Grigioni possiede il 46% delle azioni.

L’evento si svolgerà a pochi giorni dal dibattito sull’energia del Gran Consiglio Retico previsto per il 30 e 31 agosto.

Il tema della manifestazione, autorizzata e pacifica, sarà “Nessun danno al clima dai Grigioni: centrali a carbone Repower ADDIO” e servirà ad opporsi alla costruzione dei due impianti progettati dalla multinazionale svizzera sui territori di Saline e Brunsbüttel in Germania. Sarà dato maggiore risalto al problema di Saline, meno conosciuto rispetto a quello tedesco.

La manifestazione si aprirà con un corteo che, partendo dalla Piazza della Stazione di Coira, si dirigerà verso la Kornplatz. Qui si terrà un comizio al quale parteciperanno i rappresentanti dei vari movimenti e associazioni. Un modello di una centrale a carbone rotto e un simbolo per un futuro con energie rinnovabili verranno deposti davanti alla sede del Parlamento. A seguire, festa di chiusura italiana sulla Quaderwiese.

La popolazione grigionese non vuole essere responsabile dei danni al clima e all’ambiente che sarebbero provocati dalla costruzione di una centrale a carbone. La manifestazione, quindi, è un valido aiuto alla battaglia del Coordinamento delle associazioni dell’area grecanica e di tutti i movimenti che si battono per la difesa della salute e del territorio. La lotta coinvolge tutti coloro che vogliono un futuro diverso dal carbone, basato invece sulle energie rinnovabili, sulla salvaguardia dell’ambiente, delle attività di pesca e agricoltura già esistenti.

Non si possono ignorare la vocazione turistica dell’intero territorio, le potenzialità offerte dall’area grecanica, le numerose possibilità di sviluppo legate al turismo responsabile che si sta tentando di avviare nei borghi antichi, grazie anche al sistema dell’ospitalità diffusa.

Fondamentale una importante adesione alla manifestazione di Coira. Le associazioni grigionesi possono solo dare un aiuto, ma non possono sostituirsi alle associazioni e ai cittadini di Saline e dei comuni limitrofi, perché saranno queste ultime a subire gli effetti diretti della presenza di una centrale al carbone sul proprio territorio.

Per questi motivi, il Coordinamento delle Associazioni dell’Area Grecanica vuole promuovere la più ampia partecipazione possibile. Si invitano pertanto i singoli cittadini, le associazioni, i movimenti, sia locali che nazionali, i gruppi musicali a partecipare all’iniziativa. Tutti coloro che volessero aderire alla manifestazione o chiedere informazioni, possono inviare una mail all’indirizzo info@nocarbonesaline.it Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo.

Coloro che non potranno essere presenti in Svizzera il 27 agosto, potranno comunque dare il loro contributo economico a partire da venerdì 23 luglio, recandosi alla “Casa del Geosito” al borgo di Pentedattilo.

Per rimanere aggiornati è possibile inoltre visitare il sito web del Coordinamento al seguente indirizzo www.nocarbonesaline.it

Coordinamento Associazioni Area Grecanica

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4 luglio 2011

Inquinamento, riscaldamento climatico e masse di profughi

"Arrivano gli sfollati climatici: abitanti delle isole , che a causa del surriscaldamento della terra, annegano nell’oceano", da Paperblog

Arrivano gli sfollati climatici. Sono per ora quelli di Lohacara nel Golfo del Bengala, di Newtok in Alaska o di Carteret in Papua Nuova Guinea, costretti ad arrendersi davanti a un oceano che sale senza tregua, inquinando acqua da bere e campi da coltivare , fino a sommergere tutto. Case, scuole, chiese.
Sono un piccolo esercito, ma il numero è destinato ad aumentare. In Bangladesh potrebbero superare i 20 milioni se il 18% della zona costiera finirà sott’acqua , come prevedono i climatologi. Destino più amaro per le isole, che non avranno più nessuna terra da chiamare patria. “Se non verranno prese misure adeguate , entro qualche decennio varie Isole-Stato dell’Oceano Pacifico finiranno sotto il livello del mare”Avverte Michael Gerrard , direttore del Center for Climate Change Law della Columbia University.

A New York un mese fa circa si sono riuniti 250 scienziati ed esperti legali per cercare risposte a delle domande rivolte dagli abitanti delle Isole Marshall, adagiate a pelo d’acqua tra Australia e Hawaii. La paura è tanta. Il diritto internazionale non dà risposte. E anche a New York gli esperti so sino divisi su possibili soluzioni.

L’unico dato unanime è “L’innalzamento del livello del mare , dovuto all’espansione delle acque surriscaldate e allo scioglimento dei ghiacci polari e continentali . è cresciuto in modo costante dal 1990 a oggi : attualmente , secondo misurazioni satellitari , è di circa 3 mm all’anno” ha ricordato Mary Elena-Carr , direttore associato del Columbia Climate Center “Un fenomeno non uniforme in tutto il pianeta : in alcune regioni , come l’area occidentale del Pacifico o quella sudorientale dell’Oceano Indiano , l’innalzamento è tre volte superiore alla media , principalmente a causa della maggiore espansione termica e dei venti. Considerando anche il probabile parziale scioglimento dei ghiacci in Groenlandia e nell’Antartico Occidentale , da qui al 2100 il livello del mare potrebbe salire dai 75 ai 190 cm”. E nei secoli anche svariati metri.

Un incubo che accumuna gli arcipelaghi meravigliosi dell’Oceania e i paradisi a cinque stelle della Maldive , lo stato più basso al mondo : 1220 isole e atolli , l’80% a meno di un metro sopra il mare , dove tre anni fa fu creato un fondo per l’acquisto di una nuova patria - tra le opzioni : un territorio in Sri Lanka , India o Australia . dove ricollocare i 305.000 abitanti (fondo poi eroso da crisi e tagli di bilancio).

C’è ora una corsa ai ripari. C’è chi si affida ancora i sacchi di sabbia accatastati sulla riva per fermare la marea , come capita di vedere alle Maldive fuori stagione , e chi sceglie opere d’ingegneria sempre più spericolata : strade rialzate , importazioni massicce di sabbia , barriere vegetali sulla costa o muri di cemento lunghi vari Km in mare – come la barriera costruita a difesa di Majuro , capitale della Marshall – per fermare l’impatto devastante delle onde e delle maree. Si pensa persino di creare isole artificiali , poco più di piattaforme sul mare , che garantiscono la presenza degli abitanti , per poter continuare a chiamarsi Stato , con una bandiera e i diritti economici che ne conseguono , per esempio la vendita dei diritti di pesca al tonno , una delle entrate più importanti del Pacifico.

Molte isole-Stato pensano a vie legali per difendere i loro diritti. Per esempio una mappatura che difendi i confini in modo permanente , per far sì che le acque territoriali e la Zona economica non si restringano , o scompaiano. Le frontiere economiche potrebbero essere registrate nelle opportune sedi internazionali , sia all’Onu sia nei trattati bilaterali, come quello concluso tra la Francia e l’isola di Tuvalu ( in Polinesia) per stabilire i limiti delle rispettive rivendicazioni marittime.

Intanto partono le prime azioni legali. La Federazione della Micronesia ha fatto causa alla repubblica Ceca , distante 11000 km, perché colpevole di coler tener acceso il maxi impianto a carbone di Prunnerov-2 “Da solo produce emissioni 40 volte superiori a quelle emesse da tutto il nostro arcipelago. Prolungarne l’attività mette a rischio la nostra sopravvivenza” sostiene la denuncia in cui la Micronesia ha chiesto una “Valutazione transnazionale degli impatti ambientali. Si prevedono class action davanti alla Corte internazionale di Giustizia ( poteri limitati) di queste isole-Stato contro i Grandi Inquinatori.

Majuro, l’atollo più grande delle Isole Marshall, ha perso 20% del suo territorio negli ultimi 15 anni e tra i suoi 67000 abitanti si registrano molti espatri negli Stati Uniti , con cui l’ex colonia ha un trattato di libero ingresso, soggiorno e lavoro. La Nuova Zelanda , da parte sua, ogni anno accoglie alcune decine di abitanti dell’isola di Kiribati . Popoli che rischiano di trasformarsi in migranti senza patria e diritti. Le convenzioni Onu non riconoscono la categoria dei “rifugiati ambientali” o “climatici” fra i destinatari di asilo o protezione umanitaria. Due giuristi australiani stanno promuovendo una Convenzione ad hoc , che impone l’obbligo di accoglienza ai Paesi dell’Onu.

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Negli USA "La guerra del carbone"

Dal Manifesto del 1/7/2011, un articolo di Marina Forti

la Florida Public Services Commission (la commissione statale che valuta e approva impianti di servizio pubblico) ha rifiutato di concedere la licenza a una grande centrale elettrica a carbone - un impianto da 1.960 megawatt, 5,7 miliardi di dollari di investimento - perché l'azienda interessata non è riuscita a dimostrare che costruire quell'impianto era più economico che investire in efficienza, conservazione dell'energia e in energie rinnovabili

Segue il testo integrale
"Chiudere le centrali elettriche a carbone negli Stati uniti «potrebbe essere più facile di quello che sembra», scrive Lester Brown, fondatore del Earth Policy Institute di Washington, nell'ultimo articolo messo sul suo sito web. «Nonostante una campagna, generosamente finanziata dall'industria, per promuovere il «carbone pulito», gli americani si stanno rivoltando contro il carbone», nota Brown, e riferisce come negli ultimi anni si sia rafforzato «un movimento contro la costruzione di nuove centrali a carbone» negli Stati uniti. All'inizio sono stati alcuni casi locali di resistenza, ma è «presto diventata un'ondata nazionale di opposizione da parte di gruppi ambientali, per la salute, di agricoltori e di comunità locali». Interessante: non è il tipo di notizia che i grandi media ci riferiscono spesso da oltre oceano. E un rapporto compilato dal Sierra Club, una delle più grandi e note organizzazioni ambientaliste statunitensi, dà ragione a Brown: sul suo sito tiene un elenco aggiornato delle centrali a carbone del paese e risulta che dal 2000 a oggi 152 impianti sono stati chiusi o bocciati.
Il punto di svolta in quella che Brown chiama «la guerra del carbone» è avvenuto nel giugno del 2007, quando la Florida Public Services Commission (la commissione statale che valuta e approva impianti di servizio pubblico) ha rifiutato di concedere la licenza a una grande centrale elettrica a carbone - un impianto da 1.960 megawatt, 5,7 miliardi di dollari di investimento - perché l'azienda interessata non è riuscita a dimostrare che costruire quell'impianto era più economico che investire in efficienza, conservazione dell'energia e in energie rinnovabili (come sostenevano invece gli avvocati di EarthJustice, organizzazione di giuristi ambientalisti). Questa sconfitta «dati economici alla mano», insieme alle manifestazioni pubbliche di protesta contro nuove centrali a carbone in Florida, hanno fatto sì che dopo la prima altre quattro imprese ritirassero la propria richiesta di licenza. Poco dopo il movimento ha registrato una vittoria a Wall Street: su pressione di un'altra organizzazione ambientale, il Rainforest Action Network, nel febbraio 2008 quattro importanti banche d'investimento (Morgan Stanley, Citi, J.P. Morgan Chase e Bank of America) hanno annunciato che presteranno denaro per centrali a carbone solo se le aziende sapranno dimostrare che è economicamente redditizio alla luce dei maggiori costi dovuti alle future restrizioni federali sulle emissioni di gas di serra. L'estate scorsa le stesse banche (più Wells Fargo) hanno annunciato che non finanzieranno più l'estrazione di carbone a cielo aperto (il cosiddetto mountaintop removal, «scoperchiare la cima della montagna»), anche questo su pressione del Rainforest Action Network - e di alcune importanti battaglie che hanno coinvolto ampi movimenti locali.
Altre difficoltà per gli impianti a carbone sorgono a causa dei reflui, uno dei grandi rpoblemi irrisolti di questa industria energetica: che fare delle ceneri risultanti dalla combustione, oggi accumulate in 194 discariche e 161 vasche di contenimento in 47 stati Usa: sono ceneri piene di arsenico, piombo, mercurio e altre sostanze tossiche; l'Ente federale di protezione ambientale (Epa) ha individuato 98 siti che stanno contaminando le falde acquifere, e una nuova raffica di normative di sicurezza è in arrivo. «Ora che gli Stati uniti hanno in effetti una quasi moratoria de facto sulla licenza di nuove centrali a carbone, diversi gruppi ambientali stanno cominciando a fare campagna per la chiusura di quelle esistenti», conclude Brown - segue un elenco di impianti di cui è prevista la chiususa a breve. Del resto, fa notare, se gli altri 49 stati Usa portassero la propria efficienza energetica al livello dello stato di New York, l'energia risparmiata basterebbe a rendere inutile l'80% delle centrali alimentate a carbone in tutti gli Usa.

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1 giugno 2011

Ted Turner, fondatore della CNN: "Un calcio nel culo al business del carbone"

Dall'Huffington Post, il blog più seguito al mondo:
Ted Turner, parlando alle aziende che producono energia verde dal vento, ha suggerito la necessità di "suonargliele" alle grandi compagnie del carbone che diffondono le menzogne del carbone pulito, a danno delle energie rinnovabili e pulite.

"Let's go out and kick their asses. That's what they need, a good ass-kicking," Turner told the group assembled for the American Wind Energy Association's conference. He was speaking in an unscripted conversation with the group's CEO, Denise Bode.

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28 maggio 2011

La Micronesia, minacciata dal riscaldamento globale, porta in tribunale il carbone europeo

Stabilito un interessantissimo precedente nel diritto internazionale: per la prima volta un paese la cui sopravvivenza è direttamente minacciata dal cambiamento climatico ha intrapreso un’azione legale contro l’inquinamento di una nazione dall’altra parte del mondo

Da Rinnovabili.it

"Gli Stati Federati di Micronesia (FSM), una nazione insulare sparsa per il Pacifico settentrionale, si sono già trovati costretti ad affrontare le maree del cambiamento climatico, che hanno divorato le coste e lasciato la sicurezza alimentare e l’approvvigionamento idrico nel caos. Quindi quando hanno sentito che la Repubblica ceca aveva intenzione di estendere la licenza alla sua più grande centrale elettrica a carbone, l’impianto di Prunéřov, i leader della federazione hanno deciso che non sarebbero rimasti a guardare, pronti a portare la nazione europea in sede legale con l’accusa di mettere in serio pericolo la sopravvivenza dell’arcipelago. Per la prima volta nella storia dell’umanità una delle prime vittime del Climate Change si fa avanti e punta il dito contro l’inquinatore, nonostante a dividerli ci siano oltre 11mila km. La storia in realtà comincia nel gennaio del 2010 quando la Micronesia era intervenuta nell’ampliamento dello stabilimento ceco chiedendo una Valutazione d’Impatto Ambientale Transfrontaliero in considerazione dell’incidenza del progetto sull’ambiente; la centrale di Prunéřov con i suoi 1.490 MW di potenza produce emissioni 40 volte superiori a tutte quelle emesse dall’intero arcipelago. La richiesta era una prima assoluta dal momento che la Valutazione d’Impatto Ambientale Transfrontaliero è stato uno strumento giuridico precedentemente utilizzato solo dagli Stati confinanti.

Il governo di Praga ha finito per concedere la propria approvazione alla centrale prolungando la vita dello stabilimento fino all’anno 2035 (la centrale si sarebbe dovuta chiudere nel 2020), ma ha concesso alla Federazione lo status di “paese colpito” e il Ministero dell’Ambiente ha richiesto a CEZ, la società di servizi statali, di compensare 5 milioni di tonnellate di CO2 nel tentativo di mitigare l’impatto ambientale del progetto. La Micronesia ha presentato in questi giorni il documento base dell’azione legale internazionale, avanzata in collaborazione con Greenpeace e con l’Associazione Environmental Law Service, nella speranza di incoraggiare altre nazioni a prendere un atteggiamento più proattivo. L’occasione, non a caso è stata quella della “Conferenza delle nazioni insulari minacciate dai cambiamenti climatici” tenutasi a New York e apre ufficialmente un nuovo fronte nel diritto internazionale e nei rapporti diplomatici tra le nazioni stabilendo a tutti gli effetti un precedente. “Questo passo avanti – ha fatto sapere il ministro della Giustizia della Micronesia, Maketo Robert – mostra che i paesi minacciati come il nostro hanno ormai il sostegno del diritto internazionale, per pesare in modo più efficace sulle scelte energetiche”.

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Cina, ora cancro prima causa di morte. Il carbone tra i principali responsabili

Tradotto in italiano da Comedonchisciotte.org / Di J. Larsen http://www.earth-policy.org

Il cancro è ora la principale causa di morte in Cina. I dati del Ministero della Salute cinese riporta che le morti per tumori sono quasi un quarto del totale dei decessi in tutto il paese. Mentre nei paesi in via di industrializzazione sono comuni le piaghe della povertà - malattie infettive e alta mortalità infantile – in questo caso siamo di fronte a patologie associate ai paesi più ricchi, come le malattie del cuore, gli infarti e il cancro.

Anche se ci si aspetterebbe che tutto ciò avvenga nella città più ricche della Cina, dove le biciclette sono state rottamate per le auto e il consumo di carne è in aumento, invece vale anche per le aree rurali. Infatti, gli studi dalle zone di campagna rivelano un’epidemia di “paesi dei tumori” collegati all’inquinamento di alcuni dei settori industriali che danno la spinta all’esplosiva economia cinese. Ma, nel porre la crescita economica al di sopra di qualsiasi altra cosa, la Cina sta sacrificando la salute della sua gente, mettendo a rischio la sua prosperità nel futuro.

Il cancro ai polmoni è la più comune patologia tumorale in Cina. Le morti per questa malattia spesso fatale sono cresciute quasi di cinque volte rispetto agli anni ’70. Nelle tentacolari città cinesi, come Shanghai e Pechino, dove il particolato nell’aria è spesso quattro volte più alto che a New York, circa il 30 per cento delle morti per cancro derivano dal tumore ai polmoni (Vedere i dati.)

L’aria inquinata non è associata solamente con varie patologie tumorali, ma anche alle malattie del cuore, all’infarto e alle malattie dell’apparato respiratorio, con oltre l’80 per cento delle morti nella aree agricole. In base ai dati del Centro Cinese per il Controllo delle Malattie e la Prevenzione, l’utilizzo del carbone è responsabile del 70 per cento delle emissioni di fuliggine che oscurano il sole in gran parte del paese, dell’85 per cento di quelle di biossido di zolfo, che provoca le piogge acide e lo smog, e il 67 per cento di quelle di monossido di azoto, un precursore del pericoloso livello dell’ozono nell’atmosfera. L’utilizzo del carbone è responsabile anche delle maggiori emissioni di cancerogeni e di mercurio, una potente neurotossina. Le ceneri del carbone, che contengono materiali radioattivi e metalli pesanti tra cui il cromo, l’arsenico, il piombo, il cadmio e il mercurio, sono la principale fonte dei rifiuti solidi industriali. Le ceneri tossiche, che non vengono più usate dagli impianti o ritrasformate, vengono stipate nei depositi, da dove possono essere portate via dalle correnti d’aria o percolare i contaminanti nelle falde acquifere.

L’inquinamento da carbone combinato alle emissioni delle fiorenti industrie cinese e le rottamazioni del numero sempre più alto di veicoli sono già sufficienti per ostacolare il respiro e mettere a repentaglio la salute. Ma ciò non impedisce alla metà degli uomini cinesi di fumare. Il fumo è molto meno comune tra le donne: meno del 3 per cento si accende una sigaretta. Ma quasi il 10 per cento del milione di cinesi che muoiono ogni anno per malattie collegate al fumo sono esposti al fumo passivo, ma non sono fumatori.

Nelle zone rurali, i cancri al fegato, ai polmoni e allo stomaco raggiungono ciascuno quasi il 20 per cento dei decessi riferiti alle patologie tumorali. Il cancro al fegato ha una possibilità tre volte maggiore di uccidere un agricoltore cinese rispetto a un cittadino del resto del mondo; per quanto riguarda il tumore allo stomaco, i cinesi che vivono in campagna hanno il doppio della probabilità di contrarlo rispetto a qualsiasi altro terrestre. Questi tumori sono provocati dalle acque inquinate dai prodotti chimici e dagli scarichi, insieme ad altri contaminanti ambientali.

Mentre le industrie, gli stabilimenti industriali e le miniere scaricano senza sosta gli inquinanti, i fiumi e i laghi stanno prendendo delle colorazioni malaticce. Anche le risorse acquifere sotterranee sono state contaminate. I dati del governo indicano che metà dei fiumi cinesi e più di tre quarti dei laghi sono troppo inquinati per poter utilizzare l’acqua per l’alimentazione, anche dopo i trattamenti. Tuttavia, rimangono la principale fonte di acqua per molte persone.

Sono stati individuati più di 450 “villaggi dei tumori” negli anni recenti, secondo i dati di un analisi condotta dal geografo Lee Liu, pubblicata nel 2010 sulla rivista Environment. Queste comunità – dove un insolito numero di persone sono state colpite dalle stesse patologie tumorali – tendono ad ammassarsi nelle aree più povere lungo corsi d’acqua inquinati o lungo i canali di scarico delle zone industriali. Anche se la gran parte dell’iniziale sviluppo industriale cinese è avvenuto lungo la costa, ultimamente le industrie vengono ubicate dove il lavoro costa meno e la sorveglianza ambientale è meno accurata, spingendo la cosiddetta “cintura del cancro” verso l’interno.

Per i villaggi un tempo largamente autosufficienti, l’avvelenamento dell’acqua e del suolo è devastante. I ragazzi e le persone in forze spesso vanno a cercarsi da vivere altrove. I troppo vecchi, i troppo poveri e i troppo ammalati restano, lottando per lavorare la terra avvelenata.

Liu ha notato che in alcuni casi estremi, come nel villaggio di Huangmengying nella provincia di Henan, “il tasso di morte è più alto di quello delle nascite e sta aumentando rapidamente” e non a causa dell’invecchiamento della popolazione. In questo villaggio, che riceve l’acqua annerita da un affluente del famigerato fiume Huai, circa l’80 per cento dei giovani del villaggio sono malati cronici. Persino a un bambino di un anno gli è stato diagnosticato un cancro. Circa la metà dei decessi tra il 1994 e il 2004 sono stati causati da tumori al fegato, al retto e allo stomaco. I dati più recenti non sono ancora disponibili perché il dirigente governativo che rese i dati pubblici fu accusato di “rivelazione del segreto di stato”, fu licenziato dal suo posto di segretario del Partito del villaggio e ora non vuole parlarne, in base al resoconto del Global Times.

A causa del lasso di tempo che intercorre la diagnosi e la morte, oltre alla mancanza di prevenzione per molte delle persone povere che vivono nelle zone più inquinate, l’intensità dell’epidemia tumorale in Cina potrebbe anche essere più alta di quanto finora immaginato. E non tutto l’inquinamento ambientale è endogeno. La contaminazione riguarda sia la geografia - le tossine nei prodotti e nei raccolti vengono veicolate dal flusso commerciale o sono letteralmente trasportate dalle correnti al di là degli oceani — che le nuove generazioni.

La gioventù cinese, il futuro del paese, è a rischio. Negli ultimi anni i tassi di anormalità infantile sono incrementati rapidamente nelle più grandi città e nelle campagne. I funzionari della pianificazione familiare cinese collegano questa “crescita allarmante” alla contaminazione ambientale. Le miniere di carbone e le aree per la sua trasformazione nella provincia di Shanxi sono il luogo dove il tasso di anormalità infantile è più alto al mondo: più dell’8,4 per cento. Del milione di neonati affetti ogni anno in Cina, un 20 o 30 per cento può essere trattata, ma il 40 per cento avrà invalidità permanenti. Il resto muore poco dopo la nascita.

Negli ultimi anni, migliaia di bambini che vivono nei pressi delle miniere di piombo, delle fonderie o degli impianti per la produzione delle batterie sono stati avvelenati. Mortale se assunto in gran quantità, il piombo nel sangue è comunque considerato dannoso in qualsiasi concentrazione. L’esposizione a questo metallo può ostacolare lo sviluppo del sistema nervoso e l’apprendimento, il blocco della crescita e un calo del QI. Ci sono storie toccanti sui bambinin che perdono la capacità di andare a scuola o che non riescono a stare in buona salute a causa dell’esposizione a alti livelli di contaminazione da piombo.

Per il paese che ha imposto un figlio per famiglia, non è strano assistere a sempre più frequenti “incidenti di massa” (il termine del governo per le proteste) provocati dalle ricadute sulla salute dell’inquinamento. In alcuni casi, l’attività di industrie irresponsabili è cessata dopo le proteste; in altre, il governo ha traslocato intere comunità per consentire agli inquinatori di continuare nelle loro operazioni. E in molte circostanze, la contaminazione prosegue con la stessa intensità.

È facile puntare il dito contro le industrie senza scrupoli e i funzionari governativi che guardano da un’altra parte, ma una qualche responsabilità per l’ambiente malsano della Cina proviene dal di fuori dei confini. I rifiuti sono spesso caricati in container oltre oceano e scaricati direttamente in Cina. Insidiosamente, i consumatori occidentali si tuffano sui componenti artificialmente economici “made in China” e hanno poi esternalizzato l’inquinamento in direzione della fabbrica planetaria.

Ancora quest’anno in concomitanza con la pubblicazione del piano quinquennale cinese, il New York Times ha citato il proclama del Primo Ministro, Wen Jiabao: “Non dobbiamo più pregiudicare l’ambiente per il bene della crescita e per i lanci scriteriati sul mercato.” E mentre la retorica dei funzionari riconosce l’importanza della preservazione dell’ambiente e della salute della sua gente, il governo cinese ha ancora molta strada da fare per aumentare la trasparenza e il rafforzamento dei controlli ambientali esistenti, per non menzionare il rafforzamento della protezione. Se così non fosse, il fardello tossico che schiaccia il paese minaccia di interrompere o di far arretrare i cospicui miglioramenti ottenuti nella tutela della salute negli ultimi 60 anni, che hanno portato l’aspettativa di vita da 45 a 74 anni e ha abbattuto la mortalità infantile da 122 morti per 1.000 nascite a meno di 20. I profitti economici possano andare perduti se la produttività declina e se si dovranno pagare conti salati per la salute. In ultima analisi, un paese malato può prosperare solo a breve termine.

Principali Cause di Morte nella Cina urbana e rurale, 2009

Morti per 100.000 abitanti.


Tumori maligni - Urbana 167.6 Rurale 159.1
Patologie cardiache - Urbana 128.8 Rurale 112.9
Patologie cerebrovascolari - Urbana 126.3 Rurale 152.1
Patologie dell’apparato respiratorio - Urbana 65.4 Rurale 98.2
Cause esterne di ferimento o avvelenamento - Urbana 34.7 Rurale 54.1
Patologie endocrine, nutrizionali e metaboliche - Urbana 20.3 Rurale 11.3
Patologie dell’apparato digerente - Urbana 16.6 Rurale 14.6
Altre patologie - Urbana 10.7 Rurale 7.7
Patologie dell’apparato urogenitale - Urbana 7.3 Rurale 7.2
Patologie del sistema nervoso - Urbana 6.9 Rurale 5.1
Malattie infettive (non includono la tubercolosi respiratoria) - Urbana 4.4 Rurale 5.0
Malattie non diagnosticate - Urbana 4.1 Rurale 2.8
Disordini mentali - Urbana 3.6 Rurale 3.1
Malformazioni congenite, deformazioni e anormalità cromosomiche - Urbana 2.3 Rurale 2.2
Tubercolosi respiratoria - Urbana 1.9 Rurale 2.3
Patologie del sistema muscolo-scheletrico e del tessuto connettivo - Urbana 1.8 Rurale 1.3
Patologie del sangue, degli organi che lo formano e immunodeficienza - Urbana 1.6 Rurale 1.0
Malattie perinatali - Urbana 1.5 Rurale 2.5
Malattie portate dai parassiti - Urbana 0.5 Rurale 0.1
Gravidanza, parto e puerperio - Urbana 0.1 Rurale 0.2

Fonte: Earth Policy Institute from National Bureau of Statistics of China



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Fonte: http://www.earth-policy.org/plan_b_updates/2011/update96

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25 maggio 2011

L'Australia gigante del carbone prova a immaginare una via d'uscita

Da Greenreport
"La Climate Commission di scienziati istituita dal governo australiano ha reso noto il rapporto "The Critical Decade" che evidenzia i terribili effetti che il cambiamento climatico potrebbe avere sull'Australia, e chiede che il settore energetico, dominato dal carbone, diventi "green" e che il governo cerchi di ottenere subito il sostegno parlamentare per il "carbon price", come una delle soluzioni per ridurre l'inquinamento.

Il rapporto evidenzia che le città costiere australiane sono minacciate dall'innalzamento del livello del mare, in Sydney, mentre l'acidificazione dell'oceano, causata dall'assorbimento della CO2 prodotta dai combustibili fossili, non risparmierà la Grande Barriera Corallina.

Le regioni costiere vicine alle più grandi città australiane, come Sydney e Melbourne, sono estremamente vulnerabili all'aumento del livello del mare, ad alluvioni e maree. Secondo la Climate Commission australiana «Il livello del mare potrebbe aumentare da 0,5 a 1 metro (da 1,64 piedi e 3,3 piedi) entro il 2100», minacciando le aree più abitate dell'Australia. Anche un aumento del livello del mare di 0,5 metri, che potrebbe avvenire entro il tempo di vita medio di un essere umano, potrebbe portare al susseguirsi di eventi climatici estremi e il riscaldamento degli oceani e dell'atmosfera, lo scioglimento dei ghiacci marini, potrebbero comportare «Enormi rischi» per l'economia australiana.

"The Critical Decade", punta a cambiare i termini dell'attuale dibattito politico in Australia, dove la politica climatica del governo della laburista Julia Gillard ha polarizzato l'elettorato ed è sotto costante attacco dell'opposizione conservatrice del partito liberale. Gli scienziati al momento di consegnare il rapporto alla Gillard hanno avvertito che «Questo è il decennio critico. Le decisioni che prenderemo da ora al 2020, determineranno la gravità dei cambiamenti climatici. Per minimizzare questo rischio, dobbiamo decarbonizzare la nostra economia e per passare alle fonti di energia pulita entro il 2050. Le emissioni di carbonio devono raggiungere il picco entro i prossimi anni e quindi declinare fortemente».

Realizzare tutto questo non sarà affatto facile. I 22 milioni di australiani sono responsabili di ben l'1,5% dei gas serra prodotti dagli oltre 6 miliardi di esseri umani, il che li rende i maggiori emettitori pro-capite di CO2 dell'intero pianeta. L'Australia è anche il maggiore esportatore di carbone del mondo e utilizza il carbone per produrre circa l'80% della sua elettricità. Inoltre la sua grande industria petrolifera, gasiera e mineraria (con il nuovo Eldorado del gas liquefatto che promette miliardi di dollari), porta ad ulteriormente aumento delle emissioni di gas serra.

Per provare a diminuire e compensare le emissioni il governo ha provato a mettere un prezzo sul carbonio prodotto dall'industria e ad organizzare un mercato delle emissioni sul modello europeo entro il 2012 che potrebbe prendere il via già nel 2015.

Secondo Will Steffen, uno dei membri della Climate Commission, la politica del governo dovrebbe essere più decisa per avviare davvero investimenti per la riconversione ecologica dell'industria e della produzione di energia. Il governo Gillard prevede un prezzo del carbonio tra i 20 e i 30 dollari australiani a tonnellata, ma l'Australia avrebbe bisogno di 100 miliardi di dollari in investimenti nel prossimo decennio per sostituire la vecchie centrali a carbone.

La situazione reale la spiega bene alla Reuters Richard McIndoe, l'amministratore delegato di TRUenergy: «L'incertezza sulla politica climatica ha affamato gli investimenti nel settore energetico australiano negli ultimi 3-5 anni. Carenze di potenza del carico energetico di base sono previsti per il 2013 - 2016. La dipendenza dell'Australia dalle centrali a carbone non potrà essere cambiata entro il 2020, dato che ci vorranno da 50 a 60 anni per costruire la rete energetica. Come investitori del settore siamo in un vicolo cieco e, come risultato, il capitale non viene investito, così non abbiamo visto la costruzione di nuove centrali Al momento abbiamo una proposta di carbon tax che in realtà non cambierà molto. A 20 dollari australiani a tonnellata non vediamo alcun cambiamento davvero tra il carbone e la gas-fired generation».

Il rapporto analizza anche i dati dei rapporti Ipcc e di altre organizzazioni internazionali e sottolinea i fortissimi rischi che corre l'Australia a causa di siccità ancora più estreme, inondazioni e incendi mortali: «Gli impatti del cambiamento climatico si fanno già sentire in Australia e in tutto il mondo con meno di 1 grado di riscaldamento globale. I rischi di futuri cambiamenti climatici, per la nostra economia, la società e l'ambiente, sono gravi, e crescono rapidamente con ogni grado in più di aumento della temperatura».

Per limitare gli aumenti della temperatura a 2 gradi centigradi, «Le emissioni di carbonio devono raggiungere il picco entro il 2020 e poi scendere, altrimenti il ​​mondo avrà di fronte un compito quasi impossibile per evitare cambiamenti climatici pericolosi».

Il rapporto non è affatto piaciuto all'opposizione conservatrice australiana che si oppone a qualsiasi tipo di carbon tax, profetizzando perdita di posti di lavoro e bollette alle stelle., Il powerbroker del Partito Liberale, Nick Minchin, ha definitogli scienziati che hanno redatto il rapporto «Allarmisti del riscaldamento globale».

Un'opinione che sembra condivisa da circa il 60% degli elettori, mentre solo il 30% è favorevole a tassare le emissioni. Ma la Gillard ha risposto seccamente: «Noi non abbiamo tempo... per le false dichiarazioni in questo dibattito. La scienza è chiara, l'inquinamento da anidride carbonica antropica sta facendo la differenza per il nostro pianeta e il nostro clima. Dobbiamo trovare il modo di andare avanti con il compito di ridurre l'inquinamento di carbonio e con un dibattito razionale su questo».

Secondo la senatrice dei Verdi Christine Milne «Il rapporto è una richiesta agli australiani ad andare oltre la "discussione facile" se il cambiamento climatico esista».

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22 maggio 2011

L'Azienda Elettrica Ticinese censura documenti scomodi

AET è l'azienda elettrica che gli abitanti dei cantoni del Ticino e dei Grigioni avversano per la sua volontà di espandere il business in direzione carbone. Da Ticinolibero un resoconto saporito.

"Fate una figuraccia ad un dibattito televisivo? Nessun problema, Teleticino cancella repliche e podcasting su internet. Ma non per tutti, soltanto se siete dei fautori del carbone. La denuncia viene dalla Lega dei Ticinesi, che non usa mezzi termini: “per un’azienda che dovrebbe essere di tutti la trasparenza dimostrata e il rispetto della libertà di informazione sono degni di un governo sovietico”. La puntata cancellata (effettivamente non è possibile vedere il video) è quella di mercoledì scorso, 18 maggio, quando da Bazzi erano ospiti Sergio Savoia, Raoul Ghisletta, Giuliano Bignasca e Fabio Regazzi.

La Lega condanna quindi con fermezza “questo ennesimo tentativo di imbrogliare i ticinesi e di impedire loro di sapere la verità sui maneggi e sui trucchi usati dal CdA di AET e dai suoi mandanti politici”. Nel comunicato stampa della Lega dei Ticinesi non ci si dimentica certo che Teleticino è una partecipata di AET. Infatti l’Azienda elettrica ticinese detiene l’11% della quota azionaria di Teleticino, una partecipazione acquistata ancora nell’epoca Paolo Rossi. Con quale scopo questo non è mai stato chiaro.

La Lega dei Ticinesi rivendica chiarezza, che a suo dire non è mai stata fatta. “Così come il popolo non ha potuto sapere nulla del contratto stipulato per il carbone di Lünen, o dei traffici in Albania e in Grecia, né degli investimenti vergognosi alle Cayman” – si tuona da Via Monte Boglia – “allo stesso modo adesso AET cerca di impedire un dibattito aperto e trasparente sui rischi dell’investimento nel carbone”.

“Non temiamo certo questa ennesima ridicola manovra di un management screditato” – conclude il comunicato – “e continueremo la battaglia per la trasparenza e la chiarezza, con tutti i mezzi necessari e senza farci intimidire”.

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17 maggio 2011

Dalla Corte di giustizia UE, uno strumento nuovo per combattere i grandi inquinatori

Comunicato stampa dal WWF Cantone dei Grigioni, Svizzera.

Una decisione della Corte di giustizia dell’Unione Europea (CGUE) da più potere alle cause intentate da associazioni ecologiste contro grandi progetti industriali come le centrali a carbone. Per le centrali a carbone di Repower l’aria si fa sempre più rarefatta.


Il retroscena della sentenza di massima della CGUE è una causa intentata dalla Federazione dell’ecologia e della protezione dell’ambiente tedesca BUND contro la costruzione della centrale a carbone della Trianel a Lünen (Nord Reno-Westfalia). Secondo il diritto tedesco, i controlli giuridici fin ora eseguiti si sono limitati a prendere in considerazione violazioni notificate da privati cittadini direttamente lesi. Secondo la CGUE questo però contraddice il diritto europeo che prevede il diritto di querela per tutti i progetti con un impatto ambientale rilevante, anche per quelli che toccano gli interessi della collettività. Gli stati comunitari membri devono dare al publicco la possibilità di
poter richiedere una verifica ampia ed esaustiva a livello giudiziale su progetti a grande impatto ambientale come le centrali a carbone.
Secondo Jürgen Quentin, responsabile della campagna anti-carbone presso la Deutsche Umwelthilfe (Associazione tedesca di aiuto per l’ambiente), i diritti delle cause intentate dalle associazioni ecologiste verranno rafforzati in maniera generale grazie a questa decisione. “Licenze per centrali a carbone dannose per l’ambiente ed il clima, come il progetto a Brunsbüttel, dovranno in futuro sottostare ad una verifica legale in toto. La Deutsche Umwelthilfe ha già intentato causa contro la licenza edilizia per la centrale di Brunsbüttel e prossimamente provvederà ad intentare un’altra causa contro il parziale benestare inerente le emissioni nocive. “Siamo fiduciosi di poter vincere la lotta giuridica contro la maggiore centrale a carbone europea, questo perché l’impianto previsto viola diverse leggi europee e nazionali inerenti la protezione delle acque e della natura”, così Quentin.
Per i progetti inerenti le centrali a carbone di Repower l’aria si fa sempre più rarefatta, siccome tramite lunghi procedimenti legali la certezza di ottenere ragione si fa sempre più esile ed i costi aumentano. “Il pericolo, che da questi progetti si arrivi a degli investimenti non redditizi, è grande”, così Anita Mazzetta, responsabile di WWF Grigioni. Mazzetta invita Repower ed il Governo Retico, a prendere finalmente le distanze dai progetti di Brunsbüttel e Saline Joniche e al loro posto ad investire in energie rinnovabili e sostenibili per l’ambiente. Esattamente questo rivendica il WWF Grigioni assieme a 13 ulteriori partner tramite un’iniziativa cantonale. La raccolta delle firme è iniziata a metà febbraio. Dopo 2 mesi sono già state raccolte più della metà delle 4000 firme

Anita Mazzetta, direttrice WWF GR, Coira

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16 maggio 2011

Carbone a Lunen? Speculazione sulla pelle dei cittadini

Da tempo seguiamo le vicende degli amici del Ticino (Svizzera), che con noi condividono la battaglia per una politica energetica lungimirante e non autodistruttiva, contro il carbone. Intervento di P. Zanchi, fonte

"Diciamolo chiaramente: il Ticino e i suoi abitanti hanno bisogno dell’energia prodotta nella centrale a carbone di Lünen? L’investimento è una pura speculazione, come lo sono stati altri investimenti che AET ha fatto nel gas in Albania (una decina di milioni persi) o quello nell’olio di palma in Malesia (altri milioni buttati al vento). Ma non per questo la tariffa della bolletta elettrica dei consumatori ticinesi è aumentata. Da 23 anni sono titolare di un’azienda artigianale di 5 impiegati e se dovessi fare un investimento sbagliato dove non ci guadagno, so che l’investimento viene contabilizzato come perdita. Dunque non faccio utili, ma non è per questo che chiudo la ditta. E se faccio un investimento è perché prima ho accantonato degli utili. Lo sbaglio dovrebbe però consigliarmi maggiore prudenza. Dunque la questione della perdita di soldi, tutto sommato, non è una grande ragione per appoggiare il controprogetto. Mentre votare sì all’iniziativa permette di mandare un segnale politico forte: errori come quelli commessi all’estero da AET non se ne devono più fare; e le ragioni per uscire dall’investimento nel carbone sono molte. Eccone alcune:

il prezzo del carbone continua ad aumentare e dal 2013 aumenteranno pure i certificati d’emissioni di CO2; ciò renderà l’energia prodotta più cara di quello che i fautori e sostenitori del controprogetto vogliono far credere;
se l’energia dovesse servire ai ticinesi ci sono da considerare le perdite di energia dovute al trasporto in rete (8-10%) e il costo non indifferente caricato dai gestori delle reti da Lünen fino in Ticino; una centrale a carbone “moderna” che rende solo il vantato 45% è un insulto per una tecnologia che viene spacciata per moderna; tenuto conto che alla fine si dovrebbero pure conteggiare le perdite energetiche per l’estrazione, il trasporto del carbone dalla Colombia, cosi come il trasporto dell’energia prodotta. Qualcuno ha già fatto questi conti?
i costi ambientali e sociali (inquinamento e aumento dei costi sanitari, sfruttamento minorile e minatori sottopagati) dovrebbero far riflettere se dal punto di vista umano e sindacale sia una scelta pulita e coerente. Le soluzioni alternative (efficienza ed energie rinnovabili) sviluppate nel nostro cantone danno più sicurezza in posti di lavoro (e a lungo termine), ci rendono più indipendenti dall’estero e migliorano la nostra e altrui qualità di vita.

Se ad AET, al Governo Ticinese e al Gran Consiglio stanno a cuore un vero futuro energetico per il nostro Cantone, con meno implicazioni negative, i soldi proposti nel controprogetto ci sarebbero comunque; è una questione di buon senso e di volontà ad agire e a voltare pagina verso un modo nuovo di investire, di fare economia, come pure quello di fare politica.

Pertanto il prossimo 5 giugno voterò un chiaro sì all’iniziativa per un’AET senza carbone e NO al controprogetto ingannevole dei fautori del carbone.

Pierluigi Zanchi, titolare d’azienda Gerra Piano

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11 maggio 2011

La città fantasma di Centralia

Centralia, Pennsylvania (USA), oggi paese fantasma a causa di un incendio avvampato nel 1962 nella vicina miniera di antracite (carbone puro). La combustione emise -ed emette tuttora- in atmosfera enormi quantità di gas velenosi e calore, tali da costringere gli abitanti all'evacuazione definitiva. Si stima che l'incendio sotterraneo non si estinguerà prima di qualche centinaio d'anni. Fonte

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10 maggio 2011

Carbone e sfruttamento minorile nelle miniere

Pierluigi Zanchi (Verdi), consigliere comunale a Locarno. Fonte: Ticinolibero

"Basterebbe chiederci se, invece di mandare i nostri figli a scuola, saremmo disposti a farli lavorare nelle miniere di carbone del Terzo Mondo in cambio di energia sporca (sotto tutti i punti di vista), sovente inutilmente sprecata. Allora il 5 giugno prossimo un netto si all’iniziativa e un altrettanto netto no al controprogetto sarebbero la risposta giusta, inequivocabile, al nostro interrogativo di cittadini, elettori, ma soprattutto di papà e mamme. Dopo tutto quei bambini sono in qualche modo anche figli nostri.

E’ francamente vergognoso che si è disposti a sacrificare sull’altare delle creature, per qualche milioncino di franchi perso in un investimento che non avrebbe mai dovuto essere fatto e manco votato dal Gran Consiglio; politici che hanno fatto di tutto per non decidere in tempo, sapendo di perdere quei milioni, ora messi sul tavolo quale scambio insulso e vergognoso a scapito di piccole vite umane.

Quei milioni che, se investiti in Ticino, avrebbero invece potuto permettere ai nostri giovani, in cerca di una formazione o di un impiego, di trovare un posto di lavoro in settori delle energie rinnovabili e del risparmio energetico.

Ci vantiamo di vivere nell’era moderna e della tecnologia ma continuiamo, malgrado le possibilità esistano, a fare scelte da medioevo tecnologico, accompagnate da una sensibilità umana pari a quella dei dinosauri.

Ci indigniamo se vengono venduti bambini per asportarne gli organi, per prostituirli o perché usati come carne da cannone; ma ci va bene che li usiamo per spalare carbone affinché possiamo permetterci di continuare a sprecare energia.

Non siamo nemmeno disposti a pensare che potremmo pagare facilmente la corrente elettrica (pulita e rinnovabile), senza sovrattassa, riducendo semplicemente la metà dei consumi con facili soluzioni, praticabili e alla portata di tutti. Nessun cittadino ci perderebbe; e una parte di quei soldi potrebbero pure essere usati per migliorare le condizioni esistenziali di migliaia di bambini meno fortunati dei nostri figli.

Votare si all’iniziativa “contro il carbone” è un atto prima di tutto umanitario; votare no al controprogetto è un atto civile, responsabile dal punto di vista del referente cristiano, coerente sindacalmente siccome si oppone allo sfruttamento minorile; infine manda un messaggio chiaro dal punto di visto politico.

Cerchiamo allora di accendere le nostre coscienze, affinché il futuro sia veramente luminoso e pulito per tutti, sotto ogni punto di vista.

Pierluigi Zanchi
consigliere comunale Locarno
membro comitato cantonale dei Verdi
ma soprattutto un papà

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4 maggio 2011

Obama: eliminare sgravi fiscali alle compagnie di petrolio, gas e carbone

Fonte: energia24club

Obiettivo: dirottare sulle rinnovabili i sussidi per le fonti tradizionali che superano 3,5 miliardi di dollari all'anno

"Barack Obama continua la sua battaglia contro le fonti fossili a favore delle rinnovabili: in una lettera inviata ai membri del Congresso, il presidente degli Stati Uniti ha proposto nuovamente di eliminare i sussidi miliardari all'industria petrolifera. L'appello di Obama è solo l'ultimo tentativo di convincere i repubblicani a sposare una nuova politica energetica e ambientale; la Casa Bianca, infatti, vorrebbe eliminare gli sgravi fiscali alle compagnie del petrolio, del gas e del carbone, per aumentare i fondi da destinare alle fonti alternative. Il Governo federale potrebbe così ottenere fino a 40 miliardi di dollari in più nei prossimi dieci anni per la green economy, considerando che i sussidi per le fonti tradizionali superano i tre miliardi e mezzo di dollari ogni dodici mesi.

Questa battaglia si lega a un argomento molto delicato per gli statunitensi: il prezzo della benzina in costante ascesa, che potrebbe diventare una patata bollente nella prossima campagna elettorale di Obama. Perciò il presidente del “New green deal” sta cercando una via d'uscita dalla dipendenza americana dai combustibili fossili. Pur riconoscendo che non esiste “una soluzione magica per contrastare immediatamente il rincaro dei carburanti”, Obama sostiene che si possono adottare delle misure per evitare un'impennata futura dei prezzi. La ricetta è tagliare i sussidi alla lobby petrolifera, che sta macinando profitti grazie alle quotazioni sempre più elevate del petrolio, dirottandoli sulle fonti rinnovabili. “Il nostro sistema politico ha ignorato troppo a lungo questo importante passo, e spero che potremo unirci con uno spirito bipartisan per riuscire a compierlo”, ha poi aggiunto Obama nella sua lettera al Congresso. Il repubblicano John Boehner, presidente della Camera dei rappresentanti, ha confermato la sua disponibilità nel vagliare le proposte dell'amministrazione.

Secondo Obama, gli Stati Uniti devono investire in tre direzioni per aumentare la loro sicurezza energetica: fonti alternative (eolico, solare, biomasse), nuove perforazioni di giacimenti di gas e petrolio, efficienza energetica. Finora gli sforzi della Casa Bianca sono stati in parte vanificati dall'assenza di uno standard nazionale sulle rinnovabili, con obiettivi chiari e vincolanti sulla quantità di energia verde da immettere in rete. Il presidente sta quindi cercando un terreno comune con i repubblicani sull'energia; la benzina alle stelle potrebbe intanto diventare un'arma a doppio taglio, perché potrebbe affossare il consenso degli americani verso Obama o far alleare repubblicani e democratici contro la lobby del petrolio.

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Canton Ticino, mobilitazione continua per alternative al carbone

"Sì a un controprogetto intelligente per l’energia elettrica (fonte: ticinolibero)

Molti cittadini vogliono abbandonare il carbone come fonte per la produzione di elettricità. Oggi l’Azienda elettrica ticinese conta di far capo a 900 GWh di energia elettrica proveniente dalla centrale a carbone di Lünen in Germania: non è poco su un totale di domanda annua di 3’000 GWh in Ticino. Lünen è una centrale voluta dal governo rosso-verde tedesco per far uscire la Germania dal nucleare, questione di grande attualità dopo l’incidente nucleare in Giappone. Si pensi che l’efficienza energetica a Lünen viene aumentata al 50% e questo è tanto a paragone del 35% delle vecchie centrali a carbone.

All’inizio di giugno il popolo ticinese dovrà votare sull’iniziativa dei Verdi, che vuole far uscire il Ticino dalla centrale di Lünen entro il 2015. Si tratta di un’esagerazione dannosa, perché ci farà perdere di colpo 900 GWh di produzione elettrica, senza dare il tempo al Cantone di trovare fonti energetiche rinnovabili o di far risparmi energetici equivalenti. Ricordo tra l’altro che il Ticino attende di assumere la proprietà dei grandi impianti idroelettrici di Maggia e Blenio, ciò che dovrebbe avvenire verso il 2035.

Per questo voterò NO all’iniziativa e SI al controprogetto. Il controprogetto promuove le energie rinnovabili grazie ad un fondo speciale e in questo modo nel prossimo decennio avremo posti di lavoro in un settore d’avanguardia e potremo disporre di maggiori energie rinnovabili in Ticino.
Invece se passa l’iniziativa dei Verdi avremo bollette elettriche più care e dovremo acquistare obbligatoriamente più energia nucleare per garantire l’energia di banda, perché saremo senza alternative energetiche nel breve termine, in quanto l’Azienda elettrica ticinese avrà dovuto svendere la sua partecipazione a Lünen subendo perdite milionarie.

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14 aprile 2011

80,027 commenti per Unfriend Coal, nuovo record

"80,027 comments in 24 hours is the new world record!", Greenpeace annuncia il raggiungimento del nuovo record del mondo, superando di molto il tetto dei 50.000 necessari per il record. Un piccolo giochino, ma significativo: degli impianti a carbone tutto il mondo ne ha abbastanza.

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8 marzo 2011

I finanziamenti sporchi della Banca mondiale

Da Terra
"La Banca mondiale che finanzia il carbone

Nei giorni scorsi centinaia di attivisti a Washington hanno manifestato davanti alla sede centrale della Banca Mondiale per chiedere che questa smetta di finanziarie progetti per l’estrazione di petrolio, carbone e gas. Armati di cartelli e striscioni, hanno occupato H street cantando «free us from fossil fuel» (liberateci dai combustibili fossili, ndr) mente sulla rete net-attivisti inondavano con migliaia di messaggi le pagine Facebook e Twitter della World Bank stessa. Proteste simili si sono tenute Roma, Londra, Parigi, Berlino e Madrid.

Secondo dati ufficiali, nel 2010 circa 6,6 miliardi di dollari, il 116% in più rispetto all’anno precedente, sono andati in progetti per generare energia da fonti combustibili fossili. Per Greenpeace Usa, «la Banca Mondiale deve fermare ogni finanziamento al carbone e concentrarsi sulle rinnovabili». A far lievitare i finanziamenti è stato il progetto della mega centrale a carbone di Medupi, in Sudafrica, la terza più grande al mondo in «uno dei Paesi con il più alto potenziale per gli investimenti nelle energie rinnovabili» si legge in un comunicato dell’associazione Campagna per la riforma della Banca Mondiale. Un paradosso per Karen Orenstein, di Friends of the Earth che sostiene: «nonostante i rischi del cambiamento climatico, la Bm afferma che non può fornire energia ai paesi più poveri senza produrre tonnellate di Co2 e inquinamento. Questa è una falsa dicotomia».

Inoltre, secondo Oil Change International «nessuno dei progetti della Banca Mondiale legato a petrolio, gas, o carbone del 2009-2010 è stato finanziato nello specifico per provvedere accesso a fonti energetiche alle popolazioni più povere». L’ufficio stampa della Banca mondiale, contattato da Terra, non ha voluto rilasciare commenti. Le denunce dei manifestanti indeboliscono ulteriormente il ruolo della banca nella sfida contro il cambiamento climatico. Negli ultimi anni, infatti, la Banca ha giocato un ruolo sempre maggiore all’interno della cosiddetta climate finance, i meccanismi economico-finanziari per contrastare i cambiamenti climatici, gestendo miliardi di dollari generati dai mercati delle emissioni per finanziare progetti di sviluppo puliti, meccanismi che in passato sono stati criticati, anche dalla stessa istituzione per lo sviluppo che ha cercato di migliorare il suo operato attraverso la Carbon Finance Unit. Un strategia che per alcune organizzazioni internazionali, costituisce uno strumento inefficacie a cui sarebbero preferibili soluzioni alternative, come una carbon tax. Le contraddizioni della World Bank sono note.

Nel 2003 pubblicò la Extractive Industries Review dove si delineava uno stop definitivo del sostegno al carbone e un graduale abbandono del petrolio entro il 2008. Ma la vocazione green della Banca è scomparsa presto. Nella nuova strategia decennale della Banca per il periodo 2011-2021, in uscita ad aprile, nonostante l’appoggio alla finanza climatica, pare non esserci traccia di limitazione al finanziamento di progetti legati ai combustibili fossili.

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27 febbraio 2011

Obama per il taglio dei sussidi ai combustibili fossili

Fonte
Tagliare i sussidi alle fonti fossili e aumentare quelli per le rinnovabili. Questa la ricetta dell'amministrazione Obama, che ha proposto di destinare 29,5 miliardi di dollari al Dipartimento dell'energia come budget del 2012 (+4,2% rispetto a quello previsto per il 2011 e +12% in confronto al 2010). Circa otto miliardi di dollari andranno a nuovi progetti delle rinnovabili, come eolico, solare e auto elettrica. Per coprire queste spese della green economy, Obama vorrebbe ridurre sensibilmente gli aiuti alle industrie del petrolio, del carbone e del gas: 3,6 miliardi l'anno in meno è la richiesta della Casa Bianca al Congresso. I sussidi alle fonti tradizionali potrebbero quindi perdere oltre 40 miliardi in un decennio; meno fondi anche per l'esplorazione di giacimenti di gas e petrolio e per lo sviluppo dell'idrogeno. Il Dipartimento dell'energia dovrebbe invece promuovere i settori emergenti dell'economia verde, tra cui la mobilità sostenibile. Ricordiamo che l'obiettivo di Obama è vedere un milione di automobili elettriche sulle strade americane entro il 2015. Difatti la proposta dell'amministrazione assegna 588 milioni di dollari ai trasporti ecologici, quasi il doppio (+88%) rispetto al livello attuale. Tra le tecnologie che l'amministrazione Obama considera di primaria importanza, ci sono le reti intelligenti (smart grids) per potenziare le infrastrutture elettriche, gli accumulatori d'energia e le batterie per i veicoli a zero emissioni. La palla passerà ora al Congresso; il passaggio più difficile sarà alla Camera, dove l'opposizione repubblicana detiene la maggioranza e potrebbe bloccare le iniziative di Obama. Intanto il segretario dell'Energia Steven Chu ha annunciato nei giorni scorsi un finanziamento da 50 milioni di dollari per una rete elettrica dedicata ai futuri impianti eolici offshore. La strategia nazionale è installare dieci Gw di eolico marino entro il 2020 per poi arrivare a 54 nel 2030. Oltre alle turbine in mare, sarà indispensabile realizzare una maxi rete per assorbire l'energia prodotta e trasportarla verso le principali metropoli costiere.

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19 febbraio 2011

Harvard, una ricerca mette in luce gli enormi costi nascosti dell'energia da carbone

Lo studio "Coal's hidden costs top $345 billion in U.S.-study" mostra come il costo dell'energia prodotta da carbone sia tre volte più alto di quanto normalmente si creda, a causa dei molteplici danni che provoca ad ambiente e salute, danni che pesano sulle tasche e sulla qualità di vita dei contribuenti.

Fonte: Reuters

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16 febbraio 2011

12.000 ettari distrutti per una miniera di carbone

Fonte: il Manifesto
"I bulldozer della compagnia britannica Global Coal Management Resources stanno per spianare 12mila ettari di terra nella regione di Phulbari, in Bangladesh, per realizzare una delle più grandi miniere di carbone a cielo aperto del Pianeta. Non solo andranno perduti terreni molto produttivi dal punto di vista agricolo, ma ben 40mila persone saranno costrette ad abbandonare subito le loro case. Tra questi almeno 2.200 indigeni, le cui famiglie hanno abitato nella zona per circa 5mila anni. Ma il conteggio dei soggetti da rilocare aumenta se si considerano anche i canali e i pozzi che saranno prosciugati a causa della miniera. In quel caso arriviamo a quasi un quarto di milione di persone residenti in un centinaio di villaggi, tra cui 50mila indigeni appartenenti a 23 differenti gruppi tribali, almeno stando alla ricerche eseguite dall'organizzazione Jatiya Adivasi Parishad.
La cittadinanza locale, come si può immaginare, non è rimasta indifferente e dal 2005 sta protestando contro il progetto. Nel 2006 è stato addirittura indetto uno sciopero nazionale della durata di quattro giorni, anche a seguito degli incidenti occorsi durante una manifestazione non violenta, quando tre attivisti morirono e centinaia rimasero feriti sotto il fuoco delle forze dell'ordine. A quel tempo la poderosa mobilitazione di piazza aveva fatto cambiare idea all'esecutivo del Bangladesh, che di lì a poco aveva dichiarato solennemente che nel Phulbari non si sarebbe sviluppata nessuna miniera a cielo aperto. Un proposito a cui il governo di Dhaka non ha tenuto fede, tanto che a breve renderà pubblica una nuova politica carbonifera molto «amichevole» nei confronti delle società straniere e che sconfesserà del tutto quanto disposto cinque anni fa.
La Global Coal Management Resources ha in programma di estrarre 570 milioni di tonnellate di carbone in un periodo della durata di 30 anni, costruire una centrale e divergere il corso di vari fiumi per permettere l'accesso alle navi che trasporteranno il carbone direttamente in mare, passando per varie foreste di mangrovie di gran pregio. La compagnia promette posti di lavoro, royalties al sei per cento e, alla fine del progetto, un bel lago al posto dell'immenso foro lasciato dalla miniera. La popolazione locale controbatte denunciando che la scomparsa di ettari coltivati a riso e ad altre sementi non costituirà un danno solo per la regione, ma per tutto il Bangladesh, dove la metà degli abitanti sono malnutriti.
L'elemento chiave di tutta questa storia sono proprio le compensazioni. Di terreni a disposizione dei soggetti rilocati non ce ne sono e i pagamenti in denaro, come dimostrano diversi studi, non risolvono il problema ma creano solo nuovi «rifugiati a causa delle politiche sviluppiste». Le tradizioni culturali e religiose delle comunità indigene sono anch'esse destinate a perire sull'altare delle attività estrattive. Alcuni esponenti dei gruppi tribali, però, hanno già fatto sapere che non intendono abbandonare i luoghi abitati da centinaia di anni dalle loro famiglie.
Ulteriore aspetto che non va sottovalutato sarà l'aumento di emissioni di gas serra legato al progetto. Oltre al danno, la beffa, visto che il Bangladesh è uno dei Paesi più soggetti a inondazioni e agli effetti nefasti dell'innalzamento del livello dei mari, provocato proprio dal surriscaldamento globale. E pensare che c'è chi, come il direttore del Goddard Space Institute della Nasa James Hansen, sostiene che cessando le emissioni derivanti dall'utilizzo del carbone rappresenterebbe l'80 per cento della ricetta per porre un freno ai cambiamenti climatici.

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12 febbraio 2011

"Grigioni senza carbone"

Svizzera: il Cantone dei Grigioni si oppone con forza ai progetti di nuove centrali a carbone da parte dell'azienda Repower, da realizzarsi in territorio tedesco e italiano, rispettivamente a Brunsbüttel e a Saline Ioniche. Pochi giorni fa il WWF grigionese ha infatti lanciato, assieme ad altri 13 fra organizzazioni e partiti, un'iniziativa popolare cantonale denominata
“Grigioni senza carbone”.

Secondo quanto riporta il sito di RSI.ch,

"Visto che il cantone dei Grigioni detiene una partecipazione del 46% in Repower, affermano gli oppositori, gli elettori devono avere la facoltà di esprimersi sulla questione. L’organizzazione ecologista è convinta di poter raccogliere in modo rapido le 4'000 firme necessarie per la riuscita dell'iniziativa.

Una campagna a livello svizzero Il 14 aprile 2010, il WWF svizzero e l'organizzazione tedesca Klima Allianz avevano avviato una campagna contro la partecipazione di aziende elettriche elvetiche alla centrale termica a carbone di Brunsbüttel, il più grande progetto di questo tipo attualmente previsto in Germania.

Lo stesso giorno, le aziende elettriche Groupe E e Romande Energie avevano annunciato la loro rinuncia, ma non Repower e il gruppo sangallese SN Energie, che avevano deciso di mantenere l'impegno.

Per una rassegna stampa completa dell'iniziativa clicca qui (gli articoli in italiano si trovano in coda al documento.

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